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EUROPE
23 Agosto 04 TUFERTSCHWIL OPEN AIR Lutisburg (Svizzera)
Avevo 18 anni, quando
nel 1986, scoppiò il fenomeno Europe, con
il tormentone “The final countdown”,
ora esattamente 18 anni dopo, in seguito a defezioni
cambi di line up, relativa ascesa e discesa con
inevitabile scioglimento ecco che i 5 svedesoni
ritornano con un tour di reuninon e relativo nuovo
album sulla scia del trend del nuovo millennio a
cui nessuna vecchia band sa resistere.
Dopo avere scorazzato per mezza Europa partecipando
a diversi festival, li ritroviamo all’open
air di Tufertschwil in svizzera (a un centinaio
di km da Zurigo) come headliner della serata finale
della manifestazione. Il programma prevedeva nei
3 giorni dal 20 al 22 agosto tra gli altri i Toto,
i mitici Uriah Heep, gli Slade,
i Backyard Babies insieme a un
miscuglio non meglio identificato di band tedesche
e svizzere con connotazioni musicali delle più
disparate.
Dopo 5 ore di viaggio arriviamo ai parcheggi del
festival, qui, grazie ad una proverbiale organizzazione
svizzera veniamo prelevati da uno shuttle che ci
scorta fino davanti all’entrata dell’enorme
arena. Il tempo di ascoltare la fine del concerto
di un assurdo gruppo svizzero i Plusch, ed ecco
che alle 18.45, con solo 15 minuti di ritardo entrano
i nostri eroi.
Non è più
l’epoca di capelli biondi e cotonati, il gruppo
che si presenta con la formazione originale, forti
di un John Norum in grande forma, sfoggia dei semplici
camicioni neri e jeans, e pettinature sobrie da
esperti rockers quarantacinquenni. Si parte con
“seven doors hotel” e “wings of
tomorrow” dai loro primi lavori, e si capisce
subito che chi la fa da padrone è solo il
sano e caro rock’n roll. Mr. Tempest ha ancora
una voce da fare invidia a molte nuove leve, e la
padronanza di palco la dice lunga su come si fa
del rock con le palle. Da “superstitious”
a “sign of the time” passando da “ready
or not” a una simpatica versione acustica
di “carrie” cantata insieme al pubblico
lo show prosegue alla grande. C’è spazio
per un ottimo assolo di John Norum per poi riprendere
con la ritmata “let the good times rock”.
Si prosegue con un singolare assolo del batterista
Ian Haugland accompagnato dai loop di “you
really got me” e “ace of spades”.
Poi è il momento dei primi due bis, “cherokee”
e la famosissima “rock the night” fanno
ballare tutti quanti. Altri saluti e nuovi bis.
Il primo, “Stars from the dark”, è
un inedito che uscirà sul nuovo album con
sonorità decisamente anni 2000, tanto per
stare al passo con i tempi, poi è ora del
gran finale: “The final countdown” si
materializza alle 20.30 dopo quasi 2 ore di concerto,
ed è casino! Insomma un ottimo concerto.
Devo fare un plauso
all’organizzazione del festival che oltre
a ospitare bancarelle di ogni genere, svariati stand
gastronomici, tra cui un inquietante “risotto
ai funghi”, metteva a disposizione una fila
interminabile di bagni senza code fastidiose, birra
a volontà, e addirittura un baracchino con
le sigarette con accendino in omaggio! Senza poi
contare il servizio di scorta con lo shuttle per
i parcheggi distanti qualche kilometro. Impariamo.
Ma ora ci aspettano altre 5 ore di viaggio per ritornare
nella nostra beneamata patria. Un saluto alla bandiera
italiana che campeggiava in prima fila sulle transenne,
un saluto ai glamsters di Sassuolo che abbiamo incontrato
durante lo show, e un grazie a mia moglie LeeZ che
si è ricopiata mano a mano la scaletta del
concerto. Passeranno ancora altri 18 anni per me
(me lo auguro!!) chissà gli Europe dove saranno…
Efi
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TWISTED SISTER + AntiProduct
Astoria Club, London - 01/08/2004
Gia’ all’uscita
del metro’ di Tottenham Court Road sento il
nervosismo salirmi sulla faccia, e infatti l’occhio
comincia a tremarmi ripetutamente come nemmeno Giuliano
Gemma riesce a fare nei suoi gloriosi film western…del
resto, un concerto dei Twisted Sister all’Astoria
per un italiano è un evento da raccontare
ai nipotini... Mi procuro il biglietto da un malefico
bagarino (il concerto era sold-out da settimane!!!)
ed mi metto in coda..
Il concerto richiama
a sé appassionati da tutta l’isola
e oltre, ed infatti mi trovo a parlare del piu’
e del meno con due ragazzi di Oslo, proprio mentre
dieci metri dietro di noi, nella piazza sul retro
del locale, si sta svolgendo un raduno gay con la
musica a palla e con molti aficionados della festa
che ballano mezzi nudi e che apertamente si profondono
in effusioni amorose… Assicuratomi di aver
infilato il badile nel retro dei pantaloni, proseguo
fino all’ingresso del glorioso teatro londinese
e raggiungo la parte alta del pit, non prima di
aver dissetato il mio fisico con un paio di birroni
freddissimi, rilassandomi dopo una giornata di puro
turismo e praticando il “pussy-watching”...
Dopo una ventina di
minuti di pausa ed un breve soundcheck, è
il turno degli Antiproduct,
band che non conoscevo per niente, ma che davvero
mi ha piacevolmente impressionato. Non sono la persona
piu’ adatta per recensire il loro gig, in
quanto non conosco ne’ i pezzi ne’ la
loro storia e neppure seguo il genere da loro proposto,
ma davvero è stato un piacere assistere al
loro show: musicisti seriamente preparati con il
folle Alex che corre, salta e si danna l’anima
per far partecipare il pubblico, e il resto degli
strumentisti che ce la mettono davvero tutta per
ben figurare davanti all’esigente pubblico
accorso per la sorella schizzata. I pezzi mi sono
sembrati piuttosto simili tra loro, ma l’estrema
grinta e passione con il quale vengono eseguiti
li fa uscire a testa alta anche se il pubblico,
da parte sua, non sembra gradire al cento per cento
e inneggia ai TS a piu’ riprese. Comunque,
buona prova per un gruppo che ha dimostrato professionalita’
e grinta.
Decido quindi di tornare
a fare tappa al bar e di scolare un paio di altri
birroni ghiacciati, dato che la temperatura all’interno
del locale è altissima (ci sono circa 37°,
e come se non bastasse è stato il piu’
caldo weekend londinese negli ultimi 400 anni...),
anche se va detto che da buon italiano sono abituato
a questo tipo di temperature estive, e non posso
trattenere le risate quando vedo certi tizi inglesi
che sudano come petroliere...
Al bancone del bar c’è aria di festa,
le aspettative sono altissime e si sente dai discorsi
della gente; personalmente so gia’ cosa mi
aspetta (ho assistito all’esibizione della
sorella schizzata al G.O.M. 2004) ma qui nessuno
li ha piu’ visti on-stage da lungo tempo ed
è quindi normale tutta questa impazienza.
Alle nove in punto le
luci si spengono, dagli ampli parte “It’s
a long way to the top” degli AC/DC
e tutti si accalcano in avanti, l’urlo della
folla sale fortissimo (ormai l’Astoria è
pieno da scoppiare) e dagli speakers esce possente
e graffiante la voce gloriosa “Goooooood evening
London, please welcome from New York, the one, the
only, TWISSSSSTED SISSSSSTER!!!”
Ed è la fine……
I Twisted
Sister superano uno alla volta i
muri di Marshall e Ampeg che nascondono il backstage,
e quando il minaccioso Dee Snider guadagna il centro
del palco l’urlo della folla sale cosi’
alto che davvero si fa fatica a sentire la musica
dall’impianto…i nostri “giovanotti”
sono in forma eccellente e davvero partono in quarta,
snocciolando i brani del tempo che furono con un’attitudine
ed una classe che davvero non ha eguali…..”What
you don’t know sure can hurt you”, “The
kids are back” e la pluridecorata “Stay
Hungry” aprono il concerto con una furia rock’n’roll
che non lascia scampo, Dee Snider salta e corre
in continuazione come se fosse tarantolato, il voluminoso
Mendoza percuote il suo basso come se fosse un nemico
da punire, il tarchiatissimo A.J. Pero non perde
un solo colpo e i due axemen Ojeda e French intrecciano
un portentoso muro chitarristico.
“Qui siamo tornati indietro di vent’anni”
sono le parole che mi balenano in mente… nemmeno
il tempo di dirlo che l’istrionico leader
biondo della band ricorda ai presenti la loro lunga
assenza da Londra: 18 anni lontani da palchi prestigiosi
come quello di stasera sembrano spazzati via con
una naturalezza che solo dei veri maestri come questi
possono avere.
Il concerto prosegue con tutti (ma davvero TUTTI)
i superclassici della band, dalla storica “You
can’t stop rock’n’roll”
alla plumbea “Destroyer”, dall’incalzante
“Shoot ‘em down” alla partecipatissima
“Knife in the back” dove Snider pretende
ed ottiene senza sforzo la partecipazione di tutto
il pubblico (“Get your fuckin’ fist
in the air!!!”), sfondando la classica porta
aperta, consapevole del fatto che il pubblico d’oltremanica
ha una fame tremenda di concerti come questo.
Ovviamente non mancano i superclassici dialoghi
tra il folle singer e la gente (alcuni davvero chilometrici
come la storia ci insegna…), cosi’ come
non mancano le frequentissime fughe dietro gli ampli
da parte dei vari componenti per dissetarsi dalla
calura, che ormai ha raggiunto livelli sahariani.
Due ore di concerto sono tante, ed infatti la band
se la prende comoda (e nessuno ha fretta di andare
a casa!!), andando a pescare anche materiale da
dischi che purtroppo sono stati criminalmente sottovalutati
o addirittura ignorati dal pubblico dell’epoca;
quando dagli ampli viene sparata a tutta la mitologica
“Come out and play” la folla impazzisce,
proprio quando sembrava che l’attenzione stesse
calando, per non parlare della pesante “Burn
in Hell”, che riaccendono la fiamma del pubblico
e lo scutono di nuovo. Addirittura la band va’
a pescare pezzi come “The Price”, durante
la quale a piu’ persone attorno a me scendono
copiosi lacrimoni, ma non c’è tempo
per la tristezza, qui c’e’ in ballo
il rock vero, e difatti torniamo a spassarcela con
“I am, I’m me” dove la band se
la ride di gusto. Spetta alla pluridecorata “We’re
not gonna take it” il compito di chiudere
lo show, dove Snider dà ancora una volta
la riprova (se mai ce ne fosse bisogno) che per
essere dei grandi bisogna anche saper creare un
certo legame col pubblico, cosa di cui puo’
vantarsi di essere uno dei principali esponenti
dell’argomento.
La band lascia lo stage,
ma chiaramente tutti sanno che ancora non è
finita… ed infatti dopo un paio di minuti
da dietro le quinte esce un accaldatissimo Jay Jay
French (a cui il trucco non è colato nemmeno
un po’) che si prende cinque minuti di proscenio,
dove con un fiume di parole spiega che questa non
è una reunion come le altre, precisa che
qui non abbiamo a che fare con una band che si riunisce
con uno, due o tre gruppi originali e altri sostituti
raccattati alla meglio, ma si è riunita in
formazione originale e, credetemi, si è sentito
in abbondanza….quando il concerto sembra pero’
traballare sulla sottile linea che lo divide con
un comizio elettorale, ecco che Fiumi-di-parole-French
viene fermato, e di colpo parte il pezzo che puo’
tranquillamente stare nell’olimpo dei superclassici,
insieme a roba tipo “Rock’n’Roll
all nite” dei Kiss o “Highway
to Hell” degli AC/DC...
“I wanna rock” è il pezzo che
l’intero popolo accorso vuole sentire, attorno
a me vedo gente che piange, vedo gente che si abbraccia,
vedo fidanzati che si baciano e vedo soltanto gente
che se la sta spassando alla grande (me compreso),
tutti ormai sono in piedi e agitano il loro pugno
per aria e la classica spiegazione di Snider su
come rispondere al suo ritornello viene perfettamente
eseguita da tutto il pubblico al primo colpo, tant’è
che proprio il ricciolissimo singer si stupisce
di come Londra ruggisca al suo comando e applaude
visibilmente soddisfatto. Il pezzo prosegue per
una decina di minuti, il pit è rovente e
nessuno vuole che il pezzo finisca, ma ormai il
tempo stringe ed è ora di chiudere con “SMF”,
non senza aver accuratamente presentato uno per
uno i membri della band, che raccolgono a piene
mani le ovazioni che il pubblico giustamente tributa
loro, uscendo dallo stage da assoluti trionfatori.
Dopo due ore si riaccendono
le luci e intorno vedo solo visi soddisfatti e sorridenti,
gente che se torna a casa col sorriso sul volto
e la consapevolezza di aver aspettato tanto per
una cosa di cui ne è valsa la pena…
Avevo gia’ goduto forte durante l’esibizione
bolognese lo scorso giugno, cosa che m’ha
spinto ancor di piu’ a saltare sull’aereo
e raggiungere Londra, ma stasera mi sono trovato
di fronte ad un vero ciclone… se al Gods 2004
avevano fatto terra bruciata attorno a loro, stavolta
si sono ulteriormente (ed abbondantemente) superati
ed hanno dato un chiaro segnale per le giovani band
di mezzo mondo che al giorno d’oggi sono in
cima alle classifiche e si sentono supercool su
cosa significhi essere rocker nel senso canonico
del termine...
Alzatevi tutti in piedi
e levatevi il cappello davanti a questi ultracinquantenni,
che hanno dato una palese dimostrazione di superiorita’
stasera… cosa volete che vi dica di piu’?????
VECCHIA SCUOLA… E’ COSI’ CHE SI
FA’!!!!!!!!
Gene Joint
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RUISROCK
10-11.07.04 - Testo Damndoll foto Alberto @ Telefunkenationaltrio
Le recensioni non le
legge nessuno, e fra l´altro l´idea
di competere con le illustri penne di Slam mi uccide
tutta l´ispirazione. Peró se mando
solo le foto non contestualizzo, quindi, visto che
a volte mi capita di avere l´irritante (per
gli altri) fortuna di trovarmi al posto giusto nel
momento giusto, ecco qua. Per dire, fino all´anno
scorso manco sapevo che esisteva il Ruisrock, ma
siccome ora dal mio appartamento sento il soundcheck,
toccherá andarci. Peró che palle le
recensioni…
Facciamo che racconto cose a vanvera sulla mia vita
finlandese.
Ruissalo é una ridente isoletta dotata di
spiaggia che appartiene all´arcipelago di
Turku, un posto favoloso fra alberi, vegetazione
lussureggiante e pecore al pascolo.
Un lungo sentiero che
attraversa campi coltivati a grano alternati a zone
paludose, con acquitrini da cui ti aspetti di veder
spuntare un vietcong con il pugnale fra i denti,
porta fino agli ingressi, dove una selva di biciclette
e bambini intenti a raccogliere i vuoti degli svariati
ubriachi precoci rende l´ambiente molto poco
wild. I finlandesi non sono mai trasgressivi, anche
il cunnilingus (ho studiato latino, io) che una
signorina si gode guardandosi un concerto fra trentamila
persone é molto… boh, politically correct?
48 gruppi in due giorni
su quattro palchi e solo due neuroni per raccontarli,
quindi guardate le foto. Molti meriterebbero menzione
se non altro per la regola ”se li conosci
li eviti”, ma é faticoso e noioso.
Quindi passiamo alla ciccia, in tutti i sensi, i
Turbonegro.
Il vero spettacolo sono i membri delle varie Turbojugend
finlandesi che si radunano e preparano alla battaglia,
mica cazzi (c´hanno una Turbojugend anche
in Costa Rica e in Italia no, che vergogna). Il
mio spacciatore di dischi quassú ha lo stemma
tatuato su un braccio, e quando, contro ogni regola
di buona educazione finlandese, (che prevede l´invisibilitá
del prossimo anche nelle occasioni piú improbabili,
e vieta l´espressione di una qualsivoglia
opinione)gli dico che é meraviglioso, risponde,
fissandomi dritto negli occhi: ”the best band
in the world”. Ma é un esercito vero?
Qualcosa della scaletta
(ma non vi ci abituate): ”Wipe it ´til
it bleeds” per iniziare, ”Gimme some”,
”Sell your body (to the night)”, il
generale ordina ai soldati di spogliarsi e buttarsi
in acqua (siamo al palco sulla spiaggia) e vedo
sfrecciare tre quattro corpi nudi con berretti da
marinaio, che poi ripassano con piglio orgoglioso
tutti fradici. Ok. Quando lo racconto ad un´amica
finlandese mi fa ”si ma quanti uccelli hai
visto, tre o quattro?” ho un´educazione
cattolica io, non fisso lí… peró
le ragazze finlandesi sono simpatiche, fossi un
uomo sarei terrorizzato. Ah, si, la scaletta: ”Drenched
in blood”, ”Le saboteur”, ”Ride
with us”, ”Get it on”, ”Don´t
say motherfucker, motherfucker”, ”Are
you ready”, ”Back to Dungaree High”.
E la mia canzone, ”Fuck the world”.
Che solo per il verso ”tonight I`m feeling
fine, because I heard that denim´s back in
style” meriterebbe il Nobel alla letteratura.
A Bologna erano riusciti
a fare un concerto da panico con quei volumi ridicoli
e poco pubblico, figuratevi qui. È una cerimonia,
c´é un che di ipnotico e demoniaco.
I Von Bondies suonano in contemporanea ai Motörhead,
immagino la loro gioia quando l´hanno saputo,
e in effetti non se li fila nessuno, io compresa.
Dei Motörhead sapete tutto. Momento piú
alto: Lemmy che dedica ”God save the queen”
ai Ramones che non ci sono piú.
E non lo fa con finta commozione o con tristezza,
ma con… disappunto, come se qualcuno avesse
messo il sale al posto dello zucchero nella ricetta
del mondo perfetto. Pochi giorni dopo é morto
Killer Kane, niente da aggiungere, solo i miei saluti.
I 69 Eyes invece non muoiono mai, ok ok cosí
é pesante, non li voglio morti, mi basta
che tornino a coltivare patate, per l´amor
di Dio… che noia… Jussi, scappa! Ti
prego!
Gli Stray Cats
mi tolgono dieci anni di vita e tutta la fatica
di otto ore in piedi. Lemmy e Brian Setzer, come
dire enciclopedia A-Z
Gli Hanoi
Rocks mi commuovono, perché
i fuochi d´artificio, le fiammate, le megaluci
sul megapalco e il pubblico oceanico sono l´immagine
di quel sogno che hanno solo sfiorato, sembrano
cosí piccoli e indifesi.
Iniziano con ”Obscured”, altra canzone
mia, poi stanno sui classici, tranne un´imprevista
e incazzatissima Rosalita. Chissá se a forza
di star qua e vederli tutte le settimane una volta
mi fanno pure ”Dead by Xmas”. Mmm, quando
ribecco Mike glielo chiedo. Chiusura Up around the
bent e tutti a casa. Mi viene da piangere, non so
se sono gli ormai proverbiali occhi da rana del
mio attuale concittadino (va bene, la smetto) che
mi intristiscono o il mal di piedi.
Secondo giorno: Backyard
Babies all´una di pomeriggio,
una e trenta per fare la cronista seria, concerto
gradevole ma come si fa a quest´ora, é
la differenza che passa fra il cd messo su in macchina
il lunedí mattina andando a lavorare e lo
stesso cd il venerdí sera mentre vi agghindate
per uscire. Peró dai e dai cominciano a piacermi,
valá, che il loro ultimo disco non é
male, concerto meglio che a Milano, ma mai come
al Pedro. Pensandoci, in quel posto ho visto i concerti
piú favolosi della mia personale storia…
siccome ho fatto lo sforzo di pensare alla scaletta,
che tanto lo so che i nerds qua in mezzo quella
vogliono, ecco qua: per cominciare direi niente
di meglio di ”Everybody ready?”, poi
”A song for the outcast”, ”Year
by year”, ”One sound”, ”Minus
Celsius”, ”Earn the crown”, ”Highlights”,
”Star war”, ”Brand new hate”,
”Heaven 2.9”, ”Look at you”
per chiudere. Contatto con il pubblico ridotto a
recita, ”come on… (nome della cittá)”
”The …(aggettivo per nazionalitá)
women are the sexyest in the world” e via
blablaando. E´sempre un piacere, ma forse
sono un po´freddo\professionale, sono in tour
praticamente da 10 anni, non che sembri che si sono
stufati, ma magari gli manca un po´di strizza
per mantenergli la concentrazione.
I Negative
sono sopravvalutati, di look hanno capito tutto,
ma le canzoni sono loffie, oddio le tastiere! Del
resto fossi in loro con un pubblico cosí
di minorenni urlanti e stragnocche disposte a tutto
non é che cercherei oltre il mio paradiso
personale…
I Therapy?
su disco sono un po´troppo intellettuali,
(la semplice esistenza di uno spartito musicale
é nei miei termini musica intellettuale)
invece dal vivo sono belli ignoranti. Non credevo.
Weeping Willows eleganti e nostalgici, alter ego
dei Monster Magnet
che in effetti é un bel concerto tamarro,
ma forse un po´troppo cliché, questa
cosa della chitarra distrutta sul palco come mossa
calcolata dá sui nervi, troppo machismo zero
ironia, ma questo vale solo per la presenza, il
concerto se non lo guardi é coinvolgente.
Flaming Sideburns tutto nervo, spettacolone, non
mi compro i loro disci che sono troppo Settanta,
ma dal vivo godevoli.
Il sex appeal del cantante
dei Rasmus
rimane per me oggetto oscuro…
Sono andata come un treno, con rapporti telegrafici
tipici del ”critico musicale”, cioé
quel tristo essere che vorrebbe essere una rockstar
ma é grasso coi brufoli e gli occhiali a
fondo di bottiglia, e cerca disperatamente il suo
posto nel mondo fingendo competenze da formula algebrica
dove conta solo l´emozione. Odio scrivere
recensioni. Chiedo scusa, ho cercato di dare il
maggior numero di informazioni salvando per quanto
possibile il vostro tempo. Resto a disposizione
per dubbi e mancanze.
Detto tutto, adesso
tallenna (salva in finlandese, qualcuno lo vuole
un corso di finlandese? é facile, indovinate
che significa kakka) pausa sigaretta e mie conclusioni,
la cui lettura e mooolto facoltativa.
Uno entra in una sottocultura (seee, ricomincio!)
perché si sente diverso dalla norma, perché
ha altre domande, perché si sente fuori (mai
benediró abbastanza i Guttersluts
per aver verbalizzato questo concetto!). Allora
sono una glamster, ci credo, lo vivo, ma non so,
ultimamente mi sento fuori di nuovo. Che abbia sbagliato
sottocultura? Lo escludo, siamo i migliori. Ma forse
il problema é il ”siamo”. Questo
Ruisrock é stato forse il primo concerto
in assoluto della mia vita in cui non ho incrociato
nessuno che conoscessi, e sapete una cosa? Vedere
Kill Kill che cade nel Po vale centomila Ruisrock,
ma stavolta, tutta sola soletta con la bocca chiusa
e gli occhi spalancati, ho ritrovato quel che avevo
perso, quell´ottusa e infantile passione per
la musica, perché eravamo solo io e lei,
nessuno da cui guardarmi, intorno, nessuna minaccia
al mio buonumore.
Intendiamoci, ci sono
delle persone che adoro e che ringrazio tutti i
giorni di aver avuto la fortuna di conoscere, fra
i glamsters italiani, persone che conosco meno ma
apprezzo e ammiro per quel che fanno, ma ci sono
anche un po´ di cattiverie, un po´di
grettezze, un po´di sorrisi falsi che mi fanno
sentire… fuori. E non mi piace, perché
al gruppo ci credo. Quassú é incredibile,
i glamsters sono ovunque, e sono talmente tanti
che neanche si conoscono fra loro. Nemmeno Londra
é cosí. Da noi non é che se
scappi vai molto lontano. Non é un invito
al volemose bene, anzi. E´che le cose stanno
andando bene adesso, siamo un bel po´, i concerti
arrivano, la gente c´é, per merito
di quei quattro cinque personaggi che si sbattono
da una vita, e che proprio meritano un monumento
per la tenacia. Voglio che duri, perché un´emozione
condivisa é meglio, e non é la stessa
cosa se entro al supermercato e trovo Mike e non
ho nessuno a cui telefonare stasera per raccontarglielo
e urlare un po´insieme come adolescenti.
Mara Persello
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CHEAP TRICK
Shepherd’s Bush Empire, London, UK –
21 Luglio 2004
E’ un’afosa
giornata estiva a Londra, la folla e’ gia’
in fila davanti all’Empire e non sono ancora
le 6 del pomeriggio. Finalmente le porte aprono
e rapidamente il locale si riempie, di facce non
esattamente note… Ho recensito i Cheap Trick
gia’ due volte in passato, per cui, amici
miei, permettetemi di soffermarmi su quello che
e’ uno spettacolo quanto mai insolito per
chi, come la mia dolce meta’, non ha mai visto
un concerto di Zander e compagni: il pubblico.
Cos’e’ un rocker? Ha un look, un’eta’,
che vita fa? Nell’attesa che le luci si accendano
sul palco, decidiamo di sederci, osservare, cercare
risposte. Davanti ai nostri occhi passano personaggi
di ogni forma e genere, bambini teenager e ultracinquantenni,
bikers punkettari e newromantics, musicisti giornalisti
djs e… impiegati di banca, ma si, anche se
si sono infilati i jeans e la maglietta di un vecchio
tour, sembrano cosi spaesati! Gente che non va fuori
il mercoledi, non piu’, a meno che non e’
uno di questi giorni speciali; giorni in cui tutti
i Clark Kent possono strapparsi via il colletto
bianco e vestire la maglia del SuperRocker, e sfrecciare
di nuovo liberi inseguendo una nota, liberi dal
tempo e dalle regole che la vita gli ha pian piano
imposto.
Confusi con questa schiera di occasionali frequentatori
della rock-scene, ci sono quelli che hanno giurato
alla regola di non avere regole, e, incuranti degli
sguardi della societa’ benpensante, sfoggiano
divise fatte di capelli rigorosamente incolti e
giubbotti rigorosamente in pelle, coraggiosi penso,
mentre mi squaglio nella mia magliettina di cotone.
Ci sono gli adolescenti,
un po’ per divertimento, un po’ per
imparare il segreto dell’immortalita’,
un po’ per vedere uno dei gruppi che ha ispirato
i loro stessi idoli. I Cheap Trick infatti, malgrado
non abbiano mai raggiunto la vetta delle classifiche,
sono sempre stati un gruppo di culto, i cui concerti
fanno sold-out con largo anticipo e il cui nome
viene annotato nell’elenco di influenze principali
di numerosi artisti di tutti i tempi. Come Ginger,
che non perde una data e anche stasera e’
qui tra noi, o Alex Product, che e’ venuto
da Newcastle nell’unica data off del suo tour
proprio per questo gig.
E ci sono gli addetti ai lavori, perche’ e’
un concerto di qualita’ e un’occasione
socialmente imperdibile, un dovere di partecipazione
semi-religioso, quasi come la messa della Domenica.
Dunque, chi sono i rockers qui dentro? Tutti? Nessuno?
Centomila? Pensieri bruscamente interrotti dall’ingresso
sul palco di Zander, Nielsen e compagnia, tutti
membri originali, ci ricordano orgogliosi. E non
ci puo’ essere canzone piu’ azzeccata
di “Hello Kiddies” per salutare i giovani
di spirito che riempiono stasera l’Empire
tutto esaurito.
Tra robe targate 1977
e pezzi recenti, in una scaletta per altro abbastanza
insolita, brillano come sempre le perle indimenticabili,
gioielli di sano rock’n’roll come “I
want you to want me” e la toccante vellutata
ballad “The Flame”; il pubblico alterna
rumorosa partecipazione a silenzioso, rapito ascolto,
e nessuno sembra piu’ smarrito neanche un
po’. Forse i piu’ giovani, che faticano
sempre un po’ a vedere il Superman dentro
il vecchio Clark Kent… A loro dedichiamo il
ritornello della classica “Surrender”,
che fa cosi: “Mommy's alright, Daddy's alright,
they just seem a little weird. Surrender, surrender,
but don't give yourself away, ay, ay, ay...”.
E mentre musica e luci sfumano, tra i vapori di
questa moltitudine sudata e alticcia, mi sveglio
dal piacevole torpore melodico in cui sono stata
avvolta nelle ultime due ore, chiedendomi dov’ero
rimasta. Ah si: chi sono i rockers…. Dal piano
superiore scendono alcuni padri con i bambini per
mano, e qualche allegra famigliola al completo…
I rockers sono quelli che non si fermano davanti
al pensiero della sveglia, di dove mollare i pupi,
di andare da soli dove non si conosce ormai piu’
nessuno. I rockers sono quelli che senza pensare
prendono i biglietti, e quando il giorno arriva
lasciano la sveglia a casa, prendono il bambino
in braccio e strappano il colletto bianco, e gli
amici li troveranno li, sono tutti gli altri con
la grande S sul petto.
Cristina Massei
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BANG YOUR HEAD FESTIVAL
26 Giugno 2004 Ballingen (Germany)
Ebbene sì, siamo
arrivati fino in Germania per assistere in prima
persona al ritorno del ex-frontman degli Skid Row,
e che ritorno! Grazie alla sua fantastica forma
ed energia contagiante, ha lasciato a bocca aperta
critici, fan ed organizzatori...
Il BYH è uno dei Festival metal/hard-rock
più seguiti in terra crucca, e in questo
caldo sabato sono stati ospitati illustrissimi ospiti;
perciò, prima di passare al vero motivo della
recensione, riassaporiamo i momenti più rilevanti
di questa giornata:
ANGEL
Il gruppo più tamarro che ho visto negli
ultimi dieci anni! Seconda data in Europa che segna
il ritorno della band Americana capitanata da Frank
Dimino. Affascinante e contagioso il carisma emanato
dal bassista. Peccato che la band sia stata offuscata
sin dalla nascita da un’altra stella del rock
mondiale: i Kiss. Usciti contemporaneamente
per la Casablanca, gli Angeli sono stati schiacciati
dall’incontenibile successo dei diabolici
Kiss, come ci ha confessato lo
stesso tastierista Michael T. Ross.
LILLIAN
AXE
Per la seconda volta sul palco il chitarrista Stevie
Blaze (anche membro degli Angel) che introduce la
sua band, i Lillian Axe. Famosi nella scena glam
80 per aver accompagnato in tour personaggi come
la Ford, Krokus
e Hurricane si sono poco a poco
spostati verso un hard rock più carico di
riff, tempestoso e lo hanno dimostrato benissimo
questo pomeriggio, coinvolgendo tutti gli spettatori
del festival.
UFO
Ed ecco ri-comparire i cari vecchi UFO che ci hanno
allietato con le solite hits come “Doctor
Doctor”, “Only You Can Rock Me”
e “Rock Bottom”. Phil Mogg in formissima
ma -non consapevole dell’età che ha!-
si è divertito a esibire i suoi muscoli e
pettorali per tutta la durata del concerto... va
beh! Nonostante la staticità del front man,
bisogna dire che l’esecuzione è stata
spettacolare. Altra piccola pecca il caro Moore:
sembra essersi dimenticato di essere in concerto
con una band hard rock, e ha tempestato e soffocato
con lunghi assolo – assolutamente fuori luogo
- la performance del gruppo... ma lo perdoniamo!
Incredibile invece Pete
Way, vero animale da palco: dopo anni e anni di
sballi, droga e rock’n’roll è
stato ancora in grado di saltare, correre, buttarsi
a terra, urlare, aizzare il pubblico e suonare come
un dannato... accompagnato da un eterno sorriso
ed indimenticabile espressione di soddisfazione
stampata in faccia.
SEBASTIAN
BACH
Finalmente, dopo interminabili ore di attesa, apparire
in attillatissimi pantaloni di pelle il biondone
storico della storia dell’hard rock: Sebastian
Bach.
Esplodono i boati e cominciano immediatamente, dirompenti
le note di “Slave To The Grind”: delirio
annunciato! Il pubblico partecipa ad ogni canzone,
urlando ogni singola parola dei pezzi proposti...
e Bach si emoziona!! Appena finito il primo pezzo
si gira soddisfattissimo verso la band facendo notare
il calore dei fan. Stupito ed incredulo torna a
parlare con la folla sottostante e dice che ha sognato
questo momento –un grande ritorno!- per tutti
i dieci anni di assenza dalla scena live.
Il caro Sebastian, non
eccede sicuramente in maniere fini... da subito
non risparmia un idiota (!!!) in prima fila che
sembra aver raggiunto quella posizione solo per
insultarlo; e così via una raffica di FUCK
per smorzare l’irriverenza del malcapitato.
La scena si ripeterà più volte nel
corso del concerto, ma sicuramente non serve a togliere
al singer l’incredibile energia che si ha
dentro di se.
Il concerto è concentrato sui primi due album
degli Skid Row, infatti seguono a ruota sostenuti
pezzi come “Piece Of Me”, “Monkey
Business”, “Mekin’ A Mess”,
“Big Guns”, “The Threat”
ma anche le più nostalgiche e romantiche
“18 And Live” e “I Remember You”...
non vi dico il casino che ha scatenato quest’ultima!
Più e più
volte il pubblico è stato incitato dal grido
di Bach: “Here I Am” e la sua indiscutibile
gioia che ha contagiato tutti i presenti!
Una bellissima mossa, da tipico (anti?!) Americano
è stato il suo appello contro qualsiasi tipo
di lotta ma soprattutto contro la guerra urlando:
“I fucking hate war!” ... commozione
generale!
Il front man lascia molto spazio anche alla sua
nuova band che dimostra esperienza e capacità,
soprattutto riuscendo a sostenere una mina vagante
quale si è dimostrato Sebastian Bach. Scopriamo
così che tre dei quattro elementi di questa
formazione sono reduci da una comune esperienza
nei ‘Dead Tight 5’: il chitarrista Randall
X Rawlings, il batterista Mike Dover e il bassista
Brian “Cheeze” Hall. Quest’ultimo
sembra proprio essere il favourite kid di Sebastian,
dato che più e più volte sul palco
lo incita, abbraccia (?!?!!) e sprona ad esporsi
verso il pubblico... notevole presenza scenica comunque;
vedere per credere! Ed ultimo ma non ultimo il super
biondo-ossigenato chitarrista Adam Albright, già
negli Skinlab e Dopesick).
Arriva il triste momento
dell’addio. Sebastian alza il braccio e, cosciente
del fatto che il 99% dei presenti conosce a memoria
il suo più famoso tatuaggio, chiede alla
folla di ‘leggere’ le tre parole che
ha inciso sul braccio. Ci lascia così l’ex
Skid Row, sulle note di “Youth Gone Wild”.
E noi ci siamo tornati a casa con una fantastica
esperienza sul groppone, sicuramente da non dimenticare
ma soprattutto con in testa la promessa di Sebastian
Bach di tornare presto, anzi prestissimo!
Laura Delnevo
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WILDHEARTS + THERAPY + GLITTERATI
London, Hammersmith Palais – 10 Maggio 2004
Lasciamo da parte il
fascino del Palais di per se stesso... Ma perche’
poi lasciarlo da parte? Dopo anni di piccoli gigs
all’Underworld, grandi concerti ai venues
della Carling e epici shows a Wembley, eccoci finalmente
in un locale unico e leggendario quanto questo immortale
maledetto geordie; simboli che i giganti non riescono
a comprare, icone che se ne sbattono di costosi
lavori di rimodernamento, perche’ i monumenti
alla fine li vogliamo vissuti, imperfetti e riservati
solo ad eventi speciali.
“E perche’ sarebbe speciale un concerto
dei Wildhearts?”... Ok, chi ha parlato?? Tu!
Cambia sito, cambia genere, e tanto che ci sei fatti
anche un trapianto di cuore, va. Io proseguo a raccontare
questo bel lunedi sera, per tutti i fortunati sani
di mente in ascolto.
Torneremo sui protagonisti
indiscussi a tempo debito. Ora entriamo col consueto
ritardo per trovare sul palco l’ultima sensation
britannica, i tanto discussi Glitterati.
Personalmente, di sensation c’e’ ben
poco. Forse mezza apertura di concerto non rende
loro giustizia completa, ma per quel che posso vedere
si tratta dell’ennesima graziosa formazione
sull’onda di Jet e Libertines,
sia per quanto riguarda il look sia per la musica,
e anche il singolo di maggior successo "Do
you love yourself" con cui chiudono l’esibizione
mi sembra deboluccio. Piacevoli, orecchiabili e
freschi senza dubbio, consigliati se vi piace il
genere, ma c’e’ ancora spazio per crescere,
e parecchio. Il mio profano consiglio e’ di
ascoltare con rispetto e concentrazione gli headliners
cercando di inalare un pochino di quel genio che
fa la differenza tra Ginger e il resto del mondo...
E dai giovani virgulti apprendisti passiamo ai vecchietti
riesumati dalla casa di riposo per rockers scaduti,
in occasione di questa strana e sensazionale serata:
signori, i Therapy.
Ahia. Facile intuire che gli ultimi anni li hanno
passati piu’ a un tavolo da briscola che in
una sala da rehearsal. I tre sono scoordinati, stanchi,
deludenti. Tuttavia, con l’aiuto delle solite
4-10 pinte, che magicamente amalgano gli strumenti
sfumandone i i ruvidi anacronistici conflitti, e’
bello assaporare il gusto del revival, mettere indietro
la clessidra e gustarsi dall’alto del bar
il pezzo forte della serata, quel "Going nowhere"
che nessuno di noi ha mai dimenticato.
Ma tra il troppo nuovo
e il troppo vecchio vince l’eterno, e tra
il troppo inesperto e il troppo consumato vince
l’artista, il genio, la passione, la musica
che nasce da se’ e non ha bisogno di prove
e non si deteriora, le note di “Wanna go where
the people go” si diffondono nell’aria,
entra Ginger, mai troppo giovane mai troppo vecchio,
entra Ginger, un tranquillo padre di famiglia che
sa ancora sentire, provare, soffrire fino a tentare
il suicidio, Ginger che non si e’ mai chiuso
in una stanza per scrivere questo, non l’ha
mai scritto in verita’, l’ha sentito,
l’ha tirato fuori dal suo cuore e diviso col
mondo, diviso la gioia, il dolore, forse per non
impazzire... Ginger. Ancora una volta quel maremoto
indescrivibile che ti fa venir voglia di abbracciarlo,
strangolarlo, baciarlo.
“Greetings from Shitsville”, signori,
e non posso fare a meno di chiedermi se e’
davvero questa One Way Street che ha la prerogativa
di crescere fiori maledetti come noi, come Ginger,
come Danny che stasera purtroppo non e’ qui,
come i duemila circa che cantano insieme a me ora.
Amata odiata Londra, droga letale, non sai perche’
ci sei arrivato e ancor meno come uscirne, ma vuoi
uscirne poi?
E’ il momento di “Wildhearts must be
destroyed”, e ribadisco l’eccezionale
resa live. Immancabili “Top of the world”
and “Vanilla radio”, ma il vero gioiello
da quest’ultimo lavoro e’ “Someone
that won’t let me go”, che porta l’album
sempre piu’ in alto nelle mie classifiche
di gradimento gingeriane.
Sapevo dell’ingresso in scaletta di “Girlfriend
clothes”, poi a togliermi il fiato c’e’
“Beautiful thing you”, b-side tratto
nientemeno che da “Suckerpunch”, annata
1994. Tra generosi siparietti di Ginger e una successione
di brani quantomai insoliti, accompagnati da una
quantita’ indefinita di JD&Coke e lacrimucce
di commozione, arriva il momento del break.
Il lunghissimo bis ci
porta immancabile “My baby is a headfuck”,
commovente l’Hammersmith Palais visto dall’alto
del bar, che alza le mani in un unico “I’m
just a mess”, e sto pezzo lo sottolineero’
finche’ i Cuori Selvaggi continueranno a proporlo,
perche’ e’ la mia personale highlight,
lo e’ sempre stata. E stasera ce n’e’
un’altra, nuova:
e’ a un certo punto dopo “Caffeine Bomb”
che le familiari note di “Cheers” si
diffondono, insieme ai lacrimoni nei miei occhi.
Questa davvero non me l’aspettavo, pensavo
fosse una cover buttata li per coprire un b-side,
pensavo piacesse a me e pochi altri, e invece sembra
che gli oltre duemila presenti a volte vogliano
essere dove tutti sanno il tuo nome, e tutti sono
contenti di vederti, dove puoi vedere che i problemi
sono tutti gli stessi... You wanna go where everybody
knows your name. E quel posto stasera e’ il
vecchio Palais, e il nome di Ginger lo cantiamo
ora tutti insieme.
E devo finirla qui perche’ sento che e’
arrivato quel punto dove le emozioni non possono
piu’ descriversi a parole, dove parte di voi
staranno mormorando sotto i baffi “ma che
c***o dice la Penny??”. Vi lascio, con una
rabbiosa “She got me”. Sorry: “HE
got me”. Again.
Cristina Massei
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MONSTER MAGNET + GLUECIFER + QUILL
London, Shepherd’s Bush Empire – 12
Aprile 2004
Considerata la brutta
esperienza raccontata da coloro che hanno assistito
alla puntata italiana di questo blasonato tour,
mi aggiungo a Laura (Delnevo. NdC) per confermare
che si trattava solo dell’ennesimo episodio
di sfiga concertistica capitato al nostro Paese.
Nella realta’, questo e’ un trio live
che non si dimentica.
I Quill,
seppure limitati a sei pezzi, quasi tutti tratti
dall’ultimo gioiello “Hooray! It’s
a deathtrip”, dimostrano di aver rapidamente
raccolto l’eredita’ dei Soundgarden
di Chris Cornell e averla elevata
all’ennesima potenza, portandola fuori dalla
limitante etichetta “grunge” e promuovendola
al reparto “Rock” con tanto di R maiuscola.
Da annotare il lungo jamming di “Hole in my
head”, con Danny Young dei Gluecifer
alla batteria insieme a George Atlagic; da lodare,
un uomo sopra tutti, il vocalist Markus Ekwall,
e un pezzo sopra tutti, la splendida “Come
What May”.
E mentre il grunge faceva
da gigante nei Novanta, il rock’n’roll,
con le spalle larghe e la grinta di gente come Hellacopters,
Supersuckers e Backyard
Babies, difendeva a vista il suo feudo,
che in questo ventunesimo secolo sembra finalmente
destinato ad espandersi di nuovo. Uno dei gruppi
sentinella di tale indistruttibile fortezza e’
senz’altro quello dei Gluecifer,
che raccolgono la fiaccola dai colleghi scandinavi
e infiammano il palco con undici pezzi dalle piacevoli
venature punkeggianti; l’Empire ora si e’
riempito, la gente partecipa con entusiasmo, e i
ragazzi ne approfittano per presentare in maggioranza
pezzi da “Automatic Thrill”, una delle
gradite sorprese di questo 2004. “Here come
the pigs”, “Car full of stash”
e Captain Poon sono ancora meglio live che sulla
carta; Biff Malibu e’ un frontman che a detta
di molti ha una sola pecca: il look... Pecca? Mah,
se piu’ gente si concentrasse sulla musica
come fa lui magari potremmo tutti guardare al futuro
del rock con maggiore ottimismo. Anche qui si chiude
con un jamming, stavolta alla chitarra, con Phil
Caivano dei MM che aggiunge le sue chitarre alla
gia’ leggendaria cover di “Surrender”
dei Cheap Trick.
Ed e’ finalmente
ora degli headliners, attesi con ansia considerati
i recenti problemi vocali del vocalist. E vi diro’,
non solo Wyndorf sembra aver egregiamente risolto
tutto, ma la band di stasera non si limita ad accompagnare
la sua ottima performance: le chitarre di Mundell
e Caivano sono colonne portanti di questo memorabile
show.
Apre “Bummer”, e “Powertrip”
domina l’apertura con altri due pezzi, poi
si da il via a “Monolythic Baby”; “Dinosaur
Vacum” e “Brainstorm” tra i brani
che ci conducono all’encore, “Who wants
some spacerock?”, ora di “The right
stuff” e “Spine of God”. Chitarre
spaccate, e’ rock in tutto il suo splendore,
violenza, rabbia. Pubblico sudato, ubriaco, soddisfatto.
Un concerto qualitativamente
superlativo e un accostamento che mette a fianco
tre diverse sfaccettature del decennio che ci lasciamo
alle spalle, dimostrando che non c’e’
epoca nella storia in cui la musica non abbia prodotto
qualcosa da ricordare, conservare e cantare per
molti anni a venire... a volte per sempre.
Cristina Massei
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Pix
A2*NA |
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GODS OF METAL
6 Giugno
2004 - Arena Parco Nord - Bologna
Il Gods Of Metal si
sà, è uno degli avvenimenti musicali
più attesi dell'anno per ogni rocker/metallaro
che si rispetti, e quest'anno lo spettacolo che
viene proposto a Bologna sembra essere particolarmente
appetibile.
Per cause non propio "professionali",
siamo costretti a seguirne solo la seconda giornata,
diciamo quella più attesa per ogni appassionato
del buon vecchio hard rock, anche se la reunion
dei metal gods era altresi un evento da non perdere...
e per cause altrettanto poco "professionali"
io, il boss e il buon Martins ci perdiamo i pur
validi gruppi d'apertura (per la cronaca DRAGONFORCE,
STORMLORD, NAGLFAR),
credendo e sperando di arrivare in tempo per i crucchi
SODOM.
All'ingresso nel parcheggio
dell'arena Parco Nord la frase "We Are the
Quireboys!" ci lascia perplessi ed allo stesso
tempo ci infonde la giusta carica ed ansia per correre
verso il palco, perplessità presto chiarite:
il giorno prima sembra esserci stato un "mini
diluvio universale", gli U.F.O.
sono stati avvistati in un campo di grano a Rho,
gli STRATOVARIUS sono stati incastarti
dopo i QUIREBOYS e forse... forse
gli W.A.S.P. danno buca!
QUIREBOYS
Come gia' accennato, ci accingiamo al palco a concerto
gia' iniziato, ed il primo colpo "d'orecchio"
ci mostra un gruppo un po' penalizzato, soprattuto
per quanto riguarda la sezione ritmica, mentre la
voce del divertente e divertito Spike risuona chiara
in tutta l'arena... il pubblico gia' abbastanza
numeroso sembra essere piu' che coinvolto da canzoni
quali "This is r'n'r" e "7 o'clock",
nonostante sia stato sfamato fino a poco prima da
thrash e black metal, e la carica dei cinque fa
saltare e cantare tutti i presenti.
Lo show dura veramente
poco, e probabilmente i Quireboys sono piu' apprezzabili
in un contesto da club fumoso, ma con "Hey
you" riescono a chiudere in bellezza uno spettacolo
godibile e di gran qualita'!... this is r'n'r!!!
STRATOVARIUS
Un cambio palco veloce ed ecco apparire la prima
novita' della scaletta, il primo telo retropalco
discutibilissimo (trattasi della datata copertina
di Visions) e i capelli biondissimi e fluenti di
Kotipelto.
Dire che i nordici sono diventati la parodia di
se stessi e' poco, e tutto questo nonostante un
pubblico abbastanza coinvolto, dei pezzi apprezzabilissimi
e l' ottima tecnica dei musicisti (anche se mi sembra
di aver udito qualche sbavatura abbastanza evidente
di Tollki). Il feeling tra i componenti manca, ed
anche vere bordate come "Forever Free"
e "Kiss of Judas" non riescono a trasmettere
vibrazioni positive; da notare come il biondo singer
presenta solamente il bassista e il batterista,
mentre il Timo "meno in forma" resta in
disparte svolgendo il suo compitino, come gia' detto
neppure benissimo, rovinando un pezzo pregevole
come "Speed of Light".
Sempre da Episode vengono
tratte "Forever" ed "Eternity",
mentre dal repertorio piu' recente la melodica "Hunting
High & Low" dal refrain trascinante. La
scarsa prestazione (peggiorata da un'amplificazione
fiacca) finisce con la solita "Black Diamond"
e con un Kotipelto intento a far urlare una frase
incomprensibile al pubblico, probabilmente un addio
in finlandese...
Dispiace vedere un buon gruppo finire in questo
modo, ma se questa deve essere l' ultima prestazione
dei finnici con la line-up originale, ci hanno lasciato
un brutto ricordo!
W.A.S.P.
Dissipati i timori circa la defezione di Blackie
e co., il pubblico si scalda, e dopo aver schernito
il simpatico roadie intento a montare l'asta/scheletro
del "Senzalegge", esplode letteralmente
all' ingresso del combo americano.
Si inizia con il botto e non ci sono commenti sul
medley proposto in apertura: "On your knees/Inside
the electric circus/The Hellion/Chainsaw Charlie"...
gli W.a.s.p. dimostrano di essere in gran forma
e, nonostante i soliti problemi acustici del festival
(la voce va e viene troppe volte), ci atterrano
definitivamente con "L.O.V.E. Machine".
Si capisce sin dall'inizio
che lo show vuole essere incentrato sui vecchi classici
e viene letteralmente lasciato da parte il repertorio
piu' recente: "Wild child", "Animal"
e "I wanna be somebody" continuano il
massacro, il pubblico canta sostenuto dai convolgenti
compagni di viaggio di Lawless, e un vero spettacolo
lo offre Stet Howland dietro le pelli, facendo roteare
in aria piu' volte le gigantesche bacchette, con
le quali sul finale buca le pelli modello "ti
infilzo senza pieta'".
Lo show termina con "The real me" e "Blind
in Texas", purtroppo non c'e' ombra di sangue
e carne sul pubblico, ma siamo tutti consapevoli
di aver assistito ad una prestazione positiva e
carica di energia, la giusta premessa per il terremoto
che sta per arrivare.
TWISTED
SISTER
Credo che gran parte della gente fosse accorsa per
loro oltre che per lo zio Alice, e la posizione
in scaletta e' quantomeno discutibile e penalizzante,
ma nessun problema...a smentire gli organizzatori
ci penseranno i..."Sick Motherfucker"...
Esplosivi, irriverenti, dei veri animali da palco
condotti da una bestia feroce, quel Dee Snider su
cui nutrivo qualche dubbio non avendolo mai visto
live (se non sbaglio erano 15 anni che non venivano
in Italia") e che mi ha smentito con un calcio
in culo clamoroso... la sorella del rock ha spazzato
via tutto e tutti con i pezzi e la carica che li
ha resi famosi, il buon Dee e' riuscito a far alzare
anche chi era sdraiato sulla collinetta mimandolo
e deridendolo di fronte ai fans osannanti, ha mandato
a fare in culo e si e' fatto mandare in culo, si
e' permesso di autoproclamare la propria band come
Headliner per l'edizione 2005 (...magari...) ed
ha fatto cantare tutti i presenti con grandi classici
come "I wanna rock", "I am"
e "We're not gonna take it", oltre ad
altre chicche tratte dalla loro discografia piu'
heavy tra cui la stupenda "Burn in Hell".
I T.S. sembrano non
aver mai smesso di calcare i palchi insieme, il
feeling era incredibile ed anche la resa sonora
e' stata quasi perfetta... in definitiva i veri
mattatori del festival, che non avrebbero sfigurato
nemmeno come gruppo principale, e che forse meritavano
uno "slittamento" verso l'alto, pur avendo
di fronte bands di tutto rispetto.
Spero presto in un loro concerto, magari su di un
grande palco un po' piu' scenografico e con una
set-list piu' lunga dei 45 minuti che gli sono stati
concessi.
Lunga vita ai Twisted Sister!
MOTORHEAD
I pazzi non vanno mai in giro da soli...e dopo i
T.S. eccone arrivare degli altri.
"We are Motorhead, and we're gonna kick your
ass"... mai ritornello fu piu' adatto: ma che
volumi hanno utilizzato Lemmy e la sua banda? E
per di piu' dopo la prima gia' citata "We are
Motorhead" e "No Class", i nostri
hanno avuto anche il coraggio di chiedere al pubblico
se si sentiva abbastanza e con un gesto eloquente
sembra abbiano fatto dare un ulteriore giro alla
rotellina del Master.
Fatto sta che il concerto si e' trasformato in un
massacro sonoro, gradito dai piu' (soprattutto da
un pazzo che ha gettato vestiti e occhiali in una
pozza e ci e' pure saltato dentro :-I), osannanti
alle note dei classici "Overkill", "Over
the top" e della ormai storica cover dei Pistols
"God save the Queen" (...e possibilmente
anche i nostri timpani).
Con "Killed by
death" si apre il siparietto piu' divertente
del Gods: si intravede Mark Mendoza a lato del palco,
e "cavallo pazzo" Dee Snider
fa irruzione on stage, si appropria del microfono
del buon Phil Campbell e duetta con Lemmy... che
scena memorabile e che ulteriore scarica di adrenalina
per i presenti... due vere leggende che si divertono
e che fanno divertire.
Dopo il giusto e commosso saluto a Joey
e D.D. Ramone, e' il turno del
martello Mikky Dee di mettersi in mostra (sara'
una malattia dei Dee?!?) con un assolo spettacolare
che inframezza la potente "Sacrifice",
assolo che mette in evidenza quanto il biondo batterista
sia uno dei migliori sulla scena al momento, ascoltare
l'ultimo Helloween per credere!
Il vero sacrificio si compie con l'inno "Ace
of Spades", e i Motorhead salutano e se ne
vanno a testa alta, come sempre, dando l' impressione
che un gruppo cosi' lo si possa ancora trovare sul
palco fra 10/20 anni.
TESTAMENT
Ritorna ad incupirsi l' atmosfera del festival,
anche perche' il sole cocente inizia a calare, mentre
sul retro palco sale un telo grigio con logo bianco
in perfetto stile Bay Area anni Ottanta.
I Testament devono sostenere la responsabilita'
di venire dopo delle autentiche leggende e di fare
da apripista per un' altra, e devo ammettere che
ci riescono nel migliori dei modi, anche perche'
la formazione che accompagna Chuck "orso"
Billy e' delle piu'competitive che l'indiano abbia
mai avuto: Paul Bostaph dietro le pelli, Steve DiGiorgio
al basso e Metal Mike Chlasciak ad affiancare il
solito Eric Petersen.
Si parte con i pezzi piu' nuovi, ma l'atmosfera
si scalda solo con l'esecuzione di "Practice
what you preace", "Burnt Offerings"
e "Into the Pit", dei cavalli di battaglia
intramontabili.
Il sound e' ovviamente potente e compatto, grazie
anche alla classe dei musicisti che stanno calcando
il palco, anche se a mio avviso ai Testament manca
quel tocco nelle parti soliste che dava il buon
Scolnick, tocco che e' mancato nell' esecuzione
della melodica e in un certo senso hard-rockeggiante
"Electric Crown", tratta dal controverso
"The Ritual".
Lo show continua nel
migliore dei modi, vengono saltate molte chicche
presenti su "Souls of Black", forse per
la solita pecca solista, ma viene preferita una
scaletta incentrata sulla produzione piu' veloce
e pesante della band.
L'imbarazzo sopraggiunge solo sul finale, quando
una riduzione dell' amplificazione, dovuto allo
sfuoramento dei tempi, divenuta poi totale, costringe
i Thrash-Gods a finire il concerto con la sola back-line,
creando un leggero scontendo nel pubblico che prima
fischia e poi applaude i bravi Testament, "invitati"
ad uscire nel piu' brusco dei modi ma comunque apprezzati
e incitati.
Voglio mettere una nota di apprezzamento per il
pubblico, il quale ha assistito con lo stesso coinvolgimento
e passione la band sopracitata, se pur in un contesto
forse inappropriato.
ALICE
COOPER
Finalmente si giunge alla ciliegina sopra la torta;
mi aspetto un po' di scenografia e qualche luce
in piu', ma l' unica cosa ad evidenziare l'headliner
e' un palco leggermente piu' profondo ed un retro
palco con impressi gli occhi dello Zio che scrutano
l'arena.
Un boato accompagna l'uscita di uno dei personaggi
piu' coinvolgenti e carismatici dell' intera scena
rock, che ha influenzato almeno due o tre generazioni
di musicisti e che ha creato quello Shock Rock tanto
in voga ultimamente... ladies & gentlemen: Alice
Cooper.
"No more mr. Niceguy", "Billion dollar
Babies" e "School's out" scandiscono
i vari atti di quello che si presenta piu' come
uno spettacolo teatrale che non come un concerto.
Alice viene accompagnato dai figli che mettono in
scena una specie di commedia tragi-comica, mentre
lui imperterrito dirige un band composta da buoni
musicisti, tra cui spicca il batterista italo-americano,
autore di una buona scena e di un assolo di circa
15 minuti, a mio parere pero' non competitivo con
quello offerto poco prima dal tozzo Mikky Dee.
Lo show si basa per
la maggior parte sul repertorio piu' vecchio di
Alice, quasi a dimostrare che il vero Cooper e'
quello dei Seventies e non quello del rilancio con
splendidi album come "Trash" e "Hey
Stoopid!".
Trovano spazio cmq. anche brani tratti dagli ultimi
lavori come "What do you want from me?"
o "Brutal Planet" ed ovviamente la acclamata
e cantatissima "Poison", vero inno hard-rock
per i nipoti piu' "giovani" dello zio
(ormai neanche troppo giovani!).
E cosi', tra palloni rossi blu e bianchi, fioretti
e cilindri, si conclude in bellezza anche questo
Gods of Metal 2004 che, almeno nella seconda giornata,
ha soddisfatto i presenti e fatto divertire gli
amanti di ogni genere.
Concludo con una proposta:
cosa ne direste di un G.O.M. 2005 TWISTED SISTER
e MOTLEY CRUE come headliners? ...nell'attesa che
qualcuno esaudisca le mie "preghiere",
FUCK YOU SICK MOTHERFUCKERS!!!
Paolo Pirola
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by Slam! Production® 2001/2007 ----
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