Old concerts: 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15

Yo Yo's - DannyYo Yo's - RichYo Yo's - TomPlan A

DOWNLOAD VIDEO
Sunshine Girl - 5.3 Mb
Live @ 12 Bar, Londra
 
THE YOYOS
+ PLAN A + GRIT
12 Bar, Londra – 13 Novembre 2005

“Grazie a tutti quelli che sono venuti a vederci barcollare ubriachi lungo la discografia degli Yo-Yo’s…”, recita il sito ufficiale della band dopo lo show acustico del 13 novembre. Prendiamo dunque questo gig per quello che e’, un allegro party per amanti del rock’n’roll e nondimeno di birra’n’JD, e con una sigaretta in una mano e un bicchiere nell’altro partiamo col resoconto della serata al 12Bar.

Il locale e’ pieno d’atmosfera ma un po’ piccolo per un’armata di punk ubriachi ed eccitati (che apparentemente includono Lars dei Rancid). Non che incida piu’ di tanto sul termometro di godimento dell’evento, uno di quelli per veri rocker, eletti dell’underground londinese, una di quelle serate da raccontare a tuo figlio con un orgoglioso “io c’ero” regalandogli la sua prima chitarra.

Aprono i Plan A dell’ex Wildhearts Jef Streatfield, una di quelle band punk nell’anima, che sfornano una manciata di pezzi di tanto in tanto per tenere buoni i loro fedelissimi fans e se ne sbattono di mainstream, contratti e music business. Un applauso per loro, accompagnando “Draw the line”, un’apertura da fuochi d’artificio! Cantiamo e saltiamo ancora a “Short walk to the station”, “Moving along”, “Thicker skin”, fino all’ottima “She said” che che ha un’ “edge” tutta speciale in versione acustica. “Circles” ci porta all’immancabile anthem del gruppo, “Hey Ho”, e ora il 12 Bar e’ davvero caldo, una massa sudata e rumorosa in movimento, mentre sulle note di “What I want” i Plan A ci salutano... troppo presto, aggiungerei.

E’ il turno dei Grit, una delle band di cui si parla nell’underground londinese, e gruppo “resident” del locale, indi la scelta di proporli nel mezzo anziche’ in apertura. A mio parere, quello che dovrebbe essere un vantaggio si trasforma in un’ostile montagna da scalare per i giovani rockers: la loro piacevole ma qualitativamente acerba proposta rimane strozzata tra due veterani di scuola Wildhearts come Streatfield e McCormack. Il pubblico si e’ appena scaldato con i Plan A e attende con ansia gli Yo-Yo’s, e l’esibizione in verita’ anche troppo lunga dei Grit diventa il momento ideale per andare al bar. Sottoporre un repertorio non familiare all’attenzione di un pubblico piu’ fresco e meno ubriaco gli avrebbe probabilmente guadagnato qualche fan in piu’. Mi ripropongo di dargli un’altra occasione, anche perche’ l’acustico e’ sempre un discorso a parte. E finalmente arriva l’ora degli headliners.

Tom Spencer e Rich Jones ai lati, Danny McCormack al centro, Craig Herdman nelle retrovie: gli Yo-Yo’s scendono in campo, la formazione e’ la stessa del supporto ai Three Colours Red, il match un “amichevole”, che sara’ in parte utilizzato per sperimentare Craig in un ruolo a lui meno familiare, quello vocale, ora che la sua dimestichezza con le bacchette ha raggiunto i livelli desiderati. Ma soprattutto, come ogni amichevole che si rispetti, la squadra e’ qui per divertirsi e far divertire. E allora non puo’ che partire in attacco! “Out of my mind”, una delle favorite del pubblico, apre le danze trascinando immediatamente ogni singolo presente, ubriaco o sobrio, punker o rocker.

Ottima la scelta del b-side “Stockolm Sick Blues” in acustico, poi e’ ora del nuovo EP con “Omega male” e l’accattivante title track “Given up giving up”. Si torna ai classici, seppure vestiti di nuovo: “Head over Heels”, un tempo affidata a Neil per via dei toni alti, e’ ora patrocinio degli ultimi arrivati Rich e Craig che gli rendono giustizia, conquistando definitivamente lo zoccolo duro. E anche il nuovo prodotto degli Yo-Yo’s conquista i fedelissimi con questa versione da brividi di “Tattoos don’t last Forever”. Finalmente arriva il momento dei singoli, tutti in un colpo (meno “Rumbled”, forse non adatto all’acustico): uno dietro l’altro, Danny e compagni ci snocciolano “Sunshine girl”, “Time of your life”, “Home from home”. Dirvi la migliore, il punto piu’ caldo in questo quarto d’ora? Impossibile, come chiedere a un bambino se e’ meglio la cioccolata o le patatine fritte.

Personalmente, sono tra l’orgasmo multiplo e l’infarto. Il colpo finale al mio cuore straziato arriva con la chiusura: la straballabile e straballata “Keepin’on” (con introduzione country) seguita dalla ramonesiana “I wanna be your boyfriend”, e siccome non vogliamo lasciarli andare ci aggiungono pure un bel tradizionale “C’mon everybody”. Felici e ubriachi gli Yo-Yo’s salutano e ringraziano… Una performance sorprendente questo rientro, spontanea e giocosa quanto basta da offrirci uno show acustico vibrante, virtuosismi e compattezza di suoni e vocalizzi a dimostrazione della lunga e svariata esperienza dei protagonisti, set tirato da tenerci col fiato sospeso fino all’ultima nota.
Materiale di prim’ordine per la realizzazione dell’album live in arrivo, dalla registrazione dello show.

Si spengono i riflettori sul palco del 12Bar, per un buio che durera’ fino all’8 dicembre, data del prossimo gig londinese. Beh, se non decido di andare in trasferta ovviamente...
Cristina Massei/Scraffy Nightmare

Prides Of LionsSeventh keyLegs DiamondJaded heartCasanovaPump

 
UNITED FORCES OF ROCK
30.10.2005 Ludwigsburg Germania • Rockfabrik

Una Germania soprendentemente assolata e dal clima quasi primaverile ci accoglie in questo scorcio di fine ottobre. Il Rockfabrik di Ludwigsburg delude un po’ le aspettative quanto a capienza. L’area antistante il palco è alquanto ridotta, ed il locale è strutturato essenzialmente come un disco-pub, con tutta una serie di tavoli ai margini, ed alcune pareti divisorie a delimitare un paio di salette appartate. Per contro l’organizzazione è impeccabile, al punto di crearci un certo imbarazzo quando ci capita di imbatterci in una ragazza tedesca già incrociata in Italia tra i malcapitati del Venice Rock Festival, la passata vigilia di ferragosto…

Ghiotta anteprima alle 13:00 con alcune listening sessions condotte nel backstage da Mario della Frontiers, che danno modo ai rappresentanti delle varie testate giornalistiche di poter ascoltare in anteprima alcuni brani dei prossimi albums di Slamer e Toto. Qui mi preme esortarvi affinché cominciate a mettere da parte i soldini per l’irrinunciabile acquisto del cd del grande Mike Slamer, la cui uscita è prevista a marzo 2006, e che si preannuncia semplicemente strepitoso!… Alle 14:40, con puntualità teutonica, sale sul palco Oliver Hartmann che propone, nei circa quaranta minuti a sua disposizione, molti dei brani contenuti nell’ottimo “Out in the cold”. La prova del vocalist/chitarrista tedesco è senz’altro positiva in virtù della qualità dei pezzi in scaletta, ma probabilmente penalizzato dall’avere un repertorio di canzoni d’atmosfera forse poco adatte alla dimensione live, e da una band di supporto non troppo incisiva, alla fin fine Oliver non riesce a lasciare più di tanto il segno…

Discorso ben diverso per i Pump, che con due dischi all’attivo ma poco noti oltre i confini teutonici, sfoderano una performance trascinante, che riesce a scuotere i presenti ed a far decollare il festival... Classica attitudine da hair band, gran ritmo e pezzi molto incisivi. Il cantante tiene il palco alla Ted Poley con buona disinvoltura, ma è tutta la band ad infiammare il pubblico con una esibizione molto dinamica… Nel frattempo la sala si va riempiendo, ed anche se mi è difficile poter fare una stima precisa dei presenti, per via della strutturazione del locale articolata in più ambienti, sicuramente il Rockfabrik appare gremito.

Con i Blanc Faces, terzo gruppo in scaletta, si torna invece a sonorità più morbide, tra AOR e Westcoast. Nonostante la band sia penalizzata da un’amplificazione non perfettamente a punto, colpisce la carica positiva degli attempati fratelli Lablanc sul palco, che sprizzano un entusiasmo da ragazzini e dispensano ringraziamenti a non finire, probabilmente perché consapevoli di aver sfornato un sorprendente debut album, che sicuramente è candidato nel suo genere a contendersi la palma di miglior release dell’anno, e che ha indubbiamente assicurato all’ esordiente band una solida reputazione, ottimo viatico anche per le produzioni a venire. Robbie sfodera un’ottima performance vocale, ma tutta la band, a dispetto della non giovanissima età, mostra di divertirsi un mondo a suonare gli splendidi pezzi del proprio repertorio, regalando al pubblico un’ oretta di piacevoli canzoni, qualità del suono a parte…

Dopo l’ennesimo cambio di strumentazione, ecco sul palco l’autentico “cammeo” della serata, ossia i Casanova nella formazione originaria, come aveva avuto a sottolinearmi con orgoglio Michael Voss in un breve scambio di battute al mattino. E se è contento lui, ancor più lo siamo noi, perché questo garantisce una scaletta quasi integralmente imperniata sulla produzione discografica dei primi ottimi due albums, con giusto un paio di divagazioni sulla produzione più recente, francamente non all’altezza…. I tedeschi offrono un valido spettacolo e mostrano di reggere ancora bene il palco. Solo il chitarrista Stephan Neumeyer, apparso alquanto deperito, sembra un po’ perso nei propri pensieri e poco partecipe alla festa inscenata dai bandmates. A fine concerto resta l’interrogativo se si sia trattato di un evento occasionale, oppure se questa reunion sia il prologo del rilancio per una band la cui carriera versa da anni in una fase decisamente stagnante…

Per il sottoscritto (e non solo, a giudicare dagli umori che si percepiscono in sala….) l’eccitazione cresce nell’attesa del successivo gruppo in scaletta. Si tratta dei grandissimi Jaded Heart: un nome una garanzia… E’ un appuntamento speciale per tutta la band, che per la prima volta propone dal vivo il recentissimo album Helluva Time, e lo è in particolare per il nuovo vocalist Johan Fahlberg, chiamato nell’ immane compito di sostituire nei cuori dei fans il mitico Michael Bormann. Il battesimo di fuoco di Johan va alla grande, con l’espressivo frontman che mostra enorme vitalità muovendosi con disinvoltura sul palco ed incitando il pubblico a sostenere il nuovo corso intrapreso dai Jaded Heart. Ma non ce n’ è bisogno, perché Helluva Time è già di per sé un eccellente biglietto da visita, per una band che ha comunque alle spalle una formidabile produzione discografica. Comprensibilmente, il grosso della scaletta si basa sull’ultima fatica in studio dei tedeschi, ivi compresa l’acclamatissima cover di “Paid my dues” della popstar Anastacia, ma non mancano alcune escursioni nei precedenti lavori della band, dal debut “Inside out” fino al superbo “Trust”. Da segnalare l’assenza del chitarrista titolare Barish Kepic per via di una tendinite. Il rimpiazzo è il giovane chitarrista francese Frederic Leclercq, già componente degli Heavenly, che si mostra tanto bravo sul palco quanto simpatico off-stage, confidandoci la sua ammirazione per Rocco Siffredi (!!!) e mostrando una “profonda” conoscenza della musica italiana con un inatteso accenno a “Piange il telefono”… Sorprendente per un chitarrista ventiseienne di dichiarata matrice thrash!!! Due metri più in là Johan Fahlberg sprizza felicità da ogni poro, raccogliendo i meritati complimenti per la performance appena offerta…

Il tempo di un breve scambio di battute con l’amico Michael Muller, e sul palco salgono i redivivi Legs Diamond… La band risulta sicuramente più coinvolgente onstage che sull’ultimo album da studio “Diamonds are forever” pubblicato sotto l’egida di AORHeaven, e rivelatosi straordinariamente efficace la sera prima nel… conciliarci il sonno!!! L’hard rock proposto è sicuramente molto semplice, e tutto sommato gradevole, eccezion fatta per una manciata di brani davvero pallosi… Certo è che la band dovrà cercare di evolversi un attimino in fase compositiva, per dare un senso e soprattutto una continuità a questa sua reunion. Sopra le righe la performance del cantante John Levesque, mentre gli altri componenti del gruppo fanno la loro parte senza infamia e senza lode… Ma ahimè, se nel line-up del festival avessero inserito un “Rox” al posto di quel “Legs”, vi assicuro che sarebbe stata tutta un’ altra cosa…

Ed è comunque tutt’altra musica quando salgono sul palco i Seventh Key. L’ ossatura della band è composta da tre autentici fuoriclasse, che rispondono al nome dell’ immenso Mike Slamer, dall’ottimo Terry Brock e dal leggendario Billy Greer. Ed il potenziale artistico della band è talmente smisurato, che i Seventh Key possono permettersi il lusso di relegare ai backing vocals un’ ugola d’ oro come quella di Brock. In effetti il ruolo di lead vocalist è assolto sorprendentemente bene dal bassista Billy Greer, che a dispetto dell’età mantiene una fermezza vocale invidiabile. C’ è spazio per circa un’ora di competenti espressioni musicali, e la band non disdegna una sortita nel repertorio dei grandiosi Steelhouse Lane di Slamer, ed una rievocazione della lontana militanza di Billy Greer e Mike Slamer negli Streets.

La successiva esibizione di John Wetton e Geoff Downes ha rappresentato per molti, compreso il sottoscritto, l’“ora della ricreazione”, come testimoniato dall’ incredibile affollamento nelle toilettes e nei due punti di ristoro, con relative salette per la consumazione. Non sono pertanto in grado di descrivere compiutamente il concerto degli ex Asia, anche se ho fatto a tempo a godermi il finale ovviamente affidato alla immarcescibile “Heat of the moment”.

Sono oramai le 0:40 quando salgono sul palco gli headliners Pride of Lions, la cui esibizione era programmata per le 23:00… Accompagnata da un manipolo di eccellenti musicisti, tra cui spicca il chitarrista dei Mecca Mike Aquino, la premiata ditta Peterik/Hitchcock offre una performance davvero memorabile. Grazie anche al supporto di una sezione ritmica potente e precisa (nonché alquanto buffa nelle movenze del bassista), i Pride of Lions onorano il proprio nome sfoderando davvero una tempra da leoni: Jim Peterik, a dispetto dell’età, dà spettacolo dimenandosi sul palco, e ad un certo punto arriva addirittura ad emulare Jimi Hendrix portandosi la chitarra dietro la nuca. Sue anche le parti di lead vocalist e tastierista su diversi brani. Il giovane Toby Hitchcock è più composto e statico sul palco rispetto al suo “socio anziano”, ma conferma il suo strepitoso talento vocale anche a dispetto delle molte sigarette che, prima del concerto, mi ha confidato fumare sin dall’ età di 19 anni e che, a suo dire, non influiscono minimamente sulle sue corde vocali…

Bah, fatto sta che sembra avere due compressori d’aria al posto dei polmoni!!! Come nel caso dei Seventh Key, la band può attingere a piene mani da un ampio campionario di splendide canzoni facenti parte del proprio repertorio. Ovviamente non possono mancare due illustri citazioni ai Survivor, attraverso le esaltanti “Burning Heart” e”Eye of the tiger”, splendidamente interpretate da tutta la band. Il bis offre altri due pezzi, e si conclude con una trascinante versione di “Heavy metal”, soundtrack dell’omonimo cult movie. La maratona musicale, durata quasi dodici ore, si conclude alle 2:15, e ci vede raggiungere l’albergo con le orecchie a pezzi ma con una forte sensazione di appagamento, per la quale va dato pubblicamente atto con un sentito ringraziamento, oltre che agli artisti, alle gentilissime Birgitt e Sandra, nonchè all’ intero staff organizzativo di questo memorabile evento. Il mio personale ringraziamento va inoltre all’ amico Luigi D’ Agostino, che ha condiviso con me questa trasferta, curando brillantemente la parte fotografica del reportage.
Alessandro Lilli

 
THE YOYOS
Islington Academy, London – 29 Settembre 2005

Londra. Piove ovviamente, quella pioggia sottile e continua che sembra essere l’unica costante immutabile della capitale inglese... Sigh! Tutto quello che c’era di rock’n’roll in questa citta’ e’ morto o quantomeno in coma, dal Marquee al Wag, dall’Hyppodrome al SohoLounge-fu-Gossips, dal Camden Lock ai Wildhearts, reduci dall’ennesimo concerto d’addio. Scorro annoiata Classic Rock, amaramente constatando che non ho perso niente nei miei sei mesi ai tropici, finche’ gli occhi balzano fuori dalle orbite e il cuore si arrampica su per la gola... Sezione gigs, 3 Colours Red + YOYO'S????!!?????

Un paio di giorni per trovare conferma e biglietti, ma ovviamente, trattandosi di Danny, l’unica certezza la hai quando la crew piazza il secchiello sul palco. Sono felice, estatica, elettrizzata ma con cautela. Si, lo avevo scelto come concerto che avrei voluto vedere quest’anno nei miei “pensierini per il 2005” su Slam!, ma un po’ come Faustobaldo avrebbe messo i Queen completi di Freddie Mercury: sognare non costa nulla. Un sogno, null’altro, specie nell’anno in cui Ginger molla, il Marquee ha un uomo in frac sulla porta, il Decadence e’ stato sfrattato, Shuff e’ papa’, Reverend Eddi insegna e un’icona delle notti rock londinesi ci ha tristemente lasciato. E’ la fine di un’era. Ma e’ quando il gioco si fa duro che i duri iniziano, o tornano, a ballare.

Venue: Islington Academy, ex Marquee, nel bel mezzo di un centro commerciale, ultimo acquisto del network musicale Carling. Non molto rock’n’roll, ma tutto sommato un buon locale. I 3 Colours Red di Chris McCormack suonano stasera il loro ultimo gig prima del definitivo scioglimento, e danno occasione al fratellino Danny di ripresentarsi al suo pubblico con uno slot di supporto. Poche facce note, molti sono qui per gli YoYos, alcuni ventenni che li hanno scoperti dai fratelli maggiori, meglio tardi che mai.

Il merchandise stand ha due magliette e un nuovo EP, dunque non e’ un fuoco di paglia. Due giovani bands aprono le danze, ma non riesco a prestare attenzione, sono in una specie di coma; mentre la seconda picchia duro, nella mia mente risuona “Home from home”, cerco di convincermi che e’ davvero arrivato IL Giorno, quello che ho atteso per gli ultimi 5 anni. Il cantante chiede se siamo pronti per gli YoYos, e’ il primo brivido, il cuore per un attimo cambia ritmo, occhi lucidi. E’ tutto vero.

La crew prepara il palco, ma niente secchiello. Poco prima delle nove si spengono le luci: buio, finche’ un radioso Danny fa il suo ingresso... Ho perso l’abitudine a descrivere momenti simili, da troppo tempo non succedeva. Sorridente, in salute, niente tic, felice. Felice di essere li, di trovarci ancora tutti intorno a gridare estasiati il suo nome. Fa un po’ quindicenne con l’amico immaginario, ma dopo anni passati ad ascoltare storie su un uomo che cade, prova a rialzarsi e cade di nuovo, vedermelo davanti in queste condizioni mi riempie davvero di gioia, e speranza anche. Un pensiero va a Geoff (Starr, RIP), amico di vecchia data con Danny, che avesse avuto un grammo di forza d’animo in piu’ ora sarebbe certamente qui. Anzi, sono sicura, e’ qui.

C’e’ ancora Tom Spencer, mentre Neil Philips ha lasciato spazio a Rich Jones, e non so chi sia il sostituto di Bladder, attualmente negli USA con i KMFDM. Questa e’ la prima volta che vedo gli YoYos live, ma avevo visto un video-bootleg dal tour americano con i Backyard Babies, e ragazzi, questo gig non solo supera ma surclassa le mie piu’ rosee aspettative!
Si apre con “1000 Miles”, seguita da “Home from home”, e le lacrime iniziano a sgorgare copiose intorno a un sorriso ebete... “Sunshine girl”, mentre continuo a piangere di gioia, e si parte con la title-track dal nuovo EP, “Given up giving up”, ottima.

L’intero show e’ assolutamente impeccabile, alta qualita’, colorato di rosso vivo da una passione che difficilmente trovi nei giovani rockers di oggi, o anche in alcuni di quelli di ieri che si trascinano annoiati per alzare l’ultimo dollaro. Questi ragazzi sono chiaramente felici di essere qui per il semplice fatto di esserci. Hanno fatto tutto in sordina, un’etichetta indipendente (Undergroove) e uno slot di supporto, una pagina su MySpace (www.myspace.com/theyoyosofficial), un sito (www.theyoyos.net) contenente l’essenziale. E c’e’ gia’ una data da headliners, a Londra l’8 dicembre, con gli Antiproduct di supporto, ancora non annunciata da nessuna parte malgrado i biglietti siano gia’ in vendita (www.wayahead.com).

Si continua con altri pezzi dall’EP e vecchi cavalli da battaglia, da “Head over heels” a “Rumble(d)”, senza perdere un colpo. E senza secchiello. Danny parla col pubblico, sorride dall’inizio alla fine, fresco, energico. Tom sembra abbia anche lui passato gli ultimi anni aspettando questo giorno, giudicando dall’entusiasmo e qualita’ della sua performance, e Rich Jones (rubato agli Amen) sembra perfettamente inserito.

Dopo una mezz’ora abbondante salutano, il pubblico non e’ d’accordo, e ci regalano “Keepin’on”: la folla dell’Academy balla, canta, festeggia la resurrezione. Forse e’ la fine di un’era, ma certo non la fine del rock’n’roll. Non stasera. Peccato abbiano saltato “Time of your life”, sarebbe stata perfetta per questa indimenticabile notte.
Mentre tutti si preparano a dare l’addio a Chris McCormack, sparisco tra la folla e mi dirigo all’uscita. Secondo “The Rocknroll commandments” (dal nuovo EP), non si lascia un party finche’ e’ “truly over”... Ma per me lo e’. Non voglio addii, non stasera, voglio tornare a casa con questo sorriso scemo e questo sapore in bocca. Mi infilo nella metro, “Uppers and downers” sul mio MP3 Player, uno sguardo alle foto, leggo avidamente la sleeve del cd, stringo la nuova t-shirt. E continuo a sorridere.
Cristina Massei

 
THE HELLACOPTERS
Where the action is 2005 – Universitetet, Stockholm - 27 agosto 2005

Quando ti capita che lo stesso omino bagarineggiante da cui hai appena acquistato i biglietti ti si rivolga dicendoti “Ehi, guarda che la coda per entrare comincia laggiù”, allora capisci davvero di essere stato catapultato nella civiltà. Peccato che questo implichi anche il doversi sorbire più di un’ora e mezza di coda per entrare nel parco dell’università (l’affluenza è stata stimata in circa 6.000 persone– unico dato carpito dalla stampa svedese non traduzione-munita, ça va sans dire), all’interno del quale è stato allestito il palco per questo “Where the action is 2005” e, tutto sommato, rimpiangi un po’ le care vecchie scene della tradizione italiana pre-concerto. Pazienza, ci piazziamo diligentemente in coda e aspettiamo. Per fortuna che non piove.

Guardandomi intorno non posso fare a meno di notare quanto sia bassa l’età media del pubblico e di constatare, non senza una punta di tristezza, quanto l’Italia sia un paese fondamentalmente “vecchio” da questo punto di vista.
Cominciano a suonare quando ancora siamo in coda, non riesco a capire niente, stando all’ordine indicato sui manifesti dovrebbero essere i Moneybrother.
Conquisto la posizione in seconda fila, attorniata da un manipolo di ragazzine osannanti all’unisono a tale Håkan Hellström. Questo non mi lascia presagire nulla di buono… età massima 16 anni a dir molto, scritte in faccia, magliette e urla come per le migliori boy bands del pianeta, in più, la ciliegina sulla torta è il palco ornato da una manciata di grossi secchi pieni di fiori in stile Festival di Sanremo. Aiuto! E se adesso esce il Pippo Baudo svedese e comincia a presentare gli artisti io che faccio? Come mi suicido? Ad ogni modo, dopo la trepidante attesa appare l’inarrivabile Håkan, accompagnato da 7 musicisti, due chitarre, basso, tastiere, batteria, sax e bonghi, tanto per dare un tocco di esotico, per ben un’ora e mezzo di insopportabile nenia a metà tra il folk e il pop. Per evidenti motivi di comprensione della lingua, non è possibile dare un giudizio sulla bontà delle liriche. Musicalmente la mia resistenza è stata messa a dura prova, ma, a giudicare dall’eccitazione generale, per i fans deve essere è stato un gran concerto. Ci è stato detto che, nonostante tutto, i testi sono validi e comunicativi e che il suo è un fare musica per passione e non solo per il lurido soldo (parola di Snoopy dei Gemini5).

Va bè, bando alle ciance, dopo il lancio dell’ultimo mazzo di fiori e lo sfollamento di circa la metà delle ragazzine in preda al delirio mi aggancio saldamente alla transenna della prima fila in attesa di Nicke Royale e dei suoi Hellacopters. Dopo la grande prova di Padova dello scorso giugno non vedo l’ora di rivederli in azione.
Per chi ha assistito al concerto nostrano, niente paura: la setlist è stata sostanzialmente identica. Partenza dalle origini con (Gotta Get Some Action) Now!, giusto per entrare nel clima. Poi il repertorio spazia fondamentalmente dai vecchi successi alle ultime hits di Rock & Roll Is Dead. Nicke, in tenuta da guerra con gilet e cappellino con la cartucciera ad ornamento della vita, snocciola una dietro l’altra Everything’s On Tv, le cariche Toys And Flavors e Bring It On Home, l’eccezionale Carry Me Home. Si passa dagli episodi più rockeggianti di Before The Fall e I’m In The Band (prossimo singolo in uscita), una sorta di rievocazione dello spirito più profondo del caro vecchio rock’n’roll anni ’70, a quelli più intensi di No Song Unheard, che ogni volta mi mette i brividi. Boato all’unisono da parte del pubblico tutto alla prima nota di piano quando attacca By The Grace Of God.

Veramente grandi, una band che ti lascia a bocca aperta. Pur non esibendosi in mosse o siparietti particolari sul palco, riescono comunque a catturare l’attenzione dello spettatore. Anzi, una volta tanto ci si può concentrare esclusivamente sulla musica senza distrazioni di look & affini. Nicke e Robert continuano a rincorrersi con i loro riff e assoli e ad alternarsi con un’armonia perfetta, la sezione ritmica non si discute, Boba va bè, fa un po’ da soprammobile, ma pazienza. Tanto stile e tanta bravura, sul serio. Tanto è vero che perdo la percezione del tempo, mi sembra che siano passati appena 10 minuti, che abbiano appena iniziato a suonare, quando, a malincuore, constato che è trascorsa un’ora e un quarto abbondante. A pensarci bene, è forse la loro perfezione quasi eccessiva a diventare, paradossalmente, un aspetto negativo. In effetti, manca quella vena grezza, quel che di marcio che te li fa sentire più “veri” in qualche modo… oh, sono sempre nordici, alla fine l’aria del fiordo bisogna che si manifesti.

C’è ancora spazio per una Soulseller e gran finale con la cover di Kick Out The Jams e, per tenere fede al titolo, compaiono sul palco nientepopodimenoche Captain Poon e il bonghista di Håkan Hellström, graditissima compagnia per Kenny, insieme prendono la macchina del tempo e si trasferiscono direttamente nella Giamaica di Bob Marley, abbozzando una danza tribal-strafattona. Ecco, stanno uscendo, già finito, nemmeno un’encore, mentre quell’essere malefico di Håkan Hellström è rientrato due volte, bah! Non c’è proprio giustizia a questo mondo!
Mi piacerebbe fermarmi per lo show degli Ark, ma purtroppo bisogna correre al Boule & Berså a vedere i Nomads… aaahhh… che Dio benedica la Svezia!
Claudia Schiavone

CinderellaRattQuiet RiotFirehouse

 
ROCK NEVER STOPS
Cinderella, Ratt, Quite Riot, Firehouse

San Juan - Puerto Rico 24.08.2005

Volare fino a Puerto Rico per vedere una data del Rock Never Stops tour è da pazzi, ma se la voglia di vedere i Cinderella è tanta, e se si scopre che a San Juan c'è uno dei costruttori di chopper più cool del mondo non è poi sta pazzia.

Il Coliseum Josè M. Agrelot è un edificio nuovo di trinca, ben organizzato e, udite udite, fornito di un' aria condizionata efficientissima. I rockers portoricani sono identici ai nostri, diversi solo nel colore della carnagione e nel fatto che conoscono a memoria ogni singola canzone.
Predominio assoluto per le tshirts di Iron Maiden, Twisted Sisters e Ronnie Jamed Dio.

Aprono i Firehouse, indubbiamente i più dotati dal punto di vista strumentale e vocale. Li avevamo già visti lo scorso anno in South Dakota e confermano la nostra impressione: bravi, simpatici e con un tiro incredibile. In questo tour, purtroppo, lo spazio è solo per gli headliners e nei 40-50 minuti a testa a disposizione per gli altri c'è posto solo per i pezzi più famosi: "Love Is A Dangerous Thing", "Reach For The Sky", "When I Look Into Your Eyes" con i telefoni cellulari (una vera mania a Puerto Rico) a sostituire gli accendini e finalone con "Don't treat me bad".

"Maama we're all craaaaazy now". adrenalinici e furiosi arrivano i Quite Riot, i figli degli Slade, più assatanati che mai. Kevin Dubrow pare essersi seduto su un peperoncino, Frankie Banali malgrado sia di origini italiane si spaccia per ispanico lanciandosi in lunghi dialoghi in lingua spagnola col pubblico. Grandi scuotimenti di teste con "Bang your head" e urla da stadio per "Cum feel the noize". Divertentissimi.

Discorso a parte meritano i Ratt. Non abbiamo mai amato le reunion con un solo membro originale della band e questi Ratt col solo De Martini affiancato dai soliti Jizzy Pearl e Robbie Crane puzzano troppo di artefatto. (Mancava solo Keri Kelli...). Alla fine lo show non è male, i ragazzi ci sanno fare, Warren è sempre Warren e "Round and Round" ci fa cantare tutti. Ma quel retrogusto di minestra riscaldata non se ne va, forse complice il fatto che con questa formazione li avevamo già visti.
Magari se ci fosse stato Corabi. La novità. Chissà.

Cambio di palco, sfondo red, white and blue e arrivano i Cinderella.
Apertura tanto classica quanto moscia: la sequenza "Night songs" "Last time" e "Still climbing" non ci fa saltare sulle sedie anche se ci permette di constatare che i Cinderella godono ancora di buona forma e soprattutto che Tom Keifer, quello su cui avevamo maggiori riserve, conserva la voce come ai bei tempi. Il concerto decolla con "Push push" ma precipita subito dopo con una versione di "Heartbreak station" a dir poco vergognosa.
Keifer, prima donna emaciata e troppo distaccata canta con una tonalità bassissima assolutamente avulso dal resto della band ed il risultato è imbarazzante, roba da dilettanti.

La successiva "Coming Home" riporta il concerto su ottimi livelli e ci da non pochi brividi. Lunga e salutare introduzione blues con Tom Keifer all'armonica e via con "Falling Apart", fa seguito un superfluo assolo di batteria ed il concerto si impenna veramente: le parti di sax di "Shelter me" le suona Keifer in persona, "Nobody's fool" fa cantare tutti e "Gipsy road" spacca davvero il culo.

Calano le luci, la macchia del tempo è in azione: Tom Keifer si siede al pianoforte, Labar e Brittingham paiono due ragazzini e "Don't know what you got (till it's gone)" è proprio lei. Chiude "Shake me" con la band che crolla al suolo gridando "Rock 'n' roooooooll".
Il Rock Never Stop tour è la festa dei "sono stati famosi", un raduno per nostalgici ma noi non riusciamo a resistere e tutti gli anni puntuali ci presentiamo al botteghino. You can't stop rock 'n' roll!!
Matteo"ZioTeo" Pinton & Deddè

---- by Slam! Production® 2001/2007 ----