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Rock’n’Roll Damnation
Jany
James – Decadenza – Hollywood Killerz
– Krys – No Way Out
23 Maggio 2004 Circolo degli Artisti - Roma
Io
odio le recensioni. Specie quelle dei concerti.
Che senso ha raccontare il concerto ad uno che non
c’era, come fai a trasmettergli le sensazioni
che hai provato durante quella serata? Non sei potuto
venire? Fanculo, cazzi tuoi!
Ops, scusate, avevo dimenticato di disinserire il
Deadend-mode che mi rende cattivo, intollerante
e insopportabile, meglio tornare me stesso e cercare
di raccontare a chi non c’era (dato che il
90% degli slammisti non abita a Roma e neanche nei
dintorni) cos’è stato questo Rock’n’Roll
Damnation.
Innanzitutto, è
stata una scommessa: prendere in affitto un locale,
uh, “prestigioso” (magari guardando
le foto vi verrà da chiedervi se una tal
bruttura coi mattoni a vista merita tale aggettivo,
ma purtroppo è così!), portare a Roma
due delle più valide rock’n’roll
band italiane (Jany James e Hollywood
Killerz), affiancarle ad una realtà
consolidata (Decadenza), una band
in crescita (Krys) e degli esordienti
totali o quasi (No Way Out), questi
ultimi indiscussa rivelazione della serata.
Ma andiamo con ordine: saputo che gli Hollywood
Killerz sarebbero arrivati sabato sul tardo
pomeriggio (mentre Jany James &
co. la domenica stessa), la mia verve organizzativa
ha deciso che andava creata una serata memorabile
insieme alle altre bands e gli slammisti romani;
e per fare in modo che fosse davvero memorabile
bisognava farla in un posto che incarnasse la romanità
più pura… avete presente la romanità
pura? Beh, doveva essere PIU’ pura! E quindi,
dopo una travagliata ricerca interiore durata un
intero quarto d’ora, la mia mente raminga
è uscita dal Grande Raccordo Anulare e si
è diretta verso i castelli romani: non a
casa di J. Revolver, ma in quel di Ariccia, posto
rinomato per le sue “fraschette”, delle
specie di osterie tamarrissime dove ci si abbuffa
di porchetta (carne di maiale) e romanella (un vino
dolce e frizzante, immaginate di sottrarre le fragole
al sapore del fragolino… bravi, avete capito!).
E poi? Tutto qui? Nossignori, ci voleva un posto
magari meno caratteristico, dove stare tutti insieme
e sbronzarsi come zio Mick Mars
comanda, e la scelta è caduta sul Rockness,
pub rock-metalleggiante con vista sul lago di Nemi,
poco distante dal posto scelto per la cena-senza-esclusione-di-colpi.
E così, con un
ritardo che neanche gli Intercity nostrani, alle
UNDICI siamo tutti intorno alla tavolata: quasi
trenta fracassoni a gozzovigliare nel nome del rokkeroll,
con gli esponenti della Mötörcity Mafia
costretti a mettere da parte il campanilismo per
ingozzarsi di buon grado con porchetta, salsicce,
mozzarella di bufala e altre cibarie a tema. Finita
la razzia, euforici e già belli carichi ci
dirigiamo al Rockness: tra fiumi di birra, videoclip
anni ’80, racconti ineguagliabili der Jonna,
sighe, fidanzate dei chitarristi dei Krys che accusano
clamorosamente gli effetti dell’alcol, altre
sighe, sganasciamenti dalle risate, foto a tradimento,
tentativi di convincere gli altri presenti a venire
la sera successiva a vedersi il concerto, ancora
sighe, scambi di consigli tecnici sull’uso
della piastra per i capelli, ammirazione degli svariati
cimeli esposti nel pub (su tutti: il calendario
di Padre Pio e la locandina di “Squadra Antitruffa”
con Tomas Milian), facce assenti
e sguardi persi, si fanno le tre e mezza e veniamo
*gentilmente invitati* ad uscire dal locale, “possibilmente
senza far chiasso”. Chi vi scrive è
tornato a casa alle 5 passate, conscio del fatto
che il Rock’n’Roll Damnation doveva
ancora iniziare, ma già lesso come poche
altre volte!
Arriviamo a domenica,
dunque, e apre che io non fossi il solo ad essere
lesso, viste le facce degli altri!!! Comunque, dopo
un pomeriggio non privo di inconvenienti tecnici
e dell’ormai cronico ritardo che aleggia su
tutte le fasi del festival, alle 21.45 mi devo sbrigare
a finire la mia pizza perché i No
Way Out stanno salendo sul palco;
ero parecchio scettico circa questa band, per il
semplice fatto che non si erano mai sentiti in giro
per concerti, quindi sarebbe stato il loro primo
live dopo parecchio tempo… beh, se durante
il soundcheck mi avevano ben impressionato, il loro
live show mi ha conquistato!!! Maxl è un
buon frontman che pecca solo nel presentare i pezzi
in inglese (eddaje, su! Non lo fanno più
neanche gli Hollywood Killerz!),
Jackie Revolver un ottimo chitarrista sia dal punto
di vista tecnico che della scena, e anche la signorina
Malibu all’altra sei corde fa la sua parte;
davvero poderosa poi la sezione ritmica dell’indiavolato
Jamaika e di Fun Boy (che riesce a rompere una corda
del basso sul primo pezzo: B-R-A-V-O!). Le canzoni?
Un incrocio tra i GnR old style
e gli Slash N' Snakepit, catchy
il giusto grazie a dei cori ben fatti da parte dei
succitati Fun Boy e Revolver. Promossi, ragazzi!
Rapido cambio di palco,
e tocca ai Krys:
cosa posso dire di una band che ho già visto
4 volte negli ultimi mesi? Non molto, anche perché
– mea culpa – seguo un po’ distrattamente
lo show, preso ad alcune incombenze organizzative
e dal salutare vari amici & conoscenti che finalmente
cominciano ad arrivare al Circolo Degli Artisti.
A mio avviso, Chris & co. hanno suonato meglio
del solito, ma ci sono ancora luci ed ombre nei
loro pezzi e nell’esecuzione: eppoi continuo
a non mandar giù quelle influenze quasi hard
core sia nel cantato che nella musica, che tra l’altro
temo siano assolutamente involontarie! Piacciono
comunque “Take Me Away” e “Sly
Girl”, e purtroppo il ritardo finora accumulato
costringe i nostri a tagliare quello che considero
il loro pezzo forte, ovvero “I Love You”,
e arrivare subito alla chiusura, affidata a “Run
Rabbit Run” degli Smack.
Il pubblico sembra comunque aver gradito dato che,
complice forse anche il prezzo rasente il free ‘n’
easy, hanno venduto un casino di cd!
Il locale è praticamente
pieno quando i miei mafiosi preferiti salgono sul
palco e danno fuoco alle polveri: la terremotate
“Hittin’ The Star” apre il devastante
Set dei torinesi Hollywood
Killerz, che ci offrono una performance
davvero memorabile! E’ la terza volta che
li vedo: la prima avevano un suono indegno (colpa
di un locale non adibito a musica live), la seconda
(qualche mese fa al Glam Attakk) si erano esibiti
con un batterista di fortuna rimediato IL GIORNO
PRIMA, che naturalmente non poteva dare il tiro
giusto ai pezzi; ma stavolta, come si dice a Roma,
nun ce so’ santi ne’ madonne, e i nostri
offrono quella che probabilmente è stata
la miglior esibizione della serata, dovuta alla
fortunata combinazione di uno stato di grazia dei
nostri, del già menzionato folto pubblico
e di un sound praticamente perfetto! E così
i nostri ci colpiscono senza pietà con le
loro poderose composizioni, tra cui spiccano “Goin’
Down” (il vostro miglior pezzo, ragazuoli!),
“Lovecrash”, “Obsessed”
e “Radio America”; due cover azzeccate,
la tiratissima “Look At You” dei Backyard
Babies (con una gran bella partecipazione
del pubblico) e la conclusiva “Holyday In
The Sun” dei Pistols. Che
dire… bravi, bravi, bravi, se poi vi foste
portati anche semplicemente dei pessimi cd masterizzati,
li avreste venduti tutti – Alex mi informa
che un casino di persone ha chiesto di voi allo
stand del merchandising!
Ed eccoci al turno dei
Decadenza, band apparentemente atipica
dato il cantato in italiano, ma che invece non risulta
affatto fuori contesto; l’opinione di chi
scrive è che l’innesto del Jonna alla
seconda chitarra abbia giovato enormemente alla
band, aggiungendo sia corposità che quel
pizzico di rock’n’roll in più
al loro sound; per il resto, conosco ancora poco
i pezzi della band (ce l’avete un cd da darmi?)
per poter dare un giudizio completo, ma comunque
Killo (voce), Scarfaxxxe (basso), KLN69 (nella doppia
veste di aiuto-fonico e batterista!), LN1 (chitarra)
e il succitato Jonna hanno regalato un ottimo set,
peccato solo che per esigenze di orari hanno tagliato
le previste cover di “Malibu Beach Nightmare”
(Hanoi Rocks) e “Whole Lotta
Rosie” (Ac/Dc)! Una gran
bella band che merita la vostra attenzione, forse
un pelo meno immediata delle altre, ma di sicuro
valore!! Il pubblico, comunque, sembra apprezzare
anche se a causa del ritardo accumulato, quando
i nostri scendono dal palco è mezzanotte
e mezza passata e la gente inizia a scemare…
…ed è veramente
ridicolo il numero di persone che accoglie l’ingresso
sul palco della band di Jany
James, un vero peccato! Ho apprezzato
moltissimo il cd “Rock’n’Roll
bandit” e sapendo anche che i nostri affiancano
ai brani propri delle cover che incontrano il mio
gradimento, è stato un vero peccato che la
performance sia stata pesantemente penalizzata da
una serie pressoché infinita di problemi
tecnici, la maggior parte dei quali al microfono
di Jany, che ne cambia tre prima di riuscire a trovarne
uno funzionante! Comunque, dopo un paio di brani
finalmente la band ingrana ed è una soddisfazione
vedere questi ragazzi suonare comunque col sorriso
in faccia di fronte ad uno sparuto pubblico di pochi-ma-buoni
fedelissimi! Mi ritrovo a cantare a squarciagola
le varie “Outlaw”, “Do You Wanna
Listen”, “Rock’n’Roll Star”,
“Bye Bye Policeman”, mentre Jany salta,
si rigira, corre, scende dal palco, si arrampica
sulla balconata del mixer, scende, si butta per
terra, fa cantare il pubblico, si arrampica sulle
casse… un frontman inesauribile! Tra le cover
proposte, spiccano “Lit Up” dei Buckcherry,
“Last Bandit” dei Dogs D’Amour
e “Sex Party” dei Quireboys,
durante la quale Jany ha invitato tutti a salire
sul palco e un buon numero di persone non ha perso
tempo, come potete vedere dalla foto qui affianco!
In conclusione, una band che ha saputo offrire una
prestazione straconvincente e straprofessionale
nonostante le condizioni avverse e le ripetute sfighe,
e che ha dimostrato di sapersi divertire sul palco
anche di fronte ad un pubblico ridottissimo! Bravi,
e spero di rivedervi ancora svariate volte!
Si chiude così
la prima edizione del Rock’n’Roll Damnation:
molti spunti per essere soddisfatti (il fatto stesso
che la manifestazione ci sia stata, e che il pubblico
presente fosse in numero accettabile) ma anche tante
pecche dovute all’inesperienza… ma che
serviranno all’incommensurabile Alex e al
resto degli organizzatori come esperienza per far
meglio la prossima volta – perché ci
sarà una prossima volta, e anche due, tre…
e mi auguro che in queste future occasioni il pubblico
partecipi di più, perché alla fine
eravamo in pochi a conoscere le band, molta gente
sembrava lì per caso. Comunque, e sono fiero
di dirlo, anche Roma contribuisce alla causa del
rock’n’roll!!!
Ah,
dimenticavo: svariate foto dei concerti, del backstage
e della serata di sabato le trovate qui: www.rnrdamnation.rocks.it
Rob’n’Roll
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GILBY CLARKE + Muppet Suicide
15 Maggio - The Field Carpaneto Piacentino (PC)
Vidi Gilby Clarke nel
’92, quando i Guns’n’Roses
vennero in Italia per la prima volta. Allora mi
fece una stupenda impressione: testa bassa, maglietta
dei Ramones, scarf, chitarra che
sputa giri sporchi. Nient’altro. Vi giuro
che l’ho adorato.
Da allora i Guns sono andati a puttane:
Slash ha fatto 2 album (e 8739 collaborazioni
inutili!), Izzy poco di più
ma tanto nessuno lo sa, Axl non si capisce quale
droga o vecchia zitella l’abbia ridotto così,
mentre Gilby ha sfornato la bellezza di 4 album
più un live.
Ora, dopo ben 12 anni (‘azz… la vecchiaia!)
da quel concerto, ed una breve apparizione al Pistoia
blues con gli Snakepit, Mr. Clarke
si ripresenta in Italia, stavolta come solista.
Per motivi di comodità ho scelto la data
del Field di Piacenza, un comunissimo pub dove in
genere suonano gruppi underground, ma che negli
ultimi tempi ci ha regalato serate niente male con
Hardcore Superstar ed LAGuns.
Il gruppo di supporto sono i Muppet
Suicide, un’ex tribute dei
Gunners, che ora ha iniziato a proporre materiale
proprio. Non è certo questa la sede migliore
per giudicare una band, quindi lasciamo perdere
critiche e impressioni, rimandate ad un concerto
loro. Comunque i ragazzi sono bravi, se sapranno
proporre dei brani all’altezza, ne risentiremo
parlare.
Ed arriva finalmente
il momento del cowboy.
Dividerei il concerto in 2 parti: quella positiva
e quella negativa.
Parte positiva:8
Sicuramente uno show di puro r’n’r vecchio
stampo, sincero, marcio ma ben vestito, suonato
bene ma col trucco sbavato. Nonostante una formazione
striminzita a 3, con Muddy Stardust (LAGuns)
che non aveva certo i numeri per star dietro a Chad
(Faster Pussycat), un batterista
grandioso, il groove era molto buono ed i brani
non hanno risentito più di tanto della mancanza
della 2° chitarra.
Il “sig. Swag” ha il suo solito modo
di fare da rocker di piccoli club: sempre la stessa
camicia american-style anni ‘50 (si accettano
scommesse se è più vecchia lei o i
miei stivali), una voce tra il blues ed il glam
inglese dei ’70, Les Paul basso ed una non-star
attitude che in pochi posseggono. Nell’ora
e mezzo di concerto abbiamo ascoltato brani tratti
da tutti i suoi album solisti, senza privilegiarne
nessuno ma lasciando in disparte “Rubber”.
Comunque c’erano le sempre fantastiche “Tijuana
jail” e “Cure me or kill me” (Pawnshop
guitar), “Wasn’t yesterday great “(Hangover)
in una versione leggermente meno melodica e più
veloce, “Under the gun” (Swag) mi ha
piacevolmente stupito per la resa live. Inoltre
non potevano mancare “Monkey chow” (It’s
five o’clock somewhere-Snakepit)
e la ormai storica “Motorcycle cowboys”
dei suoi vecchi Kill for thrills.
Ascoltare un brano tra una… ehm… volevo
dire bere una birra tra un brano e l’altro
è stato un vero piacere, e la performance
mi ha confermato l’idea che m’ero fatto
su questo musicista.
Parte negativa:4
Se qualcuno vi chiedesse un consiglio su che album
acquistare dei G’n’R cosa gli consigliereste?
Sicuramente non “Spaghetti incident”,
o sbaglio? Ed è per lo stesso motivo che
non riesco a capire perché in una scaletta
ricca di brani stupendi come potrebbe essere quella
di Gilby, debbano essere sacrificati almeno 6 pezzi
per essere sostituiti da altrettante covers!?!
Nei suoi album ha sempre inserito 1 o 2 rifacimenti
(il più gettonato è David
Bowie), e questo mi può andar bene,
ma dal vivo no, soprattutto quando all’attivo
hai così tanti dischi. E poi scusate tanto,
passino ben 2 brani degli Stones
(Dead flowers, Wild horses), ma quando ho sentito
per l’ennesima volta “Knockin’on
heaven’s door” mi sono proprio cascate
le palle. Questa è una canzone che viene
scelta dai gruppi per due motivi: o non sanno suonare,
e quindi i 3 accordi di Mr. Dylan
sono estremamente facili da imparare, o hanno bisogno
di un pezzo che tutti conoscono, così da
accattivarsi l’audience. Ovviamente non è
questo il caso, è solo un modo di ricordare
che lui ha fatto parte dei Guns,
e quando il sig. Rose urlava x
15’ (!!!) “hey, hey, heyheyhey”
lui era lì, ma bastava il precedente medley
eseguito poco prima tra “Dead Flowers”
e “Used to love her”, senza bisogno
d’una caduta di stile di questi livelli.
Beh, d’accordo,
probabilmente niente di così grave, però
mi aspettavo un po’ più di coraggio
e, soprattutto, non mi va giù non aver potuto
ascoltare “Shut up”.
Nel dopo concerto non ho resistito al non dire tutto
questo, e Gilby s’è dimostrato per
l’ennesima volta gentilissimo, disponibile
e perfino un po’ timido, giustificando la
sua scelta “…per paura che non tutti
conoscessero i suoi pezzi, visto che era la prima
volta in Italia”, e mi ha promesso la “mia”
“Shut up” per la prox volta. Vedremo.
Negli ultimi tempi ho visto troppi concerti scarsi,
per non dire pietosi, reunion più o meno
vere che stanno tra il ridicolo ed il penoso, vecchie
rockstar rivelatesi niente di più che vino
divenuto aceto. Gilby Clarke non è un genio
come Pete Townshend, non ha il
carisma di Axl e non entusiasmerà mai le
folle da stadio. Non è sicuramente un nuovo
Hendrix e non ha mai scritto un
brano che passerà alla storia tramite le
mille classifiche che ogni anno le riviste ci propongono.
Ma se vi piace il r’n’r, se ancora vi
entusiasmate con gli Stones, se
due birre sono sempre meglio di una e se avete sempre
un paio di stivali addosso o di fianco al letto,
la prox volta vedete di non mancare.
Parola di Capt. Jany.
Ps: caro Moreno, in
futuro, se ti viene la malaugurata idea di farmi
scrivere qualcosa, sei pregato di farmelo sapere
prima del concerto e non dopo, quando la mia memoria
fatica a ricordarsi cos’ho mangiato 10’
prima. Ma soprattutto evito di ospitare a casa mia
Mauro che mi tiene sveglio fino alle 6 del mattino
scolandosi tutto il mio whiskey mentre mi parla
di… tetti (è scritto giusto purtroppo,
non tette, ma tetti!). Grazie.
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BRIDES OF DESTRUCTION + AMEN + LIVING THINGS
STARLAND BALLROOM, SAYREVILLE - NEW JERSEY - 8 Maggio
2004
Dopo un volo intercontinentale
ed una trentina di miglia nella campagna del N.J.,
giungo a Sayreville, nota nella zona per essere
la citta' natale di un certo J.B.Jovi, in uno STARLAND
BALLROOM gremito di gente ansiosa per i BRIDES,
le cui iniziali vengono piu' volte inneggiate gia'
nel parcheggio.
Al mio ingresso sta gia' suonando una band locale
non in locandina, di cui purtroppo non conosco il
nome, ma che si distingue per una ben riuscita cover
di T.n.T. degli AC/DC, suonata
in compagnia del chitarrista degli AMEN.
La seconda band a salire sul palco sono i LIVING
THINGS da Louiseville, una pseudo
dark band che sembra essere conosciuta dai presenti,
ma che non riscuote gran successo per colpa di una
prestazione scialba e poco elettrica.
Dopo un lunghissimo cambio palco, degno di un head-liner,
inizia il massacro degli AMEN,
band gia' molto nota negli States dedita a sonorita'
e look a-la MARILYN MANSON, con
un impatto sonoro potentissimo ed una presenza sul
palco studiata e rodata, nonostante il bassista
sia palesemente influenzato da un certo Nikki Sixx,
quasi da sembrarne il sosia!
Finalmente giunge il
momento a lungo atteso dai circa 1000 presenti;
cala uno schermo gigante su cui vengono trasmessi
video di Firehouse e Warrant,
ai lati vengono portate le rastrelliere con i bassi
di Nikki e le chitarre di Traci ed una volta allestito
il palco e spente le luci viene diffuso l'intro,
leggermente prolungato, che preannuncia "Shut
the fuck up"... i nostri entrano con un gran
boato del pubblico ed alla prima "pennata"
sul basso mi si spostano i capelli... evidentemente
nel N.J. non ci sono limitazioni di decibel!
Devo ammettere che London parte in sordina, con
una voce poco incisiva, avvolto in una giacca a
vento invernale completata da sciarpa e berretto
(n.b. ci sono circa 30° !?!), ma mi smentisce
con le successive "Natural born killer"
e "Brace yourself", con le quali sembra
essere piu' a suo agio.
Si continua con una potentissima I got a gun, in
cui traspaiono i Motley Crue del
periodo Corabi, e con "Revolution",
in cui il buon Guns mette in evidenza tutta la sua
anima bluesy.
Con l'attesissima "Life"
arriva il turno del buon Scot alla voce, un batterista
molto incisivo e preciso, che si e' dimostrato sempre
all' altezza della situazione, seguita da 10 minuti
di solo di Traci Guns, letteralmente osannato dalla
platea, che ha dato prova di saper essere un chitarrista
virtuoso ed eclettico (ad un certo punto ha usato
un effetto stile "stereo-delay" molto
psichedelico), che ha tratti mi ha ricordato il
compianto Rhandy Roads.
La prima parte del concerto si chiude con 2xdead
e I don't care, suonate ottimamente come le precedenti,
con un Nikki intento a lavarci tra sputi di acqua
e lattine di birra, prima di abbandonare il palco
tra gli applausi.
Al grido di "Brides more stuff" i nostri
rientrano e qui inizia il clou: "One more reason/Never
enough/Reap & Tear" per celebrare gli Hollywood
Vampires e "Shout at the devil/Look that kills/Live
wire" in tributo ai Motley Crue...
praticamente rimango senza parole, la gente canta
a squarciagola tutti i pezzi, Traci e Nikki non
riescono a nascondere il loro entusiasmo lanciando
di tutto dal palco (plettri, asciugamani, corde
strappate, polsini ecc.) e salutando infine tutti
senza pero' dar la possibilita' di un autografo.
Sono ormai le 2.00 am
e il locale si svuota velocemente, sollecitato dai
buttafuori "immensi" e "incorruttibili"
per quanto riguarda l'accesso al backstage.
In definitiva i Brides sono in gran forma, Nikki
e Traci su tutti (ma anche il resto della ciurma
e' assolutamente all' altezza), e mi hanno dato
l' impressione di una band con grandi aspirazioni
e non di una semplice rimpatriata di vecchie star,
impressione che mi fa credere che le voci del loro
"2 di picche" al Flippaut con una scaletta
penalizzante siano fondate.
nota: Nikki e' stato
seguito come un' ombra da un body-guard dall' aria
inferocita, vestito come il sosia di Rob Halford,
che addirittura e' rimasto appoggiato all' amplificatore
del basso per tutto il concerto... manie da rockstar?
Paolo Pirola
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Pix
by Laura Delnevo |
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BACKYARD BABIES + Thee STP
Transilvania Live,
Milano – 11 maggio 2004
Arriviamo in via Paravia
sulla Mafia Mobile. Finestrini abbassati, musica
alta, inesorabilmente mafiosi e sopra le righe.
Il tempo di scendere e la nostra baldanza viene
sconfitta a tavolino: Moreno è già
li che aspetta, e la sua bandana ora portata da
Hell’s Angel (che sia un effetto collaterale
dei Quireboys?) ci fa dimenticare
di aver appena visto l’idolo Johnny
Depp sulla copertina de “L’uomo”.
Decidiamo di annegarci in un bar vicino al Transilvania,
e sia maledetta la Juve ma l’epico bar con
specialità sarde è chiuso, e ci tocca
riparare in un baretto dove gli alcolici sono pericolosamente
annacquati, quasi al livello del cervello di chi
ha concepito “Fukin Kant” o di chi si
ostina a negare l’evidente pelata di Dregen.
Appena entro al Transilvania
vedo il Basetta e un po’ mi commuovo…
sarà per il suo influsso mephistofelico che
in questa recensione fino a ora parlo dei cazzi
miei? Probabile, motivo per cui vi invito a boicottare
Oriental Beat e a picchiare a sangue
lui e i suoi collaboratori. Mezze tacche, rifiuti
urbani, scaccolatori di tastiere.
Ma veniamo al concerto… “c’mon
and let my lips do the talkin’, let my creepers
do the walking…” e mica conto cazzate:
come in tutte le occasioni di festa porto ai piedi
le mie fedeli Creeper. Compratene un paio anche
voi, la vostra vita farà un balzo felino
in avanti. Honest.
Iniziano gli STP
e spaccano. Il pezzo d’apertura è nuovo,
ma come al solito vi invito a prendere con le pinze
le mie scalette… in questi momenti mi rendo
conto di quanto sia labile e sconvolta la mia memoria,
è ancora fresco il trauma infantile di mio
padre che mi lascia vincere, sguardo rassegnato,
a Memory. “Lessons”, “Town Called
Misery”, “Lazy Lisa” fino a concludere
con la storica “(Gimme Gimme) STP” sono
tutti pezzi da novanta, pura classe dinamitarda.
Ottimi, a dir poco. Dio benedica gli STP, la migliore
band italiana, e guarda caso non fanno hair metal.
“Do you remember
Rock n Roll Radio” rifatta dai KISS
(se non sapete di chi è l’originale
uccidetevi, siete esseri spregevoli e inutili) è
la intro che ci introduce a Dregen e soci: attacco
a sorpresa con “Look At You”, personalmente
alzo il pollice alla Fonzie e già che ci
sono alzo il dito medio dell’altra mano a
erigerlo come simbolo di rifiuto di un evidente
handicap. Il volume è così basso che
sento distintamente Moreno recitare l’Ave
Maria, o forse bestemmia, vallo a capire uno che
ascolta i Shy Tiger…
I ‘Babies suonano da Dio, poche palle. Sono
rimasto sbalordito a sentire una tale precisione,
non è la prima volta che li vedo, e complice
anche il confronto con diversi bootleg video e audio,
non posso che darmi a un plauso sfrenato. Però…
zero brividi o vibrazioni, è tutto troppo
preciso, tutto troppo contenuto, ho la cassa giusto
sopra la testa e non avverto nulla… way too
bad… soffro, soffro perché i BYB sono
una delle mie band preferite, e vorrei che ogni
nota mi facesse male, mi graffiasse. Invece mi accarezzano,
e forse ripetono uno spettacolo che ho già
visto… o forse ancora sono uno stronzo ipercritico…
Anyway, come non muovere
il piedino con una splendida accoppiata “Heaven
2.9” e “Powderhead”? “One
Sound” più l’ascolto e più
acquista punti… dal vivo è micidiale,
splendido l’alternarsi alla voce di Dregen
e Nicke, splendido il riff ipnotico. Così
come è splendida “Made Me Madman”,
e da “Making Enemies Is Good” fan la
loro figura “The Clash” e ”Brand
New Hate”. A un certo punto Peder impazzisce
e lancia nel pubblico una bottiglia d’acqua
a mo’ di kamikaze: non invidio il malcapitato
che se l’è presa in faccia. Sarà
stato incazzato che gli han tirato i basettozzi??
Concludono le danze (sempre col pedale della sordina
inserito, sarà colpa del vicino Ospedale
Geriatrico? Anziani di merda, lo dico sempre io…)
“Everybody Ready” – non molto
indovinata come pezzo da bis a mio avviso –
e “Minus Celsius”. Il resto è
della serata è il solito circo del Transilvania,
ma a parte tutto è sempre bello fare 4 piacevoli
chiacchiere coi presenti. Sarà che ho preso
un acido, ma sono arcisicuro di aver persino parlato
con Rob Trujillo. Eh Dio fa’!
Concludo elogiando nuovamente le mie Creeper, che
mi permettono di essere un novello Mosè e
di attraversare indenne il lago di piscio dei cessi.
Compratevi le Creeper, pezzenti pitonati, ve l’avevo
detto io! E già che ci siete, al prossimo
concerto al Transilvania munitevi di un paio di
Amplifon!!
Simone “It’s just a deadend” Parato
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Pix
by ZioTeo |
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QUIREBOYS + Kickstart + Hungry Hearts
Indian’s
Saloon – Milano, 1 maggio 2004
Parcheggiata la mafia
mobile ci ritroviamo a cazzeggiare beatamente nel
parcheggio dell’Indians assieme ai primi rockers
della “Woodstock of Slam” accorsi sul
posto. Una delle prime immagini di questa serata
è l’arrivo degli Hell’s Angels,
in parata con le loro motociclette, rombi di motori,
giubbotti di pelle e odore di gas di scarico. “It’s
7 o’clock, time for the party”…
in realtà le lancette dell’orologio
sono già più avanti, per cui è
d’uopo iniziare le danze dei boccali, danze
che da buona febbre del sabato sera andranno avanti
ingorde fino al mattino.
Tocca agli Hungry
Hearts aprire il concerto, davanti
a uno sparuto gruppo di spettatori che non rende
la dovuta giustizia alla band, autrice a mio avviso
di un pregiato e tosto hard rock, a cavallo tra
Bon Jovi d’annata e i primi
e più melodici Erotic Suicide.
Ma forse forse gli Erotic Suicide
li tiro sempre in mezzo perché di hard rock
non capisco un cazzo, uahaha!
Anyway, un plauso alla band, che a quanto ho capito
presto uscirà con un disco su Frontiers.
Davvero ottime voce e chitarra solista, con assoli
davvero di buon gusto e feeling.
I Kickstart
hanno dalla loro una bella dose di sfiga: tra una
corda del basso che si rompe, un microfono che non
ne vuole sapere di funzionare bene e un ulteriore
problema all’ampli la resa della band lombarda
viene inficiata e il concerto stenta a decollare
e farsi coinvolgente… davvero un peccato!
Nonostante questi handicap, i Kickstart offrono
un poker di canzoni dal sentore bluesy e retrò,
un hard rock che vive negli anni 70 di buona fattura
ed eseguito con passione fino alla conclusiva “Born
To Be Wild”.
E giunge il momento
dei Quireboys…
ahimé nuovamente orfani dell’idolo
Nigel Mogg, restato negli USA per problemi con la
carta verde e sostituito da Nick Mailing, produttore
tra l’altro dell’imminente nuovo album
della band…
L’assenza del bassista si è fatta sentire
(sarà un caso che le date inglesi le hanno
annullate?), e non sono bastate la simpatia di Spike
(ma quanto è bello vedere un cantante sorridere
come lui?) e di Guy Griffin (impeccabile alla Telecaster
e decisamente più in forma che in passato)
a bissare il livello del concerto di tre anni fa,
sempre all’Indians Saloon.
Per carità, non sto certo dicendo che sia
stato un brutto concerto, ma mancava un ingrediente
fondamentale per fare quadrare il cerchio, e questo
ingrediente si chiama Nigel Mogg. In ogni caso,
una prestazione decisamente più brillante
e vivace del recente concerto al Serie-Z, senza
dubbio alcuno!
Un calcio al microfono, “Good to see ya”,
estratta dal nuovo “Well Oiled”, apre
le danze: il locale è pienissimo e un pubblico
a dir poco entusiasta canta le successive vecchie
glorie a squarciagola… “Hey You”,
“Sweet Mary Ann”, “Whippin Boy”,
“7 o’clock”… Spike sorride
e brinda, brinda e sorride, Guy e Paul Guerin incrociano
riff dietro a riff, e una canzone del nuovo album,
presentata con qualcosa tipo “this is about
being arrested while fucked up”, si rivela
davvero una gemma, mentre l’altro “inedito”
“Lorraine Lorraine” è abbastanza
nello standard della band inglese.
Arriva il momento quasi religioso di “I Don’t
Love You Anymore”, e non posso fare a meno
di avvertire i brividi lungo le braccia ed abbandonarmi
agli splendidi versi di questa poesia loser. Chiude
“Sex Party”, memorabile come sempre
il botta e risposta tra Spike e il pubblico, nell’incedere
di una delle canzoni più belle mai scritte
dai Quireboys.
La festa continua
tra chiacchere e drink, e così arriva il
mattino, e un po’ mi viene da sorridere a
pensare all’ennesimo delirio in autogrill,
tra quella cazzo di rana che salta, le merde canterine
e un “campagnozzo & caffozzo”! Altro
che mafia, qua siamo tutti dementi da ricovero…
:D
Simone Parato
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Pix Laura Delnevo
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MONSTER MAGNET - GLUECIFER + THE QUILL
3 Aprile 2004
- FRI SON – FRIBURG (CH)
Sicuramente vi starete
chiedendo che cavolo sono andata a fare in Svizzera
dato che il tour di MM e soci è passato anche
qui sotto casa, a Milano! Beh, sveliamo subito il
mistero. Diciamo che questi ragazzi sono qualcosa
di elettrizzante e contagioso, ragion per cui impossibile
pensare di non seguirli ovunque sia umanamente possibile.
Fu così che dopo la desolante notizia della
cancellazione del loro show a Treviso, decisi su
due piedi di farmi un bel giretto nella verdeggiante
e lussureggiante Svizzera. Perciò sveglia
alle fatidiche 8.00 di un sabato mattina, doccia
fredda, scorta cibo e via di corsa verso il confine!
Arriviamo in quel di
Friburgo dopo un allegro e spensierato viaggio.
Raggiungiamo il locale grazie ad una carinissima
coppia che ci ha “scortato” fino l’entrata
del popolare club, e senza la minima fatica entriamo
dove veniamo accolti stile eroi da alcuni componenti
dei The Quill! Assistiamo al sound check dove Roger
Nilsson e soci si divertono a riproporci qualche
pezzo dei Deep Purple, ispirati da una soffusa luce
bianca penetrante la “nebbiolina artificiale”
che invadeva il palco. Dopodiché pausa spuntino,
birra, qualche sigaretta ed… è ora
dello show.
Fortunatamente l’organizzazione
è di gran lunga migliore di quella italiana!
I The Quill
salgono sul palco verso le 21.30 e stasera sembrano
essere in ottima forma. Hanno una fantastica energia
e spaccano fin dalle prime note della canzone d’apertura,
“Spinning Around”. Il loro suono è
un freschissima rivisitazione di un classic rock
stile Led Zeppelin anni 70 con
influenze alla Black Sabbath, grazie
soprattutto ai riff di Christian Carlsson. Mentre
il cantante Magnus Ekwall ricorda moltissimo la
splendida, coinvolgente voce di Chris Cornell, frontman
dei Soundgarden. Tra le altre cose
il simpatico pubblico svizzero dedica al vocalist
svedese il meritato coro di auguri per il suo compleanno,
che cade proprio oggi. Le canzoni corrono via fin
troppo veloci, quasi tutte tratte dall’ultimo
album tra cui: “Come What May”, “Hand
Full Of Flies”, “American Powder”
e “Nothing Ever Changes”. Ancora una
volta la scena più spettacolare dello show
è con “Hammerhead”, durante la
quale Christian agguanta una chitarra dodici corde,
mentre Roger si scatena sui potenti riff del suo
basso e George “Jolle” Atlagic tiene
alto il ritmo dell’esibizione animando l’anima
della sua batteria. Purtroppo lo spazio a loro dedicato
non è molto, meriterebbero molto di più,
ma ci accontentiamo anche stavolta sperando di rivederli
in questa fantastica forma molto, molto presto;
magari quest’estate!
Veloce cambio strumenti
ed ecco gli scatenatissimi norvegesi Gluecifer
invadere il palco. Questi ragazzi,
giustamente denominati “Kings Of Rock”
non perdono occasione di mostrare la loro potenza,
anima e spirito r’n’r. Una volta cominciato,
lo show continua ininterrotto per gli abbondanti
trenta minuti a loro disposizione. Il pubblico è
scatenatissimo e canta con la band dalla prima all’ultima
strofa. Un grande, grandissimo successo per i talentuosi
norvegesi. Tutti i pezzi forti di “Authomatic
Thrill” vengono sparati uno dopo l’altro
senza respiro “Here Comes The Pigs”,
“Take It”, “Put Me On A Plate”,
“Reversed”. Il delirio si scatena con
“A Call From The Other Side” in cui
band e pubblico si incitano e provocano a vicenda;
il coinvolgimento è altissimo! Biff Malibu
poi comincia ancora uno dei suoi soliti monologhi
che sfortunatamente non ricordo, anche se Raldo
e Captain Poon a un certo punto erano piegati sul
palco dalle risate! Il Capitano ha fatto ancora
una volta la sua bella figura sfoggiando attillatissimi
pantaloni bianchi e maglia rigorosamente nera ,
mentre Raldo Useless ha intrattenuto la parte sinistra
del palco con i suoi assolo e sorrisi smaglianti.
Come sempre la prestazione del bassista Stu Manx
è stata memorabile mentre Danny Young ha
stupito pestando a più non posso le pelli
della sua raggiante batteria bianca. Questo sì
che è r’n’r! musicisti spettacolari
oltre che persone umanissime, il che non fa che
migliorare la loro immagine e la loro apprezzabilità.
Come al solito il meglio
arriva per ultimo, il palco viene preparato per
i Monster Magnet.
Purtroppo mi sono persa l’inizio dello spettacolo
perché l’affollamento del locale, il
caldo e il fumo mi hanno costretto a una veloce
fuga all’aperto, giusto per riprendere le
attività respiratorie necessarie per godermi
la parte finale dello show. Questa volta Dave Wyndorf
è proprio in gran forma, i problemi alla
gola sembrano svaniti e riesce a tenere alta la
sua immagine da icona r’n’r. Il gruppo
non lascia indifferenti chi aveva delle alte aspettative
per la loro esibizione e si lancia sui potenti riff
di canzoni come “Tractor”, “Supercruel”,
ripropongono il puro rock con “Powertrip”
e “Dinosaur Vacuum”, Ed Mundell è
fantastico e con il secondo chitarrista Phil Caviano
si esibisce in esilaranti assolo togli fiato! Intanto
la set list continua impavida e potente con “Zodiac
Lung”, la title track “Monolthic Baby”
e ancora “Teenage Negasonic Warhead”.
Il tempo corre via veloce e le ultime proposte sono
“Spacelord” e “Spine Of God”.
Dave stasera ha deciso di esagerare. Dopo essersi
contorto sulla sua chitarra questa volta non si
limita a sfasciarla a pezzettini ma gli da addirittura
fuoco! Lo spettacolo sembra infinito e per non so
quanto tempo resta sulla pedana a sventolare la
chitarra avvolta dalle fiamme, sfiorando il pubblico
e poi su, in alto, fino quasi a sfiorare il soffitto.
Grandioso! Dave ha dimostrato di essere un grandissimo
ed abilissimo front man, aiutato naturalmente dai
due abilissimi chitarristi e dalle nuove entrate
Jim Baglino al basso e Bob Pantella alla batteria.
L’after show è
stato qualcosa di unico e irripetibile in cui Jolle,
Christian, Stu Manx, Raldo e anche Ed Mundell si
sono dimostrati persone simpaticissime intrattenendoci
con aneddoti di questo e precedenti tour. L’ora
del ritorno però si è avvicinata senza
pietà e sono stata costretta ad una veloce
ritirata e un triste addio da questi magnifici musicisti.
Spero per loro che tutti gli show a venire siano
tanto spettacolari quanto quello di stasera e che
riescano a tenere alto il nome del rock’n’roll.
Laura Delnevo
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Pix by Rob ‘n’ Roll
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BASTET + KRYS
24 Marzo 2004
- Sonica, Roma
Organizzare una data
dei Bastet nella capitale è stata una faticaccia,
ma di quelle che si fanno volentieri… e infatti,
non appena il Dr. Pace mi ha comunicato che il Circolo
degli Artisti non era più disponibile e che
bisognava trovare un altro locale, la mia mente
è corsa subito al Sonica: trattasi di un
piccolo ma gustoso club dove, alleluia, la gente
si gode il concerto in piedi e non seduta al tavolo,
il che significa 1000% in più di partecipazione,
cosa che proprio non deve mancare nei concerti della
band di Pacino & co.
Di supporto, i giovani Krys, una band che sta cominciando
a farsi vedere in giro sempre più spesso,
e che avevo già potuto ammirare al Rock’n’Roll
Damnation, di cui vi ha parlato diffusamente il
buon Alex da qualche altra parte di Slam.
Ogni volta che vedo il Barbie Van aggirarsi per
le vie della Capitale mi viene sempre un groppo
alla gola per l’emozione, frammisto alla curiosità
che mi porta a farmi domande del tipo “Chissà
che belle scenette quando li fermano per controlli”
o “Chissà quando i bambini in macchina
con la famiglia vedono quel “coso rosa”,
quanto imbarazzo provocano nei loro papà
chiedendo di cosa si tratti”… in ogni
modo, il Barbie Van fuori dal Sonica stavolta mi
suscita parole poco gentili nei confronti dell’Altissimo
che pur “amando il rock’n’roll”,
fa piovere a dirotto per buona parte del pomeriggio.
Saluti vari con i membri delle due band, poi si
comincia a montare, e iniziano le gag, con Pacino
che tenta di insegnare il veneto ai Krys, o Chris
stesso che mi si siede affianco e mi informa che
si sono dimenticati un ampli per chitarra e mi implora
di trovare una soluzione. Per sua fortuna: a) ce
l’ho io; b) sono a 5 minuti da casa, e quindi
nel giro di 15 minuti il mio bel Peavy fa bella
mostra sul palco insieme ai “mostri”
dei Bastet.
Il check è rapidissimo
(merito del grande Fabio “Man In Black”,
che ribadisco essere uno dei migliori fonici di
Roma), e per le nove e mezza siamo tutti su davanti
a delle pizze fumanti… tranne me! Per un disguido,
mi ritrovo senza, ma la cosa si rivela una mossa
azzeccata: facevano schifo e il povero Rockin’
Hawk è stato male tutta la sera. E così,
tra aneddoti, racconti, gente che arriva, gente
che beve, sopresone (ho visto Pacino commosso quando
il suo idolo Bibo “the sheriff” gli
si è parato innanzi!) e svariate birre; noto
con piacere la presenza di quasi tutti gli Slammisti
romani (e l’assenza di parecchia altra gente
che mi sarei aspettato), ma soprattutto di quel
tot di, passatemi il francesismo, “belle fighe”
che non guasta mai!
Sono le 23:30 quando Chris, Die Die, Nasty e DJanko
salgono sul palco e attaccano con la loro dose di
rock’n’roll. Onestamente, non riesco
a trovare tutti ‘sti riferimenti a
Dogs D’amour e Quireboys,
piuttosto sembrano degli Hanoi Rocks più
punk; sentiti poi con un sound pulito e chiaro mi
conferma l’impressione che la band deve ancora
crescere parecchio, e riesce meglio nei brani meno
punk e più melodici, come “Baby Paradise”,
“I Love You” e “Sly Girl”.
I nostri sfornano sia pezzi dell’ormai vecchio
cd che brani in fase di registrazione per il nuovo
lavoro… c’è mancata giusto quella
cover azzeccata per chiudere in bellezza –
mi piacerebbe sentirli rifare qualcosa della band
di Mike Monroe, ad esempio. Comunque,
buona prova della band, in generale, anche se (non
posso negarlo) ho un debole per il loro bassista,
Nasty! Bravo, incazzato e dal look perfetto!
Veniamo ai Bastet:
come dicevo, un locale piccolino e senza sedie è
l’ideale per Pacino e soci, che infatti non
stanno praticamente mai sul piccolo palco, ma gironzolano
per tutto il locale, mentre sfornano i loro classici
“God Is Good”, “Gonna Get Laid
Tonight”, “Spurtin’ Joy Wherever
I Go”, nuovi brani come “Sodoma &
Gomorah” e cover a sorpresa, come “New
York New York”, “Like a Virgin”
di Madonna e una roboante “Plastic
Dolls” degli Alleycat Scratch.
Non sto a raccontarvi dei vari baletti, pose e affini
in cui la band si produce, tanto ormai lo sapete!
Pacino intrattiene il pubblico con le solite gag
(e sfoggiando una t-shirt con la scritta “Sborro
Gioia” sullo stile di quella della coca cola…),
la maggior parte delle quali coinvolgono il povero
Rufus e il festeggiato di turno, J Revolver dei
No Way Out; quando poi mi viene chiesto di passargli
una sedia, su cui ovviamente il nostro ardito frontman
sale per cantare, il timore che cada e si uccida
di dolore è strafondato… tant’è
vero che ci va vicinissimo!
Il pubblico comunque partecipa, si diverte, va in
visibilio quando Carmen mostra le chiappe, canta
le canzoni (è consolante sapere che non sono
il solo, ziocan!), e chiama a gran voce i nostri
quando fanno finta di andarsene, per poi tornare
e regalarci una devastante Erected e un altro paio
di pezzi.
E quando se ne vanno davvero, siamo tutti un po’
più tristi e a quanto pare, la tristezza
ha spinto molti romani a sfogarsi nello shopping,
dato che quell’intrallazzone del Dr. Pace
pare sia riuscito a vendere una quindicina di cd.
E’ arrivata l’ora di foto ricordo, baci,
abbracci, saluti, il tempo di dare l’appuntamento
ai Bastet alla prossima volta e… cazzo, è
già mattina ? Naaah, non ci voglio andare
in ufficio!!!
Rob ‘n’ Roll
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Pix by Laura Delnevo
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HUGHES/TURNER
Motion (Bergamo)
- 8 marzo 2004
Buona festa della donna
a tutti, e quale modo migliore di festeggiarla se
non presenziare ad un concerto di due mostri sacri?
Facciamo il nostro ingresso trionfale al Motion
giusto 5 secondi prima dell’inizio del concerto,
eravamo certi che Pino Scotto avrebbe timbrato il
cartellino ad un concerto del genere. Ce lo ritoroviamo
addirittura sul palco con i suoi fidi Fire
Trails per scaldare il pubblico.
A stento ci riprendiamo dallo shock. La sua esibizione
ci pare particolarmente grintosa e piacevolmente
supportata da ottimi musicisti, peccato che la resa
sonora non gli abbia reso giustizia.
Una volta terminata
la performance del nostro rocker nostrano, la folla
(noi compresi) comincia ad avvicinarsi quatta quatta
al palco. Si spengono le luci e parte automaticamente
un boato. Gli headliners fanno la loro apparizione:
Glenn Hughes
in camicia rossa e occhialini da sole alla
John Lennon (vabbe’…), Joe
Lynn Turner un tantino appesantito
e con un taglio di capelli improponibile. Ma, sinceramente,
chissenefrega! Per lo spettacolo che hanno offerto
avrebbero anche potuto presentarsi con le camice
hawaiane e i pantaloni alla zuava e nessuno avrebbe
avuto da ridire. Si parte con “Hold On”,
dal loro ultimo album, ed e’ subito adrenalina
che sale. Gia’ da subito il buon Hughes si
prodiga in performances vocali da pelle d’oca,
e anche Turner non e’ da meno. Il risultato
va oltre ogni aspettativa: gli acuti dell’ex
bassista dei Deep Purple si sposano perfettamente
con i timbri piu’ caldi di Turner. Si prosegue
con “Can’t Stop Rock’n’Roll”.
Poi, il primo di una discreta serie di successi
dei rispettivi ex gruppi dei nostri eroi: “I
surrender”. E il pubblico approva pienamente.
Piccolo intervallo con qualche pezzo del nuovo album
HTP2, tra cui “Losing My Head”, che
abbiamo trovato particolarmente valida, e “Alone
I breathe”. E arriva il revival Deep
Purple. Turner lascia la scena (complice
anche il fatto che non fosse fisicamente al meglio)
e Hughes introduce “Mistreated”. Dopo
appena due note la platea va letteralmente in visibilio.
e poi altre perle, “Stormbringer”, “Keep
On Moving”, dove Hughes sfodera un prestazione
quasi mistica. Forse proprio in “Keep On Moving”
ci pare di riscontrare un’imitazione eccessiva
dello stile di David Coverdale,
ma si tratta di un dettaglio tutto sommato trascurabile.
Menzione d’onore per il chitarrista JJ Marsh,
già da qualche tempo alla corte del buon
Hughes, che riesce in ogni pezzo a regalare assoli
notevoli, molto à la Richie Blackmore, ma
senza mai copiarlo (troppo) sfacciatamente. Pur
cimentandosi in passaggi tecnicamente complessi
non scade mai nel virtuosismo fine a se stesso,
non manca di trasmettere al pubblico un certo feeling
con il pezzo (va be’, a parte un paio di “cavalcate”,
che magari dopo un po’ possono annoiare...).
E poi, finalmente, una chitarra solista con un volume
decente: assoli con un suono bello e nitido. E noi
gridiamo al miracolo.
Dopo essere scomparso per tipo mezz’ora, torna
anche Turner sul palco, anche parecchio piu’
pimpante di prima.
Dopo la classica “finta” i nostri escono
per l’encore. “Devil’s Road”
e “Spotlight Kid” tanto per gradire.
Turner si diletta in qualche mossa di danza alla
Tony Manero (troppo rock’n’roll!!!)
E’ giunto il momento
di salutarsi davvero. Brano di commiato: “Burn”.
Quasi superflui i commenti, o meglio, bisognerebbe
ripetere quanto detto finora: stratosferici. Meno
male, considerando che poco prima del concerto erano
stati avvistati vicino al tour bus con un’aria
vagamente scazzata che non lasciava presagire niente
di buono.
Che dire, saranno vecchi e ammuffiti, ma hanno offerto
uno spettacolo incredibile. Peccato per chi non
c’era. Peccato anche per il volume (l’unica
vera nota negativa della serata), ad un livello
davvero ignorante, una roba indecente. Non sarebbe
neanche stato necessario comunque, visto che il
caro Glenn e il vecchio Joe Lynn con le voci che
si ritrovano non hanno certo bisogno di aiuti...
Luca Giberti/Claudia Schiavone
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Pix by Cristina Massei
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SUPERSUCKERS
+ FUTURE EX WIVES = TOKYO DRAGONS
London, Highbury
Garage – 2 Febbraio 2004
Se esistesse una giornata
mondiale del rock’n’roll, con una grande
festa alla fine che ne celebrasse il significato,
quel party oggi dovrebbe essere capitanato da nessun
altro che i Supersuckers.
In una Seattle ancora musicalmente insignificante,
in un epoca a cavallo tra glam e grunge, Eddie Spaghetti
e compagni hanno dato un pugno sul naso prima all’America
poi al resto del mondo con un punk rock’n’roll
senza tempo e senza regole, e non si sono mai piu’
fermati. Esiste secondo me un tipo di “mainstream
live”, uno sparuto gruppetto di bands che
non troverai in classifica ma fanno sold out a ogni
concerto, shows che i fans anno dopo anno non si
stancano mai di vedere. Ti propongono rock’n’roll
allo stato puro, senza fronzoli, pezzi scritti on
the road che salgono dritti dal cuore, svincolati
da ogni regola di mercato. E forse per questo il
mercato non ci vuole avere piu’ di tanto a
che fare... O meglio, forse sono loro che non sanno
che farsene del mercato. Qualcuno che ti dice quando
metter fuori il prossimo album e cosa metterci su,
quali interviste fare e cosa indossare. A che serve
a gente come i Supersuckers? Tutto cio’ che
fanno e’ dar voce alle proprie emozioni e
dividerle con chi puo’ capirle, puro e semplice.
E lo fanno talmente bene, e ci mettono tanta passione
e sudore da riuscire alla fine a viverci sopra onestamente,
senza ville a Beverly Hills ma con la soddisfazione
senza prezzo di poter fare quel che piu’ amano
e rendere felici un po’ di persone. Come me
questa sera.
Un pomeriggio ad ascoltare
“tales from the road” da Ron e Eddie
e’ il riscaldamento piu’ appropriato
per quello che mi aspetta. Quando i Tokyo
Dragons, caldamente consigliati
dallo stesso Heathman, aprono le danze, sono in
totale rock’n’roll mood. Sul palco del
Garage un gruppo di sbarbatelli che sembrano appena
usciti da scuola: jeans e magliette qualunque, tagli
di capelli alla Datsuns, niente
che possa prepararmi minimamente a quello a cui
sto per assistere. Quando la musica dei TD irrompe
nell’aria hai la netta sensazione che le mura
stiano per andare in pezzi, il palco sembra troppo,
troppo piccolo per questi prodigiosi esordienti.
Come i Supersuckers, i Tokyo Dragons non possono
essere ricondotti a nessuna epoca o trend, ma a
differenza degli headliners il suono e’ piu’
hard rock di scuola AC/DC, meno
da club e piu’ da arena. Per quanto questo
sia il loro primo tour di un certo rilievo e abbiano
all’attivo solo un demo di tre pezzi e nessun
contatto-etichetta-etc, non mi stupirei vedendoli
di supporto ai Darkness in un annetto.
Esagerata? Mah, qualcuno molto piu’ competente
di me (Metal Hammer) ha recensito un loro recente
concerto molto entusiasticamente, definendoli “gruppo
da stadio”. Oh, anche Kerrang gli ha dedicato
una paginetta... Non male eh, per dei ragazzini
con un demo in una bustina di plastica. C’e’
una storia divertente sul perche’ siano qui
stasera, ma la conservo, perche’ ho intenzione
di dare a questi ragazzini lo spazio che meritano
e fargli qualche domanda in un futuro non troppo
lontano.
Glisso sulla seconda band, i Future
Ex Wives, credo imposti dal locale
o dalla booking agency. Mi ricordano molto la seconda
band dello show dei Darkness, brutti
con cappellini da baseball e suoni estremamente
fastidiosi oltre che totalmente fuori luogo. Si
conferma il recente trend londinese dei supporti,
con un’ottima band esordiente d’apertura
e una cagata locale poco adeguata e dannosa per
occhi e orecchie nel mezzo. Sto elaborando una mia
teoria: considerato quanto spesso la gente va ai
concerti tardi perche’ le bands di supporto
fanno schifo, sara’ che i locali hanno ben
pensato di mettere la zavorra nel mezzo per dar
modo al pubblico di spendere al bar nel frattempo?
Bella idea per loro, bel martellamento di balle
per noi. Vabbe’.
Arriva l’ora dei
Supersuckers.
Un pubblico totalmente ubriaco (grazie probabilmente
anche ai Future Ex Wives) si accalca sotto il palco
e aspetta ancora una volta che scocchi l’ora
del rock’n’roll. E quando Eddie afferra
il microfono non conta piu’ niente. Non conta
che e’ lunedi, che c’e’ la guerra,
la fame, i vigili fuori che ti stanno probabilmente
rimuovendo la macchina, la tua donna che ti tradisce
col lattaio... Non hai bisogno d’altro che
di questa linfa vitale, degli “Evil Powers
of Rock’n’Roll”. Siamo fortunati
noi rockers.
Raccontare emozioni non e’ cosa facile. E
a parte quello, c’e’ ben poco da raccontare.
Un fan esageratamente caloroso salta sul palco e
tenta di rubare il posto a Eddie Spaghetti, viene
rimosso e giustificato dal vocalist: le intenzioni
erano buone, dice, e’ giusto voler salire
sul palco, ma se volete farlo mettetevi su una band
e bookatevi un gig, io sono contento con la mia
band cosi com’e’. E si vede, l’affiatamento
tra questi ragazzi e’ di un’evidenza
disarmante. E’ bello anche rivedere Ron in
forma, i suoi problemi passati sembrano finalmente
alle spalle. Il nuovo batterista, Mike, e’
perfettamente inserito e nella mia ignoranza direi
un ottimo acquisto.
Highlights della serata... Solita drammatica domanda,
e’ tutta un’highlight! Diciamo che “I
want the drugs”, “Going back to Tucson”
e “Pretty fucked up” mi danno quel po’
di palpitazioni in piu’. A chiudere l’eccezionale
serata una cover che fanno per la seconda volta
e viene benissimo, si tratta nientemeno che di “Hey
ya” degli Outkast, e infine
una delle mie all time favourites, “Born with
a tail”, che ci manda tutti a casa con un
grande sorriso e una riserva di adrenalina.
Scocca la mezzanotte, la carrozza si ritrasforma
in zucca, si torna al mondo reale. Ma quanto ha
significato quel ballo per Cenerentola... Salgo
sulla metro e metto i miei Supersuckers in cuffia,
a volte non serve la bacchetta magica per vivere
felici e contenti.
Cristina Massei
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Pix by Laura Delnevo
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MICHAEL SCHENKER
+ LISTERIA + RAIN
Milano, Indian’s
Saloon - 4 marzo 2004
Chi si sarebbe aspettato
di accogliere una leggenda dell’hard rock
di sempre all’Indian’s Saloon di Bresso?
Forse pochi, visto che il locale non era esattamente
stracolmo.
Al termine dell’esibizione
dei Rain, storica band bolognese (che ci ha offerto
dell’ottimo heavy metal classico), l’atmosfera
era piuttosto rilassata. A diminuire le aspettative
contribuiva un rudimentale striscione che coronava
il palco, dove si riportava a pennarello (!) il
sito internet del nostro, www.michaelschenkerhimself.com
(peraltro senza tener conto dello spazio a disposizione
per scrivere il lungo indirizzo).
Dopo essermi reso conto
di non trovarmi ad una festa paesana, il nostro
e’ apparso con la sua band., quasi irriconoscibile,
in tenuta da rapper o da chitarrista cross-over.
‘Are you ready to rock’ apre il concerto
poco prima di mezzanotte, mettendo in chiaro quanto
a volte contino ben poco le apparenze. Ma l’esibizione
e’ inizialmente penalizzata da un soundcheck
forse un po’ frettoloso. Inoltre l’audience,
composta in prevalenza da saggi e svezzati over
30 non risponde con eccessivo entusiasmo, forse
non convinti da uno Schenker piuttosto defilato
e da un frontman, Chris Logan, poco comunicativo
e un po’ impacciato.
Ma e’ forse con
‘Lights out’ che i presenti si ricordano
di essere (o essere stati) dei rockers. Ed e’
subito amore, perche’ la band viene investita
dal calore della folla e comincia a mostrare le
unghie e piu’ sorrisi.
Il concerto esplode
ed il combo sfodera una sequela di successi targati
UFO e MSG da cantare tutti
insieme ("rock’n’roll believers",
"fatal strike", "only you can rock
me", "on and on" etc..). Adesso il
sound e’ piu’ che accettabile. Logan
si scioglie e si riscatta grazie ad una gran bella
voce, calda e versatile (gli devono aver giovato
gli omogeneizzati assunti in tenera eta’).
Il massiccio tuttofare Wayne Finley fa veramente
di tutto ed in maniera ineccepibile: cori, riempitivi
con le tastiere, armonizzazioni con la chitarra
di Michael e persino un assolo da paura con la sua
Carvin. Certo anche il drummer si dimostra all’altezza
della situazione con un bell’assolo (e soprattutto
breve, viva la sobrieta’!).
Ma tra i gregari spicca
sicuramente il bassista Rev (diminutivo di Reverand!)
Jones. Nessuno gli avrebbe dato un euro, con quell’aspetto
da scarto dei Red Hot Chili Peppers.
E’ invece lui che cerca di coinvolgere il
pubblico fin dall’inizio con salti, smorfie
e funambolismi vari con lo strumento, senza peraltro
sbagliare una nota. Gradevolissimo il suo assolo
sinfonico, aiutato da un delay.
Che dire dell’ex
enfant prodige della sei corde: la sua esibizione
e’ stata una lezione di come ogni chitarrista
dovrebbe trattare il proprio strumento (e forse
molti pseudochitarristi presenti lo hanno gia appeso
al chiodo). Si puo stupire con una tecnica sopraffina
senza dimenticare melodia e feeling? Michael Schenker,
nell’angusto spazio del nostro Indian’s
Saloon, e’ venuto a dimostrarcelo. E quando
il pubblico ha cominciato a ripagarlo, ha alzato
gli occhi ed e’ uscito dall’angolo in
cui si era autoesiliato per ringraziare a suon di
riffs.
Nel bis, "Armed
and Ready", "Rock Bottom" e l’immancabile
"Doctor Doctor". Da segnalare anche "Arachnophobiac",
tratta dal suo ultimo lavoro in studio…
Lights out Milano!
Luca Giberti
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Pix by Cristina Massei
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PRETTY BOY FLOYD
+ RENEGADE PLAYBOYS + PLASTIX
London, Camden
Underworld – 15 Febbraio 2004
Come previsto, questa
Domenica all’Underworld c’e’ il
pubblico delle ex grandi occasioni. Un peccato,
perche’ sebbene questi Pretty Boy Floyd li
abbiamo ormai visti tutti ripetute volte come (volenti
o nolenti) anche i Renegade Playboys, ho sentito
parlare strabene dello show dei punkrockers Plastix,
che si apprestano ad aprire questa serata. E i tre
inglesi, prossimi all’uscita del loro secondo
full-length, non deludono le aspettative. Seppure
nel tempo limitato oggi concesso loro, i
Plastix spazzano via l’ombra
stanca dei bagordi del sabato sera, e scuotono il
pubblico con una grezza miscela di punk e rnr, in
un crescendo che culmina in “You don’t
know me”, secondo me il singolo d’eccellenza
del loro repertorio. Ripromettendomi di non perdere
il prossimo gig da headliners di queste giovani
promesse, vado backstage per scoprire un po’
di piu’: i Plastix mi concedono un’interessante
ma soprattutto stradivertente intervista che potrete
presto leggere sulle pagine di Slam!
Intanto i Renegade
Playboys hanno iniziato il loro
set. Questi giovincelli continuano ormai da anni
a cambiare formazione; perso anni fa il primo cantante-songwriter-ragazzinoprodigio,
in arte Switchblade Sadie se ricordo bene, i RP
hanno perso anche la fresca piacevole impronta rnr
che li aveva caratterizzati alla nascita. Oggi ci
troviamo davanti una confusionaria boy band che
accozza a caso RHCP, RATM e riffs ottantiani, con
un cantante teenager iperagitato che salta, grida
e ci propone uno strip rabbioso che lo lascia in
underwear e calzino corto (!). Sorpresa, l’ennesimo
stravolgimento di line-up propone oggi alla seconda
chitarra Sebastian, autodichiarato cantante prodigio
di belle speranze; che ci fa alla chitarra allora?
Mi dicono che lo hanno provato prima alla batteria...
Certo le reazioni delle teenager sovrappeso in prima
fila al suo bel faccino sono incoraggianti... Tutto
si spiega, evviva le boy-bands, dove le audizioni
si possono fare per fotografia.
L’ingresso dei
Pretty Boy Floyd
e’ un sollievo. La formazione e’ la
stessa dello scorso anno, ma il risultato e’
di gran lunga migliore di quello visto a Milano
lo scorso anno, come commentano anche un paio di
persone che hanno visto entrambi gli shows. Notiamo
subito un cambio di look per Steve Summers, che
presenta una lunga chioma violacea. La set-list
non presenta grandi sorprese, salvo "7-27"
dal nuovo album “Size does matters”
che rende benino dal vivo, con quella sferzata di
energia glam che su disco non erano riusciti a imprimere.
Tutto sommato, malgrado non ci sia nulla di nuovo
sotto il sole, i Pretty Boy Floyd si confermano
una delle rare 80’s reunion bands che ti danno
esattamente quello che ti aspetti, niente di piu’
niente di meno. Le solite highlights con “Good
girl gone bad”, “Rock’n’Roll
outlaws” e i consueti bis “48 hours”
e “Rock’n’roll (is gonna set the
night on fire)” ci regalano spensierati party
moments in puro stampo glam. E a proposito, ancora
una volta le mie velenose domande hanno colpito
nel segno, e vengono utilizzate live on stage come
presentazione per “Rock’n’Roll
outlaws”... Per capire di cosa parlo vi rimando
a breve nella sezione interviste, dopodiche’
pronunciate pure il vostro verdetto su Steve, Lesli,
Chad e Dish, io il mio l’ho abbondantemente
enunciato nello special italiano 2003. E lo ribadisco:
E’ rock’n’roll, con tutti i suoi
annessi e connessi, i suoi eccessi, le sue imperfezioni,
fa parte del gioco. Prendere o lasciare. Per quanto
mi riguarda, ancora una volta mi sono divertita,
e cosi il pubblico seppure non vastissimo di questa
fredda domenica invernale. Gente che, per la terza
volta in tre anni, ha ritenuto che per qualche motivo
valesse la pena di buttare 12 sterline e qualche
altro spicciolo in merchandise.
Cristina Massei
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