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DANGER DANGER + ROBIN BLACK & THE IRS
Camden Underworld, London,
UK – 25 Giugno 2003
Quinta
e ultima data del minitour dei Danger Danger
nel Regno Unito. Dopo anni di assenza dalla
scena live europea non sappiamo bene cosa aspettarci,
ma va tutto bene: il locale e' abbastanza pieno,
un pubblico misto di vecchi nostalgici e giovani
virgulti accorsi a curiosare intorno ai nuovi gioielli
canadesi della TB Records, i Robin Black
& The Intergalactic Rockstars.
Cominciamo
subito dalle Rockstar Intergalattiche allora, che
tornano a calcare il palco dell'Underworld dopo
l'esordio di Febbraio con i Pretty Boy Floyd.
L'ingresso e' affidato a "Better than you",
uno dei pezzi piu' incazzati dell'album. Make-up,
glitter e attitude fanno da padroni in questo atto
di colorato glam bubblegum punk. La formazione vede
Robin "Fuckin'" Black alla voce, "Killer"
Ky Anto e Starboy alla chitarra, B.B. McQueen al
basso e Kevin "K-Tron" Taylor alla batteria.
Con
"Suburban SciFi" entriamo in totale RB
atmosphere: miagolii suadenti che raccontano storie
di rockstars e groupies, il pubblico nel frattempo
ha imparato i brani e ce n'e' una grossa fetta a
cantare insieme a Robin. Ottime "Time travel
tonite", l'androgina "More effeminate
than you" e "Candy flip", uno dei
pezzi piu' danzerecci dell'album. Citazione speciale
per il brano di apertura di "Planet Fame",
"TV Trash", uno dei miei personali preferiti
nonche' piu' apprezzati dalla folla che si accalca
sempre piu' entusiasta. E' il momento dei deliri
sleazy di Rockstar Robin, che tra richieste di favori
sessuali quantomai esplicite e contatti ravvicinati
con le donzelle delle prime file, ci "confessa"
di non essere venuto fin qui per piacerci, ma per
diventare la nostra band preferita. E dalla volta
scorsa, molti qui sembrano aver recepito il messaggio…
"Some of you boys and most of you girls will
love me!" canta Mr Black, prima di salutarci
con il nuovo singolo-cover "Hellraiser".
Il bis e' l'ultimo singolo da "Planet Fame",
"So sick of you".
Si
smonta e si rimonta il palco, e un po' anche le
prime file, cambiandone l'assortimento. La "vecchia
guardia" prende ora il sopravvento, e i Danger
Danger fanno il loro ingresso sul palco in formazione
ben rimescolata dagli esordi. Due membri originali,
Steve West alla batteria e Bruno Ravel al basso,
accompagnati dal cantante che ha ormai da tempo
sostituito Ted Poley, Paul Laine, e da un chitarrista
assunto appositamente per questo tour, il biondo
Rob Marcello.
E' "Shot o'love" ad aprire. La prima impressione
e' che la voce, seppure ottima, di Paul Laine dia
al tutto un tono meno glam e piu' AOR, e non e'
solo la voce. Fisicamente sovrappeso, la sua tenuta
capellicorti-jeans-scarpedaginnastica contrasta
con l'aspetto rockermaturomainsalute degli altri
due, per non parlare del giovane e profumato chitarrista.
Si
prosegue con "Under the gun" e "Beat
the bullet", ma e' con "Dead Drunk &
Wasted" che inizio a divertirmi. Decisamente
piu' adatta alle doti vocali di Laine, e anche il
pubblico entra nell'umore giusto per gustare il
resto di questo revival. C'e' "Goin' goin'
gone" e "Rock America", forse uno
dei pezzi migliori di questo show. Un piccolo miracolo
di ringiovanimento, sara' il sorriso sul volto di
Bruno di fronte alla schiera di mani alzate, hai
la sensazione che davvero per qualche minuto questi
quattro siano di nuovo "on the road" per
conquistare il mondo.
Il mio picco personale arriva comunque con l'ottima
esecuzione di "Good time", fresca, brillante
e rock'n'roll, e lo stesso sembra pensare Robin
Black che si unisce agli headliner per l'esecuzione
di questo brano.
Non
possono mancare i classici, spazio alla sempreverde
"Monkey business" e ai due ovvii momenti
nostalgia di "Naughty Naughty" e "Bang
Bang", e qui forse la mancanza di Ted Poley
torna a far timidamente capolino. Ed e' la fine,
tra gli applausi del pubblico piu' e meno giovane
che acclama all'unisono i Danger Danger.
Un concerto bello e strano quello di oggi, che mette
d'amore e d'accordo due fette di pubblico non proprio
uguali ne' contemporanee, e mentre fa un po' di
scuola alle nuove leve insegna alle vecchie che
c'e' ancora qualcosa che bolle in pentola…
Cristina Massei
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FASTER PUSSYCAT + BANG TANGO
La Gabbia, Bassano del Grappa
– 24 maggio 2003
Cominciamo col dire
che questa recensione me la sarei volentieri risparmiata,
ma e' troppo comodo occuparsi solo delle storie
finite bene, e poi nessuno si e' fatto avanti e
qualcuno dovra' pure parlarne… E allora parliamone,
dell'evento glam forse piu' atteso dopo gli Hanoi
Rocks e della piu' grande delusione di questa serie
di concerti che stanno facendo riaffiorare make
up e parrucche sulla nostra penisola. I Faster Pussycat,
si, proprio loro, finalmente in Italia!
Ammetto colpa e mi autoflagello per aver mancato
quasi completamente le esibizioni delle band di
supporto, che probabilmente sono valsi piu' degli
headliners sul prezzo del biglietto. Purtroppo una
successione di eventi a dir poco fantozziani mi
hanno privato del piacere, e invito i presenti a
darci un dettagliato resoconto, anche fingendo che
l'atto principale fossero i Bang Tango
o i Plan Nine. Questi ragazzi non
meritano di essere penalizzati con un totale silenzio
stampa per colpe altrui no?
I Bang Tango si sono
presentati in formazione ri-rimaneggiata, per dirlo
in maniera "tecnica". Traduzione: Joe
Leste, unico componente originale e probabilmente
unico disoccupato rimasto tra loro, ha messo insieme
una band di anonimi che a quanto mi dicono ha fatto
fuori prima di partire per l'Europa in seguito ad
una litigata. Il fatto che di questa reunion avessi
sentito parlare per la prima volta un anno fa da
un amico stretto di Kyle Kyle, che poi non e' mai
entrato in causa, mi fa pensare… Comunque,
i Bang Tango presentati in Europa erano tre quinti
di Beautiful Creatures, featuring
Anthony Focx e l'ennesimo anonimo rimpiazzo di DJ
Ashba, dopo Michael Thomas (Tuff)
che apparentemente non e' durato molto. Premesso
che non sono mai stata una grande fan, e che non
conosco molto i pezzi, hanno suonato per un tempo
decente e in maniera decente, rispolverando vecchi
successi come "Love injection", "Breaking
up a heart of stone", "Dancing on coals",
tutti ben accolti dal pubblico, piu' tre cover,
un po' troppe forse... Su tutto la voce di Leste,
inconfondibile e graffiante come sempre, che anche
nell'inflazionato anno 2001 e' riuscita a dare un
inconfondibile marchio a una moderna scommessa della
Warner, scusate se e' poco. Tra tutte le ex rockstars
che cercano di fare due sghei su un passato semiglorioso,
in fondo lui e' quello che si e' potuto permettere
di vivere una vera "seconda giovinezza"
in termini musicali, buttato su un trampolino di
lancio come l'Ozzfest a quasi quarant'anni.
Che poi non abbia saputo gestire molto bene la situazione,
beh, quello e' un altro lungo discorso, rimane comunque
un gran vocalist che siamo contenti di aver potuto
ascoltare.
E finalmente, qui e' la sfiga delle support bands,
ci avviciniamo al momento clue. Tutti hanno risparmiato
energie e entusiasmo per quello che dovrebbe essere
l'evento della serata. La voce e' girata che per
oscuri malintesi ieri a Milano hanno suonato solo
mezzora, e il pubblico e' li con le dita incrociate
sperando che questo momento a lungo sognato non
tradisca le aspettative. Taime Downe e' backstage,
influenzato, mal di gola, sdraiato inerte su un
divanetto al buio. Gli passo un paio di aspirine
e spero bene, ma non ho una sensazione troppo positiva…
Purtroppo ho ragione, anzi, va ben peggio di quanto
pensassi.
I Faster Pussycat entrano
in scena. Gli amplificatori diffondono le note di
"Cathouse", e siamo tutti pronti a gettarci
nel piu' favoloso party di inizio estate, nell'atmosfera
calda e appiccicosa della Gabbia. Brent, Danny,
Christian e Chad sembrano essere con noi, entusiasti
e sorridenti irrompono sul palco decisi a ripagarci
di anni d'attesa. E poi arriva lui, quello che e'
stato per molti di noi un simbolo, un'icona, una
luce colorata nei giorni bui: Taime Downe, pesante,
statico, annoiato, pantaloni e maglietta nera senza
colore e senza fantasia. I versi dell'adorato anthem
sono cantati a intermittenza, con le vocalita' di
un ubriaco a un karaoke di provincia. Ok, e' malato…
Ma quello che avviene dopo non e' scusabile. Uno
del pubblico grida che rivuole i soldi indietro,
e certo e' una reazione non gradita, ma la volgarita'
della risposta di Taime rischia davvero di mandare
a puttane tutto quanto. E' un rantolo direi di rancore,
di risentimento, verso chi comunque lo ha seguito,
non lo ha dimenticato in questi anni e stasera ha
pagato per essere qui. Perche'?
L'increscioso "incidente" sfuma nelle
note di "Slip of the tongue", "Where
there's a whip" e "House of pain",
con il decadente leader seduto sotto alla batteria,
e parte del pubblico che canta con lui. Non e' superlativo
ma raggiunge il sei politico, mentre il resto della
band fa uno sforzo non da poco per mantenere l'entusiasmo
e una parvenza di professionalita'.
Per loro, e per quello che sta per avvenire, ho
deciso che anche questo avvenimento meritava di
essere raccontato. Perche' al di la' di una serata,
di un episodio, o anche possibilmente della personale
delusione che certi personaggi a volte ci infliggono,
rimane quello che per tutti questi anni ci hanno
donato. E se stasera ci sentiamo traditi dall'essere
umano di fronte a noi, e derubati di qualche euro,
ci sono quindici anni che nessuno ci potra' sottrarre.
Quando "You're
so vain" inizia ad accarezzarci, tutto e' momentaneamente
messo da parte. Riprende a battere il cuore di noi
glamsters, non c'e' piu' Taime ma tutto quello che
queste note hanno rappresentato per noi in questi
anni, la solita inspiegabile magia ci spinge tutti
in avanti e ci illumina gli occhi, e' ecstasy nebulizzata
nell'aria. Sembra uno di quei film dell'orrore in
cui immagini del passato prendono vita, e nella
sala diroccata di un castello abbandonato dame ottocentesche
volteggiano al suono di un valzer antico.
Di fronte a uno spettacolo tanto indegno, la gente
spinge, canta, balla, e addirittura tira ripetutamente
fuori un coro "Taime is God", che a ripeterlo
ora suona di presa in giro ma al momento era reale,
ve lo dico io che ero una di quelle che urlava.
E' una celebrazione della musica e di chi la ama,
di tutti noi che abbiamo una colonna sonora per
ogni piccolo e grande avvenimento della nostra vita.
E quando si alzano i cori anche Taime sorride, ringrazia,
si compiace, e fa uno sforzino in piu', o forse
sono gli occhiali rosa del cuore che me lo fanno
vedere e sentire meglio, chissa'. Da qui e' una
gran festa nelle prime file, una di quelle dove
tutti sono cosi ubriachi da non capire cosa sta
accadendo intorno ma sembrano divertirsi un casino.
Si salta, si canta, si poga addirittura, e "Taime
is God" si ripete alla fine di ogni brano.
"Don't change that song", tre pezzi nuovi
niente male, la cover di "Shut up and fuck"
delle Betty Blowtorch dedicata
all'amica Bianca, l'incredibile "Babylon"
e "Bathroom wall" sopra a tutte, siamo
poche file la' davanti ma ci sentiamo un'esercito.
"How lucky that I didn't use the other stall",
che fortuna essere cresciuti con queste note in
sottofondo, questo e' il tema della festa.
E poi e' finita, si
spegne la musica e l'incantesimo, ci guardiamo l'uno
con l'altro, "che schifo!" e' il commento
piu' gettonato. Dalle stesse persone che gridavano
"Taime is God" e pogavano con l'immancabile
sorriso drogato.
Oggi, al lume della ragione, spento il mio lettore
cd in nome della lucidita', mi sento in dovere di
dirvi cosa apparentemente girava in quel testone,
seppure non sia una giustificazione.
Ho visto i Faster Pussycat circa un anno e mezzo
fa a Los Angeles; la scaletta era per tre quarti
Newlydeads o giu' di li, perche' questo e' cio'
che Taime ama oggi, anzi, questo e' quello che lui
ha creato da solo per suo piacere e come sua personale
espressione artistica. Non e' il mio genere, ma
non posso negare che la qualita' dello show era
superiore anni luce a quello che abbiamo visto stasera.
Sembravano passati dieci anni anziche' uno, come
prestazione, look e passione. Poi il supporto ai
Poison, mezzora soltanto, Faster Pussycat ma con
un timbro un po' piu' duro, evidenziato dalla scelta
del famoso look nazista. Impressione positiva.
Prima di imbarcarsi per questo tour europeo, i consigli
sono stati "evita i Newlydeads,
evita la Valle dell'Ultra Passera, evita il look
nazista e possibilmente quello glam goth alla Manson,
laggiu' vogliono i vecchi Faster". Non mi aspettavo
li seguisse ma lo ha fatto, chiaramente controvoglia.
Era quello che volevamo noi, non quello che voleva
lui, e l'abbigliamento minimalista pantalone e maglietta
nera doveva dirci gia' abbastanza.
Quello che per noi e' triste e' dover accettare
di vedere un grande Taime versione Manson o la sua
ombra versione Faster, accettare che quello che
noi ancora amiamo lui quasi lo detesta, accettare
che i tempi cambiano e con loro molte persone. Io
e quelli della "Taime is God band" abbiamo
trovato il nostro modo di venire a patti con l'amarezza
della realta', rifugiandoci come grossi Peter Pan
nella nostra Isola-che-non-c'e', dove la musica
puo' fermare il tempo e farci vedere per un'ora
una scena diversa da quella reale che abbiamo davanti.
Non e' stato poi cosi difficile, bastava guardare
negli occhi alcuni co-isolani su quel palco, primo
tra tutti l'entusiasta Brent Muscat, che continua
noncurante a svolazzare tra Faster, LA Guns
e resti dei G'n'R.
Personalmente, mi vedo ormai costretta ad accettare
le scelte di Mr. Downe e augurargli in bocca al
lupo, e mai piu' mi verra' in mente di chiedergli
un'altro tour-nostalgia. Malgrado tutto, non finiro'
mai di ringraziarlo per l'eredita' di quegli anni,
per un album come "Faster Pussycat" che
portero' con me nella tomba. Insostituibile ed eterno.
Un lumicino di speranza pero' ce l'ho: attendo con
ansia i resoconti del Metal Sludge Extravaganza
Tour con Pretty Boy Floyd
e Enuff'z'Nuff, chissa' che un
po' di party athmosphere non gli faccia ritrovare
lo spirito.
Cristina Massei
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WILDHEARTS
Forum, Londra – Venerdi
2 Maggio 2003
Avevo quasi deciso
di non farla questa recensione, anzi, ho ancora
dei grossi dubbi. Perche’ ci vuole ben altro
che una piccola cronista di eventi musicali come
me per mettere un miracolo del genere nella giusta
luce. Ma in fondo, mi son detta, nessuno potrebbe
mai rendere una cosa del genere con una semplice
e arida successione di parole; posso solo augurarvi
di vederli un giorno, e solo allora saprete veramente
cosa sto cercando di descrivere.
Partiamo col dire che la capienza del Forum e’
di 2110 persone, e che sono rimaste solo poche decine
di posti nella balconata superiore. Va ricordato,
per sottolineare l’enfasi di tali numeri,
che i Wildhearts nascono poco prima della maledizione
Kobain, e senza essere grunge e senza aver
contratti con major e nessuna simpatia nell’industria
o nella stampa, ancora oggi sono qui. Dopo aver
sfasciato gli uffici di Kerrang, sputato in faccia
a 9/10 di quelli che contavano comprese le tendenze
del momento, dopo aver fatto di tutto per essere
le pecore nere ed essere messi all’angolo
e poi distrutti, i Wildhearts non solo sopravvivono,
ma trionfano in questo mondo di squali grazie ad
un solo e unico elemento: la loro musica.
Sono nell’area
fotografi sotto il palco pronta all’azione,
le luci si spengono, si diffondono le prime inconfondibili
note di “Wanna go where the people go”
e... e’ qui che devo lasciarvi un grande buco,
non un buco nero ma di luce, un flash accecante
negli occhi, qualcosa che non so e non voglio descrivere.
Non c’e’ orgasmo, non c’e’
droga, non posso immaginare niente di terreno come
questo momento.
La folla e’ davvero im-pa-zzi-ta, mai visto
niente del genere in questi plastici primi anni
del ventunesimo secolo. Ci sorridiamo sconcertati
addirittura tra fotografi, noncuranti dei corpi
sollevati e trascinati sulle nostre teste e delle
docce fredde che ci arrivano dal palco. E mentre
con gli occhi lucidi cerco implacabile di imprimere
su pellicola cotanta gioia, arrivano altre note
che fanno fare capriole al mio cuore, e’ “TV
Tan”...
Guardo Ginger attraverso il mio obiettivo: normalissimo,
semplice, non alto, non bello, niente aureola o
segni particolari di provenienza aliena. Ginger
e’ decisamente un essere umano. E questi miracoloso
insieme di accordi di immenso potere emotivo li
ha messi insieme lui. E’ cosi difficile creder,
che qualcosa di cosi perfetto possa venire da un
uomo. E’ cosi strano pensare che le creazioni
di questo tipo in piedi davanti a me possano dare
emozioni di pari intensita’ di quelle che
Madre Natura puo’ darci con un tramonto sull’Oceano.
Ginger e’ un genio. Ginger e’ un uomo
baciato dalla Dea della Creativita’, e’
un immortale perche’ le sue creature non moriranno
mai e lui vivra’ con loro.
Segue “She’s got me”, ed esplode
“Caffeine Bomb”, gente che salta sul
palco, uno dopo l’altro, vengono ributtati
giu’ e corrono ad abbracciare gli amici, e
tutti insieme si continua a saltare. Che festa ragazzi!
Le foto saranno magari tutte uguali, ma a che servono
gli effetti speciali? L’attenzione e’
comunque focalizzata sulla musica, e Ginger non
e’ che questo ambasciatore della Corte Superiore
del rock’n’roll, che non ha bisogno
di trucco o passi di danza ma solo della sua divina
ispirazione.
E’ il momento dei pezzi nuovi, tra cui spicca
l’ottima esecuzione live di “Vanilla
Radio”. Sono tutti decisamente buoni e orecchiabili,
ma manca un po’ della vecchia rabbia per accendere
la miccia. E allora torniamo al vecchio, e Ginger
continua a spaccare chitarre finche’ deve
fermarsi. Ottima occasione per il pubblico presente
per scatenarsi in cori da stadio che non sento dagli
anni 80, mi sembra quasi quasi di aver sbagliato
arena, sono forse all’Old Trafford per le
celebrazioni dello scudetto del Manchester?? Bah.
“Gin-ger, Gin-ger”, grida la folla,
e il geordian riappare per comunicarci che non ha
piu chitarre, il che vuol dire semplicemente che
non suonera’ piu’ la chitarra! “It’s
all rock’n’roll” dice, anche se
probabilmente avra’ inveito contro l’intero
staff backstage, ma che vuoi farci, i geni non sono
mai tutti sani.
Alla fine la chitarra
la trova, e c’e’ l’altro punto
clue del concerto di questa sera, che si apre con
l’incredibile “My baby is a headfuck”:
Ginger la inizia, passa il microfono, il Forum in
coro pronto risponde all’appello: “I’M
JUST A MEEEEESSSSS!!”. Ho gli occhi lucidi
di gioia ancora ora mentre scrivo, mi vien voglia
di buttarvi giu’ tutto il testo mentre mi
sta passando per la mente sperando che leggendolo
possiate sentire anche la musica, e tutti noi duemila
che cantiamo con Ginger, ma non funzionerebbe dannazione.
Forse dovremmo organizzare qualcosa io e Moreno,
tipo una trasmissione audio in diretta per certi
eventi, che so, almeno le prime tre canzoni come
si fa per le foto. Io proprio non ce la faccio a
descrivervi certe cose pensando che non posso dividerle
con tutti voi! E’ tale la disperazione che,
mentre verso la mia ultima lacrimuccia di gioia
per “29 x the pain” cerco disperatamente
di collegare qualcuno di voi sfortunati via cellulare
ma senza successo. Devo arrendermi e godere da sola...
Ma che dico?? Siamo in duemila qui, e alla fine
ci abbracciamo tutti come fossimo davvero il Man
U che ha vinto il campionato. Immancabile sorriso
ebete post-orgasmo. Clinico godimento da sudorazione
eccessiva. Aroma di birra nell’aria. Occasionali
soggetti scalzi che cercano scarpa perduta nel marasma
generale. Bellissimo.
Ora dell’aftershow party, dove troveremo Sua
Maesta’ Ginger disponibilissimo in pantaloni
larghi, camicia senza maniche e scarpe da ginnastica.
Lo incontrassi fuori della metro gli daresti anche
qualche spicciolo. Vai a sapere sotto quali abiti
si nascondono le menti piu’ ispirate....
Per la cronaca, Danny McCormack si e’ autorinchiuso
in comunita’ poco prima dell’inizio
del tour ed e’ stato sostituito al basso da
Pat Toole, ex Silverginger 5. I
nostri migliori auguri a Danny per una pronta ripresa,
se volete mandargli due righe di conforto e’
tutto su www.thewildhearts.com.
Il resto della formazione era quella originale,
con CJ alla chitarra e Stidi alla batteria. Di supporto
gli Amen, che mi fanno personalmente cagare, ho
provato ma mi sono dovuta rinchiudere in bagno di
corsa perche’ proprio non li reggevo.
Ora non resta che incrociare le dita perche’
questi quattro vecchi monelli del rock’n’roll
si decidano finalmente a farci visita, altrimenti
caro Moreno abbiamo due alternative: broadcast in
diretta almeno dei primi tre pezzi, meglio se video;
organizzazione Slam Bus per il prossimo show europeo.
Buon rock’n’roll a tutti...
Cristina Massei
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ANTIPRODUCT
12 Bar, Londra – 5
Aprile 2003
Questo sabato londinese
ci offre uno special treat pre-Decadence. Gli Antiproduct
presentano in anteprima i pezzi del loro imminente
album "Made in USA" in uno show per fans
d.o.c. al "12 bar", minuscolo ma rinomato
club nei vicoli popolati del West End.
Il locale e' pienissimo, si sta stretti sopra e
sotto il palco, dove un gruppo di fans di Newcastle
fanno un gran casino gia' prima del fischio d'inizio
mentre Gonk sistema la batteria. C'e' addirittura
chi sfoggia completo make-up alla Alex Kane, quello
classico col grosso sorriso dipinto.
In realta' abbiamo gia' avuto assaggi di alcuni
pezzi in qualche show di supporto, tipo Murderdolls,
ma ora che l'uscita dell'album si avvicina (26 aprile)
siamo senz'altro tutti un po' piu' curiosi. E finalmente
i nostri fanno il loro ingresso sul palco.
Stupefacente, Alex sembra quasi un uomo e Clare
quasi una donna stasera, mentre la nostra Marina
e' un po' nascosta nelle retrovie che se la ride
con Gonk, e Milena sempre uguale.
Il pezzo con cui la
band da' il via alla serata e' "My favourite
can", che ad un primo ascolto sembra buono,
ma quello che scalda il pubblico e' il secondo,
"Turnin' me on", allegro ed energico in
classico stile Antiproduct. Si prosegue con estratti
da "Made in USA", piu' precisamente "Something
good", "Going where the action is",
"Going all the way", e in linea generale
si nota con piacere una maturazione dei cinque rispetto
al seppur ottimo "Consume and die". C'e'
piu' varieta' tra i pezzi, e piu' omogeneita' nell'ambito
della singola track. Si e' perso insomma un po'
quel tocco di follia, ma non la creativita' e l'adrenalina
di Alex Kane e compagni. A dimostrazione, ecco arrivare
due pezzi diversi tra loro ma entrambi decisamente
positivi: "Party's all over the world",
il titolo dice gia' parecchio, che si appresta a
diventare la mia personale favorita su quest'album,
e apparentemente la favorita di una bella fetta
di pubblico; "Nu Nah", piu' dura, piu'
metal, che conquista l'altra fetta di pubblico,
quella a cui io non appartengo. Comunque obiettivamente
un buon pezzo anche questo.
Andiamo avanti con le prossime novita' in scaletta,
"My satin" e la gradevole "Thank
God I'm right", poi una spruzzata di vecchio
con "The Rules we rock'n'roll by", e di
nuovo a "Made in USA" con un pezzo destinato
a diventare un classico, per originalita' e per
quanto incredibilmente entra nella testa della gente
al primo ascolto: "If I was Orson Welles",
l'ho sentita una volta ai Murderdolls e gia' posso
cantarla, cosi come il resto dei presenti.
Alex ci da' anche occasione
di esprimere il nostro supporto alle attuali catastrofi
diplomatiche dirigendo un simpatico coretto di "Fuck
George Bush", grazie Alex, ed e' ora di presentare
quello che sara' il primo singolo dall'album protagonista
di questa serata: si tratta di "Better than
this", che come "Nu Nah" classifico
troppo metal per le mie orecchie ma hey, se vi piace
il genere accomodatevi perche' e' un singolo niente
male.
Alle note immancabili di "Bungee Jumpin' People
Die" sappiamo che ci stiamo avvicinando ai
saluti, e ci accorgiamo che e' durata un buon paio
d'ore, wow! C'e' ancora "Captain Wrong",
"I live in England" e "Tell me what
you want", prima che i nostri eroi si confondono
tra la folla che circonda il bar.
Nel complesso, giudizio
positivo sul gig e sull'album, che attendo con ansia
di poter ascoltare con piu' calma e attenzione.
Sembra essercene per tutti i gusti, un po' come
i membri di questa folle band. Arrivederci su queste
pagine per la recensione di "Made in USA",
in tutti i negozi il 26 Aprile su Cargo, e se volete
un assaggio beccatevi le miniclip su www.antiproduct.com.
Un consiglio, per chi non lo avesse ancora notato:
attenzione alla pagina del merchandise…
Cristina Massei
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LA GUNS, ENUFF'Z'NUFF, BASTET
Alpheus, Roma – 20
Aprile 2003
Della
serie "cose che abbiamo sempre sognato di scrivere
ma mai avremmo pensato di vedere davvero"…
Eccomi a Roma, la mia citta', dove non sono riuscita
neanche a vedere i Motley Crue nei tempi d'oro,
davanti all'Alpheus che si prepara ad ospitare nientepopodimeno
che Enuff'z'Nuff e LA Guns! L'ho sognato? No, le
foto parlano chiaro. E allora sediamoci e raccontiamo
questa perla di serata, sperando che sia la prima
ma non l'ultima.
Confesso, ho passato settimane a fare scongiuri:
suonare la Domenica di Pasqua non e' facile per
nessuno, una bella mazzata all'affluenza, e questo
e' da considerarsi un test per tour a venire. Se
funziona potrebbe essere l'inizio, se non funziona
la fine. Gasp! Ma i primi segnali sono incoraggianti.
Arrivo davanti all'Alpheus alle sette e, dopo il
mio primo emozionante incontro con il Barbie Van
parcheggiato fuori, noto che c'e' gia' una prima
squadra di irriducibili che staziona davanti all'ingresso.
Entro, incontro i ragazzi tutti di ottimo umore,
apparentemente lo show milanese e' stato un successone.
Le ore passano tra sound check, foto, chiacchiere
e nuove conoscenze, e si avvicina il fatidico "fischio
d'inizio". Ad aprire lo show saranno i Bastet,
arrivati dal Veneto con il suddetto Barbie
Van all'ultimo momento, causa problemi
di salute di uno degli Smelly Boggs
originariamente designati. Sono curiosa, ne ho sentito
parlare (prevalentemente bene), ho sentito i demo
e mi sono piaciuti, e mi son piaciuti anche loro
a dire il vero.
Mi
apposto sotto il palco per le foto di rito, mentre
Pacino fa le presentazioni: "noi siamo una
band di campagna". Facilmente intuibile da
tale premessa che ci sara' da ridere, ora sentiamo
se i nostri contadini veneti sanno anche suonare…
"Erected" apre le danze, si che sanno
suonare c***o! E non solo, reggono il palco egregiamente
e si divertono "'na cifra" (permettetemi
il romanismo), contagiando immediatamente il pubblico
che li accoglie con entusiasmo. I Bastet suonano
sporco rock'n'roll alla Wildhearts
con un timbro proprio, fatto di humour e una leggera
vena glam-punk tra "Talk Dirty" e i vecchi
Faster Pussycat. I pezzi sono orecchiabili,
di quelli che puoi canticchiare dopo un paio di
ascolti ma difficilmente finiscono per annoiarti.
Segue "Doubts in the mirror" e "Revenge
is a meal best served cold".
Il solito Pacino semiserio introduce la prossima
come "un inno alla speranza", e per la
gioia dei non bilingue presenti la annuncia in italiano,
col titolo "Stasera trombo". Si tratta
infatti di "Gonna get laid tonight", tratto
dall’album "Gimme some more of Sodom
+ Gomorrah" prodotto da Ric Browde,
concept album sulla figa e perdita di verginita’
di cui possiedo orgogliosamente solo tre pezzi (Pacinooooooooo)
tutti davvero molto godibili. Segue "Spurtin
joy wherever I go", e poi e' ora di unirsi
contro il nostro vecchio killer, Mr Kurt Cobain,
capostipite della corrente grunge che spense nei
Novanta tutto cio' che stasera stiamo celebrando.
"A qualcuno piace? Quei due laggiu' allora,
tappatevi le orecchie, quello che sentirete potrebbe
darvi fastidio…"; il pezzo e' intitolato
"Shooting Kurt Cobain", vero che ci ha
pensato da solo ma forse bisognava provvedere un
po' prima. Non puo' mancare "God is good, God
is great" (vero Reverendo??), terzo estratto
dall’ep ancora in lavorazione, insieme a “Spurtin
Joy” e alla rompighiaccio “Erected”;
e siamo quasi in chiusura con "Lipstick Army",
di cui mi sono stati promessi i "testi-filosofia"
che attendo con ansia…
E semmai avessi ancora qualche dubbio sui Bastet
e le loro influenze, la chiusura e' affidata alla
cover di "Loveshit" degli eterni e unici
Wildhearts, a cui Pacino e compagni rendono
felicemente giustizia.
Bene, qualcosa di buono sembra bollire in pentola
nelle campagne venete, possiamo solo augurarci per
la nostra e la loro gioia che qualcuno lassu' se
ne accorga…Salutiamo i Bastet (che rivedremo
a Roma il 7 maggio, http://www.bastet.tv
for info) e prepariamoci spiritualmente agli
Enuff'z'Nuff
in formazione ridotta. Donnie Vie e' momentaneamente
fuori e il chitarrista Johnny Monaco e' incaricato
della parte vocale. Ricky Parent fedelmente alla
batteria.
Il
tre pezzi di Chicago fa finalmente il suo ingresso
onstage, e, per chi ha visto come me l’intera
famiglia nei suoi quattro pezzi piu’ volte,
c’e’ un attimo di malinconia per un
amico e un artista tormentato che stasera ha dovuto
mancare l’appuntamento. Ma niente paura, i
ragazzi affrontano la situazione con tranquillita’
e affiatamento, e la voce di Monaco e’ cosi
simile a quella del vocalist originale che chiudendo
gli occhi puoi far finta che nulla sia cambiato.
Inaspettatamente aprono con il loro maggiore hit,
“New thing”, eliminando la classica
cover dei Beatles “Revolution”,
forse non adatta alle corde vocali di Johnny. Non
puo’ che essere accolto bene, riportando nell’aria
i ricordi dei bei tempi di Foxx e Frigo quando la
rock scene era allegra e colorata. Tutti ricordano
“New thing”, e molti ricordano anche
la seguente e toccante “Heaven or hell”,
poi diventa terreno piu’ riservato ai fans,
e forse il pubblico si divide un po’.
La particolarita’ degli Enuff’z’Nuff
e’ che nella scena glam ci si sono trovati
un po’ per caso, piu’ per look che per
musica, come loro stessi amano specificare, e il
loro suono piu’ pop che rock non e’
necessariamente apprezzato da tutto il pubblico
degli LA Guns. Malgrado cio’ e malgrado l’evoluzione
beatlesiana della loro musica nel corso degli anni
(hanno all’attivo 11 albums di cui i piu’
conoscono si e no meta’), hanno mantenuto
una loro fedelissima fan base, e cosi come c’e’
gente che e’ qui per gli headliners piu’
che per loro, c’e’ chi e’ qui
invece proprio per Chip e compagni e marginalmente
per gli altri. Questa fetta di audience e’
abbastanza per tenere vivo lo show, ballando e cantando
con quei bei sorrisi ebeti e felici di cui ai concerti
di Eminem non c’e’ assolutamente traccia.
La ballad “She wants more” e poi “Stoned”,
un classico per gli irriducibili di questo gruppo,
sedano l’atmosfera, che torna piu’ scoppiettante
e danzereccia con il pezzo d’apertura del
nuovo album “Welcome to Blue Island”,
“Saturday”. E’ la tipica track
superpop a la Marvelous 3 che non manca mai su un
album degli Enuff, cosi come “There goes my
heart” sullo scorso “10”, che
se non avete vi consiglio decisamente per le giornate
uggiose e per un saggio del “Vie pensiero”.
Proprio da “10” arriva la cover di Bowie
“Jean Genie”.
Ma da sempre il mio pezzo preferito, quello da occhio
lucido, e’ quella piccolo gioiello che e’
“Baby loves you” nel suo orecchiabile
e scontato romanticismo; i capolavori in fondo sono
quelli cosi perfetti nella loro semplicita’
che ti viene da chiederti come mai nessuno li abbia
scritti prima... Punto di vista personale.
Siamo in chiusura con “Fly high Michelle”,
l’altro grande successo degli EZN, quello
che Donnie odiava cantare per tutti i ricordi a
cui era legato... Compito piu’ facile per
Monaco, mi vien da pensare, con un altro brivido
di nostalgia. Ed e’ qui che mi rendo conto
che qualcosa di indefinibile e’ mancato stasera,
almeno per me, rispetto agli show gia’ visti.
Eppure, tre membri sono gli stessi, e quello che
manca e’ egregiamente rimpiazzato da un componente
della band medesima con la stessa voce, e l’affiatamento
non e’ scemato di un millimetro. Cerco di
figurarmi Vie su questo palco, e lo vedo, chiaro
e distinto: si chiama carisma, quella dote divina
che spesso dimentichiamo di considerare perche’
non puo’ essere tecnicamente o musicalmente
definita, ma che e’ stata piu’ del cinquanta
per cento della ragione del successo di alcune band.
Carisma che spesso tristemente si lega a personalita’
complesse, delusionali, schizofreniche e additive...
Perche’? Forse perche’ cosi sono i geni,
forse perche’ per trasmettere simili sensazioni
e per riuscire a descriverle in sette note ci vuole
una sensibilita’ non comune, che agli estremi
finisce per tradursi in tragedia o follia...
Salutiamo gli Enuff’z’Nuff complimentandoci
per la professionalita’ con cui hanno affrontato
questa situazione d’emergenza, e auguriamo
loro di ritrovarsi presto tutti e quattro insieme
e tornare da queste parti in formazione completa.
Ed
e’ ora degli headliners LA
Guns, anche
loro in formazione rimescolata, anche loro privi
di un membro fondatore (Tracii Guns), ma con la
differenza che si sono aggiudicati ben due rimpiazzi,
e che rimpiazzi! Alla chitarra Brent Muscat dei
Faster Pussycat da un lato, e la
“prostituta” del r’n’r Keri
Kelli dall’altra. Al basso si continua a cambiare,
stavolta c’e’ Adam che dura ormai da
un po’, magari ci resta...
E i nostri pistoleri aprono il fuoco con “Over
the Edge” tra il delirio del pubblico romano,
che nell’entusiasmo non si rende piu’
di tanto conto del declino fisico e vocale di Phil
Lewis, o forse se ne sbatte giustamente per godersi
un momento tanto leggendario.
Che dire, devo ammettere che il mio sguardo va da
destra a sinistra and back ai due chitarristi, perno
di questo show a mio parere. Convivono splendidamente,
si incrociano, si sovrappongono, si dividono, si
divertono. Keri, che avevo visto in precedenza con
Slash’ Snakepit, conferma la sua validita’
tecnica nonche’ un’ottima seppur narcisistica
presenza on stage, il chitarrista che tutti vogliono
ma nessuno riesce a tenere, il session musician
di lusso per scelta. Brent mostra tutta l’esperienza
degli anni con i Faster Pussycat, e direi un’indubbia
e gradita maturazione. Sicuri, sorridenti, complici
(attualmente insieme anche nel progetto Suki
Jones di Steven Adler).
Adam sembra ormai sentirsi a casa, e anche lui interagisce
gioiosamente. Steve Riley e’ sempre lo stesso,
con qualche anno in piu’ ma lo stesso entusiasmo.
Phil... Mah, e’ invecchiato eh? Il palco ancora
lo regge, certo non come prima, e anche la voce
non e’ piu’ la stessa, pero’ e’
lui la faccia che vogliamo per gli LA Guns, almeno
lui non si tocca.
“Kiss my love goodbye” e’ sempre
uno dei pezzi piu’ graditi, anche “Long
time dead” riscuote successo. Ed e’
ora di svegliarlo il morto, dal nuovo “Waking
the dead” ci propongono tre pezzi: “Don’t
look at me that way”, “Revolution”
e “Hellraiser ball”. Tristemente esclusa
la mia preferita “Psycopathic eyes”,
sigh.
E finalmente si torna ai classici. L’entusiasmo
monta esponenzialmente, via via che il quintetto
ci snocciola perle dello street ottantiano del calibro
di “Sex action”, l’indimenticabile
“Never enough” e “One more reason
to die”, che personalmente giudico la piu’
coinvolgente nell’esecuzione live, a pari
merito solo forse con “Electric Gipsy”.
Ma tornando leggermente indietro, una speciale nota
va a “Beautiful”, una splendida ballad
dal precedente “Man in the Moon”. Perche’
speciale? In tutti queste riesumazioni di nostri
vecchi idoli, che ormai vanno avanti da tre o quattro
anni, il concerto live e’ composto da a) Hits
pre-1992; b) Due o tre pezzi dall’ultimo album.
Tutto quello che c’e’ in mezzo viene
fagocitato in un grande buco nero, o perche’
era assolutamente dimenticabile o perche’
non avendo venduto per ragioni di epoca sbagliata
non interessa a nessuno. Onore al merito dunque
a Phil, Steve e i loro nuovi compagni d’avventura,
sia per essere riusciti a scrivere qualcosa di significativo
anche in un momento buio, sia per avere il coraggio
di proporlo pur non essendo ne’ un successo
ne’ un disco da promuovere. Bravi. Questo
e’ credere nella propria musica, molti “colleghi”
dovrebbero umilmente prendere esempio.
Restando in tema di ballads, non puo’ mancare
il “momento accendino”, con l’intro
di “Crystal Eyes” e l’immancabile
“Ballad of Jayne”, che per quanto l’abbia
sentita mille volte ormai e’ sempre un colpo
dritto al cuore.
Il bis con cui gli LA Guns ci accomiatano stasera
e’ “Rip & Tear”, che non mi
sono goduta per niente, pensando che ahime’,
questa occasione speciale, queste tre orette attese
per anni erano gia’ velocemente volate via...
Se devo dire la verita’, da veterana di gigs
di entrambe le bands (credo di aver visto in media
10 shows per ciascuna), stasera mi hanno dato entrambe
la stessa sensazione di “incompletezza”.
Su gli EZN ci siamo gia’ dilungati abbastanza;
sugli LA Guns, malgrado mi sarei inginocchiata davanti
a Brent e Keri, alla fin fine ti aspetti di vedere
Tracii. E’ una semplice equivalenza fotografica
mentale, dici LA Guns e vedi la sua faccia e quella
di Phil. Non mi lamento, come non mi lamenterei
vedendo Steven Tyler cantare con
Eddie Van Halen alla chitarra,
ma non sarebbero Aerosmith ne’
Van Halen.
Quello
che ha reso questo concerto un evento per me storico
e’ il pubblico, che personalmente ringrazio
per aver dedicato la Pasqua al r’n’r,
come diciamo qui “you made my day”!
Dunque ci siete eh, anche a Roma, dove accidenti
vi siete nascosti finora?? Non e’ ora di pensare,
lentamente e umilmente, a una serata Cathouse romana?
Io posso solo lanciare da qui, spero qualcuno si
muova.
E malgrado il mio grazie piu’ grande vada
a tutti voi rockers riemersi dalle catacombe che
avete cantato e sudato con me, vorrei ringraziare
per questa stupenda giornata i seguenti soggetti
per l’aiuto e/o godimento personale:
- Mio fratello Stefano e girlfriend Patrizia, che
hanno pazientemente aspettato in macchina un’ora
a fine show mentre organizzavo un tour degli autogrill
col Barbie Van;
- Claudio Pucci che ha fatto piu’ foto lui
backstage di un paparazzo ma deve ancora mandarmele;
- Debbie per l’impeccabile organizzazione
e la pazienza;
- Brent Muscat, Chip’z’Nuff e Keri Kelli
per collaborazione, professionalita’ e simpatia;
- Tutti gli altri in Enuff’z’Nuff e
LA Guns senno’ ci restano male;
- Rufus per l’exploit in napoletano sull’amato
Tour Manager che mi ha regalato la risata migliore
della serata;
- I Bastet per avermi ridato fiducia nel rock italiano
e nei contadini veneti;
- Pacino (lui sa perche’);
- Moreno che ancora mi da’ spazio per scrivere
‘ste boiate;
- Least but not last, il rock’n’roll,
che possa vivere per sempre, amen.
Cristina Massei
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CHEAP TRICK
Royal Albert Hall, Londra
– 13 Marzo 2003
Ed e' arrivato il giovedi
fatidico, sono eccitata per questa serata che si
preannuncia davvero speciale. Un concerto rock alla
celeberrima Royal Albert Hall… Mi correggo,
un concerto dei Cheap Trick alla Royal Albert Hall.
I Cheap Trick sono una di quelle band difficili
da collocare. Molti li definiscono una "second
favourite band", una di quelle che non e' mai
stata al top ma non e' mai tramontata, e nello stesso
tempo viene considerata dagli "intenditori"
una delle formazioni migliori di sempre. Un classico,
di cui pero' molti comuni mortali non hanno mai
sentito parlare. Venerati dai rocker piu' trucidi
come dai palati piu' fini, dai vecchi come dalle
generazioni piu' recenti. E dopo averli visti l'ultima
volta nella sauna appiccicosa del Garage, stasera
fa uno strano effetto attenderli in questo lussuoso
e rinomato teatro in zona Kensington, piu' abituato
a signore in pelliccia che a jeans e capelli lunghi.
Come sara'? Chi ci sara'?
E ormai dentro, non posso che sorridere allo spettacolo
che mi si presenta tutt'intorno: questo teatro cosi
serioso e luccicante stasera e' territorio nostro!
Accanto ai piu' giovani rocker ci sono esemplari
catapultati fuori direttamente da Easy Rider e Spinal
Tap, e ovviamente la Londra che conta: oltre me
ovviamente (!), Shuff e nientepopodimeno
che Mr Wildhearts, si, parlo proprio
di Ginger… Coprite di plastica
il velluto rosso, strana gente si aggira nelle balconate
stasera! Alcuni sembrano impacciati, intimiditi
dallo staff gentile e incravattato, ma l'alcool
comincia a scorrere e a sciogliere mentre i corridoi
della Royal Albert Hall si riempiono, e man mano
che si accumulano pinte e bottiglie ci avviciniamo
all'ora x.
La band di supporto
e' sconosciuta anche agli organizzatori, un tranquillo
gruppo di amici che suonano qualche pezzo di vecchio
rock'n'roll, cover per lo piu', tanto per scaldare
l'atmosfera.
E finalmente scoccano le 9, io e la mia fedele Minolta
siamo piazzate in pole-position sotto il palco della
fuckin' Royal Albert Hall, dove anche la security
e' in giacca e cravatta… Sono emozionata come
una quindicenne, che roba ragazzi! Si spengono le
luci, trattengo il respiro, gli harleyisti delle
prime file si alzano in piedi come fossero in uno
stadio texano alla Festa della Birra: arrivano i
nostri! Si aprono le danze, con "Hello there"
come breve intro, poi "Big Eyes".
Robin Zander e' piu' in forma che mai, in una pinstripe
suite sui toni dell'ocra e dell'arancio, mentre
Rick Nielsen, in pantaloni di pelle e scarpe da
ginnastica, corre a destra e sinistra come sempre.
Tom Petersson e Bun E. Carlos completano il colorito
quadro, signori, Cheap Trick are in the House!
Si entra subito nel vivo con "If you want my
love", uno dei cavalli da battaglia di questi
inossidabili camaleonti del rock'n'roll. La melodia
si insinua tra le eleganti poltrone, e in un turbine
di energia rapisce i presenti e porta in alto le
mani… La magia ha inizio, e la Royal Albert
Hall non e' che una cornice Deluxe a uno spettacolo
che conosciamo ormai bene.
Ultimo pezzo fotografabile
e raggiungo finalmente il mio posto, proprio in
tempo per la mia preferita… "I want You
to want Me!". Lascio che le note mi entrino
sottopelle e dritte al cuore, dove resteranno gonfiandosi
sempre piu' nelle prossime due ore. Adesso, metallari
e poppettari, vecchi e bambini, bravi ragazzi e
motociclisti ribelli, chi non si lascia sfuggire
almeno un sorriso di gioia e un tip tap del piede
con questo pezzo venga avanti che gli controllo
il battito cardiaco per favore! Che dono incredibile
e' la musica, chi vive senza mi fa davvero pena.
Ci sono giorni in cui si scaricano le pile del lettore
cd sul bus, arrivi in ufficio e regna il silenzio,
di nuovo sul bus, e senti che manca qualcosa, il
mondo intorno sembra in bianco e nero. Cibo? Acqua?
Sonno? No. Manca la musica. Metti su un pezzo come
questo e improvvisamente tornano i colori e le forze.
E c'e' gente che invece mette su il telegiornale,
o Beautiful, e li riconosci per strada perche' sono
quelli che anche quando il tuo mondo si colora rimangono
in bianco e nero. Maledetti personaggi, che hanno
trasformato questo mondo in un posto dove un artista
che tocca vite crepa di fame e un politico che le
distrugge vive in una grande casa bianca…
Che c'entra col concerto? Parte del turbine di pensieri
che mi ha provocato, dovevo condividere come sempre!
E' il momento delle presentazioni. Nei Cheap Trick
come sappiamo l'oratore e' Rick Nielsen, che tesse
le lodi dei compagni (Bun E. Carlos, una leggenda
vivente!), e ci dice che il nuovo album uscira'
finalmente il mese prossimo, e stasera ci proporranno
alcuni pezzi. C'e' subito una bella power ballad,
e poi si torna al vecchio, ma eterno, con "She's
tight". Rick ci intrattiene di nuovo raccontandoci
gli inizi in un garage di Rockford, Illinois, e
si riparte con le anteprime. Questo e' un rock'n'roll
sporco che ci ricorda gli Hanoi Rocks,
un po' diverso dai classici Cheap Trick ma senza
dubbio ottimo. Poi un pezzo piu' melodico e orecchiabile,
insomma apparentemente in questo imminente gioiello
c'e' un po' di tutto, da non lasciarselo sfuggire.
Ci sono sonorita' leggermente piu' attuali, un occhio
al mercato non fa male purche' non si rinneghino
le origini, e questo decisamente non e' il caso.
E adesso qualcosa che, sempre secondo il buon Nielsen,
hanno proposto ad un Festival quando ancora erano
belli (!), e visto che non gli hanno tirato niente
ci riprovano… "Voices": gli va bene
anche stavolta, sfido io. Segue un altro indimenticabile
classico, "Tonight it's you", e la versione
live, se possibile, e' mille volte meglio del mio
cd. O forse e' solo quest'atmosfera, questa gioia
crescente che ha ormai pervaso l'aria; lo show di
stasera sembra salire verso un apice e non raggiungerlo
mai, perche' ogni brano e' ancora migliore di quello
prima.
Come "Surrender",
esaltante, trascinante, unica, vuoi abbracciare
tutto il mondo e ti senti troppo fortunato a essere
qui, vuoi saltare sul palco per baciare Robin Zander
e urlargli "grazie di esistere" mentre
balli a braccia alzate, niente puo' battere "Surrender"!
Vero? No? Forse si, se ne vanno sembra… E
poi la voce di Rick Nielsen, "Cheap Trick is
in the House!". "Questa l'hanno scritta
due inglesi, e uno e' qui stasera", e trionfano
gli Ottanta del pop e del rock insieme, gli Ottanta
della melodia, della semplicita' e del sentimento
pre-grunge, con una delle piu' belle ballad di sempre,
"The Flame". In alto gli accendini, anche
quelli degli harleyisti che in fondo in fondo hanno
piu' cuore di Ramazzotti! E se pensate che Zander
e soci ci possano lasciare in questo stato lacrimoso,
sbagliato, questo e' pur sempre un fuckin' rock'n'roll
party… "Dream Police" ci scuote,
ci asciuga il viso e ci fa ballare per gli ultimi
minuti di questa notte indimenticabile. E' il massimo.
Ma solo perche' e' l'ultima. Se avessimo altre due
ore si continuerebbe a salire, salire, finche' i
cuori inizierebbero a scoppiare come palloncini
colorati nel cielo azzurro di primavera.
E invece e' ora di tornare a casa, con un sorriso
sulle labbra e sette note nell'anima.
Non posso che concludere questa recensione con un
grazie. Grazie a chi ha reso questo possibile (Moreno,
Carla, tutti voi che ci leggete), grazie ai Cheap
Trick, ma soprattutto grazie a ogni artista in questo
mondo per questi doni senza prezzo che chiamiamo
emozioni.
Cristina Massei
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CATHOUSE / FUORI USO
Albino (Bg) – Offside
12-2-2003
Cosa c’è
di meglio di una buona dose di Rock’n’Roll
per scaldare una fredda serata di febbraio? Non
potevo davvero mancare visto poi che il locale in
questione è a 20 minuti da casa mia…
Aprono la serata i FUORI USO, band
di cui spesso si è parlato anche nei Forum
di SLAM, soprattutto dopo la loro presenza alla
SLAM Nite di dicembre in cui avevano distribuito
il loro promo a 2 pezzi molto accattivante (e non
solo nella grafica..!!).
Sono circa le 22.30
quando i 4 di nero vestiti salgono sul piccolo palco
dell’Offside e la prima sopresa della serata
è il suono... pulito, potente e assolutamente
insolito per il locale in questione.
L’apertura è "Big Shot Tokyo",
uno dei 2 pezzi presenti nel promo e subito lo show
si mette nel verso giusto, soprattutto perché
nonostante il pubblico non sia certo numeroso, la
band spacca che è un piacere..
Ho modo di ascoltare alcune delle canzoni che usciranno
a breve in un nuovo ep e credo che davvero ci siano
le premesse perché venga fuori qualcosa di
competitivo.
La cosa difficile è
riuscire a catalogare i FUORI USO... una sorta di
Motley Crue periodo "Shout
at the Devil" dell’anno 2003, aggressivi
ma sempre alla ricerca della melodia come in "Goin’
Fas"t e "Dancin’ in my Fire"
(se ho capito bene il titolo...).
Sono MOLTO curioso di ascoltare il nuovo ep…
Non è per niente
difficile invece catalogare i CATHOUSE
(è non è un offesa…), Street-Glam
dei più classici, come le indimenticabili
band del Sunset hanno insegnato.
Se non fosse per la temperatura esterna parrebbe
davvero di trovarsi in uno di quei club che hanno
scritto la storia, anche se bisogna dirlo la proposta
dei CATHOUSE non risulta assolutamente datata...
anzi.
Logico che cover di
bands come Guns’n’Roses
e Faster Pussycat mettano di buon
umore ma la mia attenzione si è soffermata
soprattutto sui pezzi originali della band e da
quanto ho sentito siamo davvero sulla buona strada...
"Lesbian Night" è molto Poisoniana
nell’approccio e dotata di un coretto che
ti ficca nella testolina in 3 minuti, "Rock
is All You Need" è una dichiarazione
d’amore in piena regola, mentre il terzo pezzo
di cui non ricordo il titolo richiama vagamente
qualcosa di bands come Cinderella
o Tesla, soprattutto per quell’intro
di slide guitar..
Da rimarcare la prova
di tutta la band, DD Cat è davvero un frontman
capace di coinvolgere la gente, sezione ritmica
precisa e pulsante e chitarristi con tocco decisamente
diverso e proprio per questo complementari…
La prossima partecipazione al Glam Attakk
è il giusto riconoscimento per una band che
non inventerà nulla di nuovo ma che sa come
intrattenere e divertire..e questo al giorno d’oggi
non è davvero poco…
Federico Martinelli
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HANOI ROCKS
Tavastia, Helsinki 31/1/2003
Sono a casa gli Hanoi,
al Tavastia e come viziosi padroni di casa si comportano.
L’attesa e’ piu’ lunga del previsto,
mi sembra di avere aspettato sotto il palco almeno
tre ore, ma forse era solo l’emozione…
Fuori si gela, l’ottimistico termometro di
Rautatientori segna -19°, ma all’interno
la temperatura e’ piu’ simile a quella
di un reattore nucleare (!?) e il pubblico e’
isterico, crepitante e molto vario…c’e’
una signora nella toilette che sembra la mia prof
di chimica, ha in mano un bicchiere di Koff e continua
a strillare PAAAAAAAAAAAARTYYY!!! alle le ragazze
che vanno e vengono dal bagno. Dalla prima fila
intravedo Andy che sbircia dalla porta del backstage
e ha un’espressione soddisfatta. Sembra che
tutto sia pronto, ma dobbiamo essere pazienti ancora
fino a mezzanotte, quando finalmente tutte le luci
si spengono e inizia lo show. Eccoli li’,
Andy e Mike, sono in perfetta forma e piuttosto
aggressivi: vogliono dare il meglio, e pretendono
il meglio dal pubblico, che di certo non li deludera’…
Mike indossa degli improponibili
pants con lucine blu e rosse lungo tutta la gamba,
e orecchini uguali… sono le uniche luci che
si vedono nel buio all’inizio!! Andy invece
mantiene il suo look gypsy, e sono felice di vedere
che sta davvero bene stasera: non e’ costretto
a suonare seduto come lo avevamo visto a Milano,
e ha un’espressione davvero rilassata, nonostante
l’energia che riesce a trasmettere al suo
pubblico.
I primi due pezzi sono Obscured e Delirious, scelta
dovuta (credo) proprio al fatto di trovarsi a Helsinki,
visto che il nuovo disco qui ha avuto sicuramente
piu’successo che nel resto d’Europa.
E infatti bastano poche note che il pubblico gia’
e’ al top, e sa tutte le parole a memoria.
Seguono Malibu’ Beach Nightmare e Watcha Want,
e si scatena l’inferno sotto il palco!! E’
praticamente impossibile sperare di fare delle foto
decenti…mahh vedremo! Si prosegue con altri
classici, da I can’t get it a Underwater World,
fino ad arrivare a una commovente Don’t ever
leave me, eseguita in modo struggente ed energico,
al punto che Andy a un certo punto cade a terra!
Da sotto mi sembra quasi una brutta caduta, ma vedo
che si rialza immediatamente e continua a suonare,
la gente totalmente rapita da un incantesimo che
non avevo mai visto prima. E’ il momento di
Boulevard of Broken Dreams, e l’invito di
Mike a cantare con lui viene immediatamente accolto
da tutti senza la minima esitazione…
Dopo la parentesi di
classici si prosegue con altri pezzi da Twelve Shots
On The Rock: da People Like Me a Gypsy Boots, da
Cafe’ Avenue a Lucky non c’e’
neppure un secondo da perdere, finisce un pezzo
e inizia quello successivo, senza un attimo di stacco:
gli Hanoi non hanno nessuna intenzione di smettere
proprio ora, si continua in un crescendo interminabile,
e quando arriva il momento di Tragedy e’ chiaro
che quello che hanno da offrire non e’ ancora
finito. Il pubblico e’ assolutamente in estasi
sulle note di questo pezzo, e Mike si lancia con
uno stile perfetto su una folla davvero compatta,
che sembra inghiottirlo e non volerlo piu’
lasciar andare. Si sa, siamo in Finlandia, non ci
sono security men di nessun genere, e solo dopo
un bel po’ che le mani delle persone continuano
ad essergli addosso Mike riesce ad arrivare al palco:
si siede semplicemente sul bordo e continua a cantare,
un ragazzo lo abbraccia strettissimo, qualcuno gli
accarezza i capelli. L’atmosfera e’
decisamente intensa, elettrica, il pubblico meravigliosamente
compatto e deciso a non lasciarli andare via, ancora
per un po’ , cosi’ che quando il pezzo
finisce e la band fa per tornare nel backstage nessuno
crede sia davvero finita…
Bastano un paio di minuti
ed eccoli di nuovo fuori, pronti a regalarci ancora
qualche forte emozione: ancora due pezzi storici,
Motorvatin’ e’ talmente furiosa e sfacciata
che sembra quasi che il concerto stia cominciando
di nuovo…anziche’ volgere al termine,
e poi Up Around The Bend…quale conclusione
migliore? Stavolta sembra che sia davvero finita,
Andy e Mike salutano, tornano nel backstage, ma
il pubblico e’ talmente preso, ipnotizzato
e iniettato dal suono degli Hanoi che ha davvero
bisogno di un’altra dose prima di rassegnarsi
all’idea che deve tornare a casa. Bastano
pochi minuti di attesa e loro sono di nuovo li’,
pronti a regalarci l’ultimo pezzo, qualcosa
di veramente chill out stavolta…qualcosa che
permetta loro di concludere lo show. Le prime note
di In My Darkest Moment riempiono la sala, bellissima
conclusione, e la gente vive con trasporto ogni
singola nota, ogni singola parola di questa canzone,
lasciandosi cullare verso la fine. E’ finito.
La band esce di scena, ma ci vuole ancora un attimo
prima che la gente cominci a disperdersi…io
sono assolutamente rapita, come tutti credo, ma
non e’ ancora finita per me. Dopo un po’
riesco a intrufolarmi nel backstage! Inutile dire
che mi sembra davvero impossibile, e invece sono
li’, Mike mi offre un drink, e ne approfitto
per chiedere a Andy del famoso disco con Seb Bach…si
vede che e’ a pezzi dopo lo show, parla nel
suo modo strascicato e molto lentamente, come tutti
i finlandesi, ma mi dice che crede che quel disco
non vedra’ mai la luce, anche se gli dispiace
perche’ secondo lui c’erano degli ottimi
pezzi. Non lo disturbo oltre perche’ vedo
che vuole solo andarsi a sedere, vedo la ragazza
di Mike ma non Angela…e vedo Ville, gli parlo
cinque minuti, e’ sempre gentilissimo e molto
disponibile con tutti e mi dice che al momento sono
impegnatissimi nella registrazione del nuovo album.
E’ il momento di tornare a casa, e devo anche
sbrigarmi se non voglio rimanere bloccata nel gelo
di una meravigliosa notte finlandese…
Glammie69
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TOILET BÖYS
live @ Hiroshima Mon Amour
– Torino 1 febbraio 2003
Sono passate poco più
di 12 ore da quando sono rincasato dal concerto,
e sono ancora eccitato e arrapato, manco fossi stato
in vacanza a Sodoma & Gomorra! E il CD dei Toilet
boys gira in loop nello stereo da quando ho aperto
gli occhi... succede di rado, ma quando capita ringrazio
che esista questo folle circo colorato e dalle mille
contraddizioni.
Ed era incominciato tutto in modo piuttosto blando,
mi ero infatti avvicinato al concerto con il sangue
ancora avvelenato dal concerto-buffonata dei MISFITS
della sera precedente, e onestamente dei Toilet
Boys avevo solo ascoltato distrattamente le prime
uscite, che non mi erano per nulla piaciute.
La cosa positiva è vedere che ogni tanto
la motorcity esce dal suo letargo e rispolvera la
carrozzeria, biglietto di ingresso a soli 8 euro
e tutti i rocker locali e in trasferta accomodati
in prima fila sotto al palco. Entra la band, la
schiena al pubblico, chitarre rivolte verso gli
ampli e una immagine glamour trash degna della città
da cui provengono (NYC of course), e capisco che
sta per accadere qualcosa che ricorderò per
un pezzo.
I Toilet Böys incominciano
a suonare come delle furie, sciorinando onciate
di classe dalle prime plettrate, e poi entra sulla
scena lei, pardon lui, oppure lei... ma che cazzo
importa?!? Miss Guy fa il suo ingresso sul palco
e si candida ad entrare nel regno dei frontman più
sensuali, carismatici e divertenti del glam punk.
Classe è la parola d’ordine, perché
a dispetto dell’immagine così forte
e sessuale, Miss Guy si rivela in primis un abile
cantante, ma soprattutto un magnetico mattatore,
si rivolge al pubblico, scherza, sculetta, regala
un paio di slip della band, senza mai dare l’impressioe
di recitare una parte. This is for real. Dopo il
concerto il nostro si concede (ehm!) al pubblico,
restando a chiaccherare con savoir-faire con i presenti
per quasi tre ore, mentre il locale è affollato
dai ragazzini alternativi che ballano sbronzi la
musica di merda della MTV – generation.
Ma torniamo al concerto.
“Party Starts Now”, la festa inizia
e alle mie spalle arriva uno Sweet (POUTY
LIPS) su di giri che mi guarda e dice:
“Wayne County! Fantastico.”,
e non posso che associarmi. Miss Guy indossa una
tuta che dopo pochi minuti lascia il posto a calze
a rete e mutandine, Sean imbraccia la sua Washburn
customizzata con tanto di forcone e si agita come
un demonio, e i puro Ace Frehley-style,
fa partire dalla sua chitarra razzetti e scintille.
I Toilet Böys sono perfetti nell’incarnare
tutti gli elementi della scena di NYC: la confusione
sessuale delle NEW YORK DOLLS,
il rock’n’roll spettacolare e pirotecnico
dei KISS, e la furia punk rock
di RAMONES e D-GENERATION.
Rocket all’altra chitarra sforna un riff dietro
l’altro e si spara una serie di pose da manuale
quando sale sulla pedana che va verso il centro
del palco, Eddie alla batteria non perde un colpo,
ed ha lo stesso sguardo allucinato delle foto del
booklet, mentre Jimmy percuote il suo bellissimo
Thunderbird e salta come un grillo (ahah lo sapevate
che fa Grillo di cognome? Come Rocket è d’origine
italiana!), i capelli sugli occhi e un look perfetto,
un viso vagamente simile a Tracii Guns,
e un taglio di capelli à-la Jussi
meets Nikki Sixx... roba
da fare gongolare un fashion boy come il sottoscritto!
I pezzi si susseguono urgenti e ammalianti, dietro
alla band esplodono fuochi d’artificio, ma
alla pit viene riservato un trattamento d’onore,
dai manici di chitarre e basso incomincia a partire
una cascata di scintille che ci casca addosso, e
mentre indietreggio sento la schiena che brucia
e odore di capelli striati! Impressionante l’assolo
di “Millionaire”, durante il quale Sean
da fuoco alla sua chitarra, e in “You Got
It”, da vero circus-boy, regala al pubblico
uno spettacolo da mangiafuoco.
Siamo tutti eccitati, la band ci ha ormai inesorabilmente
in pugno, e con “Saturday Night” è
l’apice, nessuno riesce più a stare
fermo e a non cantare... Miss Guy chiede se vogliamo
sentire una song dei KISS oppure
dei RAMONES, e dopo una gara di
boati che finisce alla pari, inarca le sopracciglia
e sorridendo esclama “Oh, e va bene, le facciamo
tutte e due!” e così il concerto viene
concluso da due cover al fulmicotone di “Blitzkrieg
Bop” e “Deuce”.
La fine arriva troppo presto, il banchetto del merchandising
viene preso d’assalto (ho visto un arrapatissimo
Mr. Morrone comprarsi una bellissima maglietta!!)
e tutti vanno a farsi le foto con la band, che si
mostra affabile e così gentile e tranquilla
da mettere quasi in imbarazzo. Miss Guy sorride
al mio amico Efi e gli dice che assomiglia molto
a Vince Neil, rendendolo felice
come un bambino! La festa termina al mattino alla
discoteca rock Faster (io non sono andato, chissà
che han combinato...) e dopo aver salutato la combriccola
imbocchiamo la strada di casa. In macchina, manco
a dirlo, il CD dei Toilet Böys... Fantastici.
Simone Parato
Spotlight
on Wayne (Jayne) County
Vi state chiedendo chi
diavolo sia Wayne County? Ho passato
la domanda a Sweet Mauro, che con gran gentilezza
e velocità ha scritto le seguenti righe:
Wayne County era un
ragazzo che dalla profonda provincia americana riuscì
a diventare personaggio chiave della trash-scene
newyorkese e più tardi icona punk di tutto
rispetto.
Wayne era un adolescente depravato-arrapato che
girava con i sissy boys per le strade della sua
città di provincia, realtà che ben
presto cominciò a stargli stretta, tanto
da spingerlo a fare armi e bagagli verso la babilonia
del vizio e della depravazione: New York.
Ben presto entrò a far parte del giro più
vizioso della New York di allora, fine anni '60,
cioè quello che si era sviluppato attorno
ad Andy Warhol, giro fatto di drag-queens,
travestiti, tossici e degenarati di ogni genere,
insomma, il "nostro" andava in giro e
si toccava con drag-queens del calibro di Holly
Woodlawn.
L'amore per il rock'n'roll
si fece però sentire presto, infatti Wayne
a partire dai primi anni '70 ricoprì il ruolo
di DJ fisso del Max's Kansas City, locale culto
della trash scene newyorkese, frequentato da tutto
l'ambiente underground ma anche da personaggi come
Jane Fonda, Warhol stesso e i Velvet
Undergound. Il nostro era inoltre chiamato
a mettere dischi prima dei grandi eventi, insomma
prima che le Dolls salissero sul
palco toccava a lui scaldare l'atmosfera.
Parallelamente alla sua attività di Dj c'era
quella di cantante nel suo gruppo personale, i Queen
Elizabeth, attrazione fissa del Mercer
Arts Center, ed è inutile dire quale fosse
l'immagine proposta da Wayne, che ormai aveva preso
completamente coscienza delle sue depravazioni:
tacchi alti, capelli biondo platino, reggicalze,
trucco pesantissimo e boa di struzzo a strafottere.
Cosa più importante però è
che la sua non era solo una scelta di immagine,
Wayne si sentiva donna a tutti gli effetti ed era
naturale per lui proporsi in quel modo.
Intanto gli anni passano, arriviamo alla seconda
metà dei '70, la scena si sposta dal Max's
Kansas City al CBGB's e anche la musica cambia,
vengono abbandonati i fronzoli del glam e si passa
al punk. Come disse Bebe Buell:
"Il momento in cui Joey Ramone
buttò via la pelliccia per indossare il chiodo
ebbe sulle glam bands lo stesso effetto che ebbero
i Nirvana sulle hair bands".
Anche il nostro si adegua
alle nuove tendenze, fino a prendere parte attivamente
alla scena punk, ma senza mai abbandonare il suo
travestitismo e le sue provocazioni-divagazioni
sessuali. Wayne nel '77 parte addirittura per Londra
per godersi il punk da vicino e per cercare un po'
di gloria con la sua nuova band, gli Electric
Chairs. La formula è questa: Wayne
si presenta sul palco come un ibrido, un essere
nè uomo nè donna coperto da una tuta
da metalmeccanico, che prontamente durante il concerto
si toglie per mostrare le sue grazie abbellite da
autoreggenti, corsetti e slippini.
Da questa attitudine alla coronazione del suo sogno
il passo è breve : Wayne si sottopone all'operazione
del cambio di sesso per passare definitivamente
a Jayne County, continuando a suonare rock'n'roll
anche da femminuccia.
Oggi la nostra bella girovaga ancora per i clubs
di New York City e viene fotografata assieme alle
nuove leve del glam-trash-rock'n'roll della grande
mela e proprio Miss Guy riferì in un'intervista
che dopo un colloquio con la regina della sconciaggine
sessuale lei gli disse che l'unico posto che può
ora assomigliare al Max's Kansas City è lo
Squeezebox.
Le somiglianze palesi che ho notato tra Miss Guy
e Jayne County sono appunto nella proposta dello
spettacolo (vestiti, capelli, travestitismo) ma
è da notare anche la riproposta temporale
di un certo modo di essere che era stato chiaramente
di Wayne County e che la grande mela ha fatto in
modo di farci riavere in versione naturalmente ringiovanita...
Per questo mi viene da dire che Miss Guy è
un po' la Jayne County dei giorni nostri.
Questo è quanto Bad Boy.....
Sweet Mauro
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D-A-D + Tim Christensen
London, Shepherd's Bush
Empire - 15 Dicembre 2002
Ennesimo gig segreto
londinese, non perche' queste fossero le intenzioni
ma perche' per qualche oscura ragione questo concerto
non avuto nessuna, dico nessuna promozione. Fortuna
vuole che ci sia gente come il solito Shuff che
legge minuziosamente i listings di ogni club, e
seppure incredulo ha chiamato l'Empire per conferma.
E' cosi che in uno dei miei regolari sabati sera
al Decadence vengo assalita con la notizia, e ho
meno di 24 ore per prepararmi tecnicamente, fisicamente
e psicologicamente e per diffondere la parola nella
locale comunita' rock. Signori, uno degli eventi
che molti di noi hanno atteso per anni sta per avere
luogo, e stavamo per perderlo: dalla Danimarca con
ardore, i D-A-D!
Lo Shepherd's Bush Empire
e' un ottimo venue, un teatro che ha ospitato di
recente Bon Jovi per la sua prima
esibizione da club dopo anni di arene, e l'occasione
e' la celebrazione del Natale danese; a ulteriore
riprova dell'immensita' numerica della comunita'
scandinava a Londra, la serata non e' sold out ma
decisamente gremita. Tra pinte di birra e facce
slavate e allegre faccio la conoscenza del disponibilissimo
manager Christian e mi appresto a seguire l'artista
di supporto, Tim Christensen.
Rock ma di quello rilassante, da ascoltare di sera
davanti al fuoco con la persona del cuore, una chitarra
e una pinta di buona birra, decisamente buona per
scaldare l'atmosfera mentre il locale lentamente
si riempie.
L'ora tanto attesa sta
per arrivare. I roadies montano il palco, e lo show
inizia gia' da qui: c'e' alle spalle il gigante
ariete vecchio simbolo dei Disneyland After Dark,
ma non e' una foto, e' reale e pesante, mi dicono
gli addetti ai lavori; la batteria di Laust Sonne
si erge rialzata nello sfondo letteralmente avvolta
di piume bianche. 17 anni dopo il primo "Call
of the wild", la band danese si prepara a ricompensare
degnamente l'attesa di molti.
E finalmente lo storico quartetto fa il suo ingresso
sul palco: Jesper, Jacob, Laust e il mitico Stig
al basso sparano subito adrenalina con "Evil
Twin" dall'album "Everything glows"
e ci trascinano nel cuore del rock'n'roll con l'ottima
"Road below me"; il pubblico e' gia' in
delirio.
La solita domanda, come
e' possibile che certe band siano rimaste una chicca
per intenditori del genere, consacrati star nel
loro Paese ma pressoche' sconosciuti alla stragrande
massa, mentre Limp Bizkit continua
a vendere? C'e' qualcosa che non va in questo mondo.
Speriamo almeno i Danish Music Awards a cui sono
quest'anno candidati gli rendano parziale giustizia.
"Reconstrucdead" e' un po' piu' classic,
e siamo finalmente all'ultimo lavoro dei D-A-D con
la title-track "Soft Dogs", splendida
ineccepibile blues ballad che dovrebbe scalare classifiche
in c***o a Eminem e alla neo-fidanzata
di Fred Durst (si, la cara
Britney per chi non lo sapesse...). E
sempre da questo album che vi straconsiglio se non
lo avete ecco "-So What?", che inizia
come una ballad per poi esplodervi in faccia insieme
alle corde del basso di Mr Pedersen, che continua
a suonare con due: non era una leggenda allora!
Ed e' "Everything
glows", fuoco nelle vene, l'Empire canta tra
fiumi di birra e ringrazia Babbo Natale; si prosegue
nell'esplorazione dell'album anno di grazia 2000
con "Something Good", ballad al cento
per cento che esalta senza vergogna le corde vocali
blues di Jester, e noi ci lasciamo cullare e scaldare....
Ma non c'e' tempo, un'altra perla del secondo millennio
ci risveglia a tempo di rock'n'roll, e' "1900&yesterday",
navigandoci di nuovo ai nostri giorni, con "Un
Frappe Sur La Tete" che di francese non ha
proprio nulla! Scintillante pezzo di rock'n'roll
che ci cattura per poi farci sorridere in un finale
reggae, e indietro ancora, rewind fino a "Simpatico",
perfetta fusione di rock e blues sottolineata ancora
dai cori del pubblico; e da qui e' un treno in corsa
senza freni, pieno di pazzi passeggeri tesi fuori
dai finestrini senza paura di schiantarsi, occhi
spalancati e folli sorrisi, cantando a squarciagola
"Jihad" e "Bad Craziness" mentre
ci avviciniamo inesorabilmente alla fine... di questo
indimenticabile concerto.
Un'ora e' passata come
fossero dieci minuti, vorremmo poter tornare indietro
ma poi vogliamo anche andare avanti, perche' sappiamo
che sta per arrivare, siamo incredibilmente vicini
a quei cinque minuti che abbiamo continuato a immaginare
da ieri sera. In confronto all'intensita' del prossimo
brano, il sogno vissuto nell'ultima ora non e' che
un'introduzione. Bum, si illuminano per l'ultima
volta di rosso gli occhi del grande ariete, poi
la sagoma, e poi fu la luce, bianca come le piume
della batteria di Laust, luce tutto intorno, note
di chitarra accompagnati dal battimani del pubblico;
per tutta la prima strofa Jesper passa il testimone
ai fedelissimi dell'Empire, poi riprende il microfono
per cantare insieme a noi "Sleeping My Day
Away", e se fino a qui non avevate intuito
di che stavo parlando cambiate sito e andatevene
su Kerrang per favore.
E da veri gentlemen,
i magnifici Disneyland After Dark ci danno modo
di calmare l'orgasmo finale con il caldo abbraccio
blues della conclusiva "What's the matter",
cosa vuoi di piu'? La risposta e' ovvia: un'altro
di questi show, anzi cento, possibilmente domani,
o anche ora!
Mentre abbraccio Shuff e medito sull'opportunita'
di un viaggio in Scandinavia, seppur ringraziando
la mia Londra per queste sorprese ultragradite,
vi saluto e vi invito ad acquistare di corsa "Soft
Dogs" e a tenere d'occhio www.D-A-D.dk
per una prossima data vicina a voi...
Cristina Massei
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QUIREBOYS + THUNDER
London, The Marquee - Mercoledi
28 Novembre 2002
In molti continuano
a chiedermi, “Perche’ Londra? Con quel
tempo e quella vita frenetica!”... Eh si,
vivere a Londra significa riprenderti il tuo ombrello
alla fine di una giornata di lavoro e correre sotto
la pioggerellina inglese, significa precipitarsi
giu’ dalla scala mobile per imboccare la prima
“Tube”, e in tutto questo non e’
ancora ora di andare a casa al calduccio come voi
fortunati milanesi! Perche’ vivere a Londra
significa anche avere un’amica rompic***ioni
come la Vik che ti chiama in ufficio quando pensi
che la giornata stia finalmente volgendo al termine
per dirti “Dude!! Gig segreto di Quireboys
e Thunder al Marquee, ci becchiamo
alle 7??”. E tu, che gia’ pregustavi
un piatto caldo e la TV, non puoi che restare ancora
una volta senza cena, chiederti perche’ non
sei rimasta in Italia, arrivare davanti al figlio
del vecchio glorioso Marquee e trovare la risposta:
la leggi sulle solite familiari facce accalcate
al bar, nel sorriso della Vik, negli occhi luminosi
di Spyke che finalmente irradiano il palco, incorniciati
da quel logo che puzza di birra e di storia.
Ciao Londra! Ora come
allora, e speriamo per molti anni a venire, i Quireboys
riempiono il Marquee, e se nei magici Ottanta era
bastato il passaparola, stavolta e’ bastato
passarla sottovoce in mezza giornata. Hey, non e’
figa ‘sta storia del gig segreto? Ti senti
un po’ parte di una setta, di un (mega) gruppo
eletto. Peccato sia così segreto da non permettere
testimonianza fotografica, ma perche’ pensate
che noi del mestiere impariamo a farle senza flash??...
L’esibizione dei Quireboys supera di gran
lunga quella di supporto ad Alice Cooper
per durata ed atmosfera, e’ rock’n’roll
al suo stato piu’ puro, voce roca, fumo, aroma
di legno e lager, jeans e bandanna, “It’s
only rock’n’roll”, God Bless!
Il pubblico si abbraccia, canta e balla, in una
surrealistica catena di sudore e sorrisi. E ancora
una volta, di fronte al logo “Marquee”,
al sempreverde Spyke, a questa folla di adulti tornati
teen per un’altra notte, con il caldo blues
di “Hey you” nel cuore, mi ritrovo nelle
mie fantasie dylandoghiane, a chiedermi se tanto
discusse dimensioni parallele e porte spazio-temporali
non siano sempre state in realta’ davanti
ai nostri occhi... o dovrei dire orecchie?
Spyke ci mostra una
cicatrice sul torace: “Vedete? Lei mi ha spezzato
il cuore... Hey, quelli del vecchio Marquee ridevano,
dovete ridere anche voi!” E non c’e’
dubbio, perche’ noi SIAMO quelli del vecchio
Marquee. E si ride, e poi si piange: e’ ora
di “I don’t love you anymore”.
E quando, dopo anni di concerti, viaggi, emozioni
e delusioni, pensavo non potesse piu’ succedere,
quando temevo ormai che davvero diventare adulti
significasse che una bella canzone e’ solo
“una bella canzone”, la sento tornare,
lenta dai miei occhi lucidi giu’ per il viso...
Grazie Spyke per avermi ridato una lacrima, non
di tristezza e forse neanche di gioia, come spiegarla?
E’ il frutto di una vibrazione collettiva,
di una folla che canta, di un uomo che ancora crede.
“Here she goes
again”: si, eccomi, ce l’ha con me che
sto andando di nuovo fuori dalle righe! Asciughiamo
la lacrima ed e’ ora di ballare, e’
ora per gli zombie del Marquee di conquistare la
citta’, tremate finti vivi, perche’
dopo questa carica noi non ci arrenderemo ai System
of a Down!! Anzi, a niente che sia “down”,
perche’ dopo una carrellata di Quireboys vecchi
e nuovi l’adrenalina non la spegni neanche
con l’estintore! Caldo, appiccicoso Marquee,
ora come allora, col sudore che ti entra negli occhi
e non te ne frega niente, perche’... perche’
“it’s time for the party”, “7
o’clock” in codice Spyke, fans di Limp
Bizkit per favore lasciate l'aula, non
e' roba per voi, che non sapete neanche cos'e' un
party. Men che meno cos'e' un "Sex Party",
perche' siete anche esteticamente ripugnanti e sessualmente
repressi. Tristi. Inutili. Tenetevi gente come
Eminem che chiama un tour "Anger (rabbia)
Management" e lasciateci ballare, in questo
nostro datato mondo di colori e melodie.
E purtroppo il tempo
vola ed e' giunto il tempo di salutare i Quireboys
e asciugarsi il sudore. In attesa dei Thunder
si va tutti verso il bar, e retrocendo
notiamo che alle nostre spalle c'e' stato un parziale
cambio di scena tra il pubblico: ora la generazione
prevalente e' quella ancora piu' vecchia, siamo
proprio tornati a mullet e motociclisti. Io e i
miei coetanei ci scambiamo occhiate divertite e
incredule, ci chiediamo dove tutti questi ultra-quarantenni
siano stati rinchiusi finora e come abbiano saputo
di un gig teoricamente segreto. Mi dicono attraverso
fan club, e seppure i Thunder non siano i miei preferiti
un seguito cosi fedele ha la mia piu' totale ammirazione.
Effettivamente, quando
la band sale sul palco ci sentiamo un po' fuori
luogo. So che sicuramente ci saranno fans dei Thunder
tra i nostri lettori e mi scuso, ma non e' proprio
il mio genere. Il vocalist sembra appena uscito
da "Il Vizietto" e il resto della band
da "Spinal Tap", e a
parte i classici che tengono per il gran finale
la maggior parte dei pezzi non mi sono familiari.
Uno a uno gli "over30" abbandonano il
campo e lasciano rispettosamente spazio agli "over40".
Non e' il nostro party, eppure restiamo per oltre
meta' concerto per godere l'atmosfera "pensionati
in gita". Di primo istinto ti viene da pensare
che l'accoppiamento non ha senso, ma riflettendoci
meglio il nesso c'e': il Marquee con questa serata
decisamente revival ha fatto un bel regalo non a
una ma a due generazioni, e tenendolo come gig "segreto"
ha fatto si che il pubblico riunito stasera fosse
quello piu' fedele, coloro che sull'onda dei ricordi
avranno avuto piu' di un brivido sulla schiena e
ricorderanno queste due ore per molto, molto tempo.
E' ora di andare; do' un'ultima occhiata all'audience
festosa dei Thunder e mi chiedo, caro il mio Dylan
Dog, quanto ancora indietro questa grande
macchina del tempo che e' la musica potrebbe trascinarci
se solo tutti avessimo il coraggio di crederci...
Cristina Massei
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Glam Horror R'n'R Nite
23 dicembre 2002 - Baylonia,
Ponderano (BI)
Il Babylonia, ex-locale
leggendario e cuore della musica live del nord Italia,
era sprofondato in un triste torpore negli ultimi
tempi. Dove il Rock 'n' Roll un tempo ruggiva e
dove gli Hellacopters delle origini,
quelli con Dregen, avevano mosso i primi passi sul
suolo Italico, ora c'è posto solo per gruppetti
italiani di second'ordine, tribute band, reggae
e immondizia di vario genere.
Di conseguenza una serata come quella del 23 dicembre
non può essere che uno splendido regalo anticipato
per individui che, come il sottoscritto hanno un
cuore che pompa riff, sudore e attitudine abbondante
come la vaselina sul set di un porno movie...
Ad aprire le porte della
Babylonia Rock sono le leggendarie puttane glam
del vercellese, i sempre più scintillanti,
sempre più arrapanti e sempre più
erotici Pouty
Lips. Il loro show a base di cori
ultracatchy, riff presi di peso dal glam rock settantiano
di Sweet e New York Dolls
e una presenza scenica da far bagnare le mutandine
persino alla più frigida delle signorine
presenti, è oramai una certezza... "Sfregiami",
"Little broken toy", "Dangle up your
feet" e le più recenti "Let me
light", "African Size", "Teenage
Pills" sono piccole gemme di rock anfetaminico
e attentissimo al riff perfetto.
Infine come non amare un gruppo che tra le proprie
cover inserisce "Personality Crisis" e
"Harder They Come" (in una versione incredibilmente
"Johnny Thundersiana")? Peccato per i
suoni imperfetti e legnosi del Babylonia che sacrificano
un po' l'impatto del quintetto...
A seguire appaiono i
tedeschi The Spook.
Ammetto di averli accolti con aspettative piuttosto
basse e di averli liquidati come cloni dei Misfits
ma sono ben felice di essermi sbagliato...
Sono truccati poco e male, il singer è un
patatone pelato con un cappellaccio anni trenta
in testa, il resto della band ha il fascino fisico
di una colonia di scarafaggi ma la musica, beh quella
colpisce. I pezzi, quasi tutti dal loro album di
recente uscita, sono un possente miscuglio di energia
punkeggiante, vocals basse e da crooner (molto alla
danzig degli esoprdi in effetti) e melodie rock
semplici, ficcanti e deviate.
Dopo poco il gruppo inizia a far saltellare i presenti
e pure il sottoscritto non riesce s a trattenersi
dal battere piede, testa, tutto il
corpo, tanto è il potenziale trascinante
di questi laidi crucchi (Che nel backstage si riveleranno
dei puzzoni viscidissimi ma questa è un'altra
storia...). Notevoli, anche se la somiglianza coi
Misfits è abbastanza forte
da relegarli nel limbo dei gruppi molto bravi ma
senza personalità abbastanza spiccata, non
ancora almeno...
Per concludere ci sono
loro, i pupilli della scena rock italiana, gli STP.
La band suona da anni e ha supportato le stelle
più famose dello scan rock. Ha abilità
sul palco e tecnica, attitudine e la grinta possente
che solo chi è un vero musicista fino al
midollo sa avere. In più, anche di fronte
ad un pubblico decisamente sparuto come quello di
questa serata, danno il massimo.
Il loro problema semmai è, come dire, nel
manico. Le loro canzoni, sia quelle più classiche
che le nuove e persino le cover sono estremamente
difficili da distinguere per chi non li conosce
bene... "Back in Black" degli AC/DC
viene eseguita alla velocità di un treno
e pare un pezzo dei loro gemellini Gluecifer,
"Vietnamese Baby" delle New York
Dolls è quasi impossibile da riconoscere...
Il loro sound è ormai standardizzato, potente
ma carico di deja vu, insomma molto simile a quello
di centinaia di gruppi che cavalcano il successo
di acts più famosi come Hellacopters
o i sopracitati Gluecifer. Un pizzico
di Motorhead, un pizzico di MC5,
molto Ramones (Ai quali gli STP
devono anima e cuore), look in stile "Fifties"
con basettoni e vestitit a puntino... Sono una band
che può molto e probabilmente ha un buon
futuro davanti ma non riescono a colpirmi al cuore
più di tanto. Forse la colpa è mia
ma il vero calore e la vera nima del Rock sono altrove...
In sintesi una serata
piacevole ma poco apprezzata dal pubblico che, tristemente,
diserta il sano rock 'n' roll... Troppa poca gente
per sperare in un seguito... Ma chi lo sa, incrociamo
le dita coperte di smalto!
Andrea Costanzo
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