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Pix by Paolo The Punisher
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THE DISTILLERS
Venerdì 21/11/2003,
Rainbow Club, Milano
Brody Dalle non ha più
bisogno di chiamarsi Brody Armstrong, ormai sa camminare
sulle sue gambe, ma ci sono 3 o 4 persone al Rainbow
Club stasera che, come me, si ricordano che se non
fosse stato per il suo ex-amato ex-marito Tim Armstrong,
Brody starebbe marcendo sotto due metri buoni di
terra. Queste 3-4 persone non si sono dimenticate
da dove viene Brody, e durante tutte le pause del
concerto le urleranno a squarciagola l'epiteto più
vecchio del mondo... anche Brody non si è
dimenticata da dove viene, e decide quindi con il
nuovo "Coral Fang" di far smettere ai
Distillers i panni di "Rancid
con voce femminile" e decide di indossare quelli
di "novella Courtney Love"
ora che la vedova Cobain sta trovando fortuna a
Hollywood.
Ci riesce la nostra?
Sinceramente non lo so, e sono venuto qui al Rainbow
stasera proprio per capirlo.
Il concerto è nel suo impianto irrimediabilmente
punk: stacchi brevissimi tra un pezzo e l'altro,
poche parole mugugnate al microfono, 1, 2, 3, 4
e via andare! Ovviamente vengono suonati principalmente
pezzi dagli ultimi due cd, la hit "Young crazed
peeling" arriva inaspettatamente presto, e
vede una reazione esplosiva da parte del pubblico.
Pubblico che comunque non si risparmia in cori,
pogo selvaggio e applausi scroscianti... chissà
quante ragazzine questa sera andranno via pensando
"aahh... come vorrei essere come lei",
e quanti ragazzini andando a letto stasera si toccheranno
pensando a Lei, la Nuova Dea del Punk secondo la
loro personale visione.
Esagero dite? Forse
non avete bene il polso della situazione... frequentate
qualche forum punk e capirete.
Tornando alla serata: i pezzi nuovi acquistano maggiore
spessore: "Coral Fang", "Hall of
mirrors" e il singolo "Drain the blood"
che viene cantato da tutti, ma il vero macello si
scatena sui pezzi vecchi: "Sing sing death
house", "Bullets and the bullseye",
"LA Woman" e l'orgia conclusiva di "City
of Angels", con migliaia di mani alzate a cantare
il ritornello a squarciagola. La band saluta e se
ne va definitivamente, guardo l'orologio: appena
45 minuti di concerto... neanche i Ramones
suonavano così poco, quasi uno showcase.
Concludendo posso dirvi che i Distillers sono un
gruppo che live rende molto (anche grazie ad un'ottima
immagine), precisi, una voce ben usata e non abusata,
un gran tiro, ma non aspettatevi un concerto fatto
col cuore... aspettatevi piuttosto il concerto promozionale
per l'uscita del nuovo cd.
GA
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HOLLYWOOD KILLERZ
6 novembre - Transilvania
(Torino)
Beh, certo. Per recensire
il concerto di una band glam-punk non c’è
niente di meglio che uno che adora il primo album
dei Tyketto. E che ha le convulsioni
ogni volta che sente i Ramones.
Ma, per fortuna, questa è Slam, ergo facciamo
quello che ci pare, tanto ne risponde Moreno.
Quando Harry mi aveva
detto che non c'era esattamente un palco, avevo
immaginato un palchetto molto poco rialzato o piuttosto
piccolo: mai avrei pensato che il palco non ci fosse
proprio! Batteria, microfoni, spie e ampli sono
tutti per terra! Per fortuna, il concerto non ne
riesntirà affatto, anzi... comunque, arrivo
con un buon anticipo per salutare i ragazzi, e piano
piano, il locale inizia a popolarsi: vedo un po'
di facce note, conosco qualche altro adepto del
forum di Slam, un po' di chiacchiere qua e là,
il tipico pre-concerto. Intorno alle 22:30 i Killerz
accendono i motori e ci portano down to the "Liquor
Store": la nuova veste glampunk calza benissimo
a questa band che associa un'immagine glamourosamente
perfetta ad un muro di suono potentissimo; le successive
Hittin' The Star, Somewhere e Unfeelings filano
via veloci mentre sono preso a fare foto, in particolare
alla new entry alla seconda chitarra: una vecchia
conoscenza di Slam!, ovvero Simone aka Deadend,
che da il suo sporco contributo al muro sonoro della
band.
Arriviamo al momento
dell'unico estratto dal passato della band, una
Cruel Game che i nostri riescono a rendere in linea
con l'attuale sound, e che coinvolge finalmente
il pubblico (freddino e non troppo numeroso, a dire
il vero). La successiva Radio America è una
vera figata, il pezzo migliore che ho sentito nell'intero
concerto, consiglio caldamente alla band di registrarla
quanto prima (se non l'ha già fatto!); il
riff di Obsessed mi ricorda vagamente quello di
Word Up (vecchio pezzo coverizzato dai Gun
e più di recente dai raccomandatissimi *wink*
Babyruth), il pezzo è un avvolgente midtempo
cadenzato. Ma i Killerz non si fermano, e subito
dopo pigiano sull'acceleratore con la velocissima
V12, un altro pezzo che contribuisce a disegnare
le nuove coordinate stilistiche della band. Band
che suona compattissima e che riesce a creare un
sound complessivo molto buono, nonostante le condizioni
di palco - che non c'è! - non siano esattamente
ottimali. Harry si arrampica sul tavolo, si rotola
a terra, urla come un ossesso... un perfetto animale
da palco! E gli riesce anche un bel numero da perfetto
intrattenitore, che mi ha fatto morire dal ridere:
"Ieri siamo venuti qui al Transilvania, e c'era
lo spogliarello... ad un certo punto una tipa tra
il pubblico ha preso e si è spogliata...
completamente nuda!!!
Se qualcuna oggi tra
il pubblico volesse fare altrettanto, beh, noi saremmo
molto contenti"... e parte così l'unica
cover della serata, Look At You dei Backyard
Babies. O meglio, mi hanno detto che era
quella, poichè l'hanno fatta talmente veloce
che non me ne sono accorto!! Gran finale con l'altro
pezzo noto a tutti, Love Crash (scaricabile aggratis
dal loro sito, www.hollywoodkillerz.com) e, a grande
richiesta dal pubblico, anche un bis.
Che dire, questa band spacca, personalmente suggerirei
di inserire un po' più di melodia (specie
nelle linee della voce) nel muro sonoro, per il
resto complimentoni e, se vi capita, andateveli
a vedere!!
Vabbè. E’
andata. Adesso facciamo che Deadend mi fa la recensione
della band di cui si è innamorato ultimamente…
ok, ho esagerato. Facciamo invaghito, dai. Ehi,
Simo, poi quando hai finito ridammi il cd dei Tyketto,
che devo prestarlo a Pacino!!
Rob'n'Roll
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AC/DC
Carling Apollo Hammersmith,
London - 21 Ottobre 2003
Non si parla d'altro
nell'ambiente rock londinese: gli AC/DC inaugureranno
il nuovo corso dell'Hammersmith Apollo, ora parte
della catena di venues Carling Live. Biglietti in
vendita a sole 10 sterline, unicamente sul sito
del network, alle 9 di lunedi mattina...
Ovviamente, dove c'e' Rock Slam non puo' mancare.
E quando l'appuntamento con il Rock, quello con
la R maiuscola, e' a Londra, tocca alla sottoscritta,
aka inviata speciale Pennylane, tenere alto l'onore
del fanzinaro piu' dotato d'Italia.
Con questo martellante pensiero in testa e due tazze
di caffe' davanti, il 13 ottobre mi piazzo battagliera
davanti a www.carlinglive.com alle 8.30 del mattino,
solo per trovarmi dalle 9 alle 9.03 di fronte a
un "pagina troppo busy, riprova piu' tardi",
e alle 9.04, dopo innumerevoli refresh, di fronte
a un fantozziano "sorry, sold out"...
Dove c'e' Rock, Slam NON PUO' mancare, c***o! E
di fronte all'insuccesso per vie convenzionali,
mi lancio in una drammatica settimana di emails,
telefonate, sms, diabolici piani e squallidi favori
sessuali, finche' lunedi 20 ottobre verso l'una,
quando tutto ormai sembra perduto e sono in pigiama
contemplando l'opportunita' di una carriera da postino,
il telefono squilla: appuntamento all'Apollo, 6.15
sharp, per il sound check. Fiiiuuuuu, fatta anche
stavolta, Royal Mail puo' aspettare. Uso il mio
+ 1 per assicurarmi la preziosa compagnia della
Vik e si parte.
Davanti all'Apollo,
una folla di fans ci osserva curiosa mentre veniamo
scortate all'interno. Dentro ci saranno una trentina
di persone al massimo. Il teatro vuoto da' una sensazione
di solennita', di qualcosa di grande che sta per
accadere. Sul palco ancora deserto, sono gia' posizionati
i cannoni e la grande campana per le coreografie,
mentre i tecnici provano le luci. Un signore per
la verita' bruttino ma tanto simpatico, forse uscito
da qualche pub della campagna inglese, si avvicina
e inizia a chiacchierare con la folla: sotto il
cappellino da basket e la giacca scura oversize
c'e' Mr Brian Johnston.
E dopo saluti, strette di mano, foto e autografi,
salta sul palco e lo raggiungono altri giovincelli
sulla cinquantina, jeans e maglietta e tanta allegria...
Angus. Dio chitarrista, ho davanti Angus Young!
Senza cappellino, cravatta e pantaloncini, stempiato,
ma inconfondibile. Il sound-check ha inizio.
Ci guardiamo tutti l'uno con l'altro e ci sorridiamo
come spastici ubriachi per tutti i 40 minuti circa
di durata. Quasi tutti i presenti hanno visto gli
AC/DC prima, ma questa e' un'esperienza differente.
Niente salti e fuochi d'artificio, pezzi meno conosciuti,
e i fantastici cinque che scherzano e ridono tra
loro. Eppure, sappiamo di essere di fronte a qualcosa
di straordinario, e quello che vedremo in questi
due giorni ce ne da' solo vagamente la misura. "Straordinario"
non descrive solo cio' che questi signori hanno
musicalmente tramandato alla storia del rock: "straordinario"
e' riuscire a far convivere l'esperienza dei vecchi
con l'entusiasmo dei novellini ai primi gigs; "straordinario"
e' mantenere la stessa invidiabile alchimia per
tutti questi anni; "straordinario" e'
riuscire a fermare il processo d'invecchiamento
alle tempie, lasciando intaccato ogni briciolo di
energia. Queste, e tante altre cose, fanno la differenza
tra una band qualunque e un'istituzione del rock'n'roll.
Le due highlights della
serata sono "If you want blood" e "TNT",
che i fortunati presenti salutano con l'entusiasmo
di un concerto vero: singalong e pugno in alto,
e anche Brian entra nel ruolo come fosse gia' domani
sera, incitando il pubblico, parlandoci e sorridendo
compiaciuto.
E' finita per stasera, ma c'e' quella gradevole
sensazione che si e' trattato solo dell'antipasto,
e tutti ci lecchiamo i baffi gia' pregustando il
main course. C'e' tempo di parlarne al pub davanti
a un paio di drink, sognarne in una notte di meritato
riposo, e prepararsi all'Evento.
Scocca il 22 Ottobre, solita ritardataria... Ma
sono in Inghilterra, Paese civile e un po' ingenuo,
che mi lascia tranquillamente percorrere la mastodontica
fila dall'interno e raggiungere la Vik che e' quasi
all'ingresso... Fatta! Ci perdiamo comunque gli
Hundred Reasons come la maggior parte dei fortunati
possessori del biglietto, molti ancora fuori in
paziente anglosassone attesa. Pazienza. Al piano
inferiore due bar e due banchetti del merchandise,
presi d'assalto e praticamente irraggiungibili.
Al piano superiore, il centro e' arredato con posters
di tutti gli album degli AC/DC, intorno divanetti
e l'immancabile bar. Mentre sorseggiamo il terzo
drink, le note di "Hell ain't a bad place to
be" si diffondono nell'aria: correre!! La mia
combattiva socia si fa largo tra la folla del settore
"standing" e riusciamo ad arrivare li
dove il pogamento inizia, sara' boh, decima fila,
quindicesima, non so. E non so dove guardare: a
questi cinque monumentali pezzi di rock'n'roll che
ho di fronte, o all'oceano di teste sudate alle
mie spalle? Mi giro intorno incredula e compiaciuta,
non ricordo quando ho visto l'ultima volta una moltitudine
simile. E cosa ci fanno tutti li me lo raccontano
ancora una volta le stesse magiche sette note, combinate
in accordi stregati, che esplodono nell'incantesimo
di "Back in Black". Ed e' mayhem totale.
Quante altre band non esisterebbero senza questa,
compresi i new sensation Darkness che, per volonta'
del fato o di CarlingLive, suoneranno qui proprio
domani... Quanti validi chitarristi forse non avrebbero
mai imbracciato uno strumento se Angus Young avesse
deciso di fare il postino... E chissa' come ci si
sente a salire su un palco simile a 50 anni e non
avere nulla da dimostrare, a godere dell'amore e
del rispetto incondizionato del pubblico, dei musicisti
e della critica, a sapere che tutti, dico tutti
i presenti usciranno di qua felici e soddisfatti...
Queste sono alcune delle cose che mi passano per
la testa, mentre testimonio inebetita il potere
assoluto della musica, senza look, fuochi d'artificio
o fronzoli vari. Ed e' solo l'inizio.
Dopo la parentesi piu'
recente di "Stiff Upper Lip", gli AC/DC
tornano a deliziarci con perle indimenticabili del
loro infinito back catalogue, ora di "Dirty
deeds done dirt cheap" seguita da "Thunderstruck",
pugni in alto e cervello off, da ora in poi e' solo
cantare, ballare e buttarsi affettuosamente addosso
ai corpi sudati circostanti cercando quanto possibile
di limitare i danni fisici.
Il party continua con "Rock'n'roll Damnation"
e "Hard as a Rock", portandoci verso il
momento piu' "smooth" ma per nulla meno
coinvolgente, "The Jack", che accompagnata
dai cori del pubblico fa da colonna sonora al consueto
"strip" di Angus, pezzo per pezzo fino
a mostrarci il suo Union Jack underwear tra i fischi
di approvazione... E cala la grande campana. Tutti
sappiamo cosa sta arrivando. E' "Hell's Bells",
le campane dell'Inferno, che annunciano l'ingresso
nella parte decisamente piu' calda di questo memorabile
show. Prima la Vik, poi un simpatico sconosciuto
mi invitano a salir loro sulle spalle, e' un'emozione
spettacolare ondeggiare su un'oceano di gente che
poga e canta, e di fronte a me su un palco maestoso
tra quattro cannoni e una campana, signori, gli
AC/DC! Meglio scendere ora, le spinte si fanno piu'
pesanti, "If you want blood you've got it!",
e c***o, anche la Pennylane dal suo metro e mezzo
comincia a buttarsi invasata sulla folla, tremi
il pubblico circostante. E arriva lei, la mia prima
canzone preferita degli AC/DC, "You shook me
all night long", ma che accidenti di genio
ha potuto fare una cosa del genere con sole sette
note, spiegatemelo che non ci credo.
Con TNT si spengono le luci del palco, tra i pugni
ancora alzati, il sudore e i l'aroma di birra, ma
non si riaccendono ancora quelle della platea, perche'
sappiamo tutti che non e' ancora finita. Non senza...
quella li....
"Whole lotta Rosie", non dicevo quella
ma vai, il suono della chitarra ha un che di infernale,
di soprannaturale, balliamo questo rito propiziatorio,
caro Angus, "Let there be rock"!! E rock
sia, arriva finalmente: "Highway to Hell".
Non la commento, la conoscete tutti, osservate solo
un minuto di silenzio, pensatela e assaporatene
ogni nota. Non si puo' andare oltre.
Si spengono di nuovo le luci, ma c'e' ancora tempo
per un saluto "For those about to Rock".
Sparano i cannoni, e sparano ancora e ancora...
Confesso, ho gli occhi lucidi come alla fine dei
due migliori orgasmi della mia vita.
Cristina Massei
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CRACKHOUSE + POUTY LIPS
Indian Saloon, Bresso (MI)
– 10 ottobre 2003
Recensire una serata
live é cosa da cui normalmente mi astengo
per svariati motivi, stavolta però non ci
sono cazzi, lo show a cui ho assistito venerdì
sera mi è entrato talmente nelle viscere
che provo a fare un’eccezione. Da tempo volevo
vedere in azione i Pouty Lips e quale occasione
migliore di questa, abbastanza vicino a casa e per
di più con i Crackhouse di cui conosco il
primo demo e non ho mai visto dal vivo? Il sentore
che sarebbe stata una serata speciale era nell’aria,
anche grazie ai parecchi Rock’n’Roll
Buddies del Forum di Slam! che si sono dati appuntamento
all’Indian Saloon promettendo “fuoco
e fiamme” (..promesse puntualmente mantenute
..ehehe...), quindi sistemata la bimba parto con
la moglie.
Arrivati in loco dopo
aver sbagliato strada come solo degli autentici
mongoli sanno fare, incontro il mio GlamPunk nigger
preferito, il Deadend nazionale munito di Uno Bianca
tanto terrificante quanto Rock’n’Roll,
e si entra nel locale dove mi viene puntualmente
rifilata la famigerata tessera che ovviamente perderò
con la solita svampita non-chalance ! Il tempo di
chiacchiere e birre con vecchi e nuovi amici tra
cui i ¾ dei Fuori Uso e Faustobaldo (tanto
per ribadire che al di là di una sana competizione
il supporto ed il fattore amicizia fra bands diverse
ma della stessa “parrocchia” contano
eccome!!) e si aprono le danze. All’entrata
in scena dei Pouty Lips gli occhi si fissano sul
front-man SweetMauro col suo look trasgressivo ed
intrigante: spandex leopardati e giacchetta sfavillante,
boa di struzzo e platforms argentati, il trionfo
dell’eccesso e dell’androginia... perfetto!!
Basta l’opener
“In What I Trust” per capire cosa ci
aspetta, la band suona in modo compatto ed impeccabile,
con l’unico difetto imputabile di essere un
po’ troppo statica, ma poco importa, passano
i minuti e sembra esistere solo lui, con carisma
e presenza scenica veramente invidiabili. Sono come
ipnotizzato dalle sue movenze, dalle pose lussuriose
e dalla convinzione con cui interpreta contemporaneamente
i ruoli di attore, singer e puttana d’alto
borgo come si addice ad un vero Glam Rocker, basta
poco per convincermi di questo: signori, SweetMauro
E’ IL GLAM come lo intendo io e come nacque
nei meravigliosi 70’s! Il robusto telaio sonoro
attinge a piene mani dalla tradizione proto-punk
NewYorkese e rende il tutto fragoroso e carico di
elettricità, potenza e sensualità
si shakerano in un micidiale cocktail ad alta tensione,
sono le “nostre” bambole... vive, vegete
e residenti in Italia! I brani vengono letteralmente
vomitati in faccia all’audience, “Sali
sulla mia macchina” (erroneamente annunciata
come “(I Wanna Dangle) Up Your Feet”
che verrà eseguita subito dopo) e “Sfregiami”
fanno semplicemente impallidire il cosiddetto “Rock
Italiano” – semmai siamo di fronte all’unico
esempio che io conosca di GlamPunk cantato in Italiano
- , la ruffiana e perversa “Blonde 16”
si stampa subito in testa nonostante sia la prima
volta che la ascolto, seguita a ruota dalla nuovissima
“I Am Not What I Am” fresca di una settimana
(una settimana, cazzo!?!) che suscita esclamazioni
di sorpresa anche da parte dello zoccolo duro dei
loro fans….emozionante. Vengono proposti tutti
e tre i brani dell’ultimo mini CD: “Let
Me Light”, “African Size” –
indovinate un po’ a chi viene dedicata...ahahaha,
mitico “Golden Gun””- e la mia
preferita “Teenage Pills”.
Adesso mi è chiaro
perché Mauro quando pensa ai suoi CD impreca
e vorrebbe lanciarli a mò di freesbee, niente
a che vedere quel suono cupo e malprodotto con quanto
proposto dal vivo, siamo su un altro pianeta! Solo
i grandi performers dei 70’s sapevano bilanciare
così una carica da rocker animalesca e viscerale
ad eccessi “visivi”, sculettamenti e
pose androgine (memorabile il climax raggiunto con
il puttanesco invito seguito da arrapante bacio
di Mauro al solista Daniele; niente pose, pura e
cruda trasgressione on-stage!), ‘fanculo gli
80’s, questo è il Glam!! Chiudono nel
tripudio generale due cover bellissime: “The
Harder They Come” dei Gang War e “Personality
Crisis” che, credetemi, non penso sia mai
stata eseguita così bene nemmeno dalle mitiche
N.Y. Dolls. I’m totally addicted. Giusto il
tempo di rinfrescarsi l’ugola e di prendere
una boccata d’aria più o meno ...ehm...viziata
con l’allegra combriccola, un saluto veloce
ad Harry “Hollywood Killerz” KillKill
e mentre siamo fuori (letteralmente!!) i Crackhouse
ci prendono in contropiede, via... cazzo... hanno
cominciato!! Che Kelly e co. fossero un’autentica
killing-machine mi era stato detto svariate volte,
e solo per una serie di sfigate circostanze non
ero mai riuscito a vedere dal vivo questi prime-movers
dell’italica scena (perché a dispetto
di quel che pensa qualcuno la scena c’è
eccome, può e deve crescere ma C’E’!!).
L’impatto visivo
è quasi l’antitesi di quanto visto
prima, il glamour diventa un alone quasi impercettibile
e decadente, lustrini e paillettes cedono il passo
al look stradaiolo “sporco e cattivo”,
l’impatto sonoro è devastante e potente
al punto che in qualche modo mi fa pensare agli
MC5 di “Kick out the Jams”, non tanto
per lo stile, basato su riffs decisamente metallici
e potenti, ma per il fragore al “calor bianco”,
un tiro micidiale che nel periodo d’oro potevano
avere bands di “bombardieri” come gli
Spread Eagle, street metal all’ennesima potenza,
insomma. Mi colpisce molto come si muovono l’indemoniato
il bassista J. Action e Kelly che si conferma autentico
animale da palco e dà l’impressione
che potrebbe sprofondargli il mondo sotto i piedi
(peraltro nudi, cazzo!! se lo facevo io come minimo
scivolavo, cadevo rovinosamente sulla batteria e
mi procuravo una lesione spinale!!) senza che se
ne accorga, un invasato che ha il DNA del rocker
di razza; veemenza ed attitudine, follia e perversione,
la sua voce riesce a dominare un “wall of
sound” che confesso risultarmi addirittura
ostico alla lunga, il timbro ricorda un Taime Downe
incazzato come se qualcuno fosse aggrappato di peso
ai suoi coglioni!!
Mi spiace non conoscere
i brani, cosa aggravata dal tasso alcoolico in crescendo
(...fosse solo quello...) che rende incompleto il
resoconto e mi riprometto con Simone di prendere
il CD a fine concerto, mi limito quindi a segnalarvi
una lancinante ma troppo metallica “Kick out
the Jams” (manco a dirlo, quasi a confermare
l’impressione iniziale!), una versione al
fulmicotone della title-track del primo demo “Pleasure
Toy”, che esalta le doti da “screamer”
di Kelly, e la conclusiva cover “You Spin
Me ‘Round” dei Dead or Alive che viene
letteralmente massacrata, non fosse che mi è
ben nota sembrerebbe proprio essere stata concepita
come Kick-Ass Rock’n’Roll. Non posso
che complimentarmi con loro – e puntualmente
lo faccio al bancone del bar – perché,
al di là del fatto che suonano un genere
un po’ troppo estremo per i miei gusti, sono
bravi e professionali (e dire che non sono stati
contenti del risultato....mah...). Alla fine si
esce per una “boccata d’aria”
ed i saluti finali agli Slammisti intervenuti e
via, verso casa, cotto ma soddisfatto e, ovviamente,
senza il CD dei Crackhouse che ho bellamente dimenticato!!
Che minchione...
Gaetano Fezza
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HARDCORE SUPERSTAR + BASTET
The Field, Carpaneto Piacentino
– 27 settembre 2003
Eccoci qui di nuovo,
insaziabili reduci di un'altra serata di sporco
rock'n'roll. E siccome gli Hardcore Superstar sono
una delle poche nuove realta' del settore, sono
famosi solo in Scandinavia e in Italia e per tali
motivi Slam abbonda di recensioni accurate e professionali,
permettetemi un pezzo "di colore", in
onore della nostra crescente comunita' che ha presenziato
in massa l'evento.
Vorrei innanzitutto unirmi alla folta schiera di
leccaculo dei Bastet ringraziandone i membri + Dr
Pace per aver finalmente coronato il mio sogno di
quest'ultimo anno: un viaggio nel Barbie Van. Un
giorno, quando la stella del Reverendo insieme agli
shorts del Ronzoni entrera' nella Hall of Fame del
rock'n'roll, potro' raccontare ai miei figli di
aver percorso le campagne tra Padova e Piacenza
su un veicolo la cui unicita' puo' essere solo eguagliata
dall'ambulanza degli Antiproduct.
God Bless.
The Field si presenta
anch'esso come un venue piuttosto particolare, piu'
che altro perche' non e' un locale per concerti
bensi un centro sportivo, nel cui agglomerato qualche
lungimirante ha incluso un irish pub, un ristorante,
un palco coperto e un discreto numero di tavoli
e panche in legno, che alla fine risulteranno essere
una scelta quantomai oculata. Nell'insieme, sembra
piu' che altro il centro ricreativo di un villaggio
turistico, atmosfera che mi riporta ai tempi del
campeggio estivo. Appena entro nell'area pub si
passa dal campeggio al motoraduno, con la massiccia
presenza degli Hell's Angels (chissa' perche' non
ho visto nessun incidente stasera… mah!).
Ci godiamo il resto del pomeriggio intorno ai suddetti
tavolacci, mentre studio avidamente il nuovo lavoro
degli svedesi sorseggiando vodka redbull in quantita'
insolitamente moderata. Sound check, interviste
e finalmente si aprono le porte, una fila della
Madonna, rapidamente l'area concerti si riempie
ed e' ora della grande tavolata Slam. Quanto mi
piacciono le Slam reunion, merita una leccata di
culo anche il patron Moreno per questo! Tra pizze
e birre equalmente congelate e le consuete boiate
si avvicina l'ora dei Bastet e
corro sotto il palco…
Cosa dire ancora dei
Bastet che non sia gia' stato detto? La band del
Reverendo Pacino e' ormai una realta' che non puo'
essere ignorata. Al di la' della preparazione, della
semplicita' geniale dei pezzi, degli imperdibili
siparietti del lead singer, delle esilaranti danze
e slinguate dal dubbio orientamento sessuale, c'e'
ben altro. I Bastet hanno quello che manca a tutte
quelle band che, pur bravine, non riescono a spiccare
il salto: un'IDENTITA'.
In virtu' di questo puoi amarli o odiarli, ma non
archiviarli con indifferenza; in virtu' di questo,
se sono la tua "cup of tea" dopo un po'
non ti basta ascoltarli, ma li vuoi stampati sulla
maglietta e anche sulle mutande; in virtu' di questo,
consiglio assolutamente profano, si avvicina l'ora
per loro di spiccare quel salto, perche' la realta'
locale comincia ad andargli stretta.
Tra i pezzi eseguiti cito l'anthem "Gonna get
laid tonight", le ottime "Erected"
(di cui attendo con ansia il video), "Broke
with a broken heart" e "Spurtin' joy"
dallo split di prossima pubblicazione "Songs
that will get you laid", e una delle mie preferite,
la cover di "I touch myself" che sono
finalmente riuscita ad ascoltare e ballare dal vivo
(Maestro, smettila di ridere, ero sobria!).
Ed e' finalmente arrivato
il momento degli Hardcore Superstar,
che ci regalano questa one-off di presentazione
della loro terza fatica "No Regrets".
E' qui che entrano prepotentemente alla ribalta
i tavoli e le panche del locale, che ci permettono
un'ottima visuale risparmiandoci il bagno di sudore
delle prime file. Di fronte al banchetto del merchandise
dei Bastet, balla e canta sui tavoli una squadra
di irriducibili composta da me, Gabriele, Simone
e Gaetano, piu' temporanei guests che sfuggono poi
verso il bar.
Malgrado il look "riadattato" e un taglio
di capelli di Jocke che ricorda tristemente Ville
Valo, il quartetto scandinavo non ha perso un grammo
dell'energia live che li ha sempre contraddistinti.
E' uno show potente e accattivante che ti fa ronzare
in testa il solito vecchio interrogativo irrisolto:
perche' non hanno mai sconfinato oltre casa loro
e casa nostra?
I pezzi nuovi non sono
all'altezza di "Bad Sneakers" ma denotano
un'indubbia ripresa rispetto al secondo, che passo'
praticamente inosservato e ci fece tristemente gridare
alla fine degli HCSS. E va anche considerato che
ci vuole un po' per farsi entrare dei motivi in
testa, e' ovvio che dopo pochi giorni non possiamo
ascoltare "Honey tongue" con lo stesso
trasporto riservato a "Liberation". Tuttavia
l'esecuzione live del singolo sopracitato e della
title-track "No regrets" si fondono piacevolmente
col resto, quindi chissa', magari ci entusiasmeranno
di piu' a Febbraio, quando la band ha programmato
di rifarci visita.
Per ora, ci godiamo
il solito stravibrante trio, i tre pezzi che non
hanno mai smesso di darci i brividi e farci gridare:
parlo ovviamente di "Have you been around",
"Liberation" e "Someone special",
che valgono da sole il viaggio in questa landa sperduta.
Beh, anche il torace di Jocke Berg e il pantalone
trademark a vita bassa hanno un loro perche' per
noi femminucce…
Si spengono le luci sul palco, e con esse le mie
corde vocali straziate; tempo di socializzare ancora
un po', fare qualche foto souvenir, ripararsi da
tazzine volanti. Il finale e' al privee del piano
superiore, per festeggiare il compleanno di un'allegra
neoquarantenne che ci ha regalato diverse insperate
serate come questa negli ultimi mesi, la Debbie,
a cui faccio gli auguri ora perche' l'ho persa nella
folla.
Ore tre del mattino,
siamo rimasti in pochi; alcuni si trattengono per
smaltire la sbronza e rimettersi in macchina, altri
si stanno accomiatando, e si spengono le luci. Ma
proprio tutte le luci. Black out, e lo staff del
locale ci caccia a pedate. Sulla via del ritorno,
io, Jaxx e il Reverendo scopriamo con somma gioia
che il black out e' nazionale, con conseguente paralisi
dell'intera rete benzinaia. Negromobile oltre la
riserva sull'autostrada buia e ostile. Silenzio
di tomba, tutti che nel nostro intimo preghiamo
Satana. E dopo una notte di rock'n'roll come questa
lui non puo' non essere dalla nostra parte: miracolosamente
raggiungiamo l'autogrill, dove da veri rocker dormiremo
sudati e contorti russando e sbavando fino alle
8 del mattino seguente.
Cristina Massei
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THE QUIREBOYS + CRASH KELLY
Camden Underworld, London
– 14 Settembre 2003
E' una tranquilla domenica
di fine estate, consueto clima di allegro hangover
post weekend. Tale premessa per dire che all'Underworld
eravamo tutti un po' in ritardo fuorche' le bands.
Entro pertanto per trovare i Crash Kelly gia' sul
palco, e mi accosto veloce per gustarmi la seconda
band di una vecchia conoscenza: Ky Anto, chitarrista
dei Robin Black, stavolta al basso.
La prima impressione ascoltando l'album, "Penny
Pills", era stata "non male, tranquillo,
anche troppo", qualcosa che rispetto ai RB
mancava di energia, rifacendosi piu' ad un sound
Enuff'z'Nuff ma con meno profondita'. E' stata una
piacevole sorpresa scoprire che tutta l'energia
Sean e compagni la recuperano dal vivo, iniettando
l'originale piacevole melodia con una verve presa
in prestito da Cheap Trick e Marvelous
3.
"She gets away",
brano d'apertura dell'album, e' un pezzo fresco
ed estremamente catchy che fa subito presa sul pubblico,
segue la piu' tranquilla title-track "Penny
Pills". L'highlight dello show e' secondo me
la sequenza "Love me electric"/"11
cigarettes", la prima paragonabile ai migliori
episodi powerpop di Chip e compagni, e la seconda
una ballad tanto scontata quanto gradevole e sorridente.
A seguire la cover dei Rainbow
"Since you've been gone", anch'essa inclusa
nel primo lavoro dei Crash Kelly, e "I wanna
be like you", energica, semplice, efficace.
Dopo "Irish blessing" si chiude sulle
note di "Waiting for" dei Thin
Lizzy.
Commento generale: un disco carino, uno show di
gran lunga migliore; da vedere, specie per i fans
irriducibili degli Enuff'z'Nuff (che
supportereranno in novembre nel resto d'Europa).
Lunga attesa tra Crash
Kelly e Quireboys, buona per qualche drink, due
chiacchiere, quattro chiacchiere, otto chiacchiere…
E quando mi ributto nell'arena e' tutto pieno, che
Spyke e' sempre Spyke da queste parti. Mi arrendo
a seguire il concerto dalla fastidiosissima area
fotografi laterale, spostandomi alla fine addirittura
al bar, per una nuova "Quireboys experience".
Tanto ormai li ho visti abbastanza volte, conosco
le facce, i passi, la scaletta; e quella voce, quel
suono sporco che si diffonde nell'aria fumosa del
vecchio Underworld meritano di essere accompagnati
da una bella birra alla spina in compagnia dei tuoi
amici r'n'r, tra il bancone di legno e lo stand
del merchandise.
Mi godo l'atmosfera,
le note calde e familiari di "Hey you",
"I don't love you anymore", "Sex
party", qualche pezzo dal piu' recente "This
is rock'n'roll", e penso che ormai mi sono
fatta tre tour con i Quireboys… Fino a quattro
anni fa se ne parlava come di una cosa del passato,
poi il primo tour reunion, quando non volevamo parlare
troppo forte, temendo fosse una one-off di vecchietti
annoiati, e invece eccoci qui, ormai rilassati.
Spyke e' di nuovo parte del nostro presente, ascoltare
"7 o'clock" dal vivo guardando una folla
di qualche centinaio che cantano e ondeggiano sembra
la cosa piu' "normale" del mondo. E stavolta
ci sono anch'io!
Qui Londra, Isola-che-non-c'e', terra senza tempo,
dove i trend nascono e rinascono tutti insieme,
al punto che di trend non ce ne sono piu'. C'e'
spazio per tutti, vecchi e giovani, purche' lo meritino,
come Spyke, che ancora una volta salutiamo riconoscenti
fino al prossimo gig…
Cristina Massei
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HANOI ROCKS + Antiproduct
31 settembre - SHEPHERD'S
BUSH EMPIRE - Londra
Adoro Londra. No, non
è vero, preferisco la Riviera del Brenta
ma ho comunque il dovere morale di dirlo, sennò
non suona cool.
Ricomincio: ADORO LONDRA! (sorriso spalancato, sopracciglia
alzate, pollice in alto)! Non mi viene in mente
nessun altro posto al mondo dove abbia visto delle
volpi che fanno l’amore per strada, e io resto
sempre intenerito dalle manifestazioni d’amore.
Manifestazioni d’amore che ho visto in dosi
massicce durante lo show serale di Hanoi Rocks +
Antiproduct, un MARTEDI’ sera al Sheperds
Bush Empire, teatro grottesc/vittoriano che nonostante
il prezzo del biglietto non esattamente economico
ha visto la partecipazione di un quantitativo di
persone impressionante.
Aprono la serata, all’ora
dell’aperitivo (e nel mio infinito provincialismo
quanto già mi mancava il mio venetissimo
spritz!), gli ANTIPRODUCT,
che –lo dico subito- adoro. Di gente ce n’è
ancora poca...E io, contadino poco pragmatico ma
disilluso, ormai al tramonto della mia giovinezza,
sentenzio fra me e me che il rock è definitivamente
morto pure qui… Forse un’ottantina di
persone animano il parterre, sui loggioni al piano
alto un altro paio di decine, e penso con raccapriccio
che al confronto il Mascara Massacre sembrava Woodstock…
Comunque, mi concentro (cosa che mi riesce sempre
più difficile) e guardo il concerto. Il carismaticissimo
Alex Kane e i suoi Antiproduct sono una band della
madonna. Non stanno fermi un secondo, hanno tre
vagine in band più che guardabili e il batterista
è una furia. Resto basito ai piedi del palco
mentre tre dozzine di fans hardcore invasati pogano
fra di loro, incitano il pubblico, toccano il suo
pene e via discorrendo… Il problema secondo
me è che forse succede TROPPA roba tutta
contemporaneamente, seguire tutto è come
avere un lavoro part time. Li ammiro ciecamente,
hanno le palle quadre, ma non hanno la minima iniziativa
di ruffianamento verso il pubblico presente. Le
due loro hit (che tra l’altro sono i due pezzi
più accessibili di tutta la loro discografia)
Let’s get it on (già presente anche
sul disco di Jesse Camp, che andrebbe
riscoperto) e Bungee Jumping People Die, vengono
dilatate, sviscerate, distrutte, portate avanti
tra proclami epocali (Alex è il duce del
fallocentrismo e io voglio essere il suo squadrista
ziocan!) e coinvolgimento della fanbase sotto il
palco… A discapito dell’ascoltatore
occasionale che magari è la prima volta che
li vede dal vivo e rischia di restare traumatizzato.
Comunque uno spettacolo inaudito: musicalmente sono
una band difficile, e resto convinto -nel mio infinito
pragmatismo contadino- che se si piegassero un pelo
di più a 90 gradi e scrivessero un paio di
canzoni più accessibili (cosa che sono perfettamente
in grado di fare) potrebbero diventare una forza
trainante anche nel mainstream. Menzione di merito
per il loro furgone, che –mon dieu- è
un’ambulanza! Sarà bello vederli in
Italia (hint, hint!).
Poi è il momento
degli Hanoi Rocks…
E qui mi arrendo… Non ho fatto studi di critica
d’arte e quindi non sono in grado di fare
una recensione professionale, me ne rendo conto
e umilmente chiedo pietà a chi sta leggendo.
Però dopo anni di autoerotismo conosco bene
la mia anatomia e durante l’ora e mezza abbondante
di show dei finlandesi ho avuto le seguenti reazioni
fisiologiche:
a) azzerazione della saliva e concentrazione delle
mie secrezioni corporee sui sacchi lacrimali.
b) debolezza di prostata con conseguente cedimento
dell’apparato urogenitale e inumidimento di
tricipite e quadricipite femorale
c) dislocazione della mascella con atrofia della
lingua e conseguente incapacità di formulare
discorsi coerenti per l’intera durata dello
show e la mezz’ora successiva.
d) temporaneo morbo di Alzheimer che mi ha impedito
di fotografare con mano ferma lo show in essere.
Oltre a un generale istupidimento da shock che non
mi ha fatto capire più niente di quello che
mi veniva detto per più di metà serata
facendomi parecchio sembrare un abitante di Bassano
del Grappa e dintorni, con tutto il rispetto per
gli abitanti di Bassano del Grappa e dintorni tranne
un paio. COMUNQUE: da fanatico degli HR ero andato
allo show con l’intenzione di NON perdonare
ad Andy & Michael di aver permesso l’ingresso
nella band di mezzifiguri come sto Costello, che
vedrei meglio alla Trattoria Piave, e nonostante
la mia prevenzione censoria devo dirlo: ho assistito
a una manifestazione di genio. Michael Monroe è
stato INDESCRIVIBILE. Chi li ha visti in altre date
di questo tour mi ha detto che non è stata
la sua serata migliore, il suono se vogliamo era
pure piuttosto fangoso per cui ogni tanto spariva,
ma c’ha un qualcosa che lo rende semplicemente
la cosa più carismatica su cui abbia mai
appoggiato gli occhi. Se non fosse che non ho erezioni
dal ’98 ci avrei provato, a fine concerto.
Ha un dinamismo onstage che nessuno, compresi i
quindicenni, ha. Rende interessanti anche quel paio
di canzoni bruttine tirate fuori da 12 shots on
the rock. Una cosa bellica. Per non parlare di Andy
McCoy, relativamente in forma e che grazie ai suoi
spettacolari denti nuovi ormai sembra un incrocio
tra Keith Richards e Johnny
Depp in versione tzigana, chiaramente dopo
un orribile incidente.
A questo punto della
serata il teatro è stracolmo di gente che
canta invasata… E la cosa commovente è
che canta con la stessa intensità le canzoni
nuove così come i grandi classici che vengono
sciorinati uno dietro l’altro… Oriental
Beat, blablabla… Il teatro sembra stia per
crollare quando fanno Don’t you ever leave
me, ma con la stessa intensità la dozzina
di centinaia di persone presenti canta pure People
like me… Insomma, uno sfoggio di forza, classe,
carisma, hit singles, che fa SCOMPARIRE qualsiasi
band abbia visto in azione quest’anno…E
che a mio avviso propone gli Hanoi Rocks assolutamente
non come ennesima band di vecchie scoregge a caccia
dei soldi per il fondo pensione, ma come una realtà
che è tornata a riprendersi quello che le
spetta… Lo dimostra l’estatica partecipazione
popolare (l’affluenza di pubblico in genere
è stata MOLTO più alta che nell’altro
tour)… Il loro video è pure #13 in
classifica…
Al terzo bis (Taxi Driver) è comparso sul
palco anche Acey Slade dei Murderdolls,
ormai una presenza fissa dei club di londra, con
Michael che ha provato ad esibirsi dietro i tamburi
mentre il questionabile batterista si è cimentato
alla voce… Il momento più difficile
della settimana, per i miei poveri intestini.
Da menzionare anche il notevole aftershow, con bei
nomi come Kory “simpatia” Clarke dei
Warrior Soul/Space Age Playboys,
i già menzionati AP/Andy McCoy/Acey Slade
e altre divinità locali…
Comunque, in definitiva (e con questo ringrazio
e mi congedo): il Rock NON è morto, il Rock
STA bene, il Rock è buono! Chiaro?
Pacino
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MASCARA MASSACRE
Padova, 3 – 4 settembre
2003
Buongiorno.
Devo preparare un report per la due giorni glam
rock chiamata MASCARA MASSACRE,
tenutasi in quel di Padova presso il leggendario
Banale. Siccome il Golden Gun non mi ha dato istruzioni
specifiche al riguardo, se non di essere elegante
ed evitare blasfemie, la prendo larga e comincio
parlando un po’ dei cazzi miei.
Adoro la Gramigna della Piave, il filetto al pistacchio
del Piccolo Rifugio e la mia maglietta della Atari.
Adoro anche i film della Troma e il video di Braking
the Law dei Judas Priest. Ma la
cosa che DAVVERO adoro è vedere che c’è
gente che non si tiene la testa infilata su per
il buco del culo e combina qualcosa utile per tutti
ancor prima che per se stessi. Stiamo oltretutto
parlando di un ambiente malsano, eh, dove il motivo
principale per il quale ci si infila è scopare
il più possibile (fallendo miseramente quasi
tutti), far soldi (fallendo miseramente tutti) e
tirarsela (riuscendoci tutti quanti). Un parrocchietta,
oltretutto piuttosto spopolata, che vanta pure dei
personaggi di contorno che autoproclamatisi deus
ex machina\guru\johnkalodner finiscono col tirarsela
più di tre quarti delle band con le quali
hanno a che fare.
E comunque sempre meno di me e del Carmen Ronzoni.
Dilettanti.
Vabbè, dicevo:
superata la boa di metà anno, fare un bilancino
è d’obbligo. Per la scena si sta rivelando
un anno molto buono, con un sacco di vecchie glorie
e parecchie band “nuove” in tour in
italia e tutte le band nazionali piuttosto attive.
Le webzine di settore sono cresciute, anche quelle
più metallozze hanno finito con l’occuparsi
di questa ondata rock’n’roll e perfino
la stampa “ufficiale” inizia a parlarne
con continuità. Chiunque abbia assistito
almeno una volta ai miei spettacolari sermoni sa
come la penso: mandiamoci a cagare, stiamoci sui
coglioni gli uni con gli altri ma facciamo le cose
INSIEME, e chissà che dal nostro circo di
travestiti non saltino fuori perlomeno i nuovi Shandon,
in termini di riscontro economic/popolare.
Dunque. Dicevo, nel mio zoppicante ma fascinoso
preambolo, di quanto ADORO la gente che non ha la
testa su per il buco del culo. Kelly dei
Crackhouse come sa bene chi lo conosce
è uno di questi e il festival organizzato
al Banale Estivo di Padova ne è la riprova.
Il Veneto, oltre ad essere bellissimo, si sta rivelando
anche una specie di Orange County del rock’n’roll,
e questa kermesse di due giorni che ha goduto di
un’affluenza di pubblico mostruosa è
stata la dolce conferma che anche il pubblico pagante
si è ripreso dalla malinconoie alla Kurt
Cobain e ha voglia di vedere chitarre che
volano, sentire canzoni a base di ohyeah e tastare
pacchi belli turgidi… Il risultato è
stato entusiasmante anche per la confortante presenza
di facce giovani tra le band, e per il consueto
elemento di debauchery del quale non posso parlare
in pubblica sede (mio nipote di sette anni legge
slam, e ho chiaramente delle responsabilità
nei suoi confronti) ma che ha reso, come dire, “flamboyant”
tutto l’happening.
Ad aprire la kermesse
il primo giorno i padovani PINK
LIZARD. Ora, potrei parlarvi per
ore con perizia e professionalità della copertina
del loro demo, o del pene del loro batterista, ma
qui devo parlare di musica e non posso farlo con
altrettanta bravura. Però, che bravi! Si
evince chiaramente che ognuno di loro ha influenze
sue ma che bene si amalgamo e già da adesso
(sono in giro da pochissimo) emerge una personalità
“loro”. Il chitarretta (che è
un asso) è moooolto class metal (sono ancora
shockato dalla sua chitarra verde, ziocan) e caratterizza
molto il suono della band, l’elemento glam
lo porta più che altro il cantante che ha
una voce splendida, pulita e potente, e deo gratias
un ottimo inglese. Ho il loro cd da un tot di tempo,
e un pezzo in particolare, "Another Town",
è stabile nella mia top ten dell’anno.
Intendo la top ten assoluta! Mica cazzi, la top
ten del mahatma. Per la precisione, sta tra “A
chi la darò stasera” di Nadia
Cassini e la sigla del TG4. Bravi!
Note di merito in particolare: gran tecnica, pezzi
costruiti bene, e il cantante ha una bellissima
voce.
Secondi a esibirsi i
Side One.
Come son saliti sul palco, il pubblico è
ammutolito: puro travesta-rock testosteronico e
caliente. Bellissimi, dio li fulmini, ragazze in
estasi e mamme terrorizzate. Hanno una presenza
scenica fantastica, Nikki sembra il cantante dei
Dead or Alive quando ancora aveva
il pene e uber alles sfoggiano una scaletta composta
interamente da pezzi loro. Sono in giro da pochissimo
e già sono straconvinti e straconvincenti.
Oltretutto hanno appena pubblicato un album (la
cui recensione spero di vedere presto su queste
pagine) che ho appena cominciato ad ascoltare e
che prosegue la tradizione veneta inaugurata dai
Babyruth di vendere i propri cd
a pochi soldi: nello specifico 3 Euri, diobono!
Non prenderlo a sta cifra è un’eresia
da inferno dantesco, quindi clairement lo raccomando
anche ai non veneti. E non si può non amare
una band che ha un pezzo che si chiama Porno City,
ziocan!
Punti a favore: look totale, attitudine magnum,
soluzioni originali.
Chiudono la serata i
Crackhouse:
Kelly e la sua band a Padova sono un’istituzione,
quindi chiaramente una grossa percentuale del folto
pubblico è qui per loro. La band non delude
le attese, show adrenalinico a mille con tanto di
sporcacciona che distribuisce fra i presenti Cazzodollari
e Rose finte con mutanda incorporata: grandiosi!
Oltretutto la loro versione di "You Spin Me
Round" dei Side… Ehm,
dei Dead or Alive batte quella
dei Gemini Five 30 a 0.
I Crackhouse in questo periodo stanno promuovendo
il loro ultimo EP, “The damage ‘03”,
che sta ricevendo strepitose recensioni ovunque
e che è disponibile a prezzo veneto presso
il loro sito, www.crackhouse.biz.
Il giorno dopo le danze
le hanno aperte i
LOVIN’ DOLLS, che suonano
a mio parere uno street metal molto moderno con
dei pezzi davvero interessanti. In particolare mi
ha impressionato moltissimo (oltre al livello globale
di charme & sensualità che pare molto
alto nelle nuove giovani band) il cantante, che
ha una voce teenage-incazzoso a metà tra
il vocalist degli Spread Eagle
e quello dei Bang Gang. Ho il loro
cd (disponibile a prezzo più che veneto –gratis!)
da un po’, la registrazione per loro stessa
ammissione dà un nuovo significato alla parola
“casalinga” e a causa di sta cosa non
mi ero accorto di QUANTO fosse bravo. La band gli
sta dietro alla grande, però lui davvero
m’è piaciuto un sacco. Ed –lo
ribadisco- essendo che io non capisco un cazzo di
musica, fossi in lui mi preoccuperei.
In detto CD, tra l’altro, c’è
un pezzo che è in heavy rotation da quando
ce l’ho, si chiama “you can’t
kill rock’n’roll” e ve lo consiglio
senza riserve.
E’ toccato poi
ai BABYRUTH,
che –raccomandati come sono- non hanno bisogno
di ulteriore presentazione. I commenti comunque
li spreco: solito show sopra le righe, esecuzione
impeccabile, Alex e GG reffano di brutto, Max vocalista
della madonna, Poldo idolo personale, Tony finocchio,
canzoni loro che ormai per chi li segue sono dei
classici più un pezzo nuovo, “Rock
me on”, che se satana vuole imparerete presto
a conoscere a sangue e una cover degli ACDC
pressoché PERFETTA. Ormai parlarne bene mi
dà profondamente sui nervi, quindi chiudo
qui raccomandando per chi ancora non ce l’avesse
il loro cd, sempre a prezzo veneto (1€) sul
loro sito.
www.babyruth.it
Quest’autunno et inverno faremo un tour insieme,
sarà divertente continuare a vederli sprofondare
in questo baratro di omosessualità molesta
che si stanno scavando da soli…
E poi hanno suonato,
ballato e professato i
Bastet…. Non vi sto a massacrare
i coglioni anche in questa sede chè tanto
con la schedule tipo marines che ha approntato il
Dott. Pace per l’autunno vi usciremo definitivamente
dagli occhi (e poi ormai lo sanno tutti che il furgone
più cool l’abbiamo noi e che di Rufus
ce n’è uno solo, grazie a dio), ma
ne approfitto comunque per un po’ di shameless
plug… A parte il 7” picture con "Gonna
get Laid/Try a Pariah", vi omelizzo che da
metà ottobre sarà regolarmente in
giro uno split cd con gli svedesi PLAN 9 che si
chiama SONGS THAT WILL GET YOU LAID, edito da DECIBEL
RECORDS e distribuito da VENUS, e se il
vostro macellaio di fiducia non ce l’ha sparategli
alle ginocchia… E contrariamente all’etica
veneta di vendere i proprio manufatti a prezzo veneto,
sia il vinile che il cd costano e costeranno prezzo
pieno… Perché?, qualcuno si chiederà.
Ma perché per metà siamo terroni!
Eh, i vantaggi del melting pot.
In ultimis, abbiamo sempre dello strepitoso merchandise
in vendita sul sito www.bastet.tv
e un sacco di conti da pagare. Coraggio! Un po’
di comunismo, god stomach. Un po’ di magliette
voi, un po’ di soldi noi, un mondo migliore.
Bene, sono stufo; ringrazio
tutti quelli che hanno letto fin qui, Kelly per
la splendida iniziativa, i tecnici e fonici del
Banale che hanno fatto un lavoro ECCELLENTE, Moreno
per lo spazio, tutti quelli che sono venuti, le
polacche presenti, quelli che non sono venuti e
soprattutto la mia mamma per avermi fatto così.
Buonanotte.
Mahatma Pacino
Ho fatto il diavolo
a quattro per poterci essere, ho tirato bidoni,
rimandato impegni, insomma, ho rotto le palle a
mezzo mondo e a naso mi sono giocata un paio di
amici, ma, ragazzi, questa prima edizione del Mascara
Massacre è stato un evento!
Arrivo a Padova mercoledì, cielo terso ma
freddo bestia, ops… l’albergo fa cagare,
ovvio che me ne potevo permettere uno meglio, ma
gli alberghi devono essere squallidi e infestati
di gentaglia, sennò non fa rock’n’roll…
pomeriggio da turista, cena a pizzette fredde, eppoi
un macchinone nero di quelli che devi saltare per
scendere mi passa a prendere: a bordo un Kelly agitatissimo,
che fra il suo concerto di stasera e tutte le pugnette
dell’organizzazione ha un bel da fare, e un
Pacino che grazie a Dio c’ha l’auto
col cambio automatico, visto che sta sempre al telefono!
Delinquente! Si arriva giusto in tempo per il primo
concerto, i Pink
Lizard: mi pare che l’età
media sia decisamente bassa, e questo rende la loro
capacità tecnica sorprendente, concerto bello
davvero, poche sbavature e professionalità
inaspettata, il genere è glam morbido, di
quello che tende all’AOR, e che di solito
mi provoca profonde crisi di sonno, ma non stavolta;
c’è qualcosa, nella composizione dei
pezzi, fra l’altro molto buona, che ricorda
la sinuosità dei Lynch Mob.
Non fatevi ingannare da dichiarazioni d’intenti
come la maglietta degli Enuff Z’Nuff
del cantante, la grinta c’è,
eccome… però sono una glamster, quindi
proprio lo devo dire: ragazzi riflettete seriamente
sul vostro look e sulla presenza scenica, perché
c’è un bel po’ da fare, ma niente
paura, nulla di irrecuperabile, avete tutto lo spazio
per migliorare… Discorso opposto per i Side
One, il secondo gruppo a salire
sul palco. L’attitudine c’è,
il look è perfetto, sanno stare sul palco
come consumate rockstars, e non è da tutti;
il concerto, però, è poco curato,
i suoni sono tremendi e a tratti sembra di vedere
un concerto hardcore; ho sentito il cd, i pezzi
sono belli, molto Motley Crue ma
con una certa originalità, però bisogna
dare una ripulitina al tutto. Insomma, due belle
promesse, se questo è solo l’inizio,
possono veramente fare grandi cose.
Fine serata in gloria,
Crackhouse
oramai eletti a icone, sono la radice e la linea
guida di tutta la scena di queste parti, ci hanno
fatto passare un brutto quarto d’ora con la
storia dello scioglimento, ma per fortuna la crisi
è rientrata, e sembra quasi che sia servita
a migliorare le cose, concerto ottimo: Kelly è
IL frontman, il gruppo è incazzatissimo e
non ce n’è per nessuno.
La gente è tanta, e c’è l’atmosfera
da evento, quella strana sensazione che pare rendere
reale lo spazio mentale della Mystery City, avvolti
dalle canzoni di Hanoi e Motley,
io vivo per queste cose!
E ovviamente, vi pare che manco il secondo giorno?
Fa meno freddo, la gente è ancora più
di ieri, tanto che faccio fatica a trovarmi un posto
da cui guardare i concerti… iniziano i Lovin’
Dolls, santo cielo mi sono commossa!
Ragazzi giovanissimi, ma che proprio hanno capito
tutto, fanno una cover degli Hardcore Superstar
che sembra sia stata scritta apposta per il loro
cantante, una dei Backyard Babies
che francamente gli consiglierei di eliminare e
una manciata di pezzi di loro composizione che ricordano
più gli anni ottanta che il nuovo glam. Dotati
di un bassista monomaniaco di Nikki Sixx,
i ragazzini presentano un look curato e grinta da
vendere, ah, certe cose mi scaldano il cuore! Caciaroni
quanto basta tecnicamente, ma chi se ne frega, lasciateli
fare, e vedrete, vedrete…!!! Dei Baby
Ruth dirò cose noiose e ripetitive…
è che può sembrare che io sia troppo
buona, ma che ci posso fare se sono tutti dei grandi?
I Baby Ruth
stasera hanno dato un bel calcio in culo a tutti
quanti, hanno fatto un concerto che ha sfiorato
la perfezione assoluta, nel giro di pochi mesi sono
diventati un gruppo che non sfigurerebbe sul palco
degli Aerosmith… ,che dire,
alla faccia delle giovani promesse!!! Quando vedi
il tuo terzo concerto degli Hardcore Superstar,
(per carità, bravi eh!), ti rompi le palle,
questi invece li ho visti quattro volte ma sono
da pelle d’oca: frontman con un gran stile
e chitarrista che suona con ogni muscolo del corpo,
coi denti, con lo stomaco… meglio dei Backyard
Babies! (ma che resti fra noi, in rispetto
alla loro gavetta). I Bastet,
vabbè, ormai, ve l’aspettate, no? Ovviamente
grandi, Pacino ha il carisma di uno che se volesse
potrebbe fare il dittatore, Carmen Ronzoni è
uno spettacolo per gli occhi e va come un treno…
questa è davvero gente dello spettacolo,
il vero spirito glam di quelli che vivono solo quando
sono al centro dell’attenzione, e loro fanno
di tutto per ottenerla, bel concerto, e questa non
è una sorpresa per nessuno, ma vorrei soffermarmi
su quella che secondo me è una ragione non
secondaria del loro fascino: sono delle stars, e
con che stile...
Beh, fine della serata,
me ne vado a nanna felice e contenta, due giorni
favolosi, concerti di qualità, bella gente…a
tutti quelli che dicevano che il glam non ci sarebbe
più stato, perché i tempi sono cambiati
e non era musica seria e gne gne gne bla bla bla…
fanculo! Il glam è vivo, incazzato ed elegante,
con la classe e la rabbia di sempre…e la favola
continua!!!!
Damn Doll
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---- by Slam! Production® 2001/2007 ----
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