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ALICE COOPER & DOGS D’AMOUR
9 dicembre 2002 –
Palageorge, Montichiari (BS)
Questo è uno
di quei concerti che non si dimenticano facilmente,
non capita così sovente di vedere due gruppi
così distanti per genere e pubblico, ma a
loro modo simili per aver scritto un pezzo di storia
del rock’n’roll. Il tempo di mangiarci
i nostri lussuriosi panini, accompagnati con gusto
da ottimo Rubicante, e prendiamo posto nelle prime
file del Palageorge: non male il posto, ma purtroppo
per noi caratterizzato da un impianto voce terrificante,
unica nota dolente della serata che influenzerà
negativamente le tuttavia ottime performance delle
due band.
“What’s
Happening Here?” et voilà, ecco i DOGS
D’AMOUR! Tyla imbraccia una
E335 rossa, i capelli corti irti come spine, ed
appare in ottima forma. Segue già un classico
da urlo: “Last Bandit”, e a seguire
sono pescate dall’ultimo disco “Rollover”
e “Everdoright”. Il pubblico, in gran
parte metallozzo, applaude educato ma rimane con
l’espressione da pesce lesso, per la serie
“fateli smettere, voglio Alice”…
bah!
La band spacca di brutto,
al basso non c’è, a differenza delle
voci di corridoio, Steve James, bensì Share,
ma l’ex Vixen non lo fa certo rimpiangere!
Il vero eroe della serata, per quanto mi riguarda,
è il suo maritino Bam Bam, che si conferma
un vero animale di batterista, lo sguardo incazzoso
e sfatto, batteria minimale e “bassa”,
ogni colpo dato con stile e cattiva potenza, da
panico!
Tyla rimane a torso
nudo, il fisico asciutto segnato dalle famose cicatrici,
e spacca un paio di volte le corde della sua E335,
alternata a una Gretsch d’epoca davvero invidiabile!
“Drunk like Me”, “Medicine Man”…
tale è l’emozione che mi pervade che
ora, a mente fredda, faccio fatica a ricordare tutti
i titoli dei pezzi suonati, tanto ero rapito dal
concerto! Il momento del commiato arriva troppo
presto e la band ci saluta con “I Don’t
Want You To Go”: impeccabili, immensi…
non ci sono parole, solo il desiderio bruciante
di rivederli al più presto come headliner.
I metallozzi escono
dal loro scemo letargo e incominciano a fremere,
adesso è il momento del nonno dello shock
rock, ALICE COOPER!
Un palazzetto ormai affollato accoglie le prime
note dello Spettacolo (la maiuscola mica a caso!),
splendido il palco “orientale”, e scusatemi
se non vi descrivo nel dettaglio i pezzi dei recenti
“Brutal Planet” e “Dragon Town”,
ma li ignoro senza vergogna! I classici non tardano
ad arrivare, e così “Hello Hooray”,
“Elected”, “I’m Eighteen”,
“No More Mr. Nice Guy” e “Billion
Dollar Babies” titillano le nostre orecchie,
seguiti da 80’s anthems come “Poison”
e “Trash”… peccato per l’assenza
dalla scaletta di “Hey Stoopid!”.
Alice appare in splendida
forma, l’unico segno dell’età
sembrano essere le braccia flaccide da vecchietto,
ma a vederlo cantare e fare le sue mitiche smorfie
c’è da giurare che abbia fatto anche
lui il patto col diavolo! Il resto della band è
costituito da gregari deluxe, alla batteria mi emoziono
a riconoscere Eric Singer dei KISS, e il suo assolo
da vecchia scuola è roba forte, mentre faccio
fatica a riconoscere nel chitarrista che stava sulla
sinistra Eric Dover, ex cantante degli SLASH’s
SNAKEPIT, una vera sorpresa! Chi non faccio fatica
a riconoscere invece è quello scimmione scemo
che bazzicava sul palco dei GUNS N’ ROSES
del periodo pre decadenza (per intenderci quello
dei palchi immensi pieni zeppi di coriste, fiati,
pianoforti… che schifo!), qui a tastiere e
percussioni.
Ma qui non siamo solo
a un concerto, ma a un vero e proprio connubio di
musica e teatro, per cui i pezzi sono intervallati
da godibilissimi intermezzi interpretati da un funambolici
Alice Cooper e da una sexy e conturbante infermiera,
memorabili le scene della ghigliottina, della macchina
del tempo e del mostriciattolo nella carrozzina!
Dopo due ore buone di
concerto giunge il momento di lasciare Brescia e
fare ritorno a casa, con il cuore che ancora brucia…
e madonna che freddo! Grazie ai DOGS e ad ALICE
di averci regalato tale turbinio di emozioni, roba
da lasciarti il sorriso per tutta la settimana…
e un saluto a quei ragazzi che si sono sbattuti
a venire in treno sin da Bari… this is rock’n’roll!
Simone Parato
Pix by Riccardo
Modena
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THE HELLACOPTERS
3 dicembre 2002 –
Alcatrazz, Milano
Grazie a un traffico
assassino e alla balzana idea di fare aprire il
concerto proprio ai GAZA
STRIPPERS (dico, mica dei novellini…
ma è noto cosa può fare un video in
rotazione su MTV per influenzare la scelta dei gruppi…
same old $hit) ci perdiamo praticamente tutta la
performance di Eric Sims (già dei
SUPERSUCKERS, per chi lo ignorasse) e soci:
davvero un peccato, perché anche se ho assistito
solo all’ultimo pezzo della scaletta, sono
rimasto molto colpito dalla pazza furia della band
americana, molto più efficace dal vivo che
su disco – devo ammettere che non amo tanto
la particolare voce del cantante/chitarrista…
immaginate un po’ i PORNO FOR PYROS
che suonano rock’n’roll!
Tocca poi ai DATSUN,
che fino all’appuntamento live non conoscevo
assolutamente e dei quali ho un ricordo sfocato.
Li avevano descritti come un incrocio tra i DEEP
PURPLE e lo scan-rock, motivo per cui mi
ero rassegnato a una puppa di concerto, ma devo
dire che sono stato smentito da una performance
elettrica e vecchio stile, con tanto di finale jam
rumorista e distorto… peccato non ci siano
più i musicisti (riccastri e strafatti) di
una volta, che dopo tutto ‘sto casino gli
strumenti li spaccavano a mazzate!
Nel locale ormai gremito
l’aria incomincia a farsi carica d’attesa
per gli HELLACOPTERS,
e i buttafuori di questo “simpatico”
locale incominciano a fare le bizze, rompendo le
biglie alle prime file di spettatori… ma quando
lo capiranno che non siamo a Tokyo, dove tutti sono
carini e se ne stanno seduti educatamente sulle
poltroncine!
Inizia il concerto e, dopo le prime e inevitabili
spinte, la pit solidarizza nel mandare coralmente
a quel paese i bovini paranazisti di cui sopra.
Lo show di Nicke Royale & band non regala nessuna
sorpresa, le mosse “chitarristiche”
sono ormai proprie di un rodato copione e tutto
il gruppo fa bene il proprio lavoro… intendiamoci,
non che fosse una palla, ma mi ha fatto riflettere
vedere che il pubblico ha risposto con cariche di
adrenalina esclusivamente ai pezzi più vecchi
(“You’re Nothin’”, “Soulseller”,
“Gotta Get Some Action Now!”). I pezzi
nuovi, comunque, fanno la loro bella figura, e qualcosa
di buono (“Move Right Outta Here”) viene
pescato anche da “Grande Rock”. Insomma,
non smette di ronzarmi in testa l’idea che
stavolta sia mancato qualcosa, ma Dio mi strafulmini
se riesco a definire cosa… mah!
Simone Parato
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HANOI ROCKS + Jany James
Transilvania Live Milano
- 22 Novembre 2002
E’ uno di quei
giorni che pensavamo di non vivere mai, uno di quei
concerti che non avevamo la fortuna di aver visto,
uno dei grandi rimpianti della giovinezza della
maggior parte di noi, allora ancorati in un Paese
che non e’ mai stato pronto per il rock’n’roll
e troppo giovani per viaggiare. E quando l’avevamo
archiviato, quando ci eravamo rassegnati a sentircelo
raccontare da qualche amico piu’ fortunato,
gli Hanoi Rocks decidono che e’ ora di tornare
e ci regalano un gig memorabile, direi storico,
“ribattezzando” la serata “Cathouse”
che con loro inizia una serie di concerti di maggiori
band straniere (tra cui prossimamente i Pretty
Boy Floyd).
Le brutte notizie sono che Michael ha contratto
una brutta influenza e Andy ha un problema al ginocchio
e dovra’ suonare seduto, ma sono qui, sebbene
in ritardo, mentre la folla si accalca davanti al
Transilvania fremente nell’attesa: parliamo
di oltre 700 persone, parliamo di rock’n’roll,
parliamo di Milano, tre cose che difficilmente avrei
pensato di poter mettere insieme.
Li ho gia’ visti a Londra quattro giorni prima,
ed e’ uno di quei concerti che non ti stancheresti
mai di vedere. Hanno suonato al Camden Palace, un
grosso club ricavato da un ex teatro, un palco enorme
dove Michael poteva fare salti e spaccate a ripetizione
di fronte a oltre 1000 paganti estasiati e distruggere
strumenti a calci, e dove ci hanno regalato il bonus
di un secondo bis con “Miles Away”,
lunghissima e intensa.
Aprire questo superconcerto
tocca ad una celebrita’ rock nostrana, Jany
James, che dopo tutto questo tempo
riesco finalmente a vedere dal vivo: ottimo, e decisamente
ben scelto per l’evento. Il mio parere da
“inviata dall’estero” e’
ultrapositivo, massimi voti musicalmente e come
presenza scenica. Meriterebbe ormai di fare il suo
ingresso sulla scena internazionale; anche se non
e’ facile essendo italiani, i numeri ci sono.
Non posso non paragonare questi ragazzi ai Quireboys,
un po’ per la cover di “Sex Party”,
un po’ perche’ musica e attitudine sono
decisamente simili, un po’ perche’ so
che Jany ne sara’ ben felice! Diversamente
da tante altre support band che ho visto, questa
suona di fronte ad una sala gia’ piena per
almeno tre quarti e il pubblico e’ tutto con
loro. In bocca al lupo ragazzi, e spero di vedervi
presto tra le nebbie londinesi...
E finalmente tutto e’
pronto, finalmente la storia del rock sta per scrivere
un altro capitolo in quel di Milano. Tutti al bar
per l’ultimo drink prima di accalcarsi per
assistere al ritorno, e alla prima volta in Italia,
degli Hanoi Rocks. Hanoi Rocks... Il nome mi fa
eco nella testa, ancora non riesco a crederci. Ma
e’ cosi. Axl muore, lui rinasce,
signori, accogliamo su questo palcoscenico mister
Michael Monroe con l’inseparabile Andy McCoy
e i loro nuovi compagni d’avventura, ed e’
rock’n’roll!
Cappello rosso bordato leopardo, una boa di piume
rosse intorno al collo e una nera che pende dal
microfono, i grandi occhi chiari che schizzano fuori
dell’eye-liner, e quelle inconfondibili labbra,
Michael e’ sempre quello, anzi no, forse alcuni
migliorano davvero con la vecchiaia come una bottiglia
di vino DOC. C’e’ quel qualcosa che
il suo corpo sprigiona, qualcosa che esce fuori
dai suoi occhi e dalle sue corde vocali che entra
dentro di te e ti porta in giro a cavallo di una
nota... Ti fa sentir bene, felice perche’
esiste la musica (non tutta eh? Cari Linkin
Park e il mio solito Limp Bizkit...),
che puo’ accendere il sole in una giornata
fredda e farti addormentare in una notte troppo
buia, che puo’ esaltare un momento di gioia
cosi tanto da farti esplodere il cuore. Musica.
Finalmente.
Andy e’ effettivamente bloccato su uno sgabello,
allora Michael gli si avvicina in continuazione,
gli si affianca, canta con lui, gli unici due rimasti
dell’avventura originale che un ubriacone
(non facciamo nomi, inizia per Vince
e finisce per Neil!!) spezzo’
18 anni fa.
La band presenta il
nuovo singolo dall’album imminente, si chiama
“People like me”, “gente come
me”: ce ne vorrebbe tanta nel triste panorama
rock dell’ultimo decennio! State tranquilli
e gioite, il pezzo e’ un classico Hanoi rock’n’roll,
non e’ successo niente, Eminem
era solo un incubo. Per il resto, la maggior parte
del set e’ tratto dall’indimenticabile
“Two steps from the move”. I miei pezzi
preferiti, e secondo mio personale “urlometro”
preferiti del pubblico, sono stati: “Don’t
you ever leave me”, profonda, vibrante nella
sua semplicita’, romantica senza essere smielata;
“Boulevard of broken dreams”, bella,
divertente e ballabile; “Until I get you”,
dedicata credo alla moglie morta non molto tempo
fa; e infine “Tragedy”... Si, si, so
cosa state pensando, pazienti, non e’ ancora
ora per quella li!
Tra salti, spaccate,
cambi di costume e sassofoni spaccati, stiamo purtroppo
giungendo alla fine senza rendercene conto. Un’ora
e un quarto e’ passata come un treno, un treno
carico di melodia ed emozioni. Gli Hanoi Rocks salutano
il pubblico italiano (piu’ alcuni arrivati
apposta da altri paesi europei) visibilmente soddisfatti
dell’affluenza e dell’accoglienza entusiastica.
Se ne vanno. E noi, ovviamente, li richiamiamo.
Tornano. Ecco, adesso e’ ora per quella che
tutti stavate aspettando!
“Up around the bend” ci da’ l’ultima
irresistibile scossa di adrenalina, oltre settecento
persone ballano, sorridono, gridano, applaudono
la rinascita di una band rimpianta per anni anche
da chi non l’ha mai conosciuta. Giovani e
meno giovani si uniscono nell’atto finale
di questa celebrazione, e se non capite l’assoluta
grandiosita’ di un momento del genere e’
perche’ non c’eravate e avete tutta
la mia comprensione e compassione. E non cercate
di rifarvi con i Puddle Of Mudd, non funziona!
E ora ci lasciano per
davvero, con un’enorme carica di energia positiva,
sudore e sorrisi, e una melodia felice nelle orecchie
e nel cuore. Incorniciate il biglietto, non dimenticate
e raccontatelo ai vostri figli, quando verra’
il triste giorno in cui vi chiederanno un cd di
Gareth Gates. E andate in giro a testa alta. Stavolta
potete finalmente dire “io c’ero”.
Cristina Massei
Pix >
Cristina
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MURDERDOLLS + ANTIPRODUCT
The Garage, London –
Venerdi 13 (!) Settembre 2002
Il Garage prova ancora
una volta la sua inadeguatezza per grandi eventi
come questo, sia per problemi di aria condizionata
sia per lo staff poco professionale e tantomeno
simpatico. Comunque sia, ne valeva la pena.
La prima curiosita’ e’: che pubblico
sara’, quello metallaro pesante di Slipknot
o vecchi fans dei Motley Crue che
ancora una volta sperano sia arrivato il momento
di uscire dalla tomba? La lunghissima fila che trovo
fuori del locale, sold-out con largo anticipo, e’
una sorpresa. Per lo piu' studenti, teenagers colorati
e truccati, tra il goth e questa nuova ondata cosiddetta
“glam” di cui qui sono portabandiera
i Rachel Stamp, lo stesso pubblico
che si trova ai Bowling 4 Soup
o i Sum 41... Che confusione!
Fortunatamente piu’ tardi arrivano i soliti
sospetti della rock scene londinese, quelli che
hanno un lavoro e una vita e non possono stare in
fila alle 6 del pomeriggio di venerdi, si scambiano
due chiacchiere, e via con gli Antiproduct.
I pezzi nuovi sembrano
piu’ duri dei vecchi ma la vena punk-rockeggiante
della band di Alex Kane e’ tutt’altro
che esaurita, e il pubblico e’ tutto con loro.
Annotiamo il rimpiazzamento dell’ex bassista
Toshi con l’ottima Marina, eh si, un’italiana,
quando si parla di pazzi il nostro contributo e'
essenziale! Il momento piu’ caldo rimane comunque
“Bungeejumping people die”, insieme
alle proverbiali testate al microfono di Alex, e
ci piace molto anche “Arms around the world”
stasera, con ottima reazione della folla gia’
sudata marcia.
E l’apice e’ il “rant” politico
dell’anticonformista frontman che finalmente,
a distanza di un anno, ci da’ occasione di
gridare tutti insieme “Fuck George Bush”!
Ma si, diciamocelo, tutti siamo con gli americani
ma quando e’ troppo e’ troppo. E’
un anno che vedo concerti con la bandiera a stelle
e strisce sullo sfondo e tonnellate di patriottismo
spicciolo, un anno che invece di rendersi conto
dell’umana vulnerabilita’ mi propinano
queste dichiarazioni di forza, frutto del lavaggio
del cervello di un co***one che crede che governare
un Paese significhi solo bombardare qua e la’,
liberalizzare le armi e proibire l’aborto.
Scusate lo sfogo, questo e’ il frutto di sei
mesi negli States... Fuck George Bush!
E' quasi giunta l’ora
dei Murderdolls. L’"adorabile" staff
del Garage caccia me e il tipo di NME dall’area
normalmente riservata ai fotografi dicendo che e’
per la security. Dunque, qual’e’ il
punto nell’avere un photo pass? Boh, andiamo
backstage a chiedere. Mentre un tipo della crew
sta cercando invano di risolvere con gli scagnozzi
del locale, arriva lui, Joey Jordison, colui che
ha messo momentaneamente nel cassetto nientemeno
che Slipknot per celebrare personaggi
del calibro di Alice Cooper e Motley
Crue: “tu e tu, potete stare sidestage
per le foto, nessun altro”. Joey e tutti i
ragazzi dei Murderdolls sembrano tipi davvero simpatici
e alla mano, soprattutto si vede che si stanno divertendo
un mondo.
Comunque, si sta troppo stretti sul lato del palco
e c’e’ una del Garage che mi sta esaurendo;
lascio quindi l’area backstage, e le foto
che vedrete sono prese dalle spalle forti della
mia amica Vik, che ringrazio sentitamente. Non sono
grandi foto ma sono eroiche, credetemi, visto che
il pubblico ora sembra davvero quello di Slipknot,
malgrado le apparenze iniziali, e il sudore continua
a scendermi sulla faccia pur stando ferma...
Ed ecco a voi la prova vivente che anche dietro
le maschere di Slipknot si possono nascondere dei
musicisti, signori, signore e teenagers: i Murderdolls!
Let’s go to War,
canta Wednesday 13, e guerra sia. L’energia
e’ straordinaria, sconfigge il sudore, i pensieri,
i problemi, per quasi un’ora e mezza e’
puro divertimento, e chi non e’ qui per ballare
e gridare, fuori dalla mia strada. Riflettori puntati
su Joey Jordison, ma Tipp Edren (Static
X), Eric Griffin (mini-Nikki Sixx!),
Ben Graves e l’eccentrico "horror vocalist"
non sono da meno. La ciliegina sulla torta e’
la data, Venerdi 13, come il film che ispira molti
dei testi di “Beyond the Valley of the Murderdolls”,
che sembra dare alla band un’ulteriore carica
di adrenalina. Ogni pezzo e' trascinante, esplosivo.
Alcuni hanno un po' della violenza di Slipknot,
mescolata pero' a quella carica sessuale e quella
rabbia di Crue e GnR
quando ancora avevano le tasche vuote, ricordate?
Colore, chitarre e humour nero al ritmo di “Love
at first fright” e “Graverobbing USA”,
due dei pezzi piu’ eighties (i critici seri
direbbero "cheesy") dell’album,
e una certa "Livewire" riecheggia al suono
di “Slit my wrists”.
Non c’e’ un momento fiacco, non un singolo
black out in questo gig memorabile, un autentico
risveglio dei morti viventi del solito caro Sunset
Strip; noi vecchietti pensiamo a un concerto tutto
esaurito al Whisky a GoGo con cui questi ragazzi
si sono presentati a Hollywood, e ci mangiamo le
mani ancora una volta come quasi 20 anni fa per
non esserci stati. Preghiamo in cuor nostro che
Slipknot si sciolga come tante altre blasonate rock
bands per un Joey Jordison "bambola assassina"
full-time.
E indovina un po’, il bis e’ il primo
significativo singolo “Dead in Hollywood”...
Per questa sera e’ finita, speriamo sia solo
l’inizio.
I Murderdolls ringraziano gli Antiproduct, noi ringraziamo
i Murderdolls, mentre giunge notizia che i nostri
eroi supporteranno Papa Roach nel prossimo tour
europeo. Buona o cattiva notizia? Boh. Da una parte
significa che il rock’n’roll puo’
ancora vendere, da una parte sembra che i promoter
si fidino ancora poco e abbiano bisogno di metterli
di contorno a uno dei soliti registratori di cassa.
Chissa', forse un giorno Papa Roach supportera’
i Murderdolls per vendere! Spero, per allora, di
non essere troppo vecchia per festeggiare...
Cristina Massei
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ZZ TOP +Treves-Bonfanti-Gariazzo
PALA - Milano - 27 ottobre
2002
Cominciamo parlando dei
supporters: il re del blues italiano, mr. Fabio
Treves, si è esibito in un'insolita
versione, insieme al suo bravo chitarrista Alessandro
"Kid" Gariazzo e all'altrettanto
bravo Paolo Bonfanti, re dello slide
nativo di Genova. Un trio che in teoria dovrebbe essere
acustico ma che in realtà è elettrico
visto che i chitarristi hanno usato quasi sempre le
elettriche.
Il concerto è stato ottimo, la classe dei tre
è nota a tutti quelli che seguono il blues,
e tra classici di Muddy Waters e
compagnia ci hanno traghettato (sul Mississippi?)
con estremo piacere al concerto dei nostri idoli.
Passiamo ora all'evento.
Costava 32 euro, è vero. Ma uno spettacolo
così non lo vedrete da nessun altro gruppo.
Quello del 27 ottobre è stato un concerto di
quelli memorabili, che si ricordano fino alla fine
dei propri giorni e che si raccontano ai nipoti.
Non ho mai visto un gruppo scenograficamente così
spettacolare come i ZZ Top. Si potrebbe obiettare
che i Kiss hanno sicuramente delle
scenografie stratosferiche, da colossal di Spielberg,
ma la quantità non fa la qualità. Intendiamoci,
i concerti dei Kiss sono i più
spettacolari che esistano, ma il 27 al Pala sembrava
di vivere in un sogno. Quei tre sul palco non sembravano
tre uomini ma tre dèi, o tre alieni!
Con le loro barbone, tranquilli e posati come asceti
buddisti, tra coreografie minimali (ogni tanto delle
mossettine perfettamente sincronizzate tra Billy Gibbons
e Dusty Hill), ci svisceravano tutta la loro classe.
Sicuramente avevano una
scenografia costata un decimo di quelle dei gruppi
stramiliardari, eppure era la cosa più fantastica
che abbia mai visto insieme ai fuochi alti metri dei
Kiss. Dietro di loro il muro era
completamente coperto da delle lunghissime frange
argentate, che riflettevano le luci in un modo da
far sembrare il concerto uno spettacolo su Marte più
che sulla Terra, un effetto che inondava completamente
il palco di un alone di luce quasi soprannaturale!
Il neon verde attorno alla grancassa. Le numerosissime
luci perfettamente sincronizzate con ogni minimo andamento
ritmico delle canzoni. I tecnici audio e luci probabilmente
fra i più bravi del mondo. Le rullate dei tom
che partono dai diffusori di destra a quelli di sinistra
in sincronia con le luci dando l'impressione di sentire/vedere
una rullata direttamente dentro la testa...
Non si può spiegare una magia finché
non vi si assiste, perciò smetterò di
cercare di spiegarla e mi limiterò a consigliarvi
caldamente di presenziare al prossimo loro concerto,
a costo di indebitarvi!
Passo ora al lato puramente
musicale. Il set delle canzoni era strutturato principalmente
sui loro classici degli anni '70 e degli anni '80,
concedendo poco alle ultime uscite, a mio avviso comunque
molto valide, anche se di ascolto meno immediato rispetto
al resto della loro produzione.
Fra i vari pezzi eseguiti c'erano gli ottantiani "I
Thank You" dall'album "Deguello", Sharp
Dressed Man (da "Eliminator"), ma anche
"Just Got Paid" (da "Rio Grande Mud"),
uno dei miei pezzi preferiti della loro produzione
settantiana, con quel riff chitarra/basso e quell'incedere
blues da ascoltare su un pick up impolverato lungo
le strade del Texas!
Avanti ancora con classici degli anni '70 con "Beer
Drinkers and Hell Raisers" (da "Tres Hombres",
datato '73), la mia canzone preferita in assoluto
(non per niente noi KickStart la usiamo sempre come
apertura dei nostri concerti!); e poi ancora altri
pezzi sempre da "Tres Hombres", il loro
album di maggior successo assieme a "Eliminator",
come la stupendamente cadenzata "Waiting for
the Bus", che poi è sfociata di colpo
nel lamentoso bluesettone "Jesus Just Left Chicago",
esattamente come nell'album in studio, stupendo positivamente
gli astanti: hanno avuto esattamente quello che si
aspettavano, visto che probabilmente tutti i presenti
conoscevano a memoria il brusco passaggio da una canzone
all'altra!
Ancora anni settanta con "Mexican Blackbird"
(da "Fandango"), conclusa con uno sproloquio
di Billy Gibbons in spagnolo... Avanti poi con qualche
pezzo degli anni '80 come "Got Me Under Pressure"
e la famosa "Gimme All Your Lovin'" (che
ha scatenato ancora di più l'esaltazione del
pubblico), entrambe da "Eliminator", e anche
la divertente "Cheap Sunglasses" da "Deguello".
Tra i pochissimi pezzi recenti da segnalare la bella
"Bang Bang", dal penultimo "Rhythmeen"
del '96.
Dopo essersi esibiti anche con i loro leggendari strumenti
ricoperti di pelliccia bianca i tre escono di scena
per tornare dopo poco per i bis: naturalmente "La
Grange" (da "Tres Hombres"), indubbiamente
la loro canzone più famosa nonché uno
degli inni di qualsiasi biker! Talmente popolare da
essere stata inserita anche nella colonna sonora di
"Armageddon". A questo punto la
folla è davvero in delirio, e accoglie calorosamente
anche l'ultima bellissima e blueseggiante "Tush"
(da "Fandango") cantata da un Dusty Hill
che forse non ha più l'estensione di allora
ma che ha maturato un timbro caldo e roco perfetto
per il groove blues dei pezzi cantati da lui.
Dopo questa canzone i tre fanno inchinare i loro strumenti
e se ne vanno con calma e senza salutare, da nobili
del rock quali sono.
Questi tre sono dei maghi,
dei veri maestri del blues! Solo loro sono stati capaci
di fare dei pezzi elettronici con la chitarra blues
come negli anni '80 e fare successo con questa formula
che a chiunque sarebbe apparsa ridicola, e che invece
loro hanno usato per scrivere grandi pezzi!
La loro classe, scusate il gioco di parole, è
da primi della classe. Solo Billy Gibbons è
capace di ciccare metà delle note di un solo
e non perdere un centesimo di carisma: lui se lo può
permettere! Solo lui si può permettere di accennare
qualche nota di un assolo e fermarsi ad ascoltare
le grida del pubblico e tamburellare le dita sul mento
come per decidere se andare avanti o no... solo lui
può fare dei soli "di silenzio",
dove le pause assumono un'espressività estrema,
come solo uno dei migliori chitarristi blues può
fare!
Solo loro possono permettersi di fare ridicoli ballettini
con le mani o muovendo solo le ginocchia e risultare
fantastici!
In definitiva nessuno
al mondo può eguagliare i ZZ Top. Nessuno è
tamarro quanto loro (basta vedere le loro giacche
eleganti tempestate di lustrini colorati e gli occhiali
da sole indossati per tutto il concerto), nessuno
è coraggioso quanto loro (sia per quanto riguarda
scelte stilistiche come l'elettronica nel blues, o
anche solo le loro ventennali babone!), nessuno suona
come i ZZ Top!
Uno spettacolo memorabile
a cui tutti dovrebbero assistere almeno una volta
nella vita per poter dire come me "io c'ero!".
Joe Salty
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JOE LYNN TURNER/GLEN HUGHESS
21 Settembre - Ancona Barfly
Avevamo lasciato J.L.Turner
poco più di un anno fa, quando aveva promesso
proprio ai “microfoni” di Slam una tournee
italiana insieme al suo amico Glen Hughes. Ebbene
la promessa è stata mantenuta!
La venue scelta per l'evento è il Barfly di
Ancona dove prima dei “Fab Two” si sono
esibite due supporting bands, in ordine i giapponesi
Blind Faith di Kelly Simon impegnati
a clonare in maniera davvero comica ed amatoriale
quanto proposto da Yngwie Malmsteen
e i tedeschi Domain fautori di un
hard rock melodico tra Bonfire e
primi Bon Jovi, che devo dire mi
hanno riportato
indietro nel tempo di una quindicina d'anni.
Niente comunque in confronto
all'esibizione offertaci da Hughes e Turner, che si
presentano sul palco in perfetto orario accompagnati
da un'ovazione da delirio del pubblico sulle note
di “Can't stop Rock'n roll”.
Glen Hughes, col suo basso a tracolla, nonostante
l'età dimostra di avere un'energia fuori dal
comune mentre Joe, con qualche chiletto di tropppo
devo dire, si dimostra sempre come quel rocker un
po' poser che tutti abbiamo ammirato nel video di
Live in Leningrad di Malmsteen.
Il repertorio proposto
spazia dalle rispettive collaborazioni con
Deep Purple, Rainbow ed esperienze soliste
non dimenticando il loro ultimo lavoro sotto il nome
di “Hughes/Turner Project”.
Come c'era da spettarselo Glen è stato quello
che ha raccolto maggiori consensi, soprattutto dopo
l'esecuzione di una Mistreaded” da pelle d'oca,
anche se personalmente sono rimasto letteralmente
ipnotizzato durante “Seventh Star”, tratta
dalla collaborazione di Glen con Tony Iommi,
che con il suo incedere sulfureo sembrava di assistere
ad un rito mistico di massa.
Anche Joe dal canto suo non si è risparmiato
ed è stato accolto in maniera trionfante quando
ha riproposto “I surrender” dei Rainbow
e la bellissima “Kings of dream”, vera
perla dell'AOR contenuta in “Slaves and Masters”
dei Purple.
Il bis è stato stranamente affidato ad “Highwaystar”
mentre, sebbene presente in scaletta, è stata
omessa “Burn”...
Che dire... IMMENSI!
Umberto Sartini
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JANY JAMES
Castellina M.ma (PI) - 15/08/2002
E' da qualche giorno
che provo a buttar giù mentalmente la recensione
del concerto di J.J., ma ogni volta mi accorgo che
ho dimenticato qualche particolare. Ci provo...
Arriviamo sul posto intorno
alle 21.00 con tutta la truppa di vacanzieri. Il paesino
è sperduto tra le colline Toscane vicino a
Pisa dove ogni anno si tiene una manifestazione chiamata
"Musica W" tra bancarelle di ogni tipo e
un bellissimo anfiteatro con un palco davvero notevole
e un'acustica eccellente.
Il tempo di una cena a base di specialità del
posto ed ecco che arriva finalmente il turno del gruppo
di Parma.
Dopo l'intro di "Hello
There" dei Cheap Trick arriva
la roboante "Lit Up" dei BuckCherry
e si capisce subito che la band è in palla.
Sotto al palco, oltre a me e "PiUiTZ", incominciano
ad arrivare ragazzi attratti dalla carica e dall'energia
propagata dall'amplificatori.
Lo show prosegue con l'azzeccatissima "Dynamite"
di Rod Stewart e con altre cover
proposte dal gruppo come "Tush" (ZZ
Top), "It's Alright" (Quireboys),
"Come Together" (Beatles),
"Evil Twin" (D:A:D:), "Kickin'
My Heart Around" (Black Crowes),
"Dead Flowers" (Rolling Stones),
ecc.
Ovviamente non mancano
le canzoni tratte da "Rock N Roll Bandit"
ed ecco "RockNRoll Star", "Bye Bye
Policeman", "Do You Wanna Listen",
"Boardwalk Angel", "Outlaw", ma
soprattutto devo segnalare "No Time For Losers"
con l'intro di "Comin' Home" dei Cinderella
(ma quand'è che la fai per intero?!)
e due nuove tracce: "Girl Of My Life" e
la selvaggia "Fuck!".
Nel frattempo si è riempito di gente. I ragazzi
sono in delirio e osannano la band, qualcuno sale
sul palco in cerca di uno stage diving e poi non mancano
i piccoli siparietti che vedono Jany e il solito Robby
"Guru" Siganakis come protagosti.
Lollo Baz dietro alle
pelli pesta che è un piacere, Matt e JJ sanno
come usare i loro strumenti e danno al gruppo quel
suono fresco e bluesy tipico del gruppo. Oltre alle
alle già citate cover, il five-pieces emiliano
ci ha omaggiato anche di altri pezzi da capogiro come
le classicissime "R'n'R" dei Led
Zeppelin e "Born To Be Wild" degli
Steppenwolf, l'immancabile "Sex
Party" (Quireboys) dove Jany
duetta con il pubblico e la smuovisassi "Golden
Age R'N'R" dei Mott The Hoople.
Per rivirere quella serata
e le sensazioni provate durante lo show non credo
bastino una ventina di righe, perchè credo
di essermi trovato di fronte a uno dei più
bei concerti a cui ho assistito in questo 2002. Vedere
per credere!
Moreno Lissoni
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IGGY POP
PARCO DI MONTE CLARO - CAGLIARI,
31 LUGLIO 2002
E’ stato
semplice, anche dopo 220 km, arrivare al Parco di
Monte Claro, e’ bastato seguire un’enorme
folla di persone che, come i vecchi zombie di un vecchio
film di Romero, anche se molto piu’ vitali,
si dirigevano tutte nella stessa direzione, alla ricerca
della stessa cosa: lui, Iggy, e tutto cio’ che
puo’ provocare.
Una folla eterogenea, ma unita, nella volonta’
di scatenarsi ai ritmi taglianti di quello che non
e’ un cinquantenne qualunque, e unita soprattutto
nel momento in cui i cancelli sono ancora serrati,
e non si sa ancora se il concerto si fara’ o
no. Unita e inferocita, questa folla, quando ancora
alle 22 si attende un ok dal sindaco che non arriva.
Almeno cosi’ e’ quello che sento dire
da chi e’ arrivato prima. Alla fine i cancelli
si aprono, e non poteva che essere cosi’, nonostante
le proteste, e il prato verde del Parco inizia a fremere
e tremare, alle prime note, quelle di “Mask”,
mentre orde di fan sono ancora in fila per i biglietti.
Esplode la platea,
al suono furioso dei brani del nuovo album, “Beat’em
up”mentre i vecchi punk (sono tantissimi) aspettano
i pezzi storici, quelli degli Stooges, e si scatenano
assieme ai piu’ giovani quando dagli ampli escono
le note di “I wanna be your dog”, “Search
and destroy”, “Wild one” e “No
fun”, e un Iggy che sembra sempre quello di
trent’anni fa si dimena violentemente sul palco.
Solo un paio di jeans a vita bassissima, e un’energia
incontrollabile e selvaggiache si trasmette a tutti
i presenti. Non si puo’ stare semplicemente
fermi ad ascoltare, e al momento di “The passenger”
riesco a intrufolarmi in prima fila, sotto il palco,
dove scatto delle foto e sento una ragazzina sussurrare
alla sua amica:” La sigla di Tempi moderni…”
*LOL*
"The passenger"
se la ballano anche sui balconi dei palazzi che circondano
il parco, proprio da dove e’ partita tutta la
protesta. L’Iguana sa tutto, e si ferma addirittura
per scusarsi dei problemi e dei ritardi, e per ringraziarci
tutti. Ma e’ solo un minuto, poi si riprende
a ritmo indiavolato.
Un paio di bis, “Raw Power” e “I
wanna be your dog”e poi, dopo un’ora e
mezza ( o un’ora, per chi come me all’inizio
era ancora in fila!) Iggy scende dal palco, sono le
23.30, e sa che oltre non si puo’ andare.
Nessuno vuole rassegnarsi, ma stavolta e’ finito
davvero: parte un pezzo, qualcosa che non ricordo
e che nessuno ascolta: abbiamo ancora tutti nelle
orecchie il suono graffiante della voce di Iggy, mentre
i roadie si danno daffare sul palco e l’Iguana
sparisce con la sua donna, che lo attendeva dietro
il palco, andando a nascondersi in un backstage inavvicinabile.
Glammie
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AMERICAN HEARTBREAK +THE
MANGES
17 luglio, Indian’s Saloon
(MI)
Niente poteva fermarci!
Nonostante una serie impressionante di maledizioni
da parte di una zingarella (I hope you’r dead!),
tre giorni randagi passati sulla strada e 16 (!) ore
di pulman da Praga (one more Pivo please!) io e la
mia glamgirl siamo riusciti a rivedere gli AMERICAN
HEARTBREAK, grazie anche al provvidenziale passaggio
offertoci da Mr Moreno, piombato con il suo hot rod
a raccogliere i nostri resti (e bagagli).
All’Indian Saloon è ormai come essere
a casa, così, tra una birra e una pizza, si
salutano tutte le vecchie conoscenze, compreso Billy,
che mi sorprende ancora per la sua cordialità
e simpatia, mentre Butler, un po’ timido, si
aggira presso la bancarella del merchandising.
Di supporto ci sono i
MANGES da Las Pezia (correte a leggere
la recensione del loro ultimo disco!), che subito
scaldano l’ambiente con il loro punk rock. Sarà
che ho una insana passione per il rockabilly ma mi
prendo subito bene a vedere chili di hair grease e
basettoni, mentre da parte loro Andrea e soci suonano
schegge velocissime di ottimo rock’n’roll,
sorretto da una bella sezione ritmica.
Tocca dunque agli AMERICAN
HEARTBREAK, orfani di Adam, rimpiazzato alla
seconda chitarra da Casey. Butler sfoggia un bellissimo
firebird nero con tanto di croci di malta argentate
come segnatasti, mentre Billy imbraccia una E-335
color panna e spara a raffica i riff che sono ormai
il marchio inconfondibile del gruppo americano. Il
primo disco (“What You Deserve”)
è completamente ignorato nella scaletta di
oggi, ma come spiega Butler ciò è dovuto
al recente ingresso di Casey nella All-Star-soiled
band. Da “Postcards From Hell”
sono pescate l’hit "Superstar" (la
cui intro è cantata dall’ex bassista
degli EXODUS), “I Wish You
Were (D.E.A.D), “Brain Vacation” e “Seven
Time Loser”, mentre completano la bill alcuni
dei pezzi che andranno a finire sul prossimo, imminente
disco previsto per fine anno. Lo show è energico
e coinvolgente, mi è bastato uno sguardo al
pubblico per vedere come tutti fossero davvero coinvolti
a cantare i pezzi e fare casino. Pubblico invero non
troppo numeroso... ragazzi, se per alzare il culo
aspettate che vengano i PRETTY BOY FLOYD stiamo proprio
freschi!!!
Giunge l’ora dei
saluti, e noi finiamo la serata con Mr Piviz al Wizard
a bere l’ennesima birra, il che ci risparmia
un paio di ore d’attesa in stazione... l’ultimo
ricordo che ho, prima di crollare addormentato, è
un vecchietto in ciabatte che ci gironzala attorno
curioso... credo mi avesse scambiato per un Metadone
Baby!
weird words by Simo
Gipsy
smart pics by Kiara aka Glammie
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SETLIST:
1. Off my Head
2. Long Live Rock ‘n’ Roll (Rainbow)
3. Damned Clockstrokes (you’d better get off)
4. Speed King (Deep Purple)
5. Wheels of Steel (Saxon)
6. R.A.W. Suite
7. Drum solo
8. Thunderstruck (AC/DC)
9. Party in Simon’s Pants (Steve Lukather)
10. Orangut-Angus
11. Wine Spirit
12. Wasted Sunsets (Deep Purple)
13. Guitar solo
14. Sailing Ships (Whitesnake)
15. Tail Gunner
16. Bass solo
17. Short Hair Rocker
18. Proud to be Loud
19. Highway to Hell (AC/DC) |
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WINE SPIRIT
HARLEY CAFE’ –
Capolago (VA) – 19 luglio 2002
Ecco l’ennesimo
concerto dei Wine Spirit in zona Varese/Como! I nostri
WS iniziano il concerto dopo la mezzanotte e a noi
va benissimo perché siamo rimasti imbottigliati
in tangenziale per circa un’ora… pensavo
che mi sarei perso metà concerto e invece arrivo
che non hanno ancora iniziato: che sollievo!
Quando finalmente i tre arrivano sul palco la folla
li acclama! In fin dei conti in questa zona i Wine
Spirit sono delle vere e proprie rock star, ed è
inutile dire che si meriterebbero un trattamento simile
in tutto il mondo! Purtroppo però la loro musica
è troppo bella, intelligente, potente e grezza
per essere “trendy”… dico questo
anche perché io coi miei KickStart
suono un genere molto simile e la fatica che facciamo
ad affermarci è 10 volte tanto rispetto a un
gruppo di rock italiano o di ska…
Lasciamo da parte le questioni
personali e dedichiamoci a questa recensione!
Partenza con l’acceleratore
a tavoletta: “Off my Head”, primo pezzo
del loro primo album “Bombs Away” (da
avere assolutamente: aiutiamo la scena rock’n’roll
italiana! E poi è bellissimo!). E’ un
pezzo pieno di energia, con un ritmo e un cantato
vicino ai Motorhead… non per
niente prima che i Wine Spirit iniziassero il concerto
il dj del’Harley Café ci ha fatto sentire
i Motorhead! Comunque in questo pezzo
CC Nail (batteria) ci fa capire che i suoi piedini
sono in ottima forma!
Finita questa El Guapo
(basso/voce) saluta la folta platea e dedica la canzone
seguente agli amanti del Rock ‘n’ Roll:
ecco infatti “Long Live Rock ’n’
Roll”, dei grandi Rainbow.
In questo pezzo già Il Conte (chitarra/voce)
ci fa sentire di che pasta è fatto: oltre ad
essere un virtuoso della chitarra ha anche un’ugola
d’oro!
Ecco che si torna al repertorio
originale della band: “Damned Clockstrokes (you’d
better get off)” è la mia canzone preferita
dei WS, anche se mi esalto di più quando la
sento dal vivo, rispetto a canzoni come “Voyager”
o “Tailgunner” che ho apprezzato maggiormente
quando le ho sentite sul disco. Questa “Damned
Clockstrokes” è un potente mid-tempo
con una tastiera fare da tappeto, una canzone piena
allo stesso tempo di potenza e di drammaticità,
e un irresistibile ritornello da cantare con un coro
da stadio: “YOU’D BETTER GET OFF!!!”…
come avrete capito in quell’occasione mi sono
un po’ sbracato urlando il ritornello e agitando
in aria il pugno!
E’ adesso l’ora
di “Speed King” (dei Deep Purple,
naturalmente!), rifatta magistralmente, con l’assolo
dell’hammond eseguito da Il Conte in modo impeccabile
e inframmezzata da un (fin troppo) lungo botta e risposta
tra Il Conte e El Guapo… in fondo fa molto seventies!
Facciamo ora posto a una divertente quanto eloquente
nel titolo “Wheels of Steel” dei Saxon…
questi tre hanno capito come si vive!
E’ ora tempo di
“R.A.W. Suite”, pezzo originale. E’
una canzone meno immediata rispetto alle altre ma
non per questo meno bella: lunga, complessa, lievemente
prog (mi ricorda a tratti gli Extreme più duri)
e piena di stacchi, riff diversi eccetera. Forse più
da ascoltare con attenzione che da pogare... ma poco
male! Attaccata a questa poi ecco che CC Nail spacca
tutto con un assolo di batteria spaccaossa! Una vera
macchina da guerra!
Si riprende però
subito a esaltarsi con una aggressiva “Thunderstruck”
degli AC/DC, canzone che la platea
non gradisce, di più!!! Esplode letteralmente
quando Il Conte inizia a suonare il riff! Fra l’altro
ho sempre pensato che non esiste persona sulla terra
in grado di cantare decentemente le canzoni di Brian
Johnson, e Il Conte mi ha smentito, cantandola bene,
senza però stravolgere il timbro della propria
voce.
Si passa poi di nuovo
a un episodio meno immediato: Il Conte annuncia che
per riposare un po’ le ugole si cimenteranno
in uno strumentale, ed ecco “Party in Simon’s
Pants” del grande Steve Lukather (già
chitarrista dei Toto). Un riffone micidiale in un
tempo dispari che sorregge tutto il pezzo, veramente
una scelta ottima!
Il Conte poi dice che
omaggeranno uno dei loro maggiori idoli: Angus
Young, con la loro “Orangut-Angus”…
bellissima canzone a mio avviso che però di
AC/DC ha solo il riff iniziale, mentre
il cantato e le altre parti ricordano forse di più
i Judas Priest di “British
Steel”… pezzo comunque bellissimo!
Ecco che si raggiunge
ora uno degli apici della bella serata: i nostri amici
eseguono la loro “Wine Spirit”, che se
fossero americani e fossimo negli anni ’80 la
sentireste in Heavy Rotation alla radio e su MTV…
un potenziale singolo molto bello e che soprattutto
tutti i ragazzi presenti hanno cantato a squarciagola!
Ve l’ho detto che da queste parti sono delle
vere e proprie rock star!
Qualche mese fa, dopo
un concerto al Vox club di Arluno, dissi a Il Conte
che mi sarebbe piaciuto sentire dal vivo “Freedom”
e “Wasted Sunsets” dei Deep Purple, che
sono presenti sul disco ma che non gli ho mai sentito
interpretare su un palco. La cosa mi dispiaceva non
poco perché sono veramente due episodi che
rendono il loro album ancora più bello. In
“Freedom” la capacità compositiva
dei tre di Milano salta subito all’occhio mentre
in Wasted Sunsets Il Conte si lancia in una performance
vocale incredibile, con un cantato pulito intenso
e passionale degno di Coverdale (anche
se l’originale è cantata da Ian
Gillan)! Quando lo dissi a Il Conte lui mi
rispose di non preoccuparmi che avevano in programma
di fare anche quelle dal vivo. Eccomi allora parzialmente
accontentato, perché è arrivata l’ora
di “Wasted Sunsets”, e non posso che essere
contento!
Ora Il Conte viene lasciato
solo sul palco: lascia giù la sua elettrica
per prendere la classica elettrificata. Inizia il
suo solito assolo mozzafiato, infarcito di flamenco,
musica classica, citazioni dei Queen, mentre a gesti
cerca di far capire al fonico di creare atmosfera
con le luci… credo che l’unico in quel
locale a non aver capito i gesti de Il Conte fosse
proprio il fonico… comunque sia l’assolo
alla classica de Il Conte è nello stesso momento
pieno di tecnica e di feeling, che ammaliano come
al solito il pubblico. Senza fermarsi Il Conte comincia
l’arpeggio della bellissima “Sailing Ships”
dei Whitesnake, pezzo imprescindibile dalla loro scaletta,
e a ragione, perché soprattutto la prima parte,
con un arpeggio acustico e un’armonizzazione
delle due voci nel ritornello (“Take me with
you, take me far awaaaayyyy”… mamma mia
bella canzone!) è uno dei momenti più
intensi dei loro concerti!
Dopo questa digressione,
passionale come solo le canzoni di Coverdale sanno
essere, El Guapo prende la parola: “Prima parlavo
con un amico che mi diceva di gradire particolarmente
‘Tail Gunner’, perciò la dedichiamo
a lui!”. L’amico poi si rivela essere
un punk, che sulle note della motorheadiana canzone
in questione, si agita non poco! Insomma, fa piacere
vedere anche gente che normalmente non ascolta questo
genere esaltarsi e divertirsi così! Ad un certo
punto ho perfino visto nel cortile esterno del locale
una coppia “per bene” e di una certa età
mettersi a ballare come se stessero ascoltando una
polka! Bene! Ognuno è libero di divertirsi
come meglio crede, se la musica è quella giusta!
Senza lasciar rifiatare i nostri timpani ecco che
El Guapo ci stupisce col miglior assolo che gli abbia
mai visto fare… inizia con un consueto divertissement
con un “Octave” a sdoppiare il suono del
basso che ha in questo modo un sapore veramente forte!
Poi prosegue con “Bass-tard”, il piccolo
strumentale che i WS hanno inserito nel loro album.
Il pezzo in tapping, magistralmente eseguito, lascia
poi il posto a una lunga digressione in slap…
El Guapo ci fa vedere di tutto e strappa sincerissimi
applausi! Credo di non aver mai visto i Wine Spirit
tanto in forma!
Ecco poi che i nostri
ci deliziano con la veloce “Short Hair Rocker”,
che in alcuni punti mostra evidenti (e graditissime)
influenze di Van Halen e Mr.
Big, ma senza mai diventare poco originali.
E’ poi il turno di “Proud to be loud”,
che come dice il titolo è fortissima e tiratissima,
a parte un pezzetto dove il buon CC Nail si esibisce
in un divertente monologo… anche questa canzone
ha un intro in stile Mr. Big, dove la coppia Il Conte/El
Guapo ricorda la coppia Paul Gilbert/Billy Sheehan!
E’ arrivata l’ora
di finire questo lungo e coinvolgente concerto: ecco
quindi una divertente “Highway to Hell”
degli AC/DC, dove El Guapo si dimostra
ottimo imitatore si Bon Scott!!!
Che dire di altro? Che
i Wine Spirit oltre che essere dei grandi musicisti
sono anche gentili e umili, perché dopo essere
andati a cambiarsi in camerino sono venuti a salutare
tutta la gente che li stava aspettando, con molta
simpatia e disponibilità.
Inutile dire che sono
per me il miglior gruppo rock’n’roll italiano
(ma gli Smelly Boggs gil fanno una
bella concorrenza!) e che meriterebbero fama e gloria
e tournée mondiali! Speriamo che almeno una
piccola parte di tutto questo si avveri!
Joe Salty - KickStart
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HARCORE SUPERSTAR - Thee
STP
PALAVOBIS (Milano) - 21
giugno 2002
Sia lode agli STP,
per la prima volta non mi hanno spazzolato via le
orecchie con il volume delle chitarre! Scherzi a parte
tocca al Metius e soci aprire la data milanese degli
HARCORE SUPERSTAR (ometto volutamente
di parlare di quel gruppo che ha suonato prima di
loro… ma che roba facevano??!) e il quintetto
rockarolla ci da dentro di brutto. Oltre ai classici
come “Lazy Lisa”, che mi ha ronzato infingarda
nelle orecchie tutta la sera, la band ha proposto
alcuni dei pezzi che andranno a finire sul nuovo disco,
tra i quali pure… un “lento”, ovviamente
à-la STP!
L’impressione che ho avuto dal vivo è
davvero buona, adesso attendo la riconferma del CD.
E adesso tocca agli HARDCORE
SUPERSTAR. Prima però permettetemi
una breve divagazione sul “fattaccio”
di Torino, anche perché è almeno la
terza volta che scrivo un live report della band svedese
e non ho certo intenzione di dilungarmi su ogni singola
canzone.
Jocke & Superstars avrebbero dovuto suonare assieme
ai MOTORHEAD e a quegli scoppiati
metallari dei GAMMA RAY nella motorcity
italiana, due giorni prima della data milanese. Avrebbero,
perché qualche mente illuminata, che aveva
spostato il gig dal Palastampa al Supermarket, a un’ora
(sic!) dall’apertura dei cancelli ha fatto sapere
che non ci sarebbe stato nessun concerto. Il motivo?
L’impianto elettrico del locale non poteva sostenere
il carico dei Motorhead!! Vi lascio immaginare la
delusione di chi aveva comprato il biglietto, dei
ragazzi che per venire a Torino avevano macinato chilometri
da un po’ tutto il nord Italia (vi ricordo che
I Motorhead hanno suonato solo a Roma, il giorno prima),
di chi, nonostante la catena telefonica (a tal proposito
un grazie agli amici di Suburbia che mi hanno avvertito
per tempo!) è arrivato sul posto ed è
stato preso per il culo da un laconico foglietto.
Vi assicuro per certo che Lemmy era
incazzato nero e seriamente dispiaciuto per i fan…
che dire, mi è giunta voce che forse la data
sarà recuperata (a Milano mi auguro) in Ottobre,
nell’attesa di una conferma ergo il dito medio
a chi fa pagare un concerto 25 euro organizzando un
sedicente festival infarcito un po’ di tutto
(mi riferisco agli impiastri metallari di cui sopra),
con ‘sto caldo era meglio una insalata di riso!!
Ok, adesso torniamo al
Palavobis! Sono particolarmente affezionato agli HARDCORE
SUPERSTAR, per qualche arcano motivo questa
band ha fatto incontrare diverse persone del rock‘n’roll
circus italico nella loro prima data all’UB
di Milano, persino il sottoscritto e Moreno si sono
conosciuti di persona in quella occasione… e
non scorderò mai lo “scontro” w/
SOMEONE really SPECIAL! Questa volta nessun problema
tecnico, tutto fila liscio e la band ci regala un
concerto davvero coinvolgente, vuoi anche per il clima
rilassato all’interno dell’infernale tendone.
Jocke sfoggia un look decisamente street e come sempre
offre una prestazione vocale pazzesca, mentre un plauso
va a Silver Silver, scatenato e impeccabile nelle
sue pose, anche se ha un tagli di capelli terribile.
Tra un pezzo e l’altro la band ci regala un
inedito, Magnus sembra un bambinone, e tra una pestata
e l’altra si alza dal drumkit, cazzeggia per
il palco e lancia gavettoni ai compagni! Peccato che
tutto finisca presto ma gli sguardi della gente parlano
chiaro.
La nostra serata si conclude
al Transilvania, che il caldo ha reso un vero e proprio
sudario infernale. Poco dopo arriva anche Martin,
che da bassista cicciottello si trasforma in un angelico
e tenerissimo putto, e si avvicina a noi offrendoci
una birra ciascuno! Ci siamo quindi intrattenuti con
lui parlando come si fa tra vecchi amici, e mi sorprendo
ancora a pensare a quante volte Martin ci ha timidamente
sorriso dicendo che era contento di averci conosciuto.
Queste sono cose che fanno bene…
Ne approfitto per salutare Moreno, Roberto e consorte,
tutti i Simoni del rock (ma quanti cazzo siamo???)
e tutti quelli di cui non ricordo il nome, ci si vede
alla prossima!!
Simone Parato
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