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www.genewalkgroup.com



 

THE GENE WALK GROUP
"The Gene Walk Group"
Park Avenue Records - 2003

Era dal lontano 1993 che non avevo notizie di questa band, improntata sulla figura di Gene Walk, cantante e chitarrista del New Jersey. Ricordo benissimo quando acquistai per corrispondenza il mini cd di 6 tracce basandomi esclusivamente su alcune frasi lette su un magazine americano che paragonavano la band ai primi Bon Jovi...
Ed in effetti conservo ancora gelosamente quel cd che conteneva autentiche perle del calibro di "Long Arm of Love", una delle mie canzoni preferite di sempre e della mega-ballad "Painted Horse".
A 10 anni di distanza, grazie alle rete of course, mi sono imbattuto nel sito della band e con mia grandissima sorpresa ho saputo di questo album uscito e che immediatamente ho cercato di recuperare.

Grazie alla disponibilità ed alla simpatia dello stesso Gene eccomi qui finalmente a potervi parlare di cotanto cd che se arrivato prima nella mia casella della posta avrebbe sicuramente figurato nella mia playlist di fine anno.
Eh si, perchè le 13 songs racchiuse in quasi 70 minuti rappresentano una boccata d’aria salutare per chiunque ami sonorità melodiche e di classe, unite ad una certa ricerca delle radici del r’n’r che mi hanno fatto pensare ad alcune cose dei Rolling Stones... qui omaggiati con una bellissima versione del classico "Dead Horse".
Tra i pezzi migliori meritano citazione "Kiss The World Goodbye" dal chorus indovinatissimo, "Tumbleweed Junction" che ricorda i Firehouse e la riproposizione della già citata "Painted Horse" che non ha perso nulla del fascino originale…
Rispetto all’esordio compaiono in questo album richiami a sonorità quasi Southern, soprattutto in due pezzi da 90 come "Sunflower" e "Rumblin’ Train" che con i suoi 8 minuti e mezzo di durata si candida ad essere uno dei piatti forti dei live –shows.

Ascoltando questo cd mi sono venute in mente bands tipo i primi Tangier e Cinderella, oppure "Blaze of Glory" di chi sapete voi, con quelle atmosfere quasi western che mi hanno sempre fatto impazzire...
Posso solo darvi un solo consiglio... contattate la band e procuratevi il cd... una delle perle di un anno che davvero comincio a ritenere uno dei più prolifici degli ultimi 10…
PS: Negli ultimi mesi i nostri hanno fatto diverse date con personaggi del calibro di Bret Michaels e Twisted Sister… vorrà pur dire qualcosa no?
Federico Martinelli

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www.thestarlits.com



 

THE STARLITS
"Promo 2003 "
Peephole Records - 2003

Urgh... Questo mini di tre pezzi, che serve da apripista in attesa del full-lenght delle Starlits (band per ¾ al femminile, con la sola eccezione del drummer Mike Hobbs), ha suscitato in me emozioni decisamente contrastanti. Sono passato da un “Wow, che bello! Il capo m’ha passato il mio primo promo da recensire!!” ad un “Ecce credo... ‘tacci sua...”! Sarà che salvo poche eccezioni non ho particolare propensione per le voci femminili nel Rock’n’Roll, sarà che stamattina s’è svegliato per primo il mio lato sciovin/maschilista ma... boh... ’sta roba mi lascia un po’ d’amaro in bocca. Innanzi tutto non trovo sostanziali differenze tra i brani proposti: “For You”, “Cast A Shadow” e “Tongue To Cheek”, tutti all’insegna di un Punk’n’Roll piuttosto scialbo e scontato con poca personalità, poi la struttura e la sonorità dei brani sono sul “depresso - decadente” ed il ritmo spesso rallenta diventando lagnoso e sembra quasi aleggiare una fastidiosa presenza Post-Grunge...

E’ come sessere su un fottuto aereo che rolla e rolla e rolla ma... cazzo, non si decolla mai... Potrebbero ricordare vagamente (anche per l’impostazione della singer Heidi Peel), i N.Y.Loose di Brijitte West che, se già non mi esaltavano, avevano quanto meno parecchie frecce in più al loro arco. Mah... continuo ad ascoltarlo ma l’impressione non cambia e ben poco dei brani mi rimane in testa , leggendo la bio sembra che il loro live-show sia molto carico e coinvolgente, a questo punto mi auguro riescano a trasmettere quest’energia anche nel full-lenght di prossima uscita, magari variando un po’ di più la struttura dei brani in modo che riescano a fare quel salto di qualità assolutamente necessario. Amen.
Gaetano Fezza

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www.aberuthless.com



 

ABE RUTHLESS
"No Nothin' Blues"
Formula 13 - 2003

Chi segue la scena trash punk rock'n'roll avrà sicuramente sentito parlare degli Slash City Daggers, quartetto americano con all'attivo due album ("Lock Up Your Daughters" e "Backstabber Blues"), e di conseguenza del suo singer Abe E. Ruthless, già membro fondatore dei Fuck You Ups, che lo scorso anno è uscito con un EP dal titolo "No Nothin’ Blues" dove il rocker dell'Arizona si fa aiutare dal cult trasher JEFF DAHL e... si sente!

Prendete ad esempio l'opener "This Ol Boy", inevitabile l'accostamento con i prodotti solisti dell'ex the Angry Samoans o Stones, così come la title track o "Don't Fool Around", tutti brani nati dall'amore per lo sporco e trashy rock'n'roll dei Seventies. Solo l'acustica "I Don't Wanna Die" da quel taglio più malinconico al CD, una sorta di tributo a JOHNNY CASH e DOGS D'AMOUR, ma per il resto è solo musica per "vecchi" intenditori... e so già che il nostro Trash69 andrà subito alla ricerca di una copia...
Moreno Lissoni

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www.dopestarsinc.com



 

DOPE STARS INC.
"10.000 Watts Of Artificial Pleasures"
Self Produced - 2003

Young, loud and sinthetized. Ovvero i DEAD BOYS violentati dai KMFDM… o viceversa?
I DOPE STARS INC. sono una nuova, interessante e viziosa realtà tutta italiana, una band che nasce dal desiderio di creare una band rock n roll imbastardita da un assalto sonico e punk e dilatata da sonorità industrial. Un ensamble che si presenta con tutte le carte in regola: CD, bio, sito… tutto realizzato in modo professionale (e stiamo parlando di un CD che in find dei conti è autoprodotto!) e con un inglese corretto… e scusate se è poco, in un Italia ancora troppo caciarona e provinciale, dove molte, troppe band fanno le cose a cazzo…

Professionalità, sì… ma c’è di più. “10.000 Watts Of Artificial Pleasures” apre le danze biotecnologiche, e proprio di danze si tratta! Immaginate gli ZEROMANCER o i COVENANT più martellanti e marziali, e una strofa + coro a dir poco indovinatissime… impossibile resistere, melodia e beats si rincorrono, l’adrenalina scorre, sale e scende, fino all’orgasmo biomeccanico.
E’ proprio questo primo pezzo, luccicante biglietto da visita, ad essere il mio preferito, assieme a “Infection 13” (eheh ma chissà da dove salta fuori l’idea di questo titolo!), che a tratti mi ricorda TIM SKOLD, e a “Self Destructive Corp.”, dove un ritornello melodico e vagamente pop sposa le ritmiche micidiali dei RAMMSTEIN. Se proprio devo trovare un difetto, penso che “Plug And Die” sia troppo prolissa, mentre la cover di BILLY IDOL “Shock To The System” mi ha fatto ripensare all’assurdo video che passavano alla televisione diversi anni fa… non male, e oserei dire molto meglio dell’originale! Chiudono il CD la più rilassata “Generation Plastic”, le cui vocals mi ricordano il MARYLIN MANSON più, ehm, intimista, su un tappeto musicale impregnato della poesia cupa e magnifica degli ZEROMANCER, e un remix indiavolato della title track.

Ora aspetto al varco gli elettro-dandies, che vorrei vedere all’opera dal vivo, diciamo… uhm, ADESSO! Le potenzialità ci sono, e non posso augurare alla band se non il meglio…
Supportate la band, magari incominciando a fare un giretto sul loro ottimo sito, non ve ne pentirete…
Simone Parato

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www.babylonbombs.net



 

BABYLON BOMBS
"Promo 2003 "
Self Produced - 2003

Da un'anno a questa parte ai nomi più noti della scena rock svedese io inizierei ad aggiungerci questi Babylon Bombs già recensiti nella sezione New Bandz (www.slamrocks.com/newbandz19.htm) lo scorso anno con l'uscita del loro primo album, "Ten things you can't live without".
Questo promo segna un deciso passo in avanti rispetto all'esordio con Dani (Vocals, guitar), Swaint (Drums) e Jon (Guitar) in splendida forma e a ricordarci che la scna scandinava è più viva che mai. Si parte col botto, "Let's Roll" caratterizzata dal guitar riffing iniziale, una traccia potente e cattiva che ricorda gli ultimi BACKYARD BABIES, segue "Delirious" altro brano di potente e coinvolgente scan rock!

"Crucify" presenta delle atmosfere decisamente più Seventies date dall'inserimento dei tasti d'avorio suonati per l'occasione da The Duke Of Honk, un pezzo più lento e commerciale rispetto lo standard, ma davvero piacevole così come la quarta ed ultima traccia, "Suicide Street" che pesca nel reportorio più melodico della scena scan.
Gran bel biglietto da visita questo "Promo 2003", ora non ci resta che aspettare impazienti il full-lentgh CD!
Moreno Lissoni

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www.point-music.com



 

SILVER
"Intruder"
Point Music - 2003

Yawn... avete presente quando avete un cd da recensire e ogni volta tentate di rimandare perchè non riuscite ad ascoltarlo fino alla fine a causa dell'effetto soporifero che vi causa? E' questo il caso del terzo album dei melodici SILVER dal titolo "Intruder" (sì sì, come il razzo e la moto). Dopo aver dato alla luce esattamente un album all'anno: "Silver" nel 2001 e "Dream Machines" nel 2002 eccoci al terzo capitolo. Il nucleo principale del gruppo è di tutto riguardo, composto infatti dall'ex MSG Gary Barden - alla voce -, Bernie Torme (ex Gillian) e Michael Voss (ex Bonfire) - alle chitarre - e l'inossidabile Don Airey (Deep Purple) - alle tastiere - ...ma per l'occasione i super ospiti non si sprecano di certo! La maggior parte delle sessioni di batteria è opera di Bertram Engel (Bruce Springsteen) e Peter Maffay, mentre al basso troviamo due leggende del metal: Bob Daisley (Ozzy Osbourne) e Colin Hodgkinson (Whitesnake); a dar man forte a Voss nelle schitarrate c'è lo svedese Tommy Denander (AOR, Radioactive).

Con dei personaggi così il risultato non dovrebbe essere garantito?? Invece direi proprio di no! Le prime quattro songs volano via inconsistenti, compresa la title track "Intruder" che delude specialmente sul ritornello. Verso la traccia cinque "Dance with the devil" c'è un'inaspettata svolta tribale! Tamburi e cori in stile afro che ricordano più che altro cartoni come "The Lion King"... vabbè procediamo. Non va meglio con la prolissa "How does it feel?" che sfiora l'epico e quell'intro anni '50 che di per sè non è malvagio ma è completamente slegato dal resto della canzone. Punte di diamante del cd ci arrivano dalla scoppiettante doppietta "Kismet" song easy e allegra che va dritta al cervello e la fantastica "Come on" puro rock'n'roll che richiama "Rebel yell" del buon BILLY IDOL. Non male anche "I don't love you anymore", seppur i suoni e in particolar modo la batteria sembrano troppo artificiali, quasi piatti e la voce risulta troppo in secondo piano e poco potente, decisamente adatta a sonorità più soft (tipo il progetto AOR di F. Slama). Incontriamo anche la stucchevole la ballad "Shine on you", mentre tutta aor è la malinconica "When the lights go down".
Che dire in conclusione di un album composto da giganti della musica ma nel quale salverei quattro canzoni a malapena? Beh... apettiamo lavori più grintosi da questi "ragazzoni"!
Michy"Uzyglam"

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www.victory-music.com

 

VICTORY
"Instinct"
SPV - 2003

Il gruppo teutonico dei V. ritorna alla grande sostenuto dall’etichetta SPV, nell’intento di non far dimenticare, in questo periodo di reunion, anche la loro unica e splendida storia discografica.
Dal 1984 sono sempre stati una sorta di istituzione tedesca dell’hard rock “a stelle e strisce” e, insieme ai BONFIRE e SCORPIONS sono anche riusciti, per qualche tempo, a superare i confini e giungere nella terra dei sogni musicali, la splendente Hollywood dei tempi che furono (tennero un concerto nel settembre del 1989 in quel di Los Angeles).

Il primo cantante, Charlie Huhn, scomparve dalla scena dopo il 1987 ( alla fine del loro tour europeo) per lasciar posto al più acuto e gagliardo Ferdinando Garcia, che perdurò sino al 1996 ma, udite udite, nel disco di cui parlo, Charlie fa la sua ricomparsa dopo che Ferdinando è scomparso dal debutto semi-solista coi primi BLISS.
Il nuovo sound proposto è sempre hard rock, molto più diretto con cadenze chitarristiche che sfiorano l’heavy metal americano degli anni ottanta come l’opener “”Running Scared” o “Enemy”.
Il cantato appare più incisivo rispetto ai primi due album di Huhn dove, forse per l’età, la gola appare anche più roca rispetto al previsto, portandolo quasi ad assomigliare, in certi momenti, al Mark Storace dei KROKUS.

Undici canzoni senza respiro, nessuna ballad, nessun mid-tempo… tutto energia, sudore, tecnica e passione per un genere destinato alla nicchia che rappresentiamo. Tommy Newton (da qualche anno anche stimato producer ndr) scrive e compone alcune tracce lasciando però molto più spazio all’altro chitarrista e fondatore della band, Herman Frank che, qui, produce anche.
Il booklet e la cover appaiono molto in sintonia con quanto era di moda nella metà degli ottanta dove, luccicanti e metalliche scritte cappeggiavano su quasi ogni copertina di rock duro…il loro ritorno con una copertina del genere, pare voglia essere anche un tributo a chi, come alcuni di noi, non hanno dimenticato quei tempi.
Per la gloria e la tenacia mi sento di premiarli con una recensione al top dell’ottimismo sebbene, lo ammetto, alcuni spunti risentono del tempo passato e risultano un po’ noiosi anche per la mancanza di arrangiamenti nelle vocals degne di nota. Premio della simpatia per la indovinata chicca intitolata “Songs of Vicotry” dove, come testo e ritornello, vengono utilizzati tutti i titoli delle canzoni più note del loro passato… geniale…
Marco Paracchini

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www.midniteclub.de

 

MIDNITE CLUB
"Running out of lies"
Escape Music / Frontiers Records - 2003

Che la Germania sia sempre stata una nazione attenta al sound rockeggiante, si sapeva da tempo ma, che continuassero sulla strada intrapresa più di venti anni fa, nessuno, sinceramente se lo aspettava… infatti, dopo i vari ritorni di band culto tedesche, la scena moderna si è sempre contraddistinta da una vasta pergamena di nomi che alcune etichette hanno sparso per tutto il globo.

Ultimi della lista questi M.C. che, col cantante dei DOMAIN, Carsten Schulz (se nn ricordo male… forse me lo confondo con gli EVIDENCE ONE… insomma, basta di produrre un disco alla settimana!!! Ndr), ripercorrono le note timbriche imposte dal cliché Hollywoodiano della metà degli anni ottanta.
A metà tra Pomp AOR e Hard Rock teutonico alla FRONTLINE, questi crucchi si fanno strada partendo dal concetto che le tastiere e le chitarre debbano avere il primato in una composizione rock. Detto fatto, la quasi totalità delle tracce presenti risentono in modo pesante di passaggi tastieristici proprio in linea d’onda con quanto fatto da AUTOGRAPH, primi BON JOVI, GIUFFRIA e tutta la mandria dei capelloni a cavallo tra l’84 e l’87.

Buone composizioni e una produzione abbastanza discreta fanno di questo disco un gioiellino retrò per gli appassionati del genere sebbene, alla lunga, stanchino proprio per l’eccessiva dose di eguaglianza coi gruppi più vecchi e già usurati dal nostro stereo.
Credo che questo sarà l’ennesimo progetto tedesco che, dopo il lancio, si chiuderà definitivamente per essere ristampato tra tre anni o per essere rivenduto nei grandi magazzini a 3 euro.
Pensare bene prima dell’acquisto. L’ascolto, come sempre, lo consiglio vivamente.
Buona la prima!
Marco Paracchini

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STUDIO 99
"Aerosmith & Guns ‘n’ Roses… a tribute"
Going For A Song Music - 2003

Certe volte, questa sorta di mestiere, fa ritrovare uno spirito di sorpresa unico, come in questo caso.
Dico questo perché, inviatomi da un mittente sconosciuto, forse da Biella, questo cd è uno dei pochi misteri del commercio discografico.
Etichetta sconosciuta, generalità assenti, credits mancanti… insomma, tutto quello che dovrebbe avere un cd, questo tributo non ha.
Anche la data l’ho scritta io poiché sul supporto manca anche quella… l’ho intuita dalla spedizione fattami, tutto qui.
Insomma, che cosa è dunque questo “Studio 99”? Un tributo italiano o inglese? Boh, a guardare bene il nome dell’etichetta e i diritti pare sia giunto dall’U.K. e quindi sia un prodotto inglese… altro non so che dire… le uniche frasi presenti nel compact disc sono scritte in inglese e danno la loro giustificazione per l’assenza dei nomi degli strumentisti, dicendo, in sintesi, quanto segue: “questo STUDIO99 è un insieme di strumentisti e cantanti di cui, alcuni, molto famosi, altri meno, quindi, per scelta comune si è deciso di non scrivere nessun nome.”

Ok, vada per i musicisti ma la produzione? La sala di registrazione? Nulla… niente di effettivo e mi scuso con gli eventuali lettori che conoscono il passato o il presente di questo…”gruppo”?
Come si evince dal titolo l’ensemble di canzoni sono un tributo ai gruppi di Axl e di Steven Tyler e, il caso è che, alcune tracce (“Jaded” e “Sweet child o mine”) sono registrate e cantate davvero bene ma, altri brani (su un totale di 15) risentono di una incredibile resa sonora assai discutibile, per lo più sulla scia intrapresa dai cantanti (forse tre in tutto?) che nell’eseguire i pezzi classici dei Guns, scivolano sull’evidenza diversità di timbrica vocale… sai, non è facile imitare il buon vecchio Axl Rose… quindi mi chiedo, qual è il senso discografico di questo prodotto in cui uno non sa nemmeno chi suona e chi canta? E qual è il senso logico di tenere le sonorità il più uguale possibile ai tempi ma tralasciare le linee vocali dandole in pasto ad alcuni disastri canori?

Non ci siamo proprio. Evitatene l’acquisto.
Se qualcuno di voi ha scritto, suonato o cantato per questo album e ha voglia di farmelo sapere, ritengo sia il momento opportuno di farlo… se nessuno sa chi siete, a chi importa il vostro disco?
Marco Paracchini

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www.bastet.tv



 

BASTET / PLAN NINE
"Songs That Will Get You Laid"
Decibel Records/Venus - 2003

E finalmente, ostrega! Dopo mesi di (im)paziente attesa, tra slittamenti e sfighe varie, ho tra le mani la release ufficiale del famigerato E.P. “Spurtin’Joy Wherever I Go”! Ok, il titolo è cambiato ed il CD realizzato dalla Decibel Records (che si becca al volo il mio plauso per il lavoro svolto) è uno split con gli svedesi Plan Nine, ma il succo del discorso non cambia ed i 5 più recenti brani della Rock’n’Roll Gang più vera, deragliata ed autenticamente Sex-addicted d’Italia possono diffondere il verbo del nuovo messiah del Cock Rock – al secolo Mahatma Pacino – in ogni angolo del fottutissimo globo. Bastet....Bastet cazzo!... E’ stato detto e scritto di tutto e di più su di loro e non hanno certo bisogno di essere presentati dal sottoscritto, vi prego in tutta onestà di non accusarmi di ”parzialità”, “amicizie particolari” od amenità simili, la verità semplice e lineare è questa: i Bastet mi esaltano, punto e basta! Eccheccazzo, non dovrebbe essere così solo perché sono Italiani? Alzate le chiappe e concedetevi almeno una volta il privilegio di vederli dal vivo e capirete di cosa parlo, poi ascoltate attentamente Pacino e ditemi da cosa si evince che è italiano! La sezione ritmica, che annovera un autentico fuoriclasse come Carmen alla batteria, è perfetta, la solista di Rufus è coinvolgente, di buon gusto e spesso impeccabile, cori, bridge e refrain sono da urlo... e non sto parlando di canzoni facili facili studiate per majors e MerdTV, sto parlando di SIGNOR Rock’n’Roll, di mazzate fra i denti e pedate nei “gioielli”, di attitudine Glam figlia degenere dei 70’s e suoni Street degli 80’s rielaborati in una miscela dall’impatto esplosivo ed in linea coi tempi che prende a calci in culo gran parte dell’osannata scena scandinava.

Due cose sono evidenti ed alzano enormemente le quotazioni della band: la maturazione è palpabile, progressiva ed esponenziale a tutti i livelli rispetto al passato e, nonostante alcune sfumature portino alla mente Street Rockers di razza come Faster Pussycat, Alleycat Scratch, primi Wildhearts e 69 Eyes, con qualche accenno di derivazione scandinava alla Hardcore Superstar, è difficile mettere a fuoco una singola ispirazione e tutto questo signori ha un nome: Personalità. I Bastet suonano come i Bastet, punto. I cinque brani sono tutti su livelli eccellenti ed almeno un paio di questi -“Erected” e “Spurtin’Joy Wherever I Go” (scritta in collaborazione con Ric Browde) - hanno il carisma indubbio del classico, di qualcosa che resterà negli anni a venire; “Closer to You” è una Street-Rock song puttana e romantica, con un bel riffing, wah-wah e coretti assassini, “Broke With a Broken Heart” presente anche come bonus “karaoke” track (!?!) farebbe la sua porca figura nell’album “Wake Me When It’s Over” dei Pussycat, ed una menzione particolare merita “God Is Good” che all’inizio mi ricorda tanto “Raw Power” di Iggy e mi provoca più di un brivido lungo la schiena. Impossibile non saltare e pogare come ossessi mentre ricompare d’incanto la chitarra fantasma che suoni come un demente mentre grondi di sudore puzzando come una fogna di Calcutta... Sciagura a Voi se non ve lo procurate, cazzoni !! Stavolta niente mezze misure: i Bastet NON divertono ma SONO la quintessenza del divertimento, sono al momento quanto di meglio mai espresso dal Bel Paese e reggono perfettamente il confronto con le più quotate Glam Punk bands del pianeta... Amen! Ed ora tutti a Sodoma e Gomorra!!!

Agli svedesi Plan Nine il non facile compito di mantenere alto il livello del CD e, per quanto mi riguarda, ci riescono solo parzialmente. Non posso negare che siano bravi, suonano potenti e compatti macinando riffs roboanti e “carichi” in puro Scan-Rock style, tanto che ascoltando i primi tre brani “Let’s Dance”, “Lean on Me” (probabilmente la migliore del lotto) e “Get Up!”, tutti con un ottimo tiro e cori tutto sommato accattivanti, continua a frullarmi in testa un nome: Backyard Babies (ma vah?), mentre “Caught in the Act” e “Super Psycho Love”, risalenti al periodo del loro E.P. d’esordio, sono più grezze e punkeggianti, con influenze più palesemente 70’s. Se la cosa può essere indubbiamente considerata un pregio per gli estimatori del suono che impera nel Nord Europa da qualche anno, può altresì lasciare un po’ d’amaro in bocca a chi, come me, escludendo i pochi capolavori come “Total 13” dei Babies alla lunga finisce per storcere il naso e vedere cloni ovunque. Si potrebbe obiettare che il Rock’n’Roll non è certo un genere facile da rielaborare dopo alcuni decenni in cui se ne sono ampiamente esplorate tutte le sfaccettature, ed io da fan accanito del genere non cerco di certo innovazioni o peggio famigerate “sperimentazioni", diciamo che preferisco chi si ispira ad altre fonti che non siano i soliti album delle solite due “monster-bands” scandinave. In definitiva confermano l’impressione che ho avuto durante la loro esibizione milanese come supporter di Bang Tango/Faster Pussycat, cioè bravi esecutori, con giusta attitudine ma carenti in qualcosa, i brani scorrono piacevolmente ma alla fine aleggia un senso di “deja-vu” e se l’ascoltatore si distrae per un qualsiasi motivo rischia di non cogliere il passaggio da un brano all’altro. Le potenzialità ci sono, la professionalità anche, con un pizzico di personalità in più il salto di qualità è sicuramente alla loro portata. That’s all folks, simply buy it!!.
Gaetano Fezza

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www.longgonelosers.it



 

LONG GONE LOSERS
"Rock’n’Roll"
Self Produced - 2003

Proprio qualche giorno orsono discutevo con il boss di come la scena R’n’R italiana non fosse mai stata ricca di bands come in questi ultimi anni... e di come fossero rappresentate più o meno tutte le anime del R’n’R, da quella più tipicamente losangelina a quella più punkeggiante a quella legata agli anni ’70.
Neanche a farlo apposta eccomi a recensire il debut album di una nuova realtà proveniente, loro la definizione, da un ridente paese del basso mantovano e attiva dal 2001.

"Devil Woman" apre le danze con un esplosivo riff a metà tra Demons e Hellacopters prima maniera, subito doppiato da "Action"... scan-rock sparato in faccia senza remore..
Si rallenta un pochino con "Losers", pezzo che sembra uscito direttamente da qualche session di hellacopteriana memoria periodo "Payin’ the Dues", ma con la title track si ricomincia a macinare chilometri alla massima velocità.
Credo comunque che il pezzo miglior del lotto sia "Roll The Dice"... un bel calcio nel culo con tanto di coretto che ti stampa in testa al primo ascolto..
Sono davvero curioso di poterli vedere on stage, perché credo che una band del genere possa davvero dare tanto... non per niente in così poco tempo hanno già diviso il palco con bands del calibro di Demons, TheeSTP e Adam West...
Diamo il benvenuto nella R’n’R family ai Long Gone Losers... ROCK’N’ROLL.
Federico Martinelli

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www.scareyrecords.tk



 

KILLER CLOWN
"Evilution"
Scarey Records - 2003

Avevo sentito parlare di questa band torinese, attiva dal 1994, ma mai mi era capitato di ascoltare qualcosa... fino a quando il boss mi chiama e mi dice: ho un paio di bands da farti ascoltare... penso ti divertirai...
Detto... fatto... perché questo "Evilution", terzo full lenght del quintetto, è una delle cose più spassose che mi siano capitate di ascoltare ultimamente..

Rock’n’Roll ad altissimo voltaggio, mischiato a del buon garage d’annata e una voce marcia al punto giusto... questi gli ingredienti di questi 45 minuti scarsi che davvero non mancheranno di strapparvi un sorriso... anche perché titoli come "How Can Stink a Dick", "Useless Scum" e "The Day I Killed Elton John" parlano da soli.
Consigliatissimo a chi non prende troppo sul serio il nostro mondo, a chi apprezza il lato più classico del R’n’R, sia a chi non disprezza sonorità alla Cramps/Misfits.
Federico Martinelli

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www.scareyrecords.tk



 

THE DEAD KINGS
"For All Those Hot Black Chicks"
Scarey Records - 2003

La Scarey Records deve avere un debole verso le band che non si prendono troppo sul serio... da Charlotte, NC, arrivano i Dead Kings con il loro carico irriverente di punk-rock e bambole gonfiabili.
La loro bio li descrive come un pazzesco incrocio tra Antiseen, Twisted Sister e George Thorogood... io personalmente li vedrei come una versione punk e quasi HC dei Nashville Pussy (soprattutto in pezzi come "Call me the Punisher")... anche se mi rendo conto che le definizioni servono fino ad un certo punto.

Quello che è sicuro è che i tre loschi figuri in questione non si fanno pregare a darci dentro dalla prima all’ultima delle 13 canzoni che compongono questo che è il loro secondo album.
"Howizter Party", "Banged Up" e "Bastards Breed" alcuni tra i pezzi migliori di un album che come quello dei loro compagni d’etichetta Killer Clown va ascoltato con il giusto stato d’animo… fun fun fun.
Federico Martinelli

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www.dustsucker.de



 

DUSTSUCKER
"Promo EP"
Zylinder Records - 2003

Attendevo con molta curiosità il nuovo lavoro dei tedeschi Dustsucker, autori nel 2001 di un cd, "Hookers Planet", tra le migliori cose in campo R’n’R di quell’anno.
E l’attesa non è risultata vana... perché l’EP in mio possesso non si sposta di una virgola rispetto al passato... High-energy R’n’R dei migliori... peccato solo per la breve durata del tutto... 8 minuti divisi in tre pezzi assolutamente trascinanti e travolgenti, soprattutto la traccia numero 2, "Bronco Buster", una delle migliori songs dell’anno... senza dubbio.
Se vi piacciono Hellacopters, Backyard Babies, Gluecifer… contattate immediatamente la band guidata dal cantante/chitarrista Max Count Farmer.
Yes I’m the Bronco Buster… yeahhhhh
Federico Martinelli

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www.rlsrecords.com



 

NITRO'S JIM GILLETTE
"Proud To Be Loud"
RLS Records - 2003

Ve li ricordate i NITRO? Bene! Allora sarete felici di sapere che la RLS Records del buon Stevie Rachelle (TUFF) ha ri-editato il primo album solista del tamarrissimo JIM GILLETTE, dal titolo "Proud to be loud". Registrato (autoprodotto) nell'ormai lontano 1987 in una cantina con un 8 tracce... e si sente, ma è da lodare comunque il buon lavoro svolto con così pochi mezzi. Suo compagno di ventura il guitar virtuoso (e tamarro pure lui) MICHAEL ANGELO, ex militante nei NITRO, inventore della chitarra Double-V-Neck e dispensatore di velocissimi assoli interminabili che rappresentano la parte reggente del cd oltre alla taglientissima voce di Gillette che già dalla copertina da poser incontrastato - in cui viene ritratto cotonatissimo, tatuatissimo, con un bicchiere rotto in mano - ci vuol ricordare che ai tempi dei tour coi Nitro rompeva bicchieri a suon di urli, devastava tweeters a profusione proprio per l'estensione vocale di 5 ottave di cui era dotato.

Detto questo come premessa... devo ammettere che secondo me quest'uomo urla veramente troppo (ROB HALFORD sembra un canarino senza voce a confronto!!) destando nell'ascoltatore una sorta di "effetto saturazione" da tonalità alte.
Il disco è buono intendiamoci, anche se, senza la maestria di M. Angelo non sarebbe in sè un granchè; è ben cantato e ovviamente ben suonato. Le canzoni sono potentissime, iniziando dell'urlatissima "When the clock strikes 12", procedendo con "Head on", poi la bella semi-lenta e quasi commerciale "Angel in white", la title track "Proud to be loud" melodica con una linea di chitarra particolarmente calda e espressiva, la pseudo metal "Never say never". Che dire del guitar solo? Ave all'uomo dalle dita intrise di sciolina, questo sì che è un chitarrista con le palle! "Red hot rocket ride" è class heavy rock mentre sfiora lo street "Make me crazy", si passa all' hard rock con "Show down", invece "Mirror mirror" non convince proprio nel ritornello... troppo urlato, e dopo 11 canzoni così inizia a calarmi l'udito!

Qualcosa di diverso ci arriva dalle cinque bonus tracks: "Bitch on me" dei NITRO riecheggia molto "Primal scream" dei MOTLEY, quindi è cool!! Poi ci sono due songs della nuova band di Gillette (gli ORGAN DONOR): suoni un pò troppo moderni e metal... esperimento fallito! Senza personalità anche "Out of time", collaborazione tra DOUG MARKS e Jim. La traccia finale è un demo del suo primo gruppo (gli SLUT) dal titolo "Dr. Monster", il cui intro richiama "Enter Sandman" dei METALLICA mentre il resto della song è alla ALICE COOPER.
Cosa dire di questo lavoro? Forse che è un bene che sia stato passato in digitale per tutti i fans dei NITRO (purtroppo con tutte le limitazioni che ciò comporta)! Quindi voi patiti gioite e rallegratevi ...ma occhio al volume, alle casse e ai vetri delle finestre!!
Michy "Uzyglam"

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www.frontiers.it



 

DREAMTIDE
"Dreams For The Daring"
Frontiers - 2003

Nell’ormai passato dicembre 2001 diedi un voto altissimo ai Dreamtide, dando loro un 10 meritato e riflettuto.
Oggi, a distanza di due natali, si ripresentano di nuovo con, stessa line-up (tutti gli ex membri dei FAIR WARNING tranne il singer), stessa voglia di rockare ma con diverse intenzioni al seguito.
Helge Enghelke è, a parer mio, uno dei migliori chitarristi che la storia del rock ci abbia dato ma, per ragioni di status symbol, è sempre rimasto nell’ombra per il suo carattere introverso e decisamente fuori dai cliché imposti del rock business dell’epoca. Nato con gli ZENO (…e dico niente…ndr), evolutosi con i FAIR WARNING, si sta imponendo in Europa e Giappone con il suo nuovo progetto; i Dreamtide appunto.

Grandi manovre produttive, elevate qualità di registrazione e mixaggio, resero il primo capitolo, un capolavoro immerso anche nelle atmosfere indiane che Helge aveva preso a cuore in quel periodo.
Oggi, il nuovo come-back, suona molto diverso dall’eccellente esordio proponendo i soliti dannati riff chitarristici impostati sempre nella medesima direzione già intrapresa nei gruppi del suo passato. Elementi modernisti come marchingegni e suoni nati dall’elettronica moderna, non danno comunque un risultato denso ed emotivo come il primo ebbe sulla gran parte dei recensori del 2001.
Il disco nuovo suona bene, è ottimista, diretto, bello e assolutamente impostato come Dio comanda. Niente sbagli, niente noia, niente errori di produzione… tutto fila liscio, tutto splende di luce propria ma il buon Helge ha intrapreso una via senza ritorno, quella della solita routine creativa, decisa e voluta sempre e solo da lui portando il futuro del gruppo ad un collasso prossimo, viste le note piuttosto scontate che si ripresentano anche in questo album.

L’esaltazione è garantita ma, l’emotività dei brani non assume grandi variazioni di stile e pensare di superare il grande esordio con questo album, è impensabile.
Il Natale è vicino, potete farvelo regalare, avrete sicuramente degli ottimi motivi per star chiusi nella Vs stanza ad ascoltare sano hard rock teutonico ma, alla lunga, potrebbe rischiare di essere abbandonato nella Vs fonoteca e mai più ascoltato.
Si può comunque dire che, a differenza di altri, c’è la garanzia che non tradiranno mai certe sonorità.
Buon ascolto.
Marco Paracchini

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JIMI JAMISON'S SURVIVOR
"Empires"
Frontiers - 2003

Opportuna ristampa della Frontiers del classico ritorno di Jimi Jamison originariamente uscito su etichetta USG e ormai introvabile...
Opportuna perché l'album merita di essere conosciuto anche a chi all'epoca dell'uscita (1999) non ebbe la possibilità di ascoltarlo ed ora può recuperare il tempo perduto.
Sicuramente il pezzo più conosciuto rimane "I'm Always Here", colonna sonora del famoso telefilm "Baywatch" trasmesso in ben 142 paesi nel mondo... e proprio da qui vorrei partire per fare una piccola riflessione sui Survivor...
Infatti la band è conosciuta al grande pubblico per aver scritto due canzoni famosissime come "Eye of the Tiger" e "Burning Heart", colonne sonore di due film della saga di Rocky Balboa...

Come spesso accade in questi casi poi la band è rimasta legata nell'immaginario collettivo a queste due canzoni e basta... relegando tutta la loro ampia e ottima produzione a contorno (discorso ovviamente non valido per gli afcionados della band).
Fin dall'opener "Cry Tough" è chiaro l'altissimo livello delle composizioni, del suono ma soprattutto dell'ugola ancora cristallina e ammaliante di un cantante spesso dimenticato.
Basta ascoltarlo nella mega ballad Empires duettare con Lisa Frazier per rendersi conto che siamo al cospetto di un vero cantante..non di un surrogato.
A rendere ancora più interessante questa re-release è la presenza di 2 bonus-tracks, la natalizia "Keep it Evergreen" e una bella versione live di "Too Hot To Sleep"...
Non saranno i Survivor in formazione originale... ma il consiglio è d'obbligo: fatelo vostro!!
Federico Martinelli

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DOUBLE CROSS
"Time After Time"
TB Records Ltd - 2003

Una nuova formazione britannica arriva ad arricchire il roster della TB, giovane etichetta anglosassone particolarmente dedita al filone ottantiano; i Double Cross nascono dalle ceneri dei Liar, in cui militavano il chitarrista Stephen Kelly e il batterista Steve Philpotts, con l'inserimento di Gareth Franks al basso e Pete Lakin alle tastiere, e ultimo aggiunto alla voce Rick Chase, precedentemente in Mama's Boys e Graffiti.

L'album si chiama "Time after Time", la copertina sembra un po' un manifesto per la linea gioielli di Chanel, ma il contenuto nulla ha a che vedere con la sempre attuale e raffinata firma. Notiamo innanzitutto la partecipazione di Bob Catley (Magnum) alle backing vocals, quindi mettiamo su il cd. Ci troviamo davanti ad un album di classicissimo, tamarrissimo AOR, che mi chiedo se per caso non sia stato scritto a meta' anni 80 e tenuto nel cassetto fino ad oggi. I dodici pezzi contenuti nell'album sono totalmente datati, non c'e' nessun inserimento moderno o originale. Sono tutti abbastanza somiglianti tra loro anche. Adesso, la mia non vuole essere una stroncatura, anzi probabilmente gli estimatori del genere respireranno una buona boccata d'aria, ma assolutamente niente di nuovo sotto al sole.

Mi e' davvero arduo scegliere dei pezzi da consigliarvi, piu' lo ascolto piu' e' omogeneo, e ogni ritornello mi sembra gia' sentito. Forse "When we were young" (per quanto i coretti mi facciano rabbrividire), la seguente "Valley of the kings", malgrado l'introduzione alla "Taste of India" che era meglio lasciare agli Aerosmith, e la epica ballad "Only the strong" che e' quella che mi rimane piu' in mente dopo l'ascolto, nonche' una delle tre in cui Bob Catley ha messo lo zampino (le altre, per vostra informazione, sono "When two worlds collide" e "Don't walk away", due pezzi di indubbia qualita' nel loro genere).
Prendete questa recensione per quello che e': il parere di qualcuno che ha superato da molto l'AOR senza entrarci troppo dentro, e continua per la sua strada alla ricerca di nuove emozioni. Per gli AORisti irriducibili: acquisto obbligatorio.
Cristina Massei

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KICKSTART
"Fuel"
Self Produced - 2003

Dopo “Demo Y2K” recensito tempo fa nella sezione New Bandz, riecco i milanesi KickStart con un Cd di otto brani in cui Joe Salty (chitarra/voce), Marco Albanese (basso/voce) e Michele Campanella (batteria) ci riconfermano di essere degli eccellenti musicisti e di saper creare delle buone composizioni a metà strada tra l'hard rock settantiano (principale influenza) e quello ottantiano con forti tinte blueseggianti, come se i DEEP PURPLE si scontrassero con gli AEROSMITH.

Le song, sono tutte al di sopra della media, partendo con l'hard rock di "Don't Stop", seguendo con l'ipotetico singolo della band "Kickstart", vero pezzo trainante del terzetto meneghino. Sarà un caso, ma "Pump" mi ricorda molto la band di Steven Tyler, mentre è Albanese a fare la prima voce in "Touch The Sky", classico rock duro d'altri tempi.

L'unico pezzo lento "Devil's Lonely Nite", apre le porte al cavallo da battaglia della band e cioè la cover degli STEPPENWOLF di "Born to Be Wild"... inutile che vi dica che è ben eseguita e che non potevano fare scelta più azzeccata.
Autoproduzione ultraprofessionale, iniziando dall'ottimo lavoro del fonico Max Di Stefano e proseguendo con alcuni plus come la traccia video e una buona grafica che non fa mai male... Quindi, se siete alla ricerca del buon vecchio e sano hard rock, sapete che non dovete andare a rubare i dischi di vostro fratello maggiore o vostro padre, ma contattare la band direttamente a questo indirizzo: info@kick-start.it e vedrete che piaceranno anche a loro!!!
Moreno Lissoni

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BACKYARD BABIES
"Stockholm Syndrome"
RCA - 2003

“Total 13” è stato il disco epocale dei BACKYARD BABIES, il disco sigillo dello scan rock (dopo il 1998 lo scan si è ridotto a pallide e cacofoniche copie carbone di ‘Payin’ The Dues’), il disco che ha rappresentato una impareggiabile sinergia di punk e glam, di rabbia veloce e melodia perdente.
Un disco che mi ha fatto letteralmente innamorare della band svedese... scintillante partner in crime in cui ho sempre visto rispecchiata la PERFETTA attitudine rock’n roll.
Quando ci si innamora perdutamente, il timore recondito è sempre il medesimo: scoprire d’un tratto che il cuore batte meno forte di prima. “Making Enemies Is Good” mi aveva sempre lasciato un senso di vuoto, un disco sì con certi episodi non da poco, però troppo pulito, troppo freddo, e troppo lento... Una sensazione pericolosa, o se vogliamo, pericolante...

“Stockholm Syndrome” forse non mi farà più provare le stesse sensazioni di un tempo, però mi ha rassicurato su un fatto: volenti o nolenti, i BACKYARD BABIES sono tra le punte di diamante del rock’n roll odierno, e si candidano ad essere una delle poche icone definitive.
“On your marks! Get set! Everybody ready!” e l’adrenalina inizia a scorrere senza freni, perfetto incipit per un disco che semplicemente va ascoltato tutto d’un fiato a volume esagerato. I BYB sono tornati a pigiare sull’accelleratore, grazie a Dio. Più ruffiani e melodici che mai (“Earn The Crown”, “Be Myself And I”) come gli ultimi WILDHEARTS, coi suoni più educati (“A Song For The Outcast”) come gli ultimi TURBONEGRO e HARDCORE SUPERSTAR, ma con quella marcia in più che hanno solo i primi della classe. Questione di stile.
E solo i primi della classe possono permettersi come bonus track dell’edizione limitata una splendida ‘Shut The Fuck Up’, che senza tanti preliminari ti trascina maleducata sull’asfalto. Le chitarre, rispetto al disco precedente, suonano più piene e calde, meno chirurgiche e lineari, ma neanche così sporche e ammassate come “Total 13”. Il primo singolo estratto dall’album, “Minus Celsius”, non ha certo la dirompente e sfacciata vitalità di “Look At You”, ma una volta arrivati al chorus è come rimanere imprigionati in una ragnatela melodica: le parole si fissano bastarde ed è impossibile non cantare.

E finalmente ecco la canzone (simpatica ma nulla di sconvolgente) che doveva già apparire sull’album precedente, “Friends”, cantata da vecchi amici e compagni di scorribande caracollanti sulle sette note. Tra gli ospiti Tyla e il compianto Joey Ramone, il batrace Michael Monroe e il sempre sguaiato Kory Clarke. Chissà che ne è stato del buon Mike Ness, che a quanto ne sapevo io, doveva partecipare a sua volta...
“One Sound” di primo acchito suona tremenda, magari fosse durata un pochettino di meno si poteva anche tollerare, ma del resto è l’unico punto davvero debole di uno disco che ascolto dopo ascolto lascia più di un livido. Un plauso poi per il ritrovato splendido artwork... ma adesso ingranate la quarta, alzate il volume e mettetevi ai blocchi di partenza. Siete tutti pronti?
Simone Parato

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LYNCH MOB
"Revolution"
Mascot Records - 2003

Alcune volte non mi è chiaro lo scopo di operazioni come questa messa in piedi dal grande Geroge Lynch, ovvero il recupero di vecchie canzoni riarrangiate e risuonate in maniera differente.
La line up è grosso modo quella del secondo album, con Anthony Esposito al basso e Robert Mason alla voce, più l'innesto di Michael Frowein alla batteria.
Non è un segreto per nessuno che l'axeman dei Dokken abbia sviluppato negli ultimi anni un'amore per sonorità cupe e pesanti, anni luce distanti da quelle cromate e classy delle prime produzioni targate Dokken o del primo, bellissimo album proprio dei Lynch Mob.

La prima cosa che risulta evidente oltre alle sonorità è il cambiamento quasi totale delle linee di cantato, con il risultato che i pezzi assumono spesso una nuova veste, non sempre positiva oserei dire..
Ci sono pezzi come l'opener "Tooth and Nail" (repertorio Dokken) o la successiva "Tangled in the Web" che risultano essere non troppo differenti dalle versioni originali, mentre ci sono almeno 4 pezzi che ho fatto fatica a riconoscere perché appesantite ma soprattutto rallentate... tra queste cito "Kiss of Death" dei Dokken trasformata quasi in un pezzo Nu-metal e "River of Love" che in questa versione perde buona parte del suo fascino sleazy...
In definitiva un disco tutto sommato discreto ma non fondamentale, magari buono per farsi un'idea della carriera di George Lynch... e per andarsi a recuperare gli originali...
Federico Martinelli

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www.mcqueenstreet.com



 

McQUEEN STREET
"2"
Self Produced - 2003

I McQueen Street erano un aggressivo e cazzuto quartetto dell'Alabama capitanato dal vocalist Derek Welsh che nel 1991 realizzarò un album tra i più belli del genere ni primi anni novanta e con gente di tutto rispetto, infatti dietro alla consolle c'era Tom Werman, mentre tra gli ospiti Steve Stevens e Jeff Scott Soto. Nonostante il secondo disco fosse già pronto la band si sciolse e nel mentre Derek Welsh si dedicò a una nuova band dal nome Rat Race e scrisse un libro (ora disponibile attraverso il sito della band), ma solo quest'anno sono tornati con un piccolo cambio di line-up, infatti troviamo alla sei corde Michael Cummings al posto di Michael Powers.

Questo disco non è a mio avviso all'altezza dell'esordio, ma non mancano senz'altro episodi degni di nota a partire dalla rocciosa "World Machine", un'hard rock cattivo e dalle venature stradaiole e "No Colors" altra song ritmata e rockeggiante. "Bad Moon" ha quel non-so-che di RATT, mentre "White Junk Monkey", "No Sacrifice" e "I Don't Undertand You" sono delle altre ottime song che non avrebbero mal figurato nel loro primo disco.

Discorso inverso invece per "Somebody Love Me", la power ballad "What About Jane?" e la lenta "Fear The Night Time" che a tratti ripercorre la vecchia "Time" ma con scarsi risultati.
Un lavoro piacevole, ma non indispensabile che non sfigurerebbe al fianco di vecchie cult band come BABYLON AD, KIK TRACEE e dei recenti HAIR OF THE DOG.
Moreno Lissoni

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A.A.V.V.
"We Wish You A Hairy Christmas"
Low Dice Records - 2003

E anche quest'anno sta arrivando dicembre... e come in tutti i decembri, il Natale... e con il Natale, la solita fottutissima domanda: "Che cazzo di regalo faccio!?!?!?!?" ...ma questa'anno però è uscita questa simpatica iniziativa che raccoglie qualche vecchio dinosauro della scena hair metal dove ci propone una serie di pezzi che hanno come filo conduttore la festa più triste della terra...

L'adesivo che accompagna il CD la dice tutta: "80's Metal Rules!!! ...Contains Absolutely No Nu-Metal!" ed ecco che aprendo il booklet noto con piacere che i pezzi non sono solo il rifacimento di brani celebri, ma alcune band hanno addirittura scritto un brano inedito (!) per l'occasione come i DANGER DANGER con il bel melodic rock di "Naughty Naughty Xmas", gli ENUFF Z'NUFF che, con il loro inconfondibile marchio di fabbrica, ci propongono "Happy Holiday", i BULLETBOYS con "Everyday Should Be Like Christmas" (un triste tentativo di Marc Torien di scimmiottare Lenny Kravitz), gli EVERY MOTHER'S NIGHTMARE con la lenta "Won't Be home For Xmas" (se non prendete sonno, vi basterà ascoltare 3 minuti di questa canzone per ronfarvela tranquillamente) e i PRETTY BOY FLOYD con "Happy Family", dove troviamo come chitarrista e compositore Kristy Majors... il pezzo? ...PBF!

Poi ci sono le cover, ed ecco gli WARRANT con la spumeggiante "Father Christmas", gli LA GUNS con uno dei migliori episodi del lavoro, il r'n'r di "Run Run Rudolph", i TUFF con la sculettante "Jingle Bell Rock", GILBY CLARKE con la stradaiola "I Saw Mommy Kissing Santa Claus", i ROXX GANG con il boogie r'n'r anni 50 di "Santa Claus Is Back In Town" con tanto di piano e l'orrenda versione dei FASTER PUSSYCAT in NewlyDeads style di "Silent Night"!
In definitiva un lavoro da prendere per quello che è, e cioè un simpatico tentativo di farci spendere ancora i nostri soldi per i soliti capelloni che odiano tanto mamma e papà e che potete acquistare tranquillamante tramite il sito dei Danger Danger.
Moreno Lissoni

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www.thedeadthings.com



 

THE DEADTHINGS
"Addicted To Satan"
Dead Music 666 - 2003

Ero svaccato in poltrona a guardare rapito un documentario sugli animali... adoro i felini, sapete? Ma che ve lo dico a fare...
Squilla il telefono, il boss Moreno mi convoca in un garage in quel di Cassina de’ Pecchi: “Figa. ti devo parlare”, il suo laconico ma mellifluo messaggio. Arrivato in loco, nell’aria si librano le note della tipica, ariosa musica da predicatore di TBNE, e il boss mi consegna un involucro: assieme a un cuore di bue (con cui il mio gatto ha pasteggiato satollo) questo CD da recensire...
Che ve lo dico a fare... pur di allontarmi dalle note intollerabili di Aaron Kristo, ho accettato con solerzia l’incarico... con una solerzia tale che “Addicted To Satan” si è sedimentato... no, non nel lettore, ma sulla scriviania, ehm, a prendere polvere!
Ordunque, dopo lazzi e preamboli veniamo al dischetto registrato da questa band australiana...

Come i DEADTHINGS avvertono nel booklet interno, “Addicted To Satan” non va preso troppo seriamente, vista anche la registrazione ai limiti dell’amatoriale. E proprio questa è la giusta chiave di ascolto per gradire questa uscita, altrimenti decisamente superflua nel panorama rock’n roll, infarcita di riff metal punk alla MISFITS (ovvia e lampante influenza della band). Poca seriosità, e un gusto spiccato per l’horror trashosissimo (basta vedere il look esagerato e grottesco della band) i requisiti che dovete avere, altrimenti lasciate pur perdere e smettete di leggere la review.
“Graveyard Rock n Roll”, “Zombie-Gothic-Punk”, queste le mirabolanti definizioni del genere della band, e non posso che scuotere il capo in segno di approvazione. I pezzi talvolta tendono un po’ troppo al metal, e superati i tre minuti (in media le canzoni sono lunghe... decisamente troppo lunghe) vengono un po’ due palle, ma un ascolto disimpegnato la band se lo merita.

Pour moi, questa è una band OTTIMALE per una festa di Halloween coi controcazzi, con pezzi idioti e saltellanti come “Addicted to Satan”, “Trick or Treat” o “Six Feet Under”, e ste maschere da pazzoidi morti viventi, il divertimento è garantito!
Chiudono il CD quattro cover inutili e dannose di RAMONES, MOTLEY CRUE, FASTER PUSSYCAZZ e, toh, MISFITS.
Ora torno ai miei documentari... amo gli animali, sapete? Bah, ma che ve lo dico a fare...
Simone Parato

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VERTIGO
"Vertigo"
Frontiers Records - 2003

Finalmente un bel disco che risulta tale al primo ascolto!
La Frontiers ha fatto centro e non si sa come è riuscita a convincere l'ex TOTO Joseph Williams (voce del gruppo nei due album "Fahrenheit" dell'86 e "The Seventh One" dell'87) a rimettersi in pista dopo ben sei anni dal suo ultimo lavoro solista "3" con un nuovo progetto VERTIGO che vanta in sè una line-up degna di nota: alla produzione c'è il mitico Fabrizio V. Zee Grossi (che suona anche il basso, chitarra ritmica, tastiere, campionamenti e loops), gli danno una mano l'ex chitarrista dei DOKKEN Alex De Rosso, Biggs Brice alla batteria, JM Scattolin alla chitarra e Francis Benitez ai backing vocals.

Per le canzoni Joseph si è appoggiato ai migliori songwriters della scena quali: Jim Peterik (SURVIVOR, PRIDE OF LIONS), Stuart Smith (HEAVEN & HEART), David Tyson (AMANDA MARSHALL), Kane Roberts (ALICE COOPER) e Joey Carbone (già vecchio collaboratore di Williams). La risultante tra questi componenti è un bell'album AOR aggressivo pimpante e melodico allo stesso tempo. Già dalla prima canzone -la migliore- "Not Enough Hours In The Night" scritta da Jim Peterik, si capisce la classe e l'impronta stilistica del cd. La voce di Joseph passa dai toni caldi a quelli più graffianti nell'arco delle 12 canzoni del cd senza lasciar spazio a momenti di debolezza o noia nemmeno con pezzi più lenti quali "More than Enough" e ballad super romantico melense come "I Don' t Want to Go", scritta da Jess Cates (Christian Music Award). Altri pezzi degni di nota "Never Let you Go", tipico AOR con backing vocals femminili nel ritornello... il resto sono covers! La song di Dan Lucas "I Want To be Wanted", rifatta in chiave più pesante da un'impennata al cd per proseguire con la più poppeggiante "China Sky" (degli XENON), le tonalità più cupe di "Love is Blind" (già ripresa dagli URIAH HEEP su "Head First"). Non brillano invece per incisività "Sarah" e "When it Doesn' t Matter". Mentre la title track "Vertigo" si sviluppa in un crescendo di potenza vocale e musicale fin' ora inedita, ottimo pezzo per chiudere un cd si merita la palma come canzone più "cattiva" di tutto il lavoro!! Che dire in più? Non c'è nulla fuori posto, nessuna critica da fare... non c'è gusto!! Comprate questo cd, ne vale veramente la pena... non potreste spendere meglio i vostri soldi da amanti dell'hard rock melodico!!
Michy "Uzyglam"

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HARDCORE SUPERSTAR
"No Regrets"
Music For Nations - 2003

Rifacendomi alla descrizione che gli stessi Hardcore Superstar hanno dato di questa loro ultima fatica, sembra che l'elemento conduttore sia tale "chiave di major", un'impronta positiva, allegra, piacevole, ma che comunque toglie un po' di quella sferzante energia sessuale che "Bad Sneakers" emanava. Niente "Hello Goodbye" insomma, questa "Wall of complaints" che introduce l'album sarebbe una perfetta pop song, non fosse per la voce unica di Jocke Berg. La title track che segue non e' troppo differente.

Caramellosa "Soul of sweetness", quasi sixties nel ritornello, ed e' ora del singolo "Honey Tongue"… Sweetness, Honey… Carino, non geniale, piacevoli cambi di velocita' e abbiamo gia' appurato che rende dal vivo. Partendo da "Still I'm glad", dove la voce di Berg fa da padrone, la famosa "chiave di major" sembra affievolirsi, lasciando il posto a un trittico di pezzi meno solari, i piu' deboli dell'album secondo me, che torna sui binari con "It's so true". Poi la "quasi-ballad" "Why can't you love me like before", cosi scontata da essere accattivante, forse ancora una volta grazie all'inconfondibile marchio vocale.

"Last great day" e' uno dei miei personali episodi preferiti, immeritatamente in fondo alla track list, e anche la seguente "I can't change", che a tratti ricorda i vecchi HCSS. Il fanalino di coda e' "You know where we all belong", conclusione ben scelta, che ci lascia in bocca il sapore di un bel party, finito senza grossi colpi di scena ma tutto sommato piacevole.
Conclusione: un buon album, 13 pezzi orecchiabili, la cui originalita' e' tutta nell'accostamento easy-happy-pop con la voce graffiante di Jocke Berg. Acquisto consigliato, purche' ascoltato per se' stesso, non cercate "Bad Sneakers" qua dentro.
Cristina Massei

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