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Etichetta: |
Roadrunnerl Records |
Anno: |
1992 |
Reperibilità
Italia: |
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Rep.
Estero: |
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Prezzo
Indicativo: |
5 Euro |
Sito Web |
starfuckerstar.com |
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STAR STAR
“The love drag years” |
Quando questo disco uscì, nel
1992, quindi in un momento decisamente difficile per
chi suonava qualcosa di diverso dal grunge, chi ascoltava
metal non fu particolarmente entusiasta del disco degli
Star Star, dicendo che c’era troppo punk, mentre
chi ascoltava punk non esitò a lamentarsi, affermando
che c’era troppo metal. Un po’ come quando
ordinate la pizza e vi lamentate perché i pezzi
di cipolla sono tutti da una parte o perché non
ci sono abbastanza acciughe. Effettivamente, “The
love drag yearsӏ difficile da collocare,
in quanto chiarissime influenze rock e glam sembrano
convivere pacificamente con uno stile vocale e una serie
di sonorità tipiche del punk, costituendo un
disco ricco di contrasti, come avremo modo di vedere.
Gli Star Star nascono nel 1986 a New
York, con una formazione originale che comprendeva una
donna, Carol Marrujo, alla voce, poi sostituita da Johnnie
Holliday, il bravo Jay Hening alla chitarra (che ha
successivamente lavorato anche con Michael Monroe),
e tali Weeds al basso e Deon alla batteria. Il disco
esce per la Roadrunner, etichetta che ora ospita al
suo interno gente come King Diamond, Cradle of Filth,
Nightwish, Soulfly, Obituary e Slipknot (come dire:
un leggero cambio di genere).
La presenza di netti contrasti, sia per quanto riguarda
le musiche che i temi trattati in esse, si nota già
a partire dall’iniziale “Fly boy”,
che inizia con un riff di chitarra chiaramente ispirato
all’hard rock ottantiano, ma immediatamente dopo
le ritmiche e il modo di cantare si rifanno chiaramente
al punk, mentre il guitar solo a metà canzone
attinge di nuovo a piene mani dal glam. La title-track
ha invece una struttura più complessa e una serie
di cori nel ritornello che si rifanno al primo Bon
Jovi; “Cowboys in space” ha fonti
di ispirazione evidenti nel blues e al country, grazie
a sottofondi di pianoforte e chitarre acustiche che
fanno piombare l’ascoltatore in un polveroso saloon
durante una jam session a fine serata. Al contrario,
“Baby shoulda’ konwn” e “Treasure
of trash” (a parte il finale blues) tornano a
spalancare le porte delle sonorità punk.
Per chiarirci, non si tratta di quel
punk grezzo, suonato male, con tre accordi messi in
fila per caso e registrato ancora peggio, così
come mancano i temi dell’impegno sociale che tanto
spesso affollano questo genere. Anzi, i testi si rifanno
quasi esclusivamente a questioni care al glam, ma nonostante
le sonorità allegre, c’è sempre
un fondo di profonda tristezza e di spersonalizzazione,
in netto contrasto, appunto, fra loro. Le donne sembrano
tutte uguali: o fanno la figura delle megere o sono
degli angeli irraggiungibili, le vie di mezzo non esistono
e tutte sembrano vivere in un’altra galassia (non
a caso il tema dello spazio e degli extraterrestri ricorre
spesso in tutto il disco). Gli uomini, al contrario,
o sono ignorati e vivono nel loro misero microcosmo,
oppure sono identificati solo con il loro mezzo di locomozione,
auto o moto che sia, con il quale sembrano fondersi
fino a creare un’entità unica, a sua volta
priva di personalità. Lo stesso disegno di copertina,
il volto di un personaggio di sesso maschile che si
mette un pesante rossetto, la cui mano stringe una sigaretta
mezza consumata e sul cui polso spicca una cicatrice
da tentato suicidio, è segno che dietro l’allegria
si nasconde qualcosa che tormenta e rende inquieti.
La storia del gruppo ha poi, in parte,
confermato questo spettro di tristezza. Nel 1995 Johnnie
Holliday ha subito un gravissimo incidente d’auto
che lo ha costretto a cure durate svariati anni e ad
una conseguente pausa forzata dal mondo della musica,
nel 1997 c’è stato il suicidio di Jay Henning
e nel 1999 è morto anche Deon, a causa di un
cancro. Per fortuna Holliday sembra essersi ripreso,
ed è bello vedere che gli Star Star esistono
ancora, con una formazione nuova e un secondo cantante
che dà man forte ad Holliday, probabilmente ancora
caotici e disorganizzati come il loro sito web, ma ancora
carichi e convinti.
Anna Minguzzi
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Etichetta: |
Elektra Records |
Anno: |
1973 |
Reperibilità
Italia: |
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Rep.
Estero: |
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Prezzo
Indicativo: |
15/30 $ |
Sito Web |
www.jobriath.org |
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JOBRIATH
“Jobriath” |
Recensire questo disco per me rappresentava
una sfida, più volte rimandata tra ripensamenti
e divagazioni, fogli scritti e puntualmente buttati
nel cesso, alla ricerca di parole idonee a trasmettere
almeno parte delle tante emozioni che provo ad ogni
ascolto. Non è facile perché è
un album molto particolare ed intimista, una sorta di
ideale connubio tra musica rock, arte teatrale, cinema
e poesia, degno parto di un artista vero, a tratti geniale,
la cui bravura purtroppo fu eguagliata solo dalla sfortuna
che lo perseguitò fino alla prematura scomparsa
nel 1983. Se fossi al cospetto di un “normale”
rock album non avrei troppe difficoltà nel descriverne
i brani con i soliti artifici, fossero tutti “Rock
of Ages” ci andrei a nozze: riff meravigliosamente
rock’n’roll, cantato da far invidia al Bowie
più glamour e puttanesco, refrain indovinatissimo
per un brano spesso in rotazione sul mio stereo e prima
scelta per le mie compilations…. già, fossero
tutti così sarebbe facile, ma sarebbe solo un
“altro glam album” e non Jobriath. Ignorato
e dimenticato per decenni, Jobriath (nato Bruce Wayne
Campbell il 14 Dicembre 1946) torna improvvisamente
alla ribalta nel 1998 grazie al famigerato (e per me
bellissimo) film “Velvet Goldmine”,
che proprio di lui sembra parlare, come si evince facilmente
dal look, dalle pose ed addirittura dalla cover di un
album del protagonista Brian Slade.
Al primo impatto, anche grazie al look
alieno/androgino ed alle tematiche affrontate è
impossibile non compararlo a Bowie/Ziggy
ma è sbagliato considerarlo un clone, i brani
del disco brillano di luce propria esaltando la forte
personalità di Jobriath, gli arrangiamenti ed
il cantato sono volutamente maestosi e teatrali, con
richiami tanto ai musical di Broadway quanto al cinema
muto, al glam Cabaret degli Sparks
ed a tematiche Sci-fi tanto in voga nei primi anni 70.
Difficile restare indifferenti a brani come “Take
Me I’m Yours”, “Be Steel”, “Movie
Queen” o “I’Maman”, impossibile
non sognare un incontro ravvicinato di “69simo”
tipo al suono di “Earthling” e “Space
Clown”. L’intero album è intriso
di lirismo e passione, spesso con il piano in evidenza
e chitarre relegate ad un ruolo secondario pur mantenendo
connotati rock’n’roll anche grazie alla
collaborazione di session man di lusso come Peter Frampton,
ma il meglio Jobriath lo dava on stage, trasformando
un “semplice” concerto in uno spettacolo
a tutto tondo, difficilmente i pochi fortunati spettatori
dimenticheranno le sue interpretazioni coinvolgenti
ed il look ispirato a Marlene Dietrich e Gloria Swanson,
indice della sua sessualità dichiaratamente omo,
che contribuirà in maniera determinante a stroncarne
sul nascere la carriera.
Eh già, perché il bigottismo
imperante (ed ahimè ben lungi dall’essere
superato ai giorni nostri) nell’AmeriKa dell’epoca
non perdonò il suo dichiararsi apertamente gay
e l’ostracismo serrato nei suoi confronti lo costrinse
a ritirarsi dalle scene prima di dimostrare, al di là
ed al di sopra del battage pubblicitario della casa
discografica, il suo reale ed immenso valore, gettandolo
in una profonda crisi che, tra alcoolismo, abusi vari
e prostituzione, lo porterà alla solitaria morte
avvenuta in una squallida stanza del (in)famoso Chelsea
Hotel di N.Y. Recentemente è stato stampato un
CD antologico dal titolo “Lonely Planet Boy”
che, anche se non mi trova pienamente d’accordo
sulla scelta dei brani inclusi (fra le assenti proprio
l’highlight “Rock of Ages”…
bah…) può risultare molto utile per un
primo facile approccio a questo grande interprete. Per
i vinyl-junkies un solo consiglio: cercatelo!
Gaetano Fezza
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Etichetta: |
Shrapnel Records |
Anno: |
1990 |
Reperibilità
Italia: |
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Rep.
Estero: |
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Prezzo
Indicativo: |
15 Euro |
Sito Web |
www.richiekotzen.com |
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RICHIE KOTZEN
“Fever Dream” |
In un certo periodo della sua vita,
il giovane originario della Pennsylvania Richie Kotzen
avrebbe potuto scrivere sulla sua carta di identità
“professione: sostituto“. Non che ci sia
niente di male in questo, anche se “Native tongue”
è effettivamente il disco più controverso
dei Poison, e se dopo non molto tempo
dal suo ingresso nel gruppo al posto di Paul
Gilbert i grandissimi Mr.Big
intrapresero il loro Farewell Tour.
Quello che forse non tutti sanno è che l’illustre
sostituto ha dalla sua un’attività da solista
estremamente fiorente e molto varia, che ha subito una
drastica evoluzione nel corso degli anni Novanta e che
si fregia della collaborazione di due nomi illustri
come quelli di Greg Howe e del recentemente
scomparso Stanley Clarke.
Prima di inoltrarsi nella giungla della
fusion, per approdare agli ultimi dischi, che ormai
contengono solo ottimo rock-blues, a partire dal 1989
Richie Kotzen sforna tre album di ottimo e sano hard
rock, di cui Fever dream è il secondo in ordine
di tempo e il primo per gusto e bellezza dei pezzi.
Siamo nel 1990, e Kotzen (lo si vede chiaramente dalla
foto di copertina) ha da poco smesso di giocare a baseball
in cortile e ha a stento imparato a farsi la barba.
Nonostante questo, gode della fiducia incondizionata
di Mike Varney, canadese, ex chitarrista dell’hard
rock band Cinema, fondatore della Shrapnel Records (una
delle prime etichette heavy metal indipendenti negli
USA) e soprattutto grande promotore e sostenitore della
figura del guitar hero moderno. È lui a pagare
il biglietto dell’aereo a un giovane (e magro)
Yngwie Malmsteen per andare via dalla
Svezia, è lui a pubblicare per anni i lavori
di (giusto per citare i nomi più noti) Jason
Becker, Michael Lee Firkins,
Darren Housholder e così via.
Varney dà inoltre il suo contributo concreto
suonando, in Fever dream, il primo assolo del lungo
brano “Things remembered never die”.
Il secondo disco solista di Richie Kotzen
contiene, a parte un paio di eccezioni, brani che non
superano i tre minuti e mezzo di lunghezza, incisivi
e interessanti forse proprio grazie a questa loro breve
durata, in cui Richie, oltre che suonare, canta. La
durata è comunque sufficiente a produrre una
serie di pezzi caratterizzati da una notevole varietà,
da cui traspare la diversità di generi da utilizzare
come fonti di ispirazione. Per questo motivo non ci
si deve stupire di trovare, uno accanto all’altro,
un grande uso del wah, uno stacco strumentale con forti
richiami neoclassici e una strofa in 4/4 tipicamente
rock, come avviene in “Fall of a leader”,
un pezzo blues come la già citata “Things
rememberd never die”, che tratta il tema del ricordo
dell’amore perduto, hard rock dai suoni limpidi,
solari e quasi beffardi in “Dream of a new day”
e specialmente in “Money power”. Resta da
segnalare che alla batteria figura l’ottimo Atma
Anur, personaggio di spicco del panorama hard rock di
quegli anni, grazie alle sue collaborazioni con Cacophony,
Marty Friedman, Billy Sheehan
e Tony Macalpine. Insomma,
varietà compositiva e una grande tecnica che
si fondono insieme in modo inscindibile: niente male
per uno sbarbatello sostituto.
Anna Minguzzi
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Etichetta: |
Music Avenue |
Anno: |
1999 (Canada) 2001 (Europa) |
Reperibilità
Italia: |
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Rep.
Estero: |
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Prezzo
Indicativo: |
19 Euro |
Sito Web |
www.leeaaron.net |
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LEE AARON
“Slick Chick” |
Karen Lynn Greening, donna di belle
speranze nata in Ontario nel 1962, deve la sua fortuna
al THE LEE AARON PROJECT BAND dove
lei suonava le tastiere e si divertiva nel supportare
il singer con i suoi cori (si parla del periodo 1980/82
– nda). Il destino ha voluto che la sua bellezza,
la sua professionalità e la sua perspicacia la
portassero invece come lead singer del gruppo. Sfortunata,
se vogliamo, ha dovuto poi mantenere questo nomignolo
anche nel futuro nonostante non fosse né suo
né di sua proprietà. Dopo scazzi&mazzi
tra compagnie discografiche, cause vinte e buone partecipazioni
a MTV e MuchMusic (Canada/nda) la nostra bella rockettara
Karen/Aaron ha proseguito in una brillante carriera
discografica nel mondo dell’Hard Rock e del PompAoR
giungendo a premi e a tutte le Top40 del mondo. Grunge,
matrimoni in crisi e difficoltà economiche, han
fatto il resto.
Sparita dal music-biz e presente a singhiozzo
in varie manifestazioni canore canadesi con alcuni albums
rilasciati nella metà degli anni novanta passati
in completa sordina, ritorna a sorpresa in alcuni night-club
jazz di Toronto e Vancouver dove viene pagata a peso
d’oro per la sua capacità espressiva e
per la validità della band che l’accompagna
(The Swinging Barflies), riportando
in auge un Jazz coadiuvato da un Rhythm&Blues anni
cinquanta.
La scelta di rendere disponibile un cd con queste performances
diviene obbligatoria per le continue richieste di serate
in giro per il Canada. Mentre tenta di ripercorrere
le sue vecchie strade rockettare in alcuni piccoli Festivals
del Nord America, incide per la gloria e per il denaro
sonante anche questo album che, ahimè, fa dimenticare
tutto quello che di buono Lee Aaron aveva fatto nel
passato.
Certo, vivere con la propria voce non
è mai stato facile e non la giudico per la scelta
fatta anche perché ha sempre mantenuto un ottimo
rapporto coi fans e con tutta la marmaglia che l’ha
aiutata negli anni addietro ma almeno so che l’unica
contenta, oltre alla sua bancaria di fiducia, c’è
pure la madre che aveva sempre rifiutato l’aggregamento
al filone hard&heavy della giovane Lee. Insomma,
qualcuno contento c’è e se ci aggiungiamo
il pubblico dei Jazz Clubs canadesi (che ignorano il
passato di questa affascinante signora e pure mamma…/nda)
possiamo solo tirare un sospiro di sollievo alla notizia
che un futuro contratto per un disco AoR dovrebbe esserci
a momenti… beh… intanto gustatevi Lee Aaron
in veste Frank Sinatra al femminile.
Il genere, che non mi appartiene, mi fa segnalare solo
la suadente e bellissima “Chaser of the blues”
magniloquente piano-ballad… superba.
Marco Paracchini
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Etichetta: |
Blue/Black Records |
Anno: |
1992 |
Reperibilità
Italia: |
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Rep.
Estero: |
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Prezzo
Indicativo: |
26 Euro |
Sito Web |
www.lillianaxe.com |
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LILLIAN AXE
“Poetic Justice” |
New Jersey. Uno Stato, un perché.
Dal NJ sono uscite diverse valide bands e alcune star
sono ancora nel music biz a dettar legge (Jon
Bon Jovi e Springsteen giusto
per citare le due icone del rock del NJ!) ma fu anche
uno stato colmo di minori bands che si imposero sul
mercato per diverso tempo. Una di queste band fu proprio
la dannata bestia crea-soldi a nome di Lillian Axe.
La bellezza, la tecnica e la vivacità di questi
cinque girovaghi li condussero sino alla top100 e il
singolo “True believer” giunse addirittura
al 37° posto della classifica rock americana. Non
male se pensiamo che all’inizio ebbero un contratto
di un solo disco che venne trasformato in un contratto
per tre dischi nel giro di pochi mesi… se poi
ci mettiamo anche lo zampino di Robbin Crosby (chitarrista
dei RATT) che volle promuovere e produrre
il primo ed omonimo disco (1988), è fatta…
i L.A. furono già da subito destinati al successo!
Il disco recensito è denso di
emozionanti brani che lasciano senza respiro dall’inizio
alla fine.
Il singolo “True believer”, escludendo il
ritornello forse un po’ scarso, rende da subito
l’idea che questi fanno sul serio e che l’esaltazione
va vissuta nota dopo nota assaporandosi in pieno le
grandiose strofe che rimangono in testa sin dal primo
ascolto. La ballata elettrica “See you someday”
fa sorridere amaramente, oggi, ripensando agli ultimi
sparuti respiri di bands dedite ad un romanticismo spietato
come solo i capelloni sapevano fare. La strofa, rimembrante
qualcosa fatto dai QUEEN ma sfuggente
alla mia memoria, è zuccherosa e densa di emozioni
con la voce di Ron Taylor sempre sugli scudi. La successiva
“Living the grey” è apprezzabile
nel riffing settantiano d’apertura e, saltando
di un paio di brani, giungerei a “Mercy”
che appare come l’unico capitolo un po’
più pesante del cd ma che sa rendere molto bene
grazie all’arpeggio classico interroto a scatti
dalle potenti e roboanti chitarre elettriche. Peccato
per il ritornello completamente fuori sintonia.
Momento di globale armonia: “The
promised land”. Una canzone, una ballata, una
melodia indimenticabile, un testo malinconico da lacrimuccia…
insomma, una di quelle chicche che ogni gruppo avrebbe
voluto scrivere. Se poi la ascoltate nel contesto giusto
non può non lasciarvi indifferenti e diverrà
come nicotina per i vostri polmoni… immancabile!
I Lillian Axe sono ancora in giro a suonare nei club
e due anni fa hanno pure inciso il primo live della
loro carriera ma l’idea mia e di molti loro fans
è quella di tenere gelosamente i primi tre album
e questo “Poetic Justice” che io riintitolerei
“Poetic Rock”!
Buy or Die!
Marco Paracchini
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Etichetta: |
Blue/Black Records |
Anno: |
1999 |
Reperibilità
Italia: |
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Rep.
Estero: |
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Prezzo
Indicativo: |
12.00 Euro |
Sito Web |
www.blueblack.com |
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THE GONE JACKALS
“Blue Pyramid” |
"Blue Pyramid" è
il terzo (e per ora ultimo) album della hard rock'n'roll
band di San Francisco, "The Gone Jackals".
Il disco segue la scia "biker hard rock'n'roll"
del precedente e fortunato cd "Bone To Pick"
(datato 1995, reso celebre grazie alla Lucas Art per
la grandiosa colonna sonora di uno dei videogame più
venduti di sempre, "Full Throttle"). Molto
energico, a volte psichedelico, "Blue Pyramid"
è un cd molto bello e soprattutto particolare.
Il disco apre con "Covering Hallowed Ground",
che passa dall'atmosfera mistica dell'intro al potente
riff hard rock della strofa. Il pezzo è uno dei
miei preferiti del cd, potenza pura, così come
"Crank It Up!".
"Business As Usual" è uno dei singoli
dell'album e ci riporta alle sonorità del disco
precedente. Un classico dei Gone Jackals. In "Alone
At Last" si alternano heavy e rock'n'roll, mentre
la quinta traccia, "No Sign Of Rain", è
l'altro singolo dell'album che è arrivato ventesimo
in una "top 40" Californiana, davanti a volti
noti del music business come Samantha Fox
e Natalie Imbruglia... cool!
Poi troviamo "Bustin' A Move", pezzo hard
rock'n'roll che rimane fedele allo stile della band.
"13x" inzia con un bell'arpeggio, ma poi si
carica alla grande. Sicuramente una delle canzoni più
potenti che la band abbia mai composto.
Nella seguente traccia, "Evil Twin
Sisters" (molto blues), Keith Karloff lascia spazio
alla voce dell'altro chitarrista, Judd Austin, che mette
in mostra una bella voce bluesy.
Un bell'intro di basso abbinato ad un gioco di piatti
introduce "That Blows My Mind". Anche questo
è davvero un bel pezzo.
"Barrel Of Crabs" e "Keep It Under Your
Hat" vanno a ritmo di blues, mentre la traccia
finale che da il nome al disco, "Blue Pyramid",
inizia molto psichedelica e continua con un hard blues
sostenuto, ma che comunque mantiene l'atmosfera (specie
sul primo assolo di chitarra). Nel complesso, "Blue
Pyramid" è un disco molto buono, ben articolato,
suonato molto bene e davvero originale.
Speriamo che la band ritorni con un nuovo lavoro visto
che sono ben 5 anni che i fan aspettano con ansia qualcosa,
anche il leader della band, Keith Karloff, sembra più
concentrato con la sua nuova rock'n'blues band, "The
Bonedrivers".
Carlo Mazzoli
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Etichetta: |
Slick Music, Inc. |
Anno: |
1998 |
Reperibilità
Italia: |
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Rep.
Estero: |
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Prezzo
Indicativo: |
15 Euro |
Sito Web |
slickmusic.com |
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LITTLE CAESAR
“This Time It's Different...” |
I Little Caesar hanno sempre saputo
come far salire l'adrenalina e allo stesso tempo deliziare
con le loro doti musicali. Questo cd di rarità
è datato 1998, 6 anni dopo l'uscita dell'ultimo
cd della band, "Influence" che vide
appunto Earl Slick alla chitarra al posto di Apache
(che lasciò la band per problemi con l'etichetta).
"This Time It's Different..." poteva
significare la fine dei Little Caesar, ma a quanto pare
la band suona ancora a Los Angeles e chi lo sa (speriamo),
potrebbero tornare con un nuovo cd a distanza di 5 anni!
Tenendo viva la speranza, ora parliamo un pò
di questo sorprendente cd.
La traccia d'apertura, "Hell To
Pay" è un inedito, hard rock, potente...
dove si nota molto il marchio di fabbrica della band.
Poi abbiamo "Downtown Mama" (che in realtà
il demo di "Down'n'Dirty", cambia solo qualcosa
nel testo) e "Ain't Got It" (versione demo).
La prima è bella ugualmente, ma la seconda a
dire la verità la preferisco in questa versione,
con il finale velocizzato e più energico... davvero
una bella chicca!
"So Damn Tired" è davvero un bel blues,
forse uno scarto di "Influence"...
magari gli è stata preferita "Slow Ride".
Molto, molto bello.
La quinta traccia "Same Old Story", invece
è una R'n'R song trascinate che ricorda gli episodi
più movimentati del southern rock. Coinvolgente.
Subito dopo, ecco una delle mie canzoni preferite di
Caesar. "Tell Me that You Love Me". Amo questa
canzone, una ballad malinconica che tocca il cuore...
assolo da pelle d'oca.
Poi, si ritorna a suonare musica per
veri duri con "Old Enuff To Know Better",
mettendo in mostra il gran carisma di Ron Young. Hard
blues che sembra descrivere paesaggi notturni. Uno dei
miei pezzi preferiti in assoluto.
Mentre "New Life" e "All Revved Up"
sono 2 pezzi rock'n'roll molto gradevoli, molto belli
i cori sui rispettivi ritornelli. La numero 10, "Good
Lickin'" ha un riff stupendo, un hard rock da paura!
Insieme a "Old Enuff To Know Better" e "Tell
Me That You Love Me" è la mia canzone preferita
del disco. Scarica di adrenalina, potenza allo stato
puro. Con "Ridin' On" (demo) reincontriamo
le canzoni demo. Chissà qual'è meglio
tra questa versione demo e l'originale? Il cd chiude
con "Down'n'Dirty" e "Ballad Of Johnny",
2 classici della band proposti live. Ottima esecuzione.
Non c'è che dire, gran bel cd di rarità.
Consigliato a chi ama veramente l'hard rock'n'roll.
Carlo Mazzoli
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Etichetta: |
MCA |
Anno: |
1990 |
Reperibilità
Italia: |
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Rep.
Estero: |
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Prezzo
Indicativo: |
25 Euro |
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BLUE TEARS
“Blue Tears” |
Nell’immenso panorama Hard Rock
che ci ha circondato negli anni passati, ecco spuntare
di tanto in tanto alcuni nomi incredibili come questi
BLUE TEARS. Semi-sconosciuti all’epoca sono ora
un cult-album da possedere gelosamente nella propria
fonoteca.
Dal Tennessee il vocalist Gregg Fulkerson, già
leader in band minori ai tempi del liceo, sforna in
compagnia degli amici Bryan Hill (ch), Mike Spears (bs)
e Charlie Lauderdale (bt) il disco d’esordio col
contratto promesso dalla MCA.
E’ il 1990 e riescono, grazie all’appoggio
di alcune radio locali, a scavalcare la vetta network
dopo network, riuscendo a suonare in gran parte degli
Stati Uniti. Quasi mezzo milione di copie vendute, un
contratto per il secondo album svanito nell’arco
di pochi mesi e tante belle speranze.
I BLUE TEARS svaniscono nel nulla come altre centinaia
di bands lasciando un granitico e pomposo album di Arena
Rock dei bei tempi, sorretto da riff e cori da stadio
alla BON JOVI e alla DEF LEPPARD.
La voce infatti ricalca in pieno le linee vocali del
bel Jon Bon Jovi e le linee chitarristiche
cercano di ricreare atmosfere molto vicine all’album
“NEW JERSEY”.
L’apertura, affidata a “Rockin
with the radio” è Pomp Rock all’ennesima
potenza, mix tra i DANGER DANGER e
i TREAT ma i momenti migliori giungono
anche con “Halfway to Heaven”, delicata
ballad dal sapore retrò, tra BAD ENGLISH
e DEF LEPPARD, con “Innocent
Kiss” tra i BON JOVI dell’88
e le produzioni di ALICE COOPER (epoca
“Poison” / nda) e “Thunder in the
night” esplosiva come l’opener e pomposa
come solo in quegli anni poteva essere, che chiude l’album
e rappresenta in un certo senso la forza e la disperazione
di un movimento che avrebbe potuto ancora dare qualcosa.
Imperdibile.
Marco Paracchini
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Etichetta: |
CBS |
Anno: |
1986 |
Reperibilità
Italia: |
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Rep.
Estero: |
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Prezzo
Indicativo: |
20 Euro |
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FASTWAY
“Trick Or Treat” |
I Fastway sono uno di quei gruppi di
cui tutti ricordano il nome ma nessuno ne ricorda la
musica.
Mi ricordo che quando sentii parlare di loro chiesi
informazioni in giro e tutti i colleghi, per far vedere
che sapevano tutto o quasi, davano le loro coordinate
assurde…chi diceva fossero un aor alla Journey,
chi simili ai BonJovi del primo disco et similia ma,
a onor del vero, poche furono le coordinate stilistiche
giuste.
I Fastway escono sul mercato nel 1983
(mese più mese meno…) rilasciando un Lp
di tutto rispetto dove, a farla da padrone, sono riff
di hard rock simil AC/DC che sfociano
sempre in accattivanti chorus. Il disco del 1986, uscito
in Italia un anno dopo (?) venne scritto e arrangiato
per la colonna sonora del film grottesco “Trick
or Treat” con Marc Price e Tony Fields (di cui
fu ripresa la trama e trasformata in un pornomovie dallo
stesso titolo! nda). Era strano che una band, all’epoca,
potesse scrivere un intero album prodotto dalla stessa
casa di produzione del film e, ancor di più,
giungeva strano l’aspetto della scelta, caduta
proprio su un gruppo rock (o Pop Metal come lo chiamano
alcuni) che non aveva una grande scia di fans. La scelta,
tutto sommato, si fece sentire poiché il disco
ebbe più fortuna del film e, a riascoltarlo oggi,
pare proprio di potersi godere, in santa pace, un album
di godibilissimo hard Rock dei bei tempi.
L’opener “Trick or treat”
pare uscire dal bel mezzo di una colluttazione artistica
e creativa tra i KIX e i MOTLEY
CRUE del 1987. La seconda traccia “After
Midnight” risente di un’impronta à
là GRAND PRIX mentre la terza
“Don’t stop the fight” sembra essere
un brano scritto dai primi BONFIRE.
La non brillantissima “Stand up” ripercorre
comunque le coordinate stilistiche dei gruppi sopraccitati
aggiungendo, se mi è permesso, anche una spruzzatina
dei primissimi brani targati MSG.
La veloce “Tear down the walls” lascia spazio
al lugubre intro di “Get Tough” che apre
poi in una veste decisamente hard rock. “Hold
on the night” è rock n roll à là
GREAT WHITE mentre “Heft”
ripercorre, fedelmente e anticipando di brutto sulle
date storiche, una sterzata decisa sul genere, ampliando
la grezzezza del sound e sporcandosi di vesti più
metal. La cosa non accade per l’ultima “If
you could see”, power balld che mi ricorda un
po’ i cristianissimi WHITE CROSS
che chiude onestamente l’album.
Se amate alcune delle bands che ho citato, potreste
decidere di acquistare l’album poiché,
sono sicuro, anche se si tratta di solo nove canzoni,
le vostre orecchie e soprattutto i vostri vicini di
casa apprezzeranno il sound roccioso che questi Fastway
sanno esprimere!
Solo per intenditori.
Marco Paracchini
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Etichetta: |
Revolver Records |
Anno: |
1986 |
Reperibilità
Italia: |
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Rep.
Estero: |
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Prezzo
Indicativo: |
20 Euro |
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WHITE SISTER
“Fashion By Passion” |
Non so se siano i tempi andati o la mia
incredibile mole di obbiettività ma mai ho capito
il successo discografico (più per gli animi di
molti che non commerciale) del primo disco dei WHITE
SISTER, designato dalla maggior parte dei recensori
come un album imperdibile. Sarà ma, non avendolo
mai apprezzato troppo per l’eccessiva dose di
noia costante, mi sono rifatto (in parte) col loro secondo
e più “sfortunato” album, quello
che sto recensendo.
Questo album, rispetto all’esordio,
risente di una maggiore attenzione per la masterizzazione
e il mixaggio dei suoni ma dista assai dalle vene più
rockettare di quando Greg Giuffria ci mise lo zampino
(produttore del primo album). La vena compositiva si
firma di episodi al limite del pop commerciale come
la traccia che dà il nome al cd pur immettendo
brani più densi di energia e spirito Pomp Rock,
come l’energica ed esaltante “Dancin’
On Midnight”, unico neo di bellezza nell’intero
album.
E come in ogni classico disco di Rock pomposo non poteva
mancare la ballata spezza cuori e “Save me tonight”
ricalca appieno lo stile del tempo pur dando maggior
spazio al pianoforte di quanto non facessero molti altri
colleghi. Debole nel ritornello (vi invito a non fare
una smorfia quando giunge il ritornello… è
impossibile!) è comunque un brano godibile per
il pathos delle strofe e dei bridge.
Dennis Churchill ha donato la sua ugola
a questo progetto (anche le dita al basso!) ma non ebbe
modo di riprendere le sue sorti canore nel futuro. L’effetto
piattezza si sente nonostante gli sforzi. L’aspetto
tecnico, delegato a Rick Chadock (ch) e Richard Wright
(bt) non fa una piega ma, nota curiosa, le tastiere
presenti in tutte le canzoni, non si sa chi le suoni.
Inutile cover dei Beatles (Ticket to
ride) cerca di donare spazio più intellettuale
non riuscendo comunque nell’intento. Otto tracce
erano troppo poche anche per il 1986 e l’aggiunta
di una cover la trovavo allora e la trovo oggi, una
bieca soluzione per ricorrere ai ripari quando non si
sa proprio che cazzo aggiungere… e poi tanti gruppi
dichiaravano di avere pronte 40 canzoni ad album…
sarà ma mi sa che gli anni ottanta ci hanno un
pochino illusi sulle effettive capacità di alcuni
personaggi.
Solo per intenditori.
Marco Paracchini
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Etichetta: |
EMI / Mercury |
Anno: |
1986 |
Reperibilità
Italia: |
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Rep.
Estero: |
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Prezzo
Indicativo: |
20/40 Euro |
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TREAT
“The pleasure principle” |
I nordici TREAT hanno avuto
il loro meritato successo con l’album del 1988.
Portati come guest bands in tutti i Monsters Of Rock
europei di quegli anni (sino al 1990, data dello split
col cantante ufficiale Robban Ernlund - !!) si riformarono
nel 1992 (con l’ex singer degli SWEDISH
EROTICA ai microfoni) perdendo le coordinate
stilistiche che li resero una sorta di fotocopia degli
EUROPE degli anni d’oro.
Pur correndo l’anno
1986, la produzione appare cristallina dando meritato
spazio a tutti gli strumenti senza intaccare in nessun
modo la voce limpida e nasale del leader. Le undici
canzoni riportate in questo loro cd d’esordio,
risultano essere molto più avanti rispetto a
molti loro concorrenti d’oltreoceano. Qui si respira
aria di gioiosa poesia rockettara dei tempi che furono,
quando essere un tastierista aveva un suo perché
e quando alcuni riff venivano scritti essenzialmente
per infervorare le masse di energia rock n roll!
Bellissime “Rev it
up”, classicissima apertura da disco Pomp come
la suadente ballad elettrica “Take my hand”.
Inutile dilungarsi nella lista anche perché,
ogni pezzo, in questo contesto, ha il suo valore e la
sua energia. Tra i succitati EUROPE
e gli svizzeri CHINA, i Treat sapranno
come soddisfare le vostre giornate da ansia post-grunge.
Marco Paracchini
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Etichetta: |
Demo |
Anno: |
1996 |
Reperibilità
Italia: |
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Rep.
Estero: |
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Prezzo
Indicativo: |
x Euro |
Contact: |
bcaser@tin.it |
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THE LAST BANDIT
“Dreams Come True” |
Solo dopo aver ascoltato
questo mini di quattro pezzi riesco a capire la passione
di Jany James e Federico Martinelli per questa band
milanese nata 1988 e con all'attivo un'altro demo intitolato
"Vicious", che li portò a fare da spalla
a LITFIBA e DOGS D'AMOUR
durante il tour italiano.
Rudy (voce, chitarra), Sergio (chitarra, voce), Rena
(basso, voce, armonica) e Luca (batteria, percussioni)
nello loro composizioni lasciavano trasparire tutte
le loro influenze musicali (Rolling Stones,
Neil Young,...) e non (Bukowski
o Fante), con un risulato davvero eccellente
e che rammarica l'ascoltatore per la scomparsa prematura
di questi grandissimi rocker italiani.
Se ora penso alle ultime
produzioni di TYLA, e ad alcune mediocri
band uscite in questi anni, rabbrividisco pensando che
questo demo non ebbe la fortuna che si merita perchè
il poker di canzoni che compone "Dreams Come True"
è davvero notevole, ascoltate ad esempio "Jesus
Loves The Bandit" (che ci fa capire quanto questa
band abbia influito sul nostro JANY JAMES)
o "Down (Da Da Da)".
"High" e "Smalltown" sono altri
due episodi sopra la media che fanno di questo four-pieces
il maggior esponente della scena italiana del tradizionale
rock'n'roll britannico in stile FACES,
DOGS D'AMOUR o QUIREBOYS.
Dopo questa release il gruppo
provò la carta del cantato in italiano sotto
il monicker di PORTO DEI SANTI, ma
purtroppo gli esiti non furuno molto posiviti... In
attesa di un'utopistica reunion affrettatevi e scrivete
a questo indirizzo bcaser@tin.it,
vedrete che non ve ne pentirete! ....le influenze le
avete capite, per cui se volete del sano e sanguino
rock n' roll sapete dove cercare e avrete un nuovo gruppo
da inserire nella vostra discografia al fianco dei sopracitati
nomi o dei meno conosciuti DOGTOWN BALLADEERS,
SHAGHAI'D GUTS, DIAMOND DOGS,
e perchè no, JANY JAMES!
Moreno Lissoni
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Etichetta: |
Savage Tunes |
Anno: |
1985 |
Reperibilità
Italia: |
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Rep.
Estero: |
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Prezzo
Indicativo: |
15/60 Euro |
Sito Web: |
www.youknow.com/
savage |
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SWEET SAVAGE
“Sweet Savage” |
Bwah ah ah ah... Stavolta
mi ride anche il buco del culo!!! Bwah ah ah ah... Se
penso alla faccia da pirla di quella “tarma”
di standista che da 3 anni cerca di rifilarlo alla Vinilmania
per la bellezza di 60 euri (e nota bene: prima dell’avvento
della maledetta moneta unica, chiedeva 60.000 Lire!!!),
con quella crapa simil-pelata e gli occhietti spiritati
tra il furbo, il minchione e l’avido non riesco
proprio a trattenermi!! Toh!! Te l’ho messo e
senza vaselina, ci ho messo più di un anno a
cercarlo in rete ma alla fine l’ho pagato 15$.
Bastardo te e tutti quelli della tua razza! Rivincite
a parte, l’avevo già in CD-R, ma la mia
passione per i vinili originali mi tormentava da tempo,
lo volevo perché pur non facendo urlare al capolavoro
rimane un disco di godibile e piacevole Glam Metal,
un bel mix tra primi Motley Crue, Poison
ed il Party Metal tanto in voga in quegli anni d’oro.
All’epoca i cinque brani di quest’esordio
autoprodotto con Dana Strum alla consolle,
facevano ben sperare per il futuro di questi quattro
ragazzi dalla buona attitudine capitanati da un acerbo
ed androgino Joey C. Jones, che alcuni
di voi probabilmente ricorderanno come singer dei mediocri
GloryHounds nei primi 90’s.
Il mini LP riscosse un discreto
successo che gli valse lo status di cult-band, poi purtroppo,
come spesso accade nel music-biz, alcune scelte rivelatesi
errate furono fatali ai nostri Selvaggi Glamsterz, per
esempio quella – pare proprio dietro consiglio
dello stesso Strum – di rifiutare alcune offerte
da piccole Labels in attesa della grossa occasione...
che non arrivò mai. Così la band rimase
“al palo” fino a perdere del tutto visibilità
e gli echi della loro piccola fama si spensero, ironia
della sorte proprio mentre nasceva la stella dei Poison,
che invece si “accontentarono” di uscire
a budget ridotto per la piccola Enigma calamitando l’attenzione
di quella frangia di fans che avrebbe potuto proiettare
Joey e soci nell’olimpo del Rock’n’Roll...
il resto, come si suol dire, è storia. Cinque
i brani dicevo - tra cui una piacevole versione di “Fox
On The Run” degli Sweet - semplici
e diretti, ben suonati e prodotti, Joey ricorda molto
il primissimo Vince Neil con voce ancor
più efebica, i refrain sono decisamente “catchy”
senza mancare d’impatto grazie all’abile
ed affiatata sezione ritmica ed ai riffs metallizzati
ma senza fronzoli di Chris Sheridan. Basta un ascolto
per imparare a memoria “On The Rocks”, “Do
Ya” e “Head Over Heels”, mentre la
power ballad “Break Away” pur non essendo
male è in linea con tante, troppe canzoni del
genere e mi pare manchi quel pizzico di personalità
(pur vero che le ballads difficilmente mi piacciono,
a voi un giudizio definitivo). Chi mi conosce sa che
oggi non amo particolarmente il Glam Metal e difficilmente
seguo le nuove bands che lo propongono, ma in questo
caso sollevo un’eccezione, se non altro perché
i Savage l’hanno fatto prima e meglio di tanti
altri ed il prodotto non risente particolarmente dell’usura
del tempo, se vi capita a prezzo accettabile fatelo
vostro in attesa del fantomatico CD postumo di cui si
vocifera da anni come potete leggere sul loro sito.
Gaetano Fezza
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Etichetta: |
Crash City Records |
Anno: |
1998 |
Reperibilità
Italia: |
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Rep.
Estero: |
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Prezzo
Indicativo: |
10 Euro |
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SILVERSTAR AND THE JUKEBOX ANGELS
"Silverstar and the Jukebox Angels" |
Che bello questo CD!! Peccato
mi sia deciso a recuperarlo fuori tempo massimo, quando
è uscito si poteva ordinare facilmente alla UltraUnder
Rec. di Jeff Dahl, e fino all’anno
scorso esisteva una pagina web loro dedicata dove si
potevano ascoltare alcuni brani in real-player ma adesso
è sparita, ragion per cui penso sia ormai fuori
catalogo, per fortuna è ancora reperibile in
rete. Strano anche che nessun fanzinaro li abbia contattati
prima, almeno a quanto ne so io, perché a posteriori
devo proprio concordare con Jeff che ne parlava molto
bene sulla sua newsletter, i Silverstar di Rob Small,
singer ed autore di tutti i brani, senza tante pretese
od acrobazie riescono a reinterpretare e rileggere in
modo fresco, attuale e divertente un genere che a me
personalmente piace da morire e che in teoria dovrebbe
essere morto nel 1975... signore e signori, siamo di
fronte all’inconfutabile e tangibile prova che
il Glam Rock è vivo ancora! Non Sleaze, non Punk,
non Metal, ma puro e semplice Glam/Glitter nella vena
di Marc Bolan ed i T. Rex,
al punto che i maligni in alcuni passaggi potrebbero
pensare ad un plagio, ma io preferisco considerarla
una genuina e sincera forma di ammirazione e “tributo”
per colui che è stato forse il primo vero artefice
di tutta la scena Glam dei 70’s.
Dalla voce (ma allora la
reincarnazione non è pura fantasia?), alla musica,
i refrain, alcuni riffs e finanche i titoli di alcuni
brani vanno tutti nella stessa direzione, ora dolci
e sensuali, ora fisici Rock’n’Roll, gli
otto brani (che diventano 16 con la riproposta degli
stessi in versione album remix) fanno pensare, come
per il binomio Daggers/N.Y.Dolls, che
i T. Rex negli anni 90 suonerebbero
proprio così e, visti i risultati, per me non
c’è nulla di male. Più lo ascolto
e più mi piace, i brani si stampano in testa
ed il merito va equamente diviso tra le due ragazze
in formazione, Jess Taverna e Laura Kurban che alle
percussioni e backing vocals danno un tocco corale e
teatrale richiamando qua e la il Rocky Horror
ed i maestosi deragliati Young &
Faboulous, ed il carismatico Rob che cura in
modo eccellente anche tutte le parti di chitarra, sia
con dei riffoni tanto semplici quanto spettacolari,
sia con interventi solisti degni di nomi altisonanti.
Strano arrivare alla fine dell’ottava traccia
e sentirle ripartire in “loop” in versione
leggermente diversa (ma con dettagli minimi), certo
che quando partono brani come “Tiger Beat”,
“Tambourine Girl”, “Micky’s
Alright” (qualcuno ucciderebbe per un riff così!!)
e la conclusiva “Solid Gold Tears” dove
fanno capolino anche gli Sweet di “Desolation
Blvd.” la vera sfida è restare fermi, praticamente
impossibile in quel tripudio di bridge, refrains, “yeah..yeah..yeah..”,
handclaps e percussioni a go-go!! Aggiungete i brani
più d’atmosfera “The Smashing Cabaret”,
“Supergroover” e “Star Baby”
(le più Bolan di tutte) con arrangiamenti veramente
belli e sontuosi e traete le vostre conclusioni! Il
Glam Rock è morto? Lunga vita al Glam Rock!!
Per conto mio se appena riesco a metterci le mani sopra
compro anche il vinile. Amen..
Gaetano Fezza
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Etichetta: |
Warner Bros. |
Anno: |
1991 |
Reperibilità
Italia: |
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Rep.
Estero: |
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Prezzo
Indicativo: |
10/15 Euro |
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RADIOACTIVE CATS
"Radioactive Cats" |
Qualche tempo fa sul forum
di Slam nel topic “Fave Bands” chiedevo
se qualcuno conoscesse questo dischetto, visto la clamorosa
mancanza di risposte, direi che è il momento
di rispolverarlo. Come spesso capita a noi Rock’n’Roll
maniacs, mentre scartabellavo avidamente – molti
di voi capiscono alla perfezione quello stato d’animo,
voglio dire....fame, voglia di “roba” nuova,
desiderio e “gusto della scoperta” ...si
insomma, la classica scena del “pesce lesso”
con la lingua penzolante ai lati della bocca... Musicalmente
Arrapato!- nel ben fornito reparto dell’usato
di Pick Up (RIP – qualcuno un giorno mi spiegherà
perché chiudono sempre i negozi migliori!), un
oggettino quadrato con cover e custodia “insolite”
ha calamitato la mia attenzione, quasi mi stesse chiamando:
“...cazzo è ‘ste roba...”?
Nome d’effetto, decisamente Rock’n’Roll,
“ceffi” giusti, titoli “ad hoc”
e, dulcis in fundo, Gibson Guitars!! Qui gatto ci cova!!
E’ bastato un mezzo ascolto per bloccare tutto
ed arraffarlo, a casa l’avrei gustato con calma...
da allora il CD è entrato decine di volte nel
lettore, e ne conosco alla perfezione tutti i brani.
Per me si tratta di un piccolo
gioiellino, stilisticamente vario e ben congegnato,
i brani spaziano dal Rock’n’Roll al Blues
con slide-guitars, dal Southern Rock al Country Western
(NON quello melenso di J.Denver e soci!!), i testi sono
divertentissimi e scanzonati, fatti di amori notturni,
avventure sul sedile posteriore dell’auto, donne
sensuali ed “umide sensazioni”, decisamente
Glam insomma, con un alto livello qualitativo, refrain
azzeccatissimi ed una forte componente Pop presente
anche nei brani più elettrici. Non voglio fare
acrobazie cercando paragoni a tutti i costi con altre
bands, diciamo che se il bel Jon “BlowJob”
dei primi album suonasse su basi più Glam e Rock’n’Roll
ci saremmo vicini, anche se per i Radioactive Cats le
tastiere sono limitate ad un paio di brani, usano molto
lo Slide, il Mandolino ed addirittura lo Stand Up Bass!
In alcuni passaggi sembrano un incrocio “bello
e impossibile” fra primi Bon Jovi, Poison
e Raging Slab del secondo album.
Un solo ascolto basta a
non dimenticare più le varie “Bed of Roses”,
“Finger in the Pie”, “Love Razor”
e la mia preferita “Cheap Mascara”, che
possiede il carisma del classico, un Glam Anthem per
eccellenza con quel testo che parla di una “Hollywood
Queen” che ti scopi sul sedile posteriore della
sua Cadillac per 25 miseri $ (...eh eh eh...), e finisce
regolarmente nelle mie compilation “a tema”.
Ci sono poi due brani, “Hold on Tight” e
“Knock Knock”, dove l’atmosfera western
mi fa venire in mente quel simpatico pirla di Lucky
Luke (!?!), aggiungo che i Cats sono riusciti anche
nell’improbabile impresa di farmi apprezzare la
slow-song “Think About Love”, e con l’inflazione
che c’è di ‘sto ballads scusate se
è poco. Insomma, un CD ideale per passare un’ora
piacevole e spensierata, che non dovrebbe essere difficile
da “avvistare” (anche perché la custodia
è di un verdino fosforescente che non passa certo
inosservato!), ne costare molto, se capita fateci un
pensierino, almeno un tardivo recupero di questa “meteora”
passata ingiustamente inosservata nonostante la distribuzione
major mi sembra il minimo. Giustizia è fatta.
Gaetano Fezza
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THE BABYSITTERS
"The Babysitters" |
Da tempo volevo scrivere
due righe su questo fantastico LP, unico full-lenght
della discografia di questa band di cui esistono anche
un 12” Live ed alcuni brani sulle compilations
“Trash On Delivery” e “Rock Pretty”
. Parlare dei Babysitters significa innanzitutto parlare
di divertimento, party, spensieratezza ed a tratti addirittura
comicità, in più di un episodio infatti
non riesco proprio a trattenere delle sonore risate,
vuoi per come canta Buttz, vuoi per i testi a tratti
demenziali ed i refrain assolutamente irresistibili,
vuoi che ogni volta che mi rigiro tra le mani la cover
(dovreste vedere il retro!) mi vien voglia di saltare
dentro con loro a far bisboccia. Intendiamoci, se è
vero che dal punto di vista tecnico (quanto la odio
questa parola!) non siamo certo di fronte a musicisti
eccelsi, ed i brani sono tutti costruiti su basi R’n’R
piuttosto semplici e dirette, dal punto di vista dell’energia
e dell’attitudine questi 4 “scappati dal
manicomio” ne hanno da vendere, vi sfido a rimanere
fermi ascoltando uno qualsiasi dei loro brani! In alcuni
episodi poi ci si rende conto che nel loro piccolo erano
anche eclettici e versatili, basta ascoltare “Old
L.A.” dove sembra veramente di essere nell’America
degli anni ‘30 in qualche fumoso e malfamato locale
con donnine di facili costumi ed alcool a buon mercato,
“No Particular Place” un bluesaccio trasandato
da bassifondi arrangiato con piano ed armonica e “The
Beard Song”, tanto “fuori” che non
riesco nemmeno a descriverla, il solo inizio con quel
coretto da ubriaconi (ma VERAMENTE da ubriaconi!! Manco
fossero usciti a braccetto da un’osteria di Bagolino
con la brocca di “misto” in mano!!) basta
a rallegrarmi l’intera giornata.
Rendere l’idea di
come divertano e si divertissero loro stessi non è
facile, perfino i primi Poison sono
distanti anni luce, senza contare che i Babysitters
avevano un back-ground decisamente diverso: epurateli
da qualsiasi velleità party-metal e lagateli
a doppio filo al Glam Rock Inglese dei 70’s ed
alle NewYork Dolls, una spruzzatina
di Bubblegum Punk alla Boys, tanto “humor”
inglese e forse comincerete ad averne una pallida idea.
Mi fanno morire con la loro versione di “Pills”,
che per l’occasione è “taroccata”
in “Rock’n’Roll Chicken”, mi
esaltano con i R’n’R iperveloci “Give
Us a Loan” e “Can You Hear It” con
quei refrain che ti si ficcano in testa come stampati
dalla (brutta figa!!) impiegata delle poste con un cazzo
di timbro d’ottone! Se in “Tel Aviv”
si possono definire Punk’n’Roll melodico,
e nell’ironica “Everybody Loves You (When
You’re Dead)” sembrano le Dolls devastate
dall’alcool, con “Pickin’ the Blues”
è puro Rock’n’Roll dalle forti tinte
Blues con testo demente e refrain esilarante che (s)parla
di una ragazza che si mette le dita nel naso! Ah ah
ah ah ah... Meno male che li ho in mp3 e mi allietano
questa merdosa giornata di lavoro!! Ah, dimenticavo,
il buon Buttz, verso la fine degli 80’s se n’è
uscito con una band altrettanto divertente anche se
non così convincente, i Last Of The Teenage
Idols, se vi capita tra le mani il loro “Satellite
Heads...” fateci un pensierino!
Gaetano Fezza
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Etichetta: |
Trash Can Records 12”
EP Pink Vinyl |
Anno: |
1987 |
Reperibilità
Italia: |
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Rep.
Estero: |
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"So
Alone b/w Yesterday’s Girl"
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Etichetta: |
Trash Can Records 7" |
Anno: |
1988 |
Reperibilità
Italia: |
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Rep.
Estero: |
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Etichetta: |
Trash Can Records |
Anno: |
1989 |
Reperibilità
Italia: |
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Rep.
Estero: |
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SOHO ROSES
" Whatever Happened To...."
"So Alone b/w Yesterday’s Girl"
"The Third and Final Insult"
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Non so quanti di voi si
ricordino di questi quattro ceffi “vomitati”
dai sobborghi più luridi ed infami di una Londra
all’epoca (siamo nella seconda metà degli
‘80’s) ancora follemente innamorata del
Rock’n’Roll col rossetto nelle sue forme
più autentiche e ruspanti, quella stessa Londra
che aveva dato i natali ad alcune delle bands fondamentali
per i cultori del genere: Wrathchild, Babysitters,
Marionette oltre ai futuri “mostri sacri”
Quireboys (all’epoca Queer-Boys)
e Dogs D’Amour, tanto per citare
i più famosi. Beh, è tempo di rispolverarli,
e lo faccio riunendo tutto quello che hanno tramandato
ai posteri innanzitutto perché sono solo tre
incisioni (da notare il titolo del full-lenght album!!),
poi perché sono convinto che, un titolo per l’altro,
siano tutti molto validi.
Il primo EP è il
classico disco che uno come me compra “a prescindere”
solo per la cover e lo sfiziosissimo colore rosa del
vinile! Eppoi scusate, ma un batterista di colore, con
i capelli corti e “concio” di rossetto e
mascara davvero mi mancava! Quattro brani all’insegna
di vibrante, deragliato ma fottutamente melodico Rock’n’Roll
che colpiscono nel segno, palesando l’amore sviscerato
dei “nostri” per i Ramones;
il cosiddetto Punk “minore” inglese del
’77 di bands come Damned e Buzzcocks
(il titolo dell’EP è ripreso da un loro
7”) ed Hanoi Rocks (in particolare
per timbro ed impostazione del singer, non parliamo
poi del look!!), il tutto condito da uno spiccato gusto
melodico nei refrain, tipicamente “Bubblegum”
ed un guitar-work chiaramente ispirato a J.
Thunders. Il brano migliore? Arduo, anche se
forse “Coz of You” e “Just a Girl”
hanno una marcia in più.
Il 7” segue lo stesso
andazzo dell’esordio con la bella “So Alone”,
che diventerà un loro cavallo di battaglia e
la stralunata “Yesterday’s Girl”,
che inizia come una ballad e diventa uno strambo ma
riuscito Punk semi-elettrico , suonato come se fossero
all’osteria sbronzi con un gruppo di amici e tanti
“morti” sul tavolo.
Chiude (e chiuse –
purtroppo - la loro “brillante” carriera)
l’unico LP che, oltre a vantare una delle peggiori
cover di sempre (legge della compensazione? la prima
è fantastica!!), propone un sound più
robusto e meglio prodotto, che da maggiore risalto alle
influenze punk riuscendo però a mantenere intatto
il gusto melodico ...ragazzi, non ci sono molte bands
che riescono a “stamparti” in testa così
tanti refrain !! ...L’inizio con “Bollocks”
sembra un tributo a J. Thunders ed
Hanoi Rocks ricordando quella “Pipeline”
che apriva spesso i loro concerti, ed introduce senza
pausa il brano che a suo tempo mi fece innamorare di
loro: “Why d’ya Break my Heart”, indimenticabile.
Segue una cover dei citati Buzzcocks,
“What do I Get”, che vi spingerà
a volerne conoscere gli autori (e ne varrà la
pena!!), vengono riprese “Cos of You”, “Just
a Girl” e “So Alone” che, anche se
“indurite”, non perdono il loro fascino
e tutti i brani si tengono su un buon livello, vi segnalo
per chiudere “Dance with Me”, “Next
to You” e “I Want You”. Insomma, il
perfetto matrimonio tra Glam e Punk!! Soho Roses VI
AMOOOO!! Manco a dirlo, Iper-Consigliati.
Gaetano Fezza
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Etichetta: |
Spoonfed Records |
Anno: |
1973 |
Reperibilità
Italia: |
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Rep. Estero: |
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Prezzo
Indicativo: |
20 $ |
Sito Web: |
dirtywater.com |
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REDDY TEDDY
"Reddy Teddy"
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Ricordo bene la prima volta
che notai il nome Reddy Teddy sull’ottimo magazine
Bassa Fedeltà (R.I.P.): in un
articolo dedicato alla scena 70’s Punk di Boston
un breve trafiletto li indicava come una discreta Rock’n’Roll
band liquidandoli in fretta perchè “troppo
inclini” all’Hard Rock . Poiché l’esperienza
mi insegna che quando i “puristi” del Punk
storcono il naso usando termini quali “Hard”
o “Glam”, ci si trova spesso al cospetto
di grandi bands, tanto è bastato per suscitare
il mio interesse, acuito dall’ottima pubblicità
da parte di qualcuno che possedeva il disco, così
dopo mesi che “gli facevo la posta”, mi
sono finalmente deciso ad ordinarne una copia (Rigorosamente
in Vinile!!) et...voilà ecco un’altra “chicca”
pronta per Rare Stuff.
Se è vero che i Reddy
Teddy erano per la Boston dei 70’s quello che
le New York Dolls erano per la Grande
Mela, per inquadrare il loro sound è necessario
scomodare altri “mostri sacri” come Rolling
Stones ed Aerosmith, oltre
ai meno famosi ma seminali bostoniani Real Kids
e Willie “Loco” Alexander.
Se pensate che, dopo essersi trasferiti da Winchester
a Boston (città “provinciale” ma
con una fervente Rock Scene il cui fulcro ruotava attorno
al celebre Rat Club), la Columbia non li scritturò
solo perchè rifiutarono di sostituire il cantante
e si vide costretta a “ripiegare” su tali
Aerosmith (alla faccia della “seconda
scelta”!!) o che incisero due demo per la Mercury
che poi però preferì dedicare tempo ed
energie a Thunders e Co., vi sarà
chiaro che ai “nostri” è mancata
solo un pizzico di buona sorte o, forse, una vetrina
più importante com’era New York.
Nel dettaglio dei brani
vi segnalo in particolare “Moron Rock” e
“Magic Magic”, affini alle Dolls
ma con un suono più pulito; poi un trittico di
brani molto Glamour ma stilisticamente originali che
dimostrano come i R.T. brillassero di luce propria:
la puttanesca “Ooh-Wow!” cantata in modo
irriverente e “tiraculo”, “A Child
of the Nucler Age”, che inizia col suono di un
allarme aereo ed è sospesa tra decadenza glitter
e cupa disperazione urbana e “Novelty Shoes”,
antesignana dello stile Hanoi Rocks
periodo “Self Destruction Blues”, tanto
che se ne scorgono echi in “Desperados”.
In chiusura una “Teddy Boy” degna dei primi
tre album di Tyler e soci. E’
giusto spendere una parola per la produzione che, nonostante
sia un LP del ’76 inciso per una piccola label,
è veramente eccellente. Da avere.
Gaetano Fezza
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EASY ACTION
"Easy Action" |
Oggetto del desiderio di
molti Glamsters, questo disco uscito nel lontano 1983
è in effetti una piccola "gemma grezza"
che, seppur decisamente sopravvalutato da alcuni (in
particolare per quanto riguarda il prezzo, vi consiglio
infatti di cercarlo all'estero), presenta più
di un motivo di interesse. Innanzi tutto l'esordio -acerbo
ma convincente di due personaggi destinati a ben
altra fama: Zin Zan, singer che, con un leggero cambio
di pseudonimo, ritroveremo alcuni anni dopo nei Kingpin/Shotgun
Messiah e tale Kee Marcello che, con tempismo
invidiabile, sostituirà J. Norum
negli Europe proprio in tempo per godere
del loro periodo di massima gloria.
Poi ci si può rendere
conto di persona del "famigerato" plagio (che
leggenda urbana vuole poi condannato da un tribunale)
effettuato dai Poison nel loro album
d'esordio del 1986 con la song "I want Action"
che, inequivocabilmente, ricalca il refrain di "We
Go Rockin'". Quest'ultima, insieme a "Rocks
Things Out", "Rocket Ride" , "Number
One" ed "Another Saturday Night" costituisce
il picco dell'album, che propone sonorità molto
legate al Glam/Glitter inglese dei seventies, dove a
farla da padrone è il classico giro Boogie/Rock'n'Roll
accompagnato da cori molto azzeccati, di facile presa
e sicuro effetto, quelli - per intenderci - che ti fanno
sempre muovere il piedino e ti catapultano nel "Party-Time".
Se proprio volete delle
"referenze" per inquadrarli meglio, provate
ad immaginare un Gary Glitter meno
pedestre (o meglio i suoi misconosciuti emuli Candy
Roxx del mini "Sex and Leather")
per i refrain, aggiungete un pizzico di classe alla
Swedish Erotica (quelli del primo LP
of course) in alcuni arrangiamenti, il ritmo di Geordie/Status
Quo ed il guitar-sound prettamente eighties
di party-rock oriented bands alla Noize Toys
....et voilà, il Party è servito!!
Gaetano Fezza
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