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TNT
"All
The Way To The Sun"
MTM Music - 2005
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Ad un anno di distanza dalla distrubuzione
di "My Religion" esce il nuovo
progetto discografico di Tony Harnell, Ronnie LeTekro
e Diesel Dahl, questa volta (per la prima considerando
il marchio TNT) orfana di Morty Black al basso.
Album molto ben prodotto dagli stessi Tony e Ronnie,
richiama per certi versi sonorità vicine al
progetto Starbreaker e allo stesso
"My Religion". Come ultimamente
ci hanno abituati i nostri, grazie ad ascolti ripetuti
abbiamo la possibilità di assimilare a pieno
le sfumature e i colori di queste 12 tracks. Un hard
rock melodico suonato da veri fuoriclasse, dove, non
mi stancherò mai di ripeterlo, il troppo sottovalutato
Ronnie ci offre spunti chitarristici di livello incredibile
e la voce di Tony raggiunge vette che lo incoronano,
come se ci fosse bisogno di conferma, uno dei migliori
singer in fatto di estensione e carisma.
"All The Way To The Sun"
è un disco che si presta molto ad essere suonato
live, molto diretto, con una spinta che supera per
intensità le produzioni dei Westworld, forse
meno classico ma con una ricerca per evolvere il genere
senza traviarne il contenuto. E’ l’impressione
che si ha immediatamente con la prima song “A
Fix” che parte con il jack inserito ad ampli
acceso nella chitarra, hard rock diretto con venature
pero’ tipiche “alla TNT”, così
come per altro "Too Late" e "Save your
Love". Interessante l’intermezzo strumentale
“Mastic Pines” marchio di fabbrica del
gruppo e di un LeTekro sempre ispirato. Da sottolineare
il fatto che Ronnie abbia modificato i suoni diminuendo
distorsione e mantenendo pulizia e controllo tali
da renderlo senza dubbio oltre che un musicista tra
i più produttivi anche un chitarrista tra i
migliori al mondo. Tony riesce a cantare su tonalità
molto alte con una facilità imbarazzante, e
chi lo ha visto live sa che non ci sono trucchi e
nè inganni, il prodotto è originale
senza correzione alcuna in fase di mixaggio.
Diesel Dahl riesce poi a far quadrare
il tutto con ritmiche potenti e molto serrate che
riescono a dare quel valore aggiunto ai brani necessario
alla creazione di un prodotto di livello qualitativamente
impeccabile. Vanno sicuramente ricordati oltre a quelli
indicati poco sopra, "Black Butterfly" e
"Me And I", condita con tastiere e con armonie
fine anni 90 e una versione di "What a Wonderful
World" che può trovare un senso nella
tracklist definitiva.
I TNT rimangono un punto fermo nell’emisfero
delle stelle del Melodic Rock, una ricerca continua
così come una maturazione nei testi e nelle
armonie fa si che ogni disco sia differente dai precedenti
e in ogni caso interessante ed originale. Una ulteriore
conferma che la coppia Harnell e LeTekro sia un format
classico nella discografia mondiale e che riesca sempre
a creare attese quasi sempre rispettate.
Mauro Guarnieri
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CHECKPOINT CHARLEY
"Songs
One Through Twelve"
Packderegg Music -
2005
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Debutto discografico ad opera dei
Californiani Checkpoint Charley, un ottimo e maturo
pop rock/power pop che miscela il sound ultramelodico
dei Jellyfish con i leggendari Cheap
Trick.
Il gruppo viene spesso accostato ai primi che ho avuto
il piacere di conoscere/ascoltare con "Spilt
Milk" e ai Tories di cui
so solo che hanno realizzato un paio di album tra
il 1997 e il 2001. Se amate queste sonorità,
di sicuro "Songs One Through Twelve"
riuscirà a soddisfare le vostre esigenze, il
disco scorre fluido ed è ascoltabilissimo sin
dalle prime note del power pop di "Free"
(il pezzo che preferisco) per terminare con la dolce
"Dreamer".
Nonostante una certa omogeneità
nella stesura dei pezzi, l'album non annoia regalandoci
ottimi esempi di rock poppeggiante come nel caso di
"Smile", "Go Away" o "Start
Screaming" e nella melodica "Mother Veronica"
dove a tratti spuntano i Damn Yankees più
"commerciali".
Moreno Lissoni
top
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GENE LOVE JEZEBEL
"Exploding
Girl"
BlessMomma Records
- 2005
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Dopo ripetuti ascolti, il prodotto
in questione non e' riuscito a convincermi, anche
se suonato e prodotto discretamente. Complice anche
una voce a tratti monotona e poco espressiva, i pezzi
sono privi di quel mordente necessario a trascinare
un intero album, come ad esempio la title track, potenzialmente
coinvolgente ma piatta.
Qua e la ci sono riferimenti agli U2
("love no longer") o ai The Mission
del periodo "carved in sand" ("the
waiting song") e qualcosa dei The Doors.
Devo ammettere che dopo aver ascoltato
il primo brano, mi aspettavo un disco piu' orientato
verso il rock (non conoscevo la band prima di ascoltare
questo cd), invece i pezzi hanno sonorita' a tratti
elettroniche ("2 hungry women", "blu
& mary", "aire") e a tratti malinconiche
e alla fine sembra che i pezzi si assomiglino un po'
tutti rendendo in questo modo difficile ascoltare
l'intero lavoro.
Andrea Pedriali
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THUNDER EXPRESS
"We
play for Pleasure"
Razzia Records - 2005
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Il rock 'n' roll non è morto,
gli Hellacopters sono vivi ed il
loro chitarrista Robert Dahlqvist gode di una invidiabile
salute. Radunati un manipolo di amici, tra cui una
paio di Soundtrack of our lives ed
il Diamond Dog Jasper Karlsson, dà
vita ad un side project e sforna un disco il cui titolo
è esplicativo circa le intenzioni del combo:
suonare per puro piacere. Ed è bella la sensazione
che si riceve da questo disco.
"We play for pleasure"
non lontanissimo dagli Hellacopters
ci rivela un inedito Dahlqvist che oltre a suonare
canta, canta bene e mette sul piatto tutto il suo
back ground musicale. Le sonorità sono molto
70's, a volte si avverte qualche chitarra Slade,
poi pare di intravedere gli Stones
(o i Diamond Dogs?), si avverono
i Cheap Trick, Lennon e McCartney,
il blues alcolico dei Faces in un
turbine di influenze sempre molto sfumate, mai fastidiose
che nell' insieme rendono il disco piacevolissimo.
Un disco fatto da gente che ha voglia di suonare il
rock 'n' roll per divertire e divertirsi, un disco
fatto per gente che ha voglia di ascoltare il rock
'n' roll per divertirsi.
Matteo Pinton
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SURRENDER
"Better
Later Than Ever"
Kinho Records - 2005
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A 14 anni dalla registrazione della
versione originale presso lo studio 1212 in quel di
Queens a New York esce questa riedizione autoprodotta
che riporta alla luce un incredibile capolavoro AOR
in fatto di melodia e testi. Riedizione voluta esclusivamente
per far si che i fans potessero avere una versione
qualitativamente ascoltabile del disco che ha avuto
una inaspettata distribuzione nell’underground
e che ha visto in internet il miglior mezzo di pubblicità
possibile.
Composto tra il 1987 e 89 da Kenny
Hamberg (tastiere e batteria), Michael Olszewski (chiatarre
e basso), Frank Siccoli (voci) è stato inciso
nel 1992. La storia è veramente tra le più
travagliate mai sentite, fatta di major che a tutti
i costi volevano possedere il master e che non hanno
mai distribuito sul mercato le copie, solo pochi promo
di recente venduti su ebay a cifre stratosferiche
(1000 dollari), e di 3 persone che convinte del valore
del loro progetto hanno tenuto duro e non sono volute
scendere a compromessi.
Questa riedizione è stata rimasterizzata
per avere sonorità più cristalline e
una produzione degna di essere venduta nel 2005 e
che facesse più che altro onore al songwriting
di ciascuna delle 12 songs di cui il disco è
composto (le ultime 3 sono bonus track che non facevano
parte del master originale).
50 minuti di vero Aor che catapulta indietro nel tempo,
cori armonizzati, tastiere ampie che creano tessuti
sonori di rara intensità, chitarre curate con
suoni forse di altri tempi, quando l’Eventide
era ancora un must nelle registrazioni di un certo
livello e la voce fuori dal comune di Frank Siccoli
ci ricorda per intensità niente meno che Joseph
Williams e Freddy Curci.
Non difficile cercare di spiegare questo Better
Later Than Ever, basta shakerare tra i migliori
Toto, Journey, Survivor,
Bad English, Alias
e il gioco è fatto.
Un vero sacrilegio aver dovuto attendere
cosi tanto tempo per ascoltare un disco di così
alto livello. Consiglio la visita presso il sito ufficiale
anche per l’acquisto del cd: www.surrendertunes.com.
Un certo tipo di musica come prima cosa deve creare
emozioni, e Better Later Than Ever è
così intenso e pieno di feeling che rappresenta
a pieno il significato di Aor portata ai massimi livelli.
Per gli amanti di questo genere sarà come ritrovare
in soffitta qualcosa di caro che stranamente non pensavamo
più di possedere… meglio tardi che mai…
Mauro Guarnieri
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SLOW MOTORCADE
"Sex,
Drags & Rock 'n' Roll"
Cargo Records - 2005
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Entrate in un bar e chiedete un cocktail
con un po' di Ramones, un pizzico
di Dogs D'Amour, Hanoi Rocks
e The Black Crowes, e avrete tra
le mani il disco dei Slow Motorcade. Certo i nostri
non hanno la personalità e la classe dei gruppi
sopracitati, pero' si fanno ascoltare piacevolmente,
anche se forse manca un vero e proprio pezzo trainante
e che faccia saltare l'ascoltatore dalla sedia.
Dopo una breve intro, iniziano le danze
con "Union of One", brano dal retrogusto
punk, frizzante e melodico quanto basta, ideale come
pezzo di apertura. L'impressione generale però
è che il disco non decolli mai, nonostante
qualche buon pezzo ci sia, come ad esempio le southern
"Have and have not" e "Helpless Mystery",
oppure "Life in Moment".
Vista la spazzatura che da anni sta infestando il
mondo del rock 'n' roll, fa piacere ogni tanto ascoltare
delle band sincere e semplicemente rock come gli Slow
Motorcade, che sicuramente non cambieranno la storia
della musica, ma che nonostante le mode ed i trend
passeggeri non hanno dimenticato il buon vecchio e
fottuto rock...
Andrea Pedriali
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MAMA KIN
"Demo"
Self Produced - 2005
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Gli Svedesi Mama Kin fanno il loro
ritorno con un nuovo demo autoprodotto e con l'aggiunta
di un quarto elemento, Vinnie (chitarra). Il gruppo
capitanato da Chris ci propone un CD di hard rock
stradaiolo che strizza l'occhio alle recenti sonorità
della loro madrepatria come nel caso della song d'apertura
"Higher & Higher", accattivante scan
street song che lascia intravedere la nuova via presa
dal quartetto scandinavo.Con la seconda traccia si
torna su terrirori molto cari ai nostri, i KISS!
Il riff di "Show You Sumtihn"
è figlio illegittimo della band di
Stanley e Simmons e così
in tutto il resto della canzone sembra di tornare
indietro nel tempo con un divertente e scanzonato
rock'n'roll. A chiudere questo lavoro di soli 3 composizioni
è la ballata acustica "Sunday Morning",
classica 'ninna nanna' a cui ci avevano abituato i
gruppi degli anni 80 e che ci consegnano un gruppo
in netta crescita rispetto alle 3 precedenti release.
Moreno Lissoni
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FRANCESCO-C
"Ulteriormente"
Mescal – 2005
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Presente un muro di mattoni che ti
si rovescia sulla schiena? Ecco questa è la
sensazione provata al primo ascolto di “Ulteriormente”,
una botta di energia che ti si scarica addosso ai
250 km/h. Finalmente un prodotto di casa nostra che
può fare tranquillamente concorrenza a tanti
altre uscite straniere, se non dimostrarsi addirittura
superiore, grazie anche all’apporto e supporto,
ottimi, di Madaski (Afrika Unite)
e Davide Tomat (N.A.M.B.).
Lasciate da parte (per ora) le sperimentazioni
elettroniche di “Standard”, pronti
via, si riparte con chitarra, basso e batteria veri.
Risultato: 40 minuti di un puro rokk’n’roll
potente ed energetico, caratterizzato da un’impronta
un tantino cupa, ma di grande impatto.
Le 11 tracce costituiscono un vero pout-pourri di
emozioni, tutte quelle in cui noi giovinastri tendiamo
ad identificarci maggiormente e che Francesco ti sbatte
in faccia senza mezze misure. Tra strofe che raccontano
di insoddisfazione, di incazzatura, quella potente,
di rabbia, di lotta, di noia e paranoia, si srotolano
testi diretti e mai scontati, a volte quasi geniali
(“La lista della spesa” sopra tutti).
Si parla di droga in queste canzoni, si parla di perdenti
che si riscattano, si parla di delusioni e reazioni
allo schifo che ti sta intorno.
“Solo Romy” è una
botta di cattiveria. Scordatevi che il ritornello
di “Ulteriormente” svanisca dalla vostra
testa una volta ascoltato. Non mancano, poi, i momenti
più introspettivi e poetici di “Maledentro”
e “Tornando da un sogno”, splendida ballad
urbana, che si alternano a quelli violenti di “In-successo
(nel successo)” o più oscuri e ossessivi
di “Sopportarsi”. Scrive strano Francesco,
ma è quello strano ce non stona, anzi. Certo,
va fuori dagli schemi soliti, ma ci piace proprio
per questo.
Consiglio spassionato: se sentite che passa dalle
vostre parti, non perdetevi il suo concerto, vi assicuro
che ne vale la pena. Ascolto assolutamente obbligatorio,
se non altro per riscoprire il piacere di un testo
in italiano. Chi è dentro è dentro,
chi è fuori è all’esterno.
Claudia Schiavone
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PLACE VENDOME
"Place
Vendome "
Frontiers Records -
2005
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Potremmo scrivere un nuovo teorema:
unendo musicisti tipicamente hard rock con un cantante
metal otteniamo una delle migliori produzioni melodic
rock dell’anno. È il caso dei Place Vendome,
che vedono Michale Kiske mitico cantante dei classici
metal per eccellenza Keeper of the Seventh
Key insieme a Uwe Reitenauer: chitarre, Kosta
Zafiriou: batteria, Dennis Ward: basso Gunther Werno:
tastiere, tanto per intenderci i componenti di
Pink Cream 69 e Vanden Plus.
Un’altra grande produzione Frontiers
del 2005 che segue l’onda di altri grandi album
melodici cantati da ugole non tipicamente melodic
rock quali i solisti di Jorn Lande/Russel
Allen e Oliver Hartmann.
50 minuti di perfetto equilibrio tra solide ritmiche
di chitarra che riescono a enfatizzare le linee melodiche
crendo un ensamble con tastiere sempre presenti che
riescono ad ammorbidire il carattere delle composizioni
senza snaturare e fare perdere intensità alle
stesse. La sezione ritmica spinge ogni brano in modo
impeccabile e preciso senza alcuna esitazione. Kiske
rende tutto semplice dandoci una sensazione di facilità
estrema nel cantare brani che invece richiedono una
interpretazione, una tecnica e una sensibilità
da vero fuoriclasse.
Un progetto che soddisferà sia
gli estimatori di un genere vicino a Vanden Plus e
a Kiske e sia quelli di un hard rock più “classico”
alla Pink Cream 69, la prova tangibile
che collaborazioni di musicisti provenienti da background
differenti non siano un tabù da escludere a
priori ma una realtà che come in questo caso
possa far nascere un prodotto di raro spessore qualitativo.
Mauro Guarneiri e Roberto Bressan
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HOTSHOT
"The
Bomb"
Split Finger Records
- 2005
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Una segreteria telefonica. Dall'altra
parte del telefono Nikki Sixx. Ringrazia
e fa i complimenti per il demo ricevuto. Ecco come
inizia questo "The Bomb" degli
Hotshot, formazione capeggiata da Mike Pont che, nelle
sue fila ha visto passare Bruno Ravel e Steve West
dei Danger Danger, Tony “Rey”
Bruno (Saraya, Enrique Iglesias),
Chuck Bonafonte (Saraya), Al Greenwood
(Foreigner) e Al Pitrelli.
Tommy Lee e il bassista dei Motley
Crue avrebbero dovuto produrre il disco,
ma nello stesso periodo venne cacciato Vince
Neil dalla band e i 2 dovettero dedicarsi
a raccimolare i cocci per tenere in piedi il proprio
gruppo... Sappiamo tutti poi come andò a finire,
ma chi se lo prese nel di dietro furono gli Hotshot...
Sfighe a parte, il disco in questione
è una manna dal cielo per tutti gli incalliti
hair metallers. Composizioni scritte e registrate
nel periodo d'oro della Sunset-Era e ovviamente il
sound ne risente.
Class-rock con stivali e cappello da cowboy di come
ne erano pieni gli scaffali i negozi di dischi alla
fine degli anni 80. 15 tracce che ti ricordano che
fino all'altro ieri ascoltavi solo Slaughter,
Roxy Blue, China Rain o
i semisconosciuti Shake City e ti
portano indietro negli anni quando bastava mettere
una bella topa in copertina o 4 cappelloni ultra cotonati
per comprare a scatola chiusa.
Oggi le cose sono un pò diverse,
sempre meglio ascoltare prima... ma fortunatamente
sentendo "The Bomb" devo dire che
non ne sono rimasto affatto deluso, dall'opener “Love
Don’t Come Easy” si intuisce immediatamente
l'indirizzo sonoro del gruppo, con la voce di Pont
che a tratti ricorda quella di Jeff Keith dei Tesla.
Troppi i pezzi per prenderli in esame, quindi vi segnalo
i picchi più alti che vanno dalle melodiche
"“Always In My Heart”, "Too
Much Is Never Enough", "I Can’t Turn
Back" e "Hold On", alle più
grintose "Love By The Numbers" e "Love
Makes You Blind".
Danger Danger (mavà???) e
i gruppi sopracitati come punti di riferimento, poi
vedete voi...
Moreno Lissoni
top
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Russell Allen- Jorn Lande
"The
Battle"
Frontiers Records -
2005
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Che cosa succede quando due grandi
menti si incontrano? Sia nel bene che nel male, purtroppo,
il risultato non cambia: si ottiene sempre qualcosa
di straordinario. Quando questo accade nella musica
(e non stiamo certo parlando della coppia Mogol- Battisti!),
prima ci si rende conto che è in giro qualcosa
di speciale e meglio è. Il caso di questo disco,
che vede insieme Jorn Lande, cantante dei Masteplan
e apprezzato per le sue partecipazioni a lavori dei
Vagabond, di Malmsteen,
Ark e così via, e, una delle
migliori voci in circolazione, Russell Allen, attualmente
cantante dei Symphony X, è
proprio quello di un disco dove due ottime menti si
sono fuse per realizzare qualcosa di veramente unico.
L’unicità deriva soprattutto
dal fatto che “The battle” è
un disco di facile ascolto e di immediata gradevolezza
nonostante la sua complessità, riesce a non
stancare, e anzi, mano a mano che lo si conosce meglio
sembra di avere a che fare con un vecchio amico di
cui apprezzare un nuovo aspetto ogni volta. Già
l’iniziale “The battle”, con i suoi
archi iniziali e il suo proseguimento in tutt’altro
stile è indice della varietà e delle
dimostrazioni di bravura tecnica e vocale che costellano
tutto il disco. Allen e Lande ci prendono di peso
e ci portano in un mondo popolato di angeli, miracoli,
rinascite, desiderio di pace e di un mondo nuovo,
migliore di questo, anche se non ci è dato
di sapere se questi siano solo sogni o se ci sia anche
un fondo di realtà. Cinque brani sono cantati
insieme, fra questi la già citata “The
battle” e “Wish for a miracle”,
che dal punto di vista strumentale è senza
dubbio uno dei momenti migliori di “The battle”,
mentre gli altri sono ripartiti equamente fra un cantante
e l’altro.
Tutti i brani permettono comunque ad
entrambi i cantanti di dare fondo alla propria abilità,
sia nei momenti dedicati alla riflessione più
profonda (come accade per “Reach a little longer”
e per “Ask you anyway”), sia quando il
rock diventa il padrone di tutto e invade ogni spazio
di questo mondo utopico descritto dai due cantanti
(la conclusiva “The forgotten ones” ne
è un buon esempio). Un altro nome da segnalare
è quello del chitarrista Maguns Karlsson, che
da parte sua dà un contributo essenziale al
risultato finale, grazie ai suoi assoli mai scontati
e a un gusto musicale che gli consente di addentrarsi
in cambi di tempo e di atmosfere non da poco, arricchendo
nel modo migliore brani come “Silent rage”
e “My own way”. Insomma, pur trattandosi
di un progetto da studio, che probabilmente non avrà
seguito negli anni a venire, si tratta senza dubbio
di uno dei lavori migliori apparsi nell’anno
in corso.
Anna Minguzzi
top
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THE SHINE
"Love
Is Like A Hurricane"
Self Produced - 2005
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Li avevamo conosciuti con il mini
"Pure Dynamite" e rieccoli qui
con un nuovo lavoro. Questi 4 australiani sono così
tamarri che mi stanno proprio simpatici!
Una copertina che plagia "Leather Boyz From
The Electric Toyz" (di chi?? Se non lo sapete,
avete sbagliato sito!!), il completino del vocalist
Julian James che fa a gara con quelli di Justin Hawkins
dei Darkness e Ola Salo degli Ark
per quello più kitsch. ...Ora, delle
gare per il completino più kitsch non so quanto
ve ne possa interessare, quindi partiamo con l'ascolto
di "Love Is Like A Hurricane"...
I 5 pezzi che lo compongono, al prima
impatto mi sembrano meno diretti del vecchio materiale,
ma al tempo stesso anche meno scontati e necessitando
così di qualche ascolto in più per essere
apprezzati al meglio. E' proprio con il tuo amore
è come un uragano che si apre "Heavy
Gretal", chitarre distorte e voce filtrata sono
le armi vincenti per questo gagliardo hard rock; "Dying
To Be Touched" è più in linea con
la scuola ottantiana con la chitarra di Peter Gauci
III che irrompe con i suoi riff mentre in "Girls
Were Made To Love And Kiss" i four-pieces omaggia
una dello loro principali influenze, i KISS,
con James che scimmiotta il Paul Stanley
d'annata. Poco convincente la lenta "Every Inch"
e superflua la strumentale "Nitro", ma non
cambiano il mio giudizio positivo sul prodotto.
Moreno Lissoni
top
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YNGWIE MALMSTEEN
"Unleash
the fury"
Universal/ Eagle Rock/
Spitfire - 2005
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E’ puntuale come le tasse. È
veloce come un fulmine. È gonfio come una mongolfiera
e proverbialmente lunatico come ogni nato sotto il
segno del Cancro. Di solito o lo si ama, accettando
in toto tutti i suoi difetti, o lo si odia e non si
perde occasione per sparargli addosso le peggiori
frecciate. Ma questa volta, ad oltre vent’anni
dal primo e glorioso “Rising force”,
sfido chiunque a trovare qualcosa di veramente buono
dal nuovo disco del celeberrimo guitar hero svedese
Yngwie Malmsteen. Già la copertina si presenta
male; certo non è più il tempo di presentarsi
con un look da “Trilogy”, dove
un giovane Yngwie impugnava una chitarra come una
spada per difendersi da un drago cattivissimo, ma
la scritta color acciaio su sfondo azzurrino non lascia
certo una buona impressione a chi guarda “Unleash
the fury” per la prima volta.
Anche la produzione, pur non arrivando
ai livelli indegni che si erano toccati alcuni anni
fa con “War to end all wars”,
non è delle migliori; d’altronde, cosa
aspettarsi da un disco di un chitarrista, se non che
le chitarre siano in primo piano su tutto e che a
volte perfino la voce tenda a scomparire dietro ad
esse? La stessa sorte tocca purtroppo anche alla sezione
ritmica, con un basso praticamente inesistente e una
batteria che, pur esprimendosi a volte in alcuni tecnicismi
abbastanza azzeccati, spesso è relegata a ruolo
di riempitivo, così come accade spesso alle
tastiere. Dougie White alla voce non fa una brutta
figura, anche se la sua voce è ben lontana
dai picchi di bravura di Jeff Scott Soto,
né tantomeno si avvicina alla particolarità
di quelle di Goran Edman e di Joe
Lynn Turner.
Quello che si nota per tutto il disco
è, indiscutibilmente, una gravissima mancanza
di idee, e anche ascolti ripetuti non consentono di
scrollarsi di dosso questa pesante impressione. Ad
esempio, era scontata la presenza di un frammento
strumentale rubato alla musica classica come “Fuguetta”,
accettabile più che altro per la sua brevità,
così come era prevedibile la compresenza di
brani di stampo più vicino all’hard rock
anni ’80, tra cui “Cherokee warrior”
(il cui finale con il solo uso del wah pedal è
comunque inutile) e di pezzi velocissimi, autentico
sfoggio di quella serie di virtuosismi a cui ormai
siamo abituati da oltre due decenni, come “Magic
and mayhem”, che di certo è non il modo
migliore per cominciare un disco dal punto di vista
dell’originalità. C’è qualche
buona idea ogni tanto, ad esempio in “Guardian
angel”, un altro pezzo strumentale dove finalmente
tutti gli strumenti hanno il loro giusto peso, ma
si tratta ora più che mai di episodi isolati
e che costituiscono una ristretta minoranza.
Non è, ovviamente, un brutto
disco, un disco suonato male o qualcosa del genere.
È solo che il vecchio Yngwie ha usato le sue
adorate scale e i suoi virtuosismi ormai in tutti
i modi possibili e immaginabili, e adesso ricomincia
a tirare fuori vecchie idee già usate in passato
(l’inizio di “Beauty and the beast”
fa drammaticamente il verso all’inizio di “The
seventh sign”), non aggiungendo niente
al suo repertorio di tutto rispetto e anzi portando
alla noia che rasenta il fastidio. Nessuno lo vuole
mandare in pensione, per giunta a soli 41 anni, ma
forse sarebbe il momento di capire (cosa peraltro
difficile per un ego smisurato come il suo) che nessuno
lo obbliga a fare uscire un disco mediocre ogni due
anni, e forse con uno stop più lungo qualche
idea migliore potrebbe anche uscire. Magari potrebbe
essere il caso di riprendere ad occuparsi di musica
classica a pieno ritmo, dato che “Millennium”
è stato uno dei momenti migliori in assoluto
della sua carriera artistica.
Anna Minguzzi
top
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PERIKOLO GENERIKO
"A.S.A."
Alka Records - 2005
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I Perikolo Generiko suonano heavy/hard
rock cantato in italiano. IRON MAIDEN,
DEEP PURPLE e primi LITFIBA
le influenze predominanti. Non c'è molto da
aggiungere su questo "A.S.A.",
mini-cd di 3 pezzi con tutte le cosine a suono posto:
ben suonato, molto professionale, bel digipack, ecc...
manca però quel pizzico di "personalità"
che possa farli emergere.
La prima delle 3 canzoni si intitola
"Sogni L'Eterno", rockettone anglosassone
capeggiato dalla voce di Max Montanari. Un gradino
più su mi sembrano "Fino In Fondo",
dove risaltano il lavoro alle chitarre di Brunelli
e Gamberini e "Tutto è Troppo Dentro di
Te".
In definitiva i Perikolo Generiko mostrano sicure
qualità nella loro musica, ma ancora con dei
margini di miglioramento e sicuramente in un futuro
non molto lontano potranno dire la loro.
Moreno Lissoni
top
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by Slam! Production® 2001/2007
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