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V.V.A.A.
"Boobs
– The Junkshop Glam Discoteque"
RPM Records - 2005
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Terzo capitolo della serie “Lipsmakin’
70’s” espressamente dedicato al Glam
Rock e terzo imperdibile CD per gli amanti del “Junkshop
Glam”, termine coniato dall’estimatore
Tony Barber dei Buzzcocks per indicare
la miriade di singoli (raramente si giungeva al traguardo
dell’album) che inflazionarono il mercato in
quegli anni passando spesso inosservati. Qualità
ed equilibrio nella scelta dei brani sono ormai un
trade-mark per i signori della RPM e questa raccolta
ha ben poco da invidiare alle precedenti “Velvet
Tinmine” e “Glitterbest”,
tra le 20 tracce infatti molte sono autentiche gemme
ora costose e difficili da reperire in vinile.
Il titolo omaggia un’omonima
discoteca con sedi a Londra e Bristol nei primi 70’s,
anni in cui davvero si ballava a ritmo di rock’n’roll
e le cui folli notti tra lustrini e paillettes incendiarono
animi ed immaginario di migliaia di teenager e futuri
marpioni dello stardom come Rodney (prezzemolo!) Bingenheimer
che pensò bene di portarsi l’idea oltreoceano
fondando a L.A. la famosa “English Disco”.
Troppo dispersivo descrivere ogni singolo brano ma
doveroso farlo almeno per le “highlights”,
si aprano dunque le danze: nemmeno 10 secondi ed un
fremito percorre la spina dorsale portando le elettrizzanti
note di “Turtle Dove” dei Rats
dai timpani alle gambe, cazzo si balla eccome,
immaginate un’ispiratissimo Marc Bolan
frontman degli Sweet e bagnatevi!
Nemmeno il tempo di riprendere fiato e la pista si
riempie con la forsennata e trascinante “Wired
Up” degli Hector, seguita a
ruota dall’infuocato space-anthem “Interplanetary
Twist” degli Screemer, immaginate
Frank’n’Further che s’impossessa
di Chubby Checker obbligandolo a
farsi di anfetamine e paillettes… ahh…
non concepisco modo migliore per evacuare birra e
tossine, che goduria, e bravo D.J.!!
Tocca ad una delle band più
strane del lotto, sarà che sono forse gli unici
glamsters di colore ed iniettano nel sound qualcosa
di diverso, ma è difficile resistere al fascino
degli Erasmus Chorum, la loro “Jungle”
è il tramite perfetto tra Glitter Rock e futura
Disco-Music, con un groove funkeggiante invidiabile
fa coppia perfetta con il bubblegum glitter “Let
Your Hair Hang Down” degli olandesi Catapult,
che ha l’unica pecca d’invogliarti a cantarla
ma senza testo t’incarti come su uno sciogli-lingua.
Cambio la madida t-shirt giusto in tempo per “Good
Time Fanny”, solido Glitter-Boogie degli Angel,
scozzesi “protetti” dagli Sweet
(da non confondere con gli omonimi pomp-glamsters
americani). L’anthemica “Shout It Out”
degli Ice Cream, forse anche per
il titolo mi ricorda la quasi omonima canzone dei
Kiss, da cantare a squarciagola prima
dell’atmosfera vagamente psycho e sixties di
“Did You Get What You Wanted” degli stralunati
Boston Boppers, decisamente i più
fuori di testa sia nel suono che nel look, talmente
pacchiano da risultare invidiabile.
Difficile non spendere due parole per
gli altri protagonisti: dagli Iron Cross
(“definitiva” la loro versione di “Little
Bit O’Soul”) a Jimmy Jukebox,
dagli Shelby a Barry Blood
tutti assolvono egregiamente il loro compito in questa
perfetta notte di “Glitter-Disco folies”
ma il tempo è tiranno e l’alba alle porte,
la notte degrada dolcemente ed i primi raggi di sole
illuminano volti piacevolmente distrutti e mascara
colanti… è tempo di dormire...
Gaetano Fezza
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FORTY DEUCE
"Nothing
To Lose"
Frontiers Records -
2005
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Durante l’after party di una
delle solite feste di tendenza tra le colline di Hollywood,
con gli eccessi annessi e connessi, nasce il progetto
Forty Deuce per opera di tre “ragazzacci”
altrettanto legati ai sopracitati eccessi e dal look
molto punkeggiante (diciamo pure tre finti punkabbestia
trendy). Il genere presentato dal trio è un
energico Modern Hard Rock per struttura dei brani
e per sonorità. I nostri hanno pero’
bisogno di un quarto componente per completare la
lineup e nella scena losangelina chi può riuscire
a far la differenza e inserire il progetto nello show
biz per avere una maggiore visibilità? La risposta
è Richie Kotzen, che grazie alla sua voce,
alla sua chitarra e al suo talento riesce a dare quella
marcia in più necessaria per rendere questo
Nothing To Lose molto godibile, con un groove
e con un sound che si allontanano completamente dagli
“standard” quali lo stesso Richie ci aveva
abituato (chitarre scordate, distorsioni molto marcate,
bassi distorti...).
Infatti non troviamo alcuna influenza
Poison, Mr. Big
(penso non ci sia bisogno di commenti...), anzi una
grossa capacità di adeguarsi ad un genere molto
più moderno e in certi casi “modaiolo”.
Un rock suonato senza fronzoli con l’impatto
dei musicisti (Taka, Th3ee, Ari) garantito, forte
quanto il loro aspetto e con la qualità dovuta
sia a livello di produzione che di mixaggio. Il risultato
però non convince del tutto, forse perché
troppo legato a “quello che va di moda adesso
nell’hard rock”, forse perché la
linea compositiva non trova mai il guizzo giusto per
far emergere le canzoni dal livello medio del disco.
Spiace dirlo ma gli episodi migliori restano: “Standing
in the rain”, “wanted” e “nothing
to lose” i tre pezzi più Kotzen style
e meno in linea con le intenzioni del progetto Fourty
Deuce.
Mauro Guarnieri & Matteo Pinton
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WALTHAM
"Waltham"
Rykodisc - 2005
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Suoni moderni, un hard/pop melodico
ma dirompente, deciso e arrabbiato con attitudine
Eighties. Questi sono i Waltham, band americana formata
da Frank Pino, Tony Monaco, Craig Smalls, Mikey Rorick
e Peet Golan. Primo album ufficiale dopo la produzione
indipendente di Permission to Build (del quale l’attuale
Waltham non è che l’edizione risuonata,
riarrangiata con l’aggiunta di 4 nuovi brani)
caratterizzato da 12 tracce per 40 minuti di rock
senza respiro, di spunti melodici unici per un cd
dai suoni altamente moderni. Le songs hanno un groove
e una “botta” che non puo’ che impressionare
l’ascoltatore e coinvolgerlo nell’ensemble
che la sezione ritmica e le chitarre riescono a fabbricare.
Si inseriscano poi cori per creare
atmosfere armonizzate e la voce grintosa e tipicamente
americana di Frank Pino per avere come risultato una
autentica esplosione di modern pop/rock suonato col
mestiere di una band arrivata e con esperienza pluricertificata
(basti pensare alla prima “Cheryl (Come And
Take A Ride)”, a “So Lonely” e a
“Call Me Back” per dirne alcune). L’album
è acquistabile per ora unicamente via internet
tramite i links presenti sul sito ufficiale. Il cd
contiente anche un dvd aggiunto al package distribuito.
Sicuramente le sonorità dei nostri Waltham
sono una via moderna e una rivoluzione per il rock
melodico inteso in senso più tradizionale e
conservatore ma, ancora, rappresentano una bella evoluzione
per una ricerca di sonorità che non è
fine a sè stessa e che non vuole essere classica
ma che, mantenendo questa attitudine, cerca di stare
al passo con i tempi, forse anticipandoli anche e
risultando sempre genuina e originale.
Mauro Guarnieri
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PHILIP BARDOWELL
"In
The Cut"
Frontiers Records -
2005
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Secondo full length per questo artista
di grande spessore, voce ed esperienza. E' doversoso
ricordare alcune collaborazioni che possono aiutare
a fare capire che musicista abbiamo la possibilità
di conoscere o reincontrare nell'ascolto di questo
"In The Cut": Peter Criss (nella
band "Criss" come lead vocalist), Beach
Boys (voce e chitarra), Unruly Child
(UCIII come lead vocalist), Magdalen
(insieme ai membri degli House of Lords Ken Mary,
Lanny Cordola e Chiuck Wright).
In "In The Cut" Philip vanta collaborazioni
con Jim Peterick, Stan Bush,
Mark Spiro, Curt Cuomo
e Bobby Barth per un risultato di
puro class Aor con venature Melodic Rock di assoluto
spessore e che rende il tutto già un classico
per il genere. Produzione impeccabile che risalta
la voce calda, alta e potente di Bardowell e che è
capace di esaltare il connubio armonico di una tastiera
mai come in questi casi adeguata con un sound arioso,
a tratti pomposo, di un guitarwork preciso, poderoso
in alcune battute ma mai invadente, di una sezione
ritmica incredibilmente a suo agio che impreziosisce
l'album di raffinatezza e colore.
Il songwriting ci ricorda i mgliori Survivor,
House Of Lords, Pride of
Lions e Stan Bush.
Un masterpiece per il genere che vede delle songs
come "Never Too Late For Love", "Heart
of a Hero", "Through My Eyes" e "It's
a Long Road" delle autentiche stelle luminose
e brillanti nel sistema "music biz" attuale.
A tratti initimista e a tratti rabbioso lascia l'ascoltatore
emozionato, incuriosito e in attesa della track successiva
per riprendere poi l'ascolto di nuovo dall'inizio
senza mai essere annoiato. Uno dei lavori AOR migliori
dell'anno senza alcun dubbio, un talento che crea
certezze sin dalla prima canzone. Un capolavoro che
deve fare parte della discografia di ogni amante della
vera buona musica oltre che del classic Melodic Rock
più in specifico.
Mauro Guarnieri
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JOURNEY
"Generations"
Frontiers Records -
2005
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Crea sempre una forte emozione parlare
di band che hanno inventato un genere e che hanno
costruito le fondamenta del moderno Aor e Melodic
Rock. In "Generations" la line-up
dei Journey è costituita da Neal Schon, Steve
Augeri, Ross Valory, Jonathan Cain e Deen Castronovo,
la stessa per intenderci di "Arrival"
e "Red 13". Bisogna per forza di
cose parlare di questi ultimi due albums per notare
l’evoluzione musicale che ha portato alla creazione
di questo nuovo lavoro.
Le chitarre di Schon, anche se con
colori differenti, fanno la voce grossa in tutti i
brani (l’atmosfera ricorda quella di "Red
13"), il tiro è più rock rispetto
ad "Arrival", i ritornelli e i
cori forse meno da primo impatto anche se vengono
metabolizzati nel giro di poco tempo, la voce di Augeri
sempre impostatissima e ineccepibile, la tastiera
di Cain crea tessuti armonici che si interscambiano
perfettamente con il guitarwork, la sezione ritmica
di Castronovo e Valory è ineguagliabile. Anche
lo stile è inconfondibile così come
la classe e la produzione di altissimo livello per
un songwriting che vede per la prima volta una canzone
firmata unicamente da Steve Augeri e collaborazioni
con Jack Blade, Mike Fraser solo per dirne alcuni.
Ancora, ogni componente canta almeno una canzone dell’album
che consta in 70 minuti di musica che scorrono pieni
di emozioni, di energia e di melodia.
Una tracklist perfetta, un intro che
sfuma e che lascia il posto alle prime due songs "Secret
of the Night" e "I Have Been Loving You"
che vedono un ispiratissimo Schon che inventa riff
graffianti e melodici allo stesso tempo. Ballad come
"Butterfly" e "Beyound The Clouds"
ci ricordano le vere atmosfere AOR; "Out Of Harms
Way", "It’s Never Too Late" invece
ci fanno capire come deve essere suonato un pezzo
rock di impatto e con un tiro unico. Come dice il
titolo, questo prodotto distribuito da Frontiers per
l’Europa soddisferà sia i fans del primo
minuto (quelli per intenderci che hanno storto il
naso quando Perry è andato via per problemi
di salute) che le persone che si sono solo da poco
affacciate al genere e che per la prima volta vedono
un album dei Journey uscire nei negozi.
"Generations" è senza dubbio
una delle uscite più attese dell’anno,
un autentico highlight che deve fare parte della discografia
di ogni appassionato del rock suonato con stile, classe
e capacità di veri fuoriclasse.
Mauro Guarnieri
top
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BRIAN SETZER
"Rockabilly
riot vol. 1"
Surf Dog - 2005
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Memphis. Al 706 di Union Avenue, a
due passi dal ristorante di Dell Taylor c’erano
due vetrinette all’interno delle quali non riuscivi
a guardare per via delle tendine sempre abbassate.
Se entravi ci trovavi una bionda niente male dal fare
gentile, era Marion Keisker, la segretaria di Sam
Philips, un giovanotto di belle speranze originario
dell’Alabama. Phillips, giovanissimo, aveva
già una grande esperienza in campo musicale
maturata come conduttore radiofonico ma soprattutto
aveva coraggio da vendere. All’interno della
sua “Sun Records” cominciò ad accogliere
e produrre artisti che all’epoca erano quantomeno
fuori dagli schemi e grazie al suo fiuto, supportato
da un’infinita passione finì con lo scoprire
Elvis Presley e a contribuire in
modo determinante alla nascita del rock ‘n’
roll.
La Sun Records è entrata ormai
di diritto negli annali della stroria della musica
e dai suoi microfoni sono passati in tanti, da Jerry
Lee Lewis a Holin’ Wolf
passando per B.B.King, solo per citarne
qualcuno. Brian Setzer, che il rockabilly lo ha rivitalizzato
prima coi suoi Stray Cats e poi con
i vari progetti solisti ha deciso di dedicare un tributo
alla produzione Sun tra il 1954 ed il 1957 proponendo
brani noti accanto a misconosciute perle che hanno
segnato la nascita del rockabilly. La ricerca dei
suoni è rigorosamente “vintage”
con particolare attenzione al rispetto delle pariture
originali. il risultato è assolutamente positivo,
“Rockabilly riot” scorre come il pettine
sulla brillantina senza momenti di debolezza o cedimenti.
That’s all right mr Setzer, aspettiamo il volume
2.
Matteo Pinton
top
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TERRANOVA
"Escape"
Frontiers Records -
2005
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Per chi ha già familiarità
con il sound AOR di Fred e Ron Hendrix e di Gesuino
Derosas questo nuovo lavoro sarà di certo apprezzato
e, dopo qualche ascolto attento, considerato una grossa
evoluzione in positivo rispetto al precedente “Eye
to Eye” e contemporaneamente un ritorno
alle origini verso un sound alla “Living
It Up”.
"Escape" è riconoscibilissimo
quanto melodico, prodotto ottimamente con attitudine
Aor molto più marcata rispetto al full lenght
precedente e un lavoro chitarristico di altissimo
livello grazie a soli tecnicamente ineccepibili e
accompagnamenti precisi e mai fuori luogo. La voce
di Fred è un classico, rauca e acuta tanto
da esprimersi sempre meglio di canzone in canzone,
la tastiera è molto eighties nella scelta dei
suoni e nelle intenzioni e la base ritmica fa a pieno
il proprio dovere.
Il songwriting è tipico dei
Terranova “prima serie”, molte ballad
e mid tempo che portano a ritornelli corali di impatto
immediato. Come detto è un album che va metabolizzato
e che è necessario capire, ma bastano pochi
ascolti per rendersi conto della qualità: ballad
come "Heaven Knows", "You Are the One"
e "Yesterday" richiedono qualità
creative fuori dal comune così come la mid
tempo "Lonely Is The Night".
La chitarra la fa da padrona in "Part Of The
Game", "Soul Suvivor" e forse nella
migliore track "Back To The Eighties". Il
viaggio nell’ascolto del record parte da un
intro curioso di "Long Live Rock’n’Roll"
che puo’ far sorridere, uno zapping in canali
musicali che trasmettono solo rap e affini e che fanno
tirare un sospiro di sollievo all’ascoltatore
non appena inizia la song...
Album in puro stile e ispirazione melodica che si
allontana consapevolmente dalle produzioni degli Aquila
(band composta dagli stessi membri) e che ricerca
nella stessa melodia la chiave per potersi esprimere
in un linguaggio comprensibile a tutti senza distinzione
alcuna: la bella Musica.
Mauro Guarnieri
top
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STRYPER
"Reberon"
Big3Records - 2005
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Primo full lenght di brani inediti
della band di Christian rock americana per eccellenza
dopo 15 anni dall’ultimo "Against The
Law". Non si puo’ parlare di reunion
vera e propria perchè da un paio di anni i
nostri sono rientratati a pieno nello show biz con
un Best Of (con la presenza dei due inediti "Something
e For You"), con parecchie date live, con un
cd dal vivo (il primo ufficiale) e poi perchè
il bassista e cofondatore Timothy Gaines ha lasciato
il posto al bravo e pluriesperienziato Tracy Ferrie.
"Reborn" è
scritto, prodotto e arrangiato da Michael Sweet con
l’aiuto di Kenny Lewis (già coproduttore
di tutti i lavori solistici del nostro cantante/chitarrista).
I brani sono 11 per una durata di 40 minuti circa.
Quello che colpisce è l’evoluzione della
band che non si è fermata al passato ma che
aggiorna i suoni e tonalità in uno stile moderno
(il che non è denigrante o negativo, sia chiaro)
e carico di “distorsione rettificata”.
Come dal vivo (chi li ha visti in Spagna sa di cosa
parlo), anche in "Reborn" la “pacca”
sonora è notevole e lascia l’ascoltatore
sempre incuriosito.
Le caratteristiche dell’album
si possono sintetizzare in 3 punti: armonia in continua
ricerca di linee melodiche, i cori tipici che creano
filamenti all’interno del tema principale e
la quasi mancanza assoluta di assoli di chitarra.
"Open Your Eyes", "Reborn" e "When
I Did You Cry" rappresentano in pieno gli Stryper
di oggi, una band con più di venti anni di
esperienza alle spalle, un proseguo del discorso iniziato
nel 2002 con "Something e For You" ma con
chitarre più presenti, con cattiveria e convinzione
più marcate. Brani come "Make You Mine",
"Passion" e "If I Die" (un capolavoro
autentico, anche da sola merita l’acquisto del
record) rappresentano invece il classico sound della
band. In relazione a questo abbiamo come undicesima
track l’inno per antonomasia di Sweet e soci,
"IGWT" (In God We Trust) riarrangiata
e risuonata in una versione più live, con meno
fronzoli in pieno spirito dell’album.
E’ questa la forza di "Reborn",
essere nudo e crudo, lontano dalle produzioni patinate
e di impatto degli anni 80, arrangiato e prodotto
nel modo migliore possibile rispetto alle attuali
possibilità, soprattutto economiche. Grazie
a "Reborn" il Melodic Rock ha scoccato una
freccia al cuore contro coloro che nonostante tutto
continuano a sostenere una morte di questo genere.
Keeping the fire burning!
Mauro Guarnieri
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THE WANKERS
"Still
Waiting For The Extinction"
Self Produced - 2005
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Demo di 4 tracce per i padovani "The
Wankers" (che poi tanto "wankers" non
sono data la grinta!) che segue il precedente demo
cd "Let's Spend The Night Together"
del 2003.
Come si può intuire dalle influenze dichiarate
dalla band (Dead Boys, Motorhead,
Turbonegro ecc.), i nostri suonano
un punk'n'roll molto sfrontato ed aggressivo, che
non bada tanto alle laccature ed agli arrangiamenti
tanto in voga nel moderno scan-rock, ma che si rifà
più che altro all' impatto live trade-mark
di Mr. Lemmy & co.
Si parte a razzo con l'up-tempo "Stuck",
aperto da un riff di chitarra che dichiara subito
guerra all'ascoltatore, lasciando presagire tutta
l'adrenalina che il quartetto infonde nella registrazione,
grezza ma incisiva al punto giusto.
Le successive "Wanker got a war" e "Me
Myself" si rifanno ad una matrice più
melodica, dove viene meno la vena punk del gruppo
per lasciare spazio ad un rock scandinavo, influenzato
da Hellacopters e Gluecifer
sopra tutti, mentre il dischetto finisce in velocita'
con la tirata "Tryin' to Be Like You", che
a tratti mi ricorda i nostrani TheeSTP
dei primi lavori.
Un lavoro ruvido ed onesto, su cui ci sono poche parole
da spendere ma grandi dosi di decibel da assorbire:
se vi piace il punk 'n roll, i The Wankers sono il
gruppo che cercate!
Paolo Pirola
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CIRCUS MAXIMUS
"The
First Chapter"
Frontiers Records -
2005
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Recentemente intervistati sulle nostre
stesse pagine, i norvegesi Circus Maximus sono senza
dubbio la new-sensation del progressive rock/metal.
Forti di una tecnica paragonabile ai mostri sacri
del genere, e di un'impeccabile produzione ad opera
del ben noto Tommy Hansen (Helloween,
Pretty Maids ecc.), i "vichinghi" ci sfornano
un album composto da 8 brani + 1 bonus track ("Haunted
Dreams") in perfetto stile Dream Theater,
Fates Warning e compagnia bella.
Non si tratta di un concept, come consueto nella maggior
parte di questi album, ma di lunghe e articolate canzoni
slegate l'una all'altra, unite da un unico filo conduttore:
la credibilità che questo gruppo di perfetti
sconosciuti è riuscito a dare ad un lavoro
non proprio originale, ma allo stesso tempo assolutamente
godibile e delizioso in ogni sfumatura, che come il
simpatico bassista Glen Mollen ci ha ricordato...
"è da ascoltare in cuffia sotto le coperte".
Il paragone con il "Teatro dei
Sogni" è inevitabile: passaggi ritmici
molto simili, anche se forse questi C.M. si orientano
qua e la sul rock progressivo di King Crimson
e Marillion, suoni e virtuosismi
tastieristici che sono il perfetto mix tra il Kevin
Moore dei migliori tempi e l'odierno Jordan
Rudess, ed una chitarra che accomuna la grinta
e pesantezza dell'ultimo Petrucci con
il dinamismo e la classe del vecchio leone Neal
Schon.
Non male come premesse per una band che si trova solamente
al primo album, anche se non di recente formazione
in quanto 3/5 suona costantemente insieme dal lontano
1993; diciamo che l'approccio nel music-businness,
soprattutto in un campo apparentemente chiuso come
quello del progressive, inflazionato da anni dagli
stessi nomi grossi, è stato prepotentemente
felice, lasciando presagire che ci troviamo di fronte
ad una band di cui ne sentiremo presto parlare.
Non cito volontariamente alcun brano,
perchè effettivamente si tratta di un lavoro
da ascoltare interamente tutto d'un fiato, senza soffermarsi
troppo sui singoli "capitoli" ma tentando
di guardare l'opera nell'intera complessità,
senza tentare di cercare il solito singolo, la ballad
scontata o la strumentale da 20 minuti a cui troppo
spesso siamo sottoposti.
Credo di poter affermare con certezza che ci troviamo
di fronte ad una novità destinata a crescere
ed a perdurare nel tempo.
Acquisto consigliato!
Paolo Pirola
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ZAP
"Demo
2004 "
Self Produced - 2004
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Questo Zap è un personaggio
veramente particolare, tanto geniale quanto scontato,
tanto pacchiano quanto avanguardistico, ma senza ombra
di dubbio intrigante e curioso. Credo che questa mia
conclusione sia l'obiettivo primario del buon Zap,
che ci propone un vero e proprio minestrone di idee
ed influenze tra le più disparate, in cui gli
ingredienti sembrano essere un bel pò di alternative,
gothic, elettronica, progressive rock e metal estremo.
Dovreste vederlo in copertina con quell'aria da fratello
minore di Marylin Manson in versione
black metaller, circondato da volti noti del panorama
mondiale rock e non (...la copertina del demo è
assolutamente geniale!), che ci scruta con quello
sguardo beffardo di chi è pienamente convinto
delle proprie potenzialità artistiche, ma che
allo stesso tempo non vuole prendersi troppo sul serio.
Musicalmente parlando, parto con il
sottolineare che il prodotto è il risultato
di un lavoro casalingo, notturno, fatto di lunghe
notti insonni di fronte ad un pc e volontariamente
mantenuto artigianale per mettere in evidenza le doti
compositive e prettamente artistiche a discapito di
quelle tecniche e di produzione.
Come avrete già intuito, non è assolutamente
facile recensire la qualità musicale dei brani,
in quanto si salta da un genere all'altro, dalla cover
di "Girls just wanna have fun" (sì!
proprio quella interpretata 20 anni fa da Cindy
Lauper!) e di "White Queen" dei
Queen appunto, all'alternative-progressive
di "Fog Out Ten Bells" (riferita alle vicende
del caro vecchio Jack lo squartatore), alla visionaria
"Adamski Legacy", ispirata al trattato sui
venusiani dello stesso Adamski, al
punk rock di "80's residual R 'N R" (Ramones
meets Sigue Sigue Sputnik),
o alla sfacciatamente melodica "City of Flowers",
con cui Zap ci prende in giro insinuando di volerla
utilizzare per un apparizione a San Remo.
Il demo si conclude con una versione
live di "Physically and Mentally Plagued",
in cui troviamo una band in buono spolvero, dal deciso
impatto live e tutto sommato precisa e convinta; proprio
a riguardo del lato tecnico, voglio spendere due parole
sul chitarrista che accompagna Zap nella maggior parte
dei brani, tale Wildboar: un mostro di tecnica ed
un vero funambolo della sei corde che potrebbe mettere
in mostra l'album anche per gli appassionati di virtuosismi.
Ma sì, bravo Zap, il tuo demo è interessante
e poco scontato, ed alla fine ai vinto la tua personale
battaglia contro la standardizzazione e l'oppressione
dei media... geniale!
Paolo Pirola
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BLANC FACES
"Blanc
Faces"
Frontiers Records -
2005
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Per tutti gli amanti delle sonorità
tipiche dell’Aor questo è un nome che
dovete assolutamente segnarvi... i Blanc Faces sono
un duo proveniente dall’area di New York e autori
di questo bellissimo album di debutto che la Frontiers
non si è fatta scappare.
Aiutati da una serie di ospiti più o meno illustri
come Kyle Woodring (Survivor, Mellecamp)
e Butch Taylor, e con il sempre prezioso
lavoro dietro il mixer di Dennis Ward dei Pink
Cream 69, Robbie Le Blanc (voce e chitarra)
e Brian Le Blanc (basso) confezionano un prodotto
senza punti deboli, e che da nuova linfa ad un genere
che se si escludono i grandi vecchi ultimamente aveva
mostrato la corda.
Fin dall’iniziale “Here’s
To You “ colpisce il suono pulito, potente e
assolutamente competitivo che il genere richiede e
che sarà uno dei punti di forza dell’intero
lavoro. Un plauso particolare lo merita senz’altro
Robbie Le Blanc, cantante espressivo e dotato di una
voce adattissima al genere, come ben si può
ascoltare in “Edge of The World”, un grande
pezzo con un refrain degno dei migliori Journey.
“Stranger To Love” è una delle
ballate più intense che mi sia capitato di
ascoltare recentemente mentre “Turn This World
Around “ è Survivor fino
al midollo con un refrain magari non originalissimo
ma di grandissima presa.
“Staying Power” è
un riuscitissimo incrocio tra Foreigner e
Hardline con un’altra ottima
prova di un cantante che stupisce per personalità
e per facilità di disegnare grandi melodie
all’interno dei pezzi.
Non posso non segnalare infine “Sorry for the
Heartache”, altra gemma di lucente AOR deluxe
che altro non fa che confermare come questo lavoro
debba essere annoverato tra le uscite più importanti
in campo Aor/melodic rock di questo 2005.
Federico Martinelli
top
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ARTICA
"As
It Should Be"
Escape Music - 2005
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Se siete cresciuti con i dischi di
Journey e Survivor
e nel vostro stereo passano frequentemente gli album
di Tall Stories, Storm,
Network, Valentine
e così via, non farete alcuna fatica ad ascoltarvi
anche questo "As It Should Be"
degli Artica, gruppo Hollywoodiano nato all'inizio
della decate scorsa.
Il lavoro, originariamente pronto a metà degli
anni 90 non fu mai pubblicato per via dell'avvento
del grunge, ma ora grazie all'Escape Music abbiamo
l'opportunità di ascoltarlo in una versione
rimasterizzata in formato digi-pack e con l'aggiunta
di una bonus track dal titolo “System Of Justice”
(ma che ne avremmo fatto volentieri a meno vista la
qualità del pezzo).
Puro aor senza infamia e ne lode, che
lascia grande spazio alle tastiere e alla melodia
come il genere richiede anche se a mio avviso mancano
quei picchi che servirebbero ad alzarne il livello.
Insomma, un lavoro da 6+ per un disco buono a metà,
da un lato potrà accontentare tutti i sostenitori
del sound pomposo e cristallino in voga a metà
anni 80, dall'altro lato però, si ha un CD
piuttosto scontato a cui manca quella freschezza dei
nomi più blasonati.
Tra i pezzi migliori segnalo gli aor cromati di "It’s
Over" e "Let It Show", la ballata "(Your
Love Will) Carry Me Home" caratteristazzata dal
lavoro ai tasti d'avorio di Robby Moore e la radiofonica
"Since Loving You".
Ascoltare prima dell'acquisto!
Moreno Lissoni
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FAT NANCY
"Pure
American Muscle, Baby"
Hallucinating Gator
Records - 2005
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Considerare questo "Pure American
Muscle, Baby" il debut album dei FAT NANCY
di Alex Mitchell (ex Circus Of Power)
e Billy Tsounis (Vasoline Turner)
è un grave errore. Infatti 2 anni fa, sotto
il nome di Uncle Max's Cosmic Band,
la band esordì con "Licking The Toad
In The Black Church". Ora, della vecchia
formazione sono rimasti solo "Showbiz Al"
e Tsounis. Steg Von Heinz, Chris Roy e Tony Portillo
sono le "new entry".
La band suona potente e compatta ed
i pezzi si alternano tra la furia del rock'n'roll
e sonorità ricercate. "Dance Little Suzy"
(straordinaria) e "Hot Lottie" (sembra tratta
da "Vices" dei C.O.P.)
aprono il disco stupendamente.
Alex è in gran forma e la sua voce brilla,
anche in sonorità particolari tipo la bellissima
"Candy Cane Girl" oppure "Just Another
Mother" e "Secret Love". Stesso discorso
vale per il sound più "hard'N'heavy"
di "Children Of The Midnight Sun" e di "Ninety-Nine
Pounds Of Soul".
"American Monster" e "Sweet
Judy Brown" sono tra i primi brani scritti dalla
band con il nome di Fat Nancy; la prima richiama molto
il disco precedente, mentre la seconda suona molto
'70s.
All'avvicinarsi dell'atto conclusivo, non poteva mancare
il "country" di "Lonely, Fucked Up
and Blue" (la quale non avrebbe stonato nei Plastic
Gator Machine di Mitchell), ed il boogie
rock di "Man On The Hill".
Ed infine arriva puntuale il "Train #69"
che porta con se l'ascoltatore e lo fa viaggiare attraverso
le viscere del rock'n'roll.
Showbiz Al non finisce mai di stupire.
Non aggiungo altro. Buon ascolto.
Carlo Mazzoli
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INTERNAL DISFUCTION
"Nine
Feet Under"
Demo - 2005
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Sempre più attiva la scena rock'n'roll
del sud Italia e questa volta tocca ai napoletani
I.D. far parlare si sè con il loro cd d'esordio
dal titolo "Nine Feet Under". Composti
da FaB NiNe, Key Rocks, Maddy Dukk e Mirkko De Mayo
nascono nel 1999 con il monicker “The Gunners”
(non credo sia un caso che una delle loro maggiori
influenze siano proprio i... Guns N' Roses)
e dopo un pò di gavetta eccoli qui con 9 tracce
che spaziono tra l'hard rock stradiaolo e il glam
più punkeggiante.
Un intro di oltre 2 minuti ci conduce
verso la prima canzone, "Jack & Coke Suicide
Blues" e nonostante la registrazione un pò
'impastata' il risulatato finale non mi sembra affatto
male riportandomi un pò alla mente il Duff
solista, mentre la seguente "When You're Not
Around" è un glam punk'n'roll vivace e
diretta che, con delle vocals un pò più
incisive sarebbe un brano perfetto per smuovere anche
le mummie. Piacciono anche "The Crash" e
"Two Souls In Love With Death", mentre reputo
"Deca-Dance 1984" e "Find The Way Out"
un gradino sotto le altre.
Come ogni buon cd che rispetti, non
può mancare la ballatona che in questo caso
prende il nome di "Far Away From You", classico
lento tipicamente ottantiano che parte piano per poi
salire e l'acustica "Exodus - Senseless Acts
Of Beauty" che chiude in maniera positiva questo
lavoro.
Per concludere posso dire che il quatertto parteneopeo
è partito con la marcia giusta, ancora un pò
di esperienza vista la giovane età e potranno
diventare tra le più promettenti realtà
in campo hard rock del sud Italia.
Moreno Lissoni
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by Slam! Production® 2001/2007
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