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V8 WANKERS
"The demon tweak"
Frontiers - 2005

Quattro facce da galeotti alcolizzati con gli strumenti disposti sulla drag strip ed il disco finisce nelle mie mani. E’ lo scotto che mi tocca pagare per guidare un’ Harley Davidson ed avere un bel po’ di tatuaggi. “Tieni, pensaci tu, è roba da bikers” e il Lissoni se ne lava bellamente le mani affibbiandomi il nuovo disco di questi V8 Wankers.
Probabilmente ha ragione, chitarre solide e massicce, voce roca da “fumo bevo e non mi lavo i denti”, batteria a manetta e testi inequivocabili come in “Acceleration nation” e “My motor burns”: i cliché ci sono tutti. Perfetto per un party con le salamelle alla brace, ettolitri di birra, burn outs e tutte quelle cosucce che piacciono ai motociclisti.

Ma “The demon tweak” non soddisfa e non convince: dalla comparsa degli immensi Motorhead in avanti sono nate milioni di bands come queste, con le chitarre e la batteria ultra speed e la voce ruvida ma che a differenza dei ragazzi di Lemmy non hanno un briciolo di originalità e suonano approssimativamente.
I pezzi sono tutti simili e malgrado ripetuti ascolti non si riesce a citarne uno che si elevi dagli altri per un qualsivoglia motivo. Forse dal vivo la resa è diversa, ma così possono giusto essere buoni per un moto raduno mediocre. Più per attitudine ed immagine che per meriti musicali.
Matteo Pinton

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COWBOY PROSTITUTES
"Cowboy Prostitutes"
Retrospect - 2005

Lo scorso anno avevamo già avuto modo di conoscere la band svedese grazie ad un'intervista con il venetissimo Luca Isabelle e al mini di 2 pezzi contenente "Over The Top" e "Downtown", la prima riproposta anche su questo cd, uscito per l'americana Retrospect Records e che segna a tutti gli effetti il loro esordio discografico.
Quasi 40 minuti di buona musica quelli suonati dal quintetto composto per l'appunto da Luca Isabelle, Andreas Stromback, Anders Wickstrom, Martin Wilhelmsson e Pistolper dove si spazia da un rozzo e sculettante street rock ad episodi dalle sfumature più attuali.

Per iniziare la band sceglie lo scan rock'n'roll di "Blood On Your Blade", ma a dir la verità adoro la band quando si fanno più marcate le influenze stradaiole come nei casi di "Make A Name For Yourself" o in "Television", quest'ultimo uno degli episodi meglio riusciti di tutto il disco. Il resto comunque offre ancora degli ottimi spunti "Joy", la settantiana "Alive N'Well" e la HIM-meggiante "Ghost Of Venice", forse poco consona ai loro standard seppur carina. Che altro dire?!? ...Gli indirizzi internet dove recapitare il disco li avete qui a sinistra, fatevi un bel regalo!
Moreno Lissoni

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MARS HILL
"Prelude..."
Self Produced - 2005

Rimasi folgorato dal loro esordio dal titolo "Sink or Swim" prodotto da Michael Sweet per il loro connubio tra rock moderno e molodic rock e a distanza di 2 anni rieccoli comparire nella mia cesella di posta con questo mini di 4 pezzi che anticipa il loro prossimo disco sulla lunga distanza. "Reflecting on humanity, spirituality and personal history" ecco come si presentano con questo "Prelude..." che continua la strada intrapresa con il debut album dove sonorità nu breed vanno ad accavallarsi con quelle di un più tradizionale hard rock melodico, il tutto condito da un'ottimo uso delle melodie come nel caso dell'opener "Stay".

"Vapor" ti avvolge nelle sue atmosfere malinconiche ma senza annoiare, mentre in "Nowhere" la band sfoggia un'energico modern hard rock con la voce di Jack Marques e la chitarra di Chip a dettar legge! L'ultima traccia prende il nome di "Freedon Calling", altro episodio di rock moderno che conferma le ottime impressioni avute con il primo disco. Per la cronaca, sull'EP è possibile anche vedere il video di "Sink or Swim"!
Moreno Lissoni

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DAYDREMER
"Daydreamer"
Self Produced - 2005

I Daydreamer si sono formati alla fine del 2003 con l’intento di creare una miscela musicale dove il vecchio metal si fonde con il nuovo. La formazione è quella tipica delle progressive-metal bands, con una chitarra ed una tastiera. Cori e tappeti a profusione ammorbidiscono i riff più coriacei. In questo senso un brano esemplare è forse ‘Please don’t send me away’: le atmosfere soft della strofa e fanno da contrappunto al ritornello dove la voce di Jean-Marc Viller si innalza epicamente. Con la trascinante ‘Brighter days’, seconda traccia - e la mia preferita - emerge in superficie l’anima metal dei Daydreamer. ‘Slaves of our fantasy’ è oggettivamente penalizzata da un arpeggio ormai abusato che apre il brano e ricompare più avanti. Peccato perchè il ritornello è potente ed accattivante. Interessante anche l’ultima traccia, ‘Race against the wind’, dove le doti del vocalist sono esaltate in un classico chorus metal. La strofa invece mi ricorda vagamente e curiosamente ‘Starry eyes’, del mitico Too fast for love dei Mötley Crüe. Boh, è solo una mia impressione, ma sicuramente fa onore a dei ragazzi che forse non sono cresciuti con i paraocchi, ma hanno esplorato ed apprezzato altri generi al di fuori del loro.
Gli elementi sono piuttosto dotati, ma non eccedono in virtuosismi (meno male) ed i cori sono notevoli ed abbondanti. Li aspettiamo al di qua delle alpi.
Luca Giberti

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THE 69 EYES
"Devils"
EMI - 2005

Album numero sette (raccolte escluse) per il quintetto di Helsinki, ormai consolidata realtà in campo gothic rock ed arrivato molto probabilmente al disco della consacrazione. Se il precedente album “Paris Kills”, datato 2002, ci aveva mostrato il lato più gotico della band, “Devils” rispolvera un suono più marcamente rock, soprattutto per quanto riguarda le chitarre di Bazie e Timo Timo, molto sacrificate nel precedente cd e punto di forza invece di buona parte delle nuove canzoni. Infatti brani come la title-track, il secondo e attuale singolo “Lost Boys “e la trascinante “Nothing on You” hanno decisamente un bel “tiro”, facendo rivedere qua e là la band capace di scrivere album memorabili di puro e incontaminato street rock come “Motorcity Resurrection” e il capolavoro “Savage Garden”.

Ma la realtà attuale della band è differente e credo che il buon Jyrki69 non abbia mai cantato così bene, il suo tono basso, ammaliante, è il vero trademark del nuovo corso dei vampiri di Helsinki, e pezzi come “Feel Berlin”, Sister of Charity” (sorta di tributo ai Sister of Mercy) e "Christina Death" pongono i nostri in una posizione di rilievo della scena gothic-rock attuale. Dal vivo poi la band ha un asso nella manica... Jussi69 è uno dei migliori batteristi in circolazione e il suo stile totalmente rock’n’roll dona una marcia in più ai pezzi, che se confrontati a quelli dei dischi precedenti suonano molto più “carichi” e coinvolgenti.
Dopo il loro show milanese dello scorso febbraio ho avuto modo di scambiare quattro chiacchiere con Jyrki e Timo Timo che mi hanno confermato l’intenzione di proseguire su questa strada... gothic rock with balls?
Federico Martinelli

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VANITY INK
"...roadkills!"
Self Produced - 2004

Un’altra band proveniente dalla desolata landa finnica. Che poi così desolata non è, considerata la quantità di gruppi scandinavi che popolano il panorama odierno. Mi preparo all’ascolto dell’EP senza troppe speranze, tanto figurati, saranno una scopiazzatura di Backyard Babies e Hardcore Superstar. E invece mi devo ricredere. Reduci da varie esperienze in diversi gruppotti street-rock del sottobosco di Helsinki, tra cui una cover band di Joan Jett, niente meno, Miki (basso), Juha, Make (chitarre) e Sam (batteria) formano i Vanity Ink nel 2002 e decidono di affidarsi alla voce di Stiina, accostandosi così alla forumla già positivamente collaudata da Lacuna Coil e Nightwish tanto per citare un paio di nomi.
...roadkills!” nasce dalle ceneri del loro precedente demo, che presentava già le due tracce “Burning” e “Swept Aside”, poi riarrangiate in occasione dell’uscita dell’EP.

Per essere un’autoproduzione non sfigura affatto, nè a livello di grafica, nè come suoni. Le 5 tracce presenti risentono molto dell’influenza hard rock degli anni ‘80/’90, soprattutto nei suoni della chitarra, graffianti al punto giusto, che allontana la band dall’etichetta dark, pur lasciandone filatrare qualche sfumatura qua e là, il che non guasta. Questo vale soprattutto per “Swept Aside”, brano che ricorda da vicino gli HIM, pur con un sapore molto più metal e un’ottima commistione tra la voce di Stiina e i cori. Il brano migliore, dal mio punto di vista. Stiina si propone come la Patti Smith della situazione (con le dovute proporzioni, evidentemente), la sua timbrica, insieme ai riff metallici di “One Moment”, che tanto mi ricorda gli adorati Cult e “Burning” conferisce ai brani un che di epico. “Sweetest Addiction” è un pezzo che si avvicina incredibilmente allo stile Skunk Anansie, sia nei suoni che nel cantato. Infine “Deep Frozen”, pseudo metal ballad con echi molto anthemici.

In definitiva, questo lavoro non è probabilmente niente per cui gridare al miracolo, ma, se non altro, non annoia. Io darei una possibilità a questi figlioli. E aspettiamo di sentire cosa cosa succederà con Annabella, la cantante originale che Stiina ha sostituito a partire dal 2003, che, a quanto pare, ha deciso di tornare nel gruppo per restarci, stavolta.
Claudia Schiavone

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LOVEBONE
"Boneyard Demo's"
Self Produced - 2005

Rimasti incollati a sonorità tipicamente ottantiane, il trio di Whitesboro ci consegna un demo di 5 brani che pur facendo bene il loro dovere non esalta per il semplice fatto che Chuch Heath (lead vocals/bass), Roy Coston (guitar/backing vocals) e Keith Carroll (drums/backing vocals) propongono un genere dove non c'è più molto da dire e si rischia di rimanere legati ai soliti clichè.

Se siete dei super fanatici dell'arena rock a stelle e strisce, gradirete senza affanni il demo che vive di bei chitarroni e cori, che vanno da pezzi hard'n'roll dall'attitudine stradaiola alla classica ballatona strappamutande. La canzone che mi è rimasta più impressa è "Inside Out", ma bene o male il CD si mantiene su standard più che sufficienti, ma ancora lontani dai mostri sacri che hanno creato il genere anche se il loro porco lavoro lo sanno fare. Un'occhiatina al loro sito e un'ascolto ai loro mp3 vi ruberà poco tempo, se amate il genere qualche minuto io glielo dedicherei...
Moreno Lissoni

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BONFIRE
"One acoustic night – Live at the “Private Music Club”"
E-M-S - 2005

Debbo ammettere di essere sempre stato un fan devoto dei Bonfire, al punto che quando finalmente riuscii a reperire il loro “Live…the best”, dopo lunghe ed affannose ricerche, lo tenni esposto a mò di icona per alcuni giorni sulla mia credenza… Un paio di anni fa mi venne data l’opportunità di intervistare Claus Lessmann, ed in quella circostanza fui meno riverente di quanto io stesso mi aspettassi, forse perché deluso dalla decisa sterzata stilistica del loro ultimo lavoro in studio, “Free”, rispetto ai canonici stilemi rocchettari della band. E’ comunque con sincera emozione che posso presentarvi in anteprima il nuovo doppio cd audio che la band si accinge a pubblicare il 31 marzo prossimo, accompagnandolo da una versione in dvd che mi auguro di avere parimenti modo di poter recensire su queste pagine. L’incisione cattura in madrepatria, al cospetto di un selezionato pubblico, lo show acustico che i Bonfire stanno portando in giro per l’Europa, e che ha recentemente riscosso un buon successo nella data spagnola di Grenada, da cui i tedeschi sono freschi reduci.

Purtroppo nel loro calendario non figurano date in Italia, e questo è un esplicito invito rivolto ai promoters nostrani… (per contatti: williwrede@pom-agency.de).
Il doppio cd raccoglie 20 canzoni, tra vecchi hits e composizioni più recenti, e si lascia ascoltare con piacere anche in virtù della presenza di una regolare sezione ritmica e di inserti di tastiera. Un tantino infelice la sola performance vocale di "Under blue sky", ma per il resto questa nuova veste non scalfisce il fascino di tante belle canzoni, alcune delle quali hanno fatto la storia dell’ hard rock in american-style.
Il cd include un inedito, la canzone "Song for Asia (rock’ n roll cowboy '05)", scritta dalla band con finalità di beneficenza, qui proposta sia in cantato inglese che tedesco, e di cui è prevista una ulteriore edizione anche in lingua spagnola. Nel concludere questa recensione, che mira esplicitamente a poter fornire ai Bonfire un meritato apporto promozionale su questo sito, anche in considerazione delle finalità benefiche dei progetti che stanno portando avanti, vi esorto a supportare la band, che nella recentissima performance live durante il concerto di beneficenza tenutosi a fine gennaio (e recensito nella rubrica dei dvd) ha dato peraltro prova di essere perfettamente "alive & kicking".
Alessandro Lilli

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miguelbasetta@tiscali.it

 

THE DIRECTORS
"Demo"
Self Produced - 2005

"Ricordate l'ultimo episodio di "Dallas"? Io no, ho solo vaghi ricordi. Se non sbaglio, in quell'ultima puntata, il Diavolo appare a J.R e il petroliere si suicida. Perchè ho tirato fuori questa storia? Perchè avevo voglia di farlo. Questo è il senso di Oriental Beat. Qualcuno ha messo in giro strane voci, quel qualcuno sono io. Oriental Beat giunta al capolinea? E chi se ne frega, si può sempre fare altro nella vita. A presto con Oriental Beat numero nove."
Questo è il Basetta, un losco personaggio che ho avuto il piacere di conoscere in diverse occasioni (backstage con Steven Adler a fare le fotine come due bambini, Gilby Clarke,... e in mille altri concerti) ed è anche il creatore della fanzine punk rock Oriental Beat (www.orientalbeat.cjb.net) che ha avuto il merito di farmi rivivere i primi anni della nascita di SLAM! in formato cartaceo.

Dopo la doverosa presentazione del Basetta e aver appreso con stupore della sua attività come musicista (forse quando dice che "si può fare altro nella vita" si riferisce proprio a questo suo "hobby"... al prossimo concerto di un ex Guns n' Roses, giuro che lo scoprirò!!!), mi accingo a recensire uno dei più bei demo che mi sia capitato tra le mani nell'ultimo periodo che fa della semplicità la sua arma vincente.
Non so davvero niente sulla band, se non che è formata da il Basetta ("chitarrina e voce"), il Pornacchione (batteria), il Lanciasassi (basso e voce) e da il Fenomeno ("guitarhero") e che le tracce che compongono questo demo, solo in un caso superano i 2 minuti, quindi preparatevi ad essere invenstiti da un rozzo, ammiccante e punkeggiante ROCK'N'ROLL!!!

...Glam punk, punk rock'n'roll, chiamatelo come cazzo volete, ma 13 minuti dove è impossibile tenere le chiappe ferme o togliersi dalla testa certi coretti ruffiani (come in "Wop Shoe Wop" o in "Rock Like Fuck (The Com'on Song)"), con pezzi vivaci e per nulla scontati, dove si alternando brani più punkeggianti ad altri più rock'n'roll, sempre con un occhio di riguardo ai quei "catchy hooks" che ti si appiccicano solo dopo il primo ascolto.
Il lavoro viaggia sempre su livelli medio alti e oltre alle due canzoni già menzionate vi consiglio l'ascolto di "Spider" e "Let's Rock" (che per un'istante mi hanno ricordato Robin Black), "Love S.D." e "Rock And Roll Queen". Ora non ci resta che aspettare il sito e vederli dal vivo, nel mentre scrivere immediatamente a miguelbasetta@tiscali.it per ricevere il cd, perchè potrete trovare in se la ruffianeria del folletto canadese e spruzzate di Hanoi Rocks e the Bones!
Moreno Lissoni

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www.zakkwylde.com

 

BLACK LABEL SOCIETY
"Mafia"
Artemis Records - 2005

Dopo la breve parentesi acustica di "Hangover Music vol.VI", i Black Label Society del guitar hero Zakk Wylde tornano a distanza di 11 mesi con un nuovo album: "Mafia" (uscito per la nuova etichetta Artemis records). A mio avviso, il disco è prolisso ed evidenzia un rassegnamento stilistico (già nell'aria, ma in parte smentito dal disco precendente) da parte di Zakkone. Dischi come "Pride & Glory", "Book of Shadows" e "Sonic Brew" sono molto, molto lontani a livello qualitativo.
Prima nota positiva: la presenza di James LoMenzo (White Lion / Pride & Glory) colora questo disco che si presenta con le solite parti di batteria, molto spesso carenti di "groove", che già abbiamo visto in "Stronger Than Death", "1919 Eternal" e "The Blessed Hellride".
Prima nota negativa: la voce del gigante del New Jersey è sempre più sforzata e rende sempre più uguali le canzoni, così come quasi tutte le strutture e le ritmiche.
"Fire It Up" è uno dei pezzi più apprezzabili del disco, con un bel intro di wah-wah, batteria e basso che fa ben sperare al primo ascolto. Poi la sorpresa... metto "What's In You" ed esclamo: "Mother Mary!" (brano di "Sonic Brew", usato anche con i Pride & Glory). Diamine, l'intro è lo stesso!!! Zakk che si plagia da solo!

Il primo singolo estratto, "Suicide Messiah" non è male e si accoda tra i pezzi migliori del cd, così come "Death March", "Say What You Will" e il bellissimo lento di "In This River". Ma pezzi come "Forever Down", "You Must Me Blind", "Electric Hellfire" (anche se ha un riff "settantiano" niente male), "Spread Your Wings", "Too Tough To Die" e la crossoverina "Been A Long Time" sono decisamente sottotono, poco interessanti e poco coinvolgenti.
Persino "Dr. Octavia", l'assolo da 1 minuto che ormai è diventato formalità per Zakk, non convince come "T.A.Z." o "Speedball" avevano fatto in passato. La chiusura del disco è affidata a "Dirt On The Grave", che non è malvagia anche se somigliante ad alcuni brani di "Hangover Music vol. VI", ma fa venir spontaneo gridare: "ditegli a Zakk che non può cantare in quel modo!!!"
Se dovessi dare un voto a questo album, gli darei 5. Personalmente sono rimasto un pò deluso, ma alla fine cosa c'era da aspettarsi dopo "Sonic Brew"? Rivoglo i Pride & Glory!
Carlo Mazzoli

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REDDY TEDDY / MATTHEW McKENZIE
"Teddy Boy"
Notlame Records - 2004

Un brivido mi percorre la schiena mentre scrivo queste righe, ed un malcelato velo di tristezza mi attraversa il volto mente leggo le note del booklet, nonostante le orecchie siano accarezzate da tante belle canzoni composte da una delle band più criminalmente ignorate del pianeta… Un brivido spontaneo e difficile da trattenere anche solo guardando la cover con l’immagine di Matthew McKenzie, leader dei Reddy Teddy ed ottimo chitarrista/songwriter che solcherà la scena underground americana per circa un ventennio (da ricordare le sue collaborazioni con i Taxyboys dell’ex Real Kids John Felice, con Willie “Loco” Alexander nell’album “The Confessions” e nel doppio live francese, con i Nervous Eaters e sull’album “Alchemy” dell’ex-Television Richard Lloyd), la cui misconosciuta ma brillante carriera fu stroncata da un incidente stradale nel 1988 all’età di 36 anni.

Sorte beffarda e ironica, tanto da prendersi Matt poco dopo la definitiva uscita dalla spirale della droga e proprio durante il boom di quella L.A. scene che con i suoi Reddy Teddy aveva certamente influenzato. Questo omaggio doveroso e ben lungi dall’essere mera operazione commerciale, nasce su iniziativa di Theodore Von Rosenvinge IV e John Morse, rispettivamente primo bassista e singer della band, in occasione del reunion show tenuto il 14 Luglio 2004 al Paradise di Boston per celebrare il trentennale della band e commemorare la prematura scomparsa di Matt. Ben 40 i brani selezionati per un doppio CD che nulla tralascia dell’intensa carriera del chitarrista, dagli albori pre-Reddy Teddy del 1972 tra cui spicca la prima versione di “Novelty Shoes” suonata col fratello e batterista Mike, al materiale inciso su quell’unico, bellissimo album del 1976 (la recensione qui) che non dovrebbe mancare in nessuna discografia rock’n’roll, cui si aggiungono “Goo Goo Eyes” lato A dell’omonimo 7” del 1974, versioni alternative di “Teddy Boy” (1973) e “Boys & Girls” (1975), vari inediti e live-tracks.

Di grande valore anche le quattro tracce soliste incise su demo negli studi Bearsville di Todd Rundgren, in particolare “Too Late”, e le successive cinque accreditate a Matt & The Roosters, dove risalta la vena più melodica e power-pop di un ragazzo che ha pagato il tributo più alto al sacro fuoco del rock’n’roll, vivendone in prima persona gioie, dolori ed eccessi, fino a quella tragica notte del 1988, quando il demone che in fondo è in ognuno di noi rockers s’è presentato per riscuotere il suo tributo. L’involucro se l’è preso, ma l’essenza vivrà per sempre nelle sue canzoni, ora più che mai è il caso per chi non lo conosce di fare ammenda… Amen.
Gaetano Fezza

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JOE LYNN TURNER
"The usal suspects"
Frontiers Records - 2005

Ecco ritornare una delle voci storiche del rock, "voce calda" Turner, che ci sfodera un dischetto impregnato di classe e di sudore, come in pochi, ormai, sanno regalarci. Accompagnato da una formazione di tutto rispetto, pur privo dell'amico e compagno di viaggio Glenn Hughes, in cui spicca il nome del talentuoso Al Pitrelli (Megadeth, Savatage ecc.), il "solito sospetto" e' autore di una prova artistica che, a mio parere, e' difficilmente uguagliabile dalle new sensation del rock mondiale che affollano la scena, tra finti ripescaggi del glam e del 70 rock e moderni Led Zeppelin con i jeans a zampa.

Sin dalle prime note di "Power of Love", si capisce che qua non si scherza, tra riffs granitici a metà strada tra l'hard rock classico alla Rainbow e il pomp rock di matrice più moderna, oppure basta prendere la successiva "Devil's Door", con il suo magistrale lavoro di chitarra (che sarà la presenza di Pitrelli, ma mi ricorda qualcosa dei Savatage), per intuire la volontà di giocare di spada oltre che di fioretto. Nell'album trova posto anche la speed song "Jack Knife", Purpleiana nel suo incedere con un organo hammond in netta evidenza, seguita dal vero capolavoro, a mio avviso, ovvero quella "Really loved" che, se si chiudono gli occhi, ti trasporta direttamente in un fumoso club di qualche metropoli americana... è proprio questa l'arma vincente di "The usual suspect": trasmettere emozioni varie all'ascoltatore, dote che a mio parere e' fondamentale ma sempre più rara.

Il disco procede con mid tempos che nulla aggiungono e nulla tolgono alla qualità generale del prodotto, ma menzione particolare va fatta per una simpatica e "glammaggiante" "Blood Money", la super ballad "All alone" ed una conclusiva "Unfinished Business", in cui i nostri ci mostrano come sia possibile modernizzare un sound classico con riffs e pattern di batteria più "moderni", senza snaturare il sound d' origine.
In conclusione voglio ricordare quando sua maestà della 6 corde Y. Malmsteen diede il ben servito a J.L.T. (vi ricordate lo splendido "Odissey"?) perchè la sua voce era più adatta al pop ed al blues che non alla "cattiveria" dell' hard rock... be' ascoltate l'album e giudicate voi!!!!
Magistrale.
Paolo Pirola

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HEADRUSH
"Headcrush"
Frontiers Records - 2005

Signori e signore, Alex De Rosso alle chitarre, Roberto Tiranti alla voce, Mauro Castellani al basso e Dave Fini alla batteria, quattro artisti che hanno saputo creare un dischetto impregnato di stile, di passione per la musica rock e di una tecnica sopraffina. La prima cosa che ho pensato ascoltando l'iniziale "My World" è stata: "...ma chi sono? I Queensryche che hanno cambiato nome?", ma poi ho subito pensato che questi Headrush sono molto meglio se paragonati agli ultimi lavori della blasonata band di Seattle, altresì sono paragonabili per quanto riguarda il glorioso periodo di "Operation Mindcrime".

De Rosso non gioca a fare il George Lynch all'italiana, situazione in cui ha già dimostrato di essere all'altezza, ma sfodera tutta l'inventiva e l'esperienza accumulata in anni di dedizione, doti chiare se si ascoltano con attenzione gli intrecci chitarristici di "Not just Anyone" (dove oltretutto e' presente un bellissimo assolo in pieno Satriani-style) oppure nella cadenzata "Foolin' Myself Again".
Stesso discorso si puo' fare per la perfetta sezione ritmica, mai scontata ma nemmeno troppo complicata nella ricerca di passaggi tecnici fini a se stessi, pecca in cui cadono troppi musicisti dediti al rock/metal progressivo; nell'album tutto scorre liscio, come una macchina diabolicamente architettata per catturare le orecchie dell'ascoltatore.

Sono presenti comunque anche momenti di hard rock di matrice "classica" (e dai se vogliamo si sente anche qualche influenza del buon Don Dokken): ascoltate il riff iniziale di "Ordinary Man" oppure la stupenda "All in a Crime", dotata di un ottimo refrain e di un intro campionato molto azzeccato. Una nota di merito a parte la voglio dedicare a Roberto, un cantante che seguo con molta passione nei Labyrint, e che ho già avuto modo di apprezzare più volte in sede live; le capacità tecniche non le voglio nemmeno giudicare perchè sono insindacabili, ma voglio soffermarmi sull' interpretazione che ha regalato in un genere differente dal suo abituale.

Devo dire di averlo apprezzato maggiormente in questo contesto, dove forse può utilizzare la sua voce con più espressività, regalandomi maggiori emozioni che non in veste di screamer power metal, pur essendo dotatissimo, dove forse deve spingere più sul lato esecutivo che non su quello emotivo. A chiudere l'album, segnalo la bella acustica "'Till I Know", non scontata e carica di sentimento, anche se ne apprezzerò maggiormente il significato quando avrò a portata di mano il testo.
Be' che dire di fronte ad un lavoro simile: innanzitutto questa è l'ennesima dimostrazione che i fenomeni non dobbiamo per forza cercarli oltreoceano, che i soldi non dobbiamo investirli, care etichette, solo in progetti dove sono presenti nomi stranieri... quindi bravi HEADRUSH e per l'ennesima volta brava FRONTIERS.
Paolo Pirola

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THE NEW BLACKS
"Sound Of Loud"
Self Produced - 2004

Interessante proposta quella proveniente dagli inglesi The New Blacks che mi hanno fatto pervenire un mini (digipack) a tiratura limitata composto da 4 pezzi e prodotti da Ian Hill dei Judas Priest, cosa che non devi farvi ingannare perchè di metallo in "Sound Of Loud" (questo il titolo dell'ep) ce ne è ben poco.

Il gruppo si è formato nel 2003 e vede nelle sue fila Glynn (Morgan, già con i THRESHOLD), Keaton e Nick alle chitarre e Lee al basso e come detto sopra il genere proposto non ha nulla a che spartire con il metal, infatti molti li hanno accostati a gruppi come 3 Colours Red, Backyard Babies e adirittura ai Darkness, ma secondo me non sono paragoni azzacatissimi...

E' "I Feel" la traccia che apre l'ep, trascinante rock moderno punkizzato, così anche la seguente "Love Is Suicide" travolge piacevolmente l'ascoltatore con il suo assalto di modern hard rock, mentre "Still" è la mielosa power poppy ballad. A chiudere "Rockout" altra bella composizione per una band che potrà accontentare i sostenitori di American Pearl e No Direction.
Moreno Lissoni

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W.I.N.D.
"Groovin' trip "
Artesuono - 2004

La southern rock band friulana torna con un nuovo album dopo le glorie "on the road" dell'estate 2003 e 2004 che l'hanno vista protagonista di importanti apparizioni live al "Pistoia Blues" e ad altri rinomati festival austro-tedeschi, dividendo il palco con i Rebel Storm ed i Doc Holliday.
Questo nuovo cd, intitolato "Groovin' Trip", (pensate, già alla terza ristampa!) vanta la presenza di un grandissimo musicista quale Johnny Neel (Allman Brothers Band / Gov't Mule) ed è stato registrato metà dal vivo e metà in studio (cogliendo le più squisite jam della band tricolore).
Non vi ricorda il lontano 1971 questa particolarità? Eh si, sono sicuro che gli amanti del genere abbiano già fatto le giuste allusioni ad "Eat A Peach" dell'Allman Brothers Band. Ed infatti in questo album, ancor più degli altri, si sente moltissimo l'influenza della A.B.B. a cominciare dalla partecipazione di Mr.Neel con la sua voce dal sapore di whiskey e col suo Hammond Organ, fino all'ottima live cover di "Whipping Post".

Oltre agli ormai classici (tutti riproposti dal vivo con J. Neel) "Boogie Man", "Can You Feel Me" e "Dance With The Devil", la band sfoggia nuovi brani che oscillano tra il southern rock, il blues dei neri, le improvvisazioni jazz e la psicadelia dell'inizio anni '60 come già è stata riproposta dai Gov't Mule del grandissimo Warren Haynes.
"Lucky Man","Fake It" e "One In A Million" sono state composte esclusivamente dal power trio friulano, mentre in "Why Me" e "Trieste Wind" c'è lo zampino del grande "guru" Johnny Neel... e si sente!
I W.I.N.D. sono una delle band fondamentali della scena musicale italiana che non dobbiamo assolutamente perdere d'occhio. Personalmente reputo "Groovin' Trip" uno dei migliori dischi del 2004 in ambito internazionale.
Gusto, passione, sincerità... questo sono i "nostrani" W.I.N.D. Musicisti eccelsi capaci di comporre grandi melodie, che amano divulgarsi in spettacolari jam ipnotizzanti come la cara vecchia famiglia Allman insegna.
Da non perdere.
Carlo Mazzoli

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MAB
"Unstable Dream"
Self Produced - 2004

Quattro ragazze italiane affamate di rock e Londra, la capitale del Regno Unito, patria del Trendy e dell'anticonformismo... un'accoppiata accattivante, tanto quanto la musica proposta dalle quattro "ragazzacce". Due secondo me gli elementi che caratterizzano questa all-women band: primo punto le melodie gotico-decadenti mai banali e apprezzabili per originalità e credibilità (pur non copiando i super osannati Him), e secondo punto, altrettanto importante, la meravigliosa voce di Alice, capace di passare da un cantato sinfonico, alla Nightwish per intenderci, a veri e propri sfoghi di rabbia degni di Guano Apes e non so chi altro nel panorama musicale rock.
Il demo proposto, composto da tre traccie "ufficiali" piu' una "ghost song" della durata di pochi secondi che riprende il main theme dell'iniziale "Black", si presenta ben confezionato e ben prodotto, con una registrazione dinamica che dona la giusta profondità all'alternanza tra rabbia e dolcezza scaturita dalla musica delle Mab.

Oltre alla già citata "Black", le successive "Caviar & oysters" e "Divine", procedono sugli stessi standard qualitativi, elevati, caratterizzate da cambi di tempo e da accellerazioni ben strutturate ed eseguite dalla sezione ritmica (Alice e Jessica Dionis), mentre le chitarre di Marina e Lisa graffiano al punto giusto, incastrando parti pulite a parti distorte, ritmiche morbose a classici assoli rock.
Insomma un lavoro interessante, un demo solo in attesa di essere pubblicato da chissà quale etichetta, dato l'elevato potenziale commerciale e soprattutto artistico di una proposta artistiche.
Nella speranza di vederle in azione live e di ricevere ulteriore materiale sapete cosa vi dico: "God save the Queen of Rock".
Paolo Pirola

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