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V8 WANKERS
"The
demon tweak"
Frontiers - 2005
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Quattro facce da galeotti alcolizzati
con gli strumenti disposti sulla drag strip ed il
disco finisce nelle mie mani. E’ lo scotto che
mi tocca pagare per guidare un’ Harley Davidson
ed avere un bel po’ di tatuaggi. “Tieni,
pensaci tu, è roba da bikers” e il Lissoni
se ne lava bellamente le mani affibbiandomi il nuovo
disco di questi V8 Wankers.
Probabilmente ha ragione, chitarre solide e massicce,
voce roca da “fumo bevo e non mi lavo i denti”,
batteria a manetta e testi inequivocabili come in
“Acceleration nation” e “My motor
burns”: i cliché ci sono tutti. Perfetto
per un party con le salamelle alla brace, ettolitri
di birra, burn outs e tutte quelle cosucce che piacciono
ai motociclisti.
Ma “The demon tweak” non
soddisfa e non convince: dalla comparsa degli immensi
Motorhead in avanti sono nate milioni
di bands come queste, con le chitarre e la batteria
ultra speed e la voce ruvida ma che a differenza dei
ragazzi di Lemmy non hanno un briciolo di originalità
e suonano approssimativamente.
I pezzi sono tutti simili e malgrado ripetuti ascolti
non si riesce a citarne uno che si elevi dagli altri
per un qualsivoglia motivo. Forse dal vivo la resa
è diversa, ma così possono giusto essere
buoni per un moto raduno mediocre. Più per
attitudine ed immagine che per meriti musicali.
Matteo Pinton
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COWBOY PROSTITUTES
"Cowboy
Prostitutes"
Retrospect - 2005
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Lo scorso anno avevamo già
avuto modo di conoscere la band svedese grazie ad
un'intervista
con il venetissimo Luca Isabelle e al mini di 2 pezzi
contenente "Over The Top" e "Downtown",
la prima riproposta anche su questo cd, uscito per
l'americana Retrospect Records e che segna a tutti
gli effetti il loro esordio discografico.
Quasi 40 minuti di buona musica quelli suonati dal
quintetto composto per l'appunto da Luca Isabelle,
Andreas Stromback, Anders Wickstrom, Martin Wilhelmsson
e Pistolper dove si spazia da un rozzo e sculettante
street rock ad episodi dalle sfumature più
attuali.
Per iniziare la band sceglie lo scan
rock'n'roll di "Blood On Your Blade", ma
a dir la verità adoro la band quando si fanno
più marcate le influenze stradaiole come nei
casi di "Make A Name For Yourself" o in
"Television", quest'ultimo uno degli episodi
meglio riusciti di tutto il disco. Il resto comunque
offre ancora degli ottimi spunti "Joy",
la settantiana "Alive N'Well" e la HIM-meggiante
"Ghost Of Venice", forse poco consona ai
loro standard seppur carina. Che altro dire?!? ...Gli
indirizzi internet dove recapitare il disco li avete
qui a sinistra, fatevi un bel regalo!
Moreno Lissoni
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MARS HILL
"Prelude..."
Self Produced - 2005
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Rimasi folgorato dal loro esordio
dal titolo "Sink or Swim" prodotto
da Michael Sweet per il loro connubio
tra rock moderno e molodic rock e a distanza di 2
anni rieccoli comparire nella mia cesella di posta
con questo mini di 4 pezzi che anticipa il loro prossimo
disco sulla lunga distanza. "Reflecting on humanity,
spirituality and personal history" ecco come
si presentano con questo "Prelude..."
che continua la strada intrapresa con il debut album
dove sonorità nu breed vanno ad accavallarsi
con quelle di un più tradizionale hard rock
melodico, il tutto condito da un'ottimo uso delle
melodie come nel caso dell'opener "Stay".
"Vapor" ti avvolge nelle
sue atmosfere malinconiche ma senza annoiare, mentre
in "Nowhere" la band sfoggia un'energico
modern hard rock con la voce di Jack Marques e la
chitarra di Chip a dettar legge! L'ultima traccia
prende il nome di "Freedon Calling", altro
episodio di rock moderno che conferma le ottime impressioni
avute con il primo disco. Per la cronaca, sull'EP
è possibile anche vedere il video di "Sink
or Swim"!
Moreno Lissoni
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DAYDREMER
"Daydreamer"
Self Produced - 2005
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I Daydreamer si sono formati alla
fine del 2003 con l’intento di creare una miscela
musicale dove il vecchio metal si fonde con il nuovo.
La formazione è quella tipica delle progressive-metal
bands, con una chitarra ed una tastiera. Cori e tappeti
a profusione ammorbidiscono i riff più coriacei.
In questo senso un brano esemplare è forse
‘Please don’t send me away’: le
atmosfere soft della strofa e fanno da contrappunto
al ritornello dove la voce di Jean-Marc Viller si
innalza epicamente. Con la trascinante ‘Brighter
days’, seconda traccia - e la mia preferita
- emerge in superficie l’anima metal dei Daydreamer.
‘Slaves of our fantasy’ è oggettivamente
penalizzata da un arpeggio ormai abusato che apre
il brano e ricompare più avanti. Peccato perchè
il ritornello è potente ed accattivante. Interessante
anche l’ultima traccia, ‘Race against
the wind’, dove le doti del vocalist sono esaltate
in un classico chorus metal. La strofa invece mi ricorda
vagamente e curiosamente ‘Starry eyes’,
del mitico Too fast for love dei Mötley Crüe.
Boh, è solo una mia impressione, ma sicuramente
fa onore a dei ragazzi che forse non sono cresciuti
con i paraocchi, ma hanno esplorato ed apprezzato
altri generi al di fuori del loro.
Gli elementi sono piuttosto dotati, ma non eccedono
in virtuosismi (meno male) ed i cori sono notevoli
ed abbondanti. Li aspettiamo al di qua delle alpi.
Luca Giberti
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THE 69 EYES
"Devils"
EMI - 2005
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Album numero sette (raccolte escluse)
per il quintetto di Helsinki, ormai consolidata realtà
in campo gothic rock ed arrivato molto probabilmente
al disco della consacrazione. Se il precedente album
“Paris Kills”, datato 2002, ci
aveva mostrato il lato più gotico della band,
“Devils” rispolvera un suono
più marcamente rock, soprattutto per quanto
riguarda le chitarre di Bazie e Timo Timo, molto sacrificate
nel precedente cd e punto di forza invece di buona
parte delle nuove canzoni. Infatti brani come la title-track,
il secondo e attuale singolo “Lost Boys “e
la trascinante “Nothing on You” hanno
decisamente un bel “tiro”, facendo rivedere
qua e là la band capace di scrivere album memorabili
di puro e incontaminato street rock come “Motorcity
Resurrection” e il capolavoro “Savage
Garden”.
Ma la realtà attuale della band
è differente e credo che il buon Jyrki69 non
abbia mai cantato così bene, il suo tono basso,
ammaliante, è il vero trademark del nuovo corso
dei vampiri di Helsinki, e pezzi come “Feel
Berlin”, Sister of Charity” (sorta di
tributo ai Sister of Mercy) e "Christina
Death" pongono i nostri in una posizione di rilievo
della scena gothic-rock attuale. Dal vivo poi la band
ha un asso nella manica... Jussi69 è uno dei
migliori batteristi in circolazione e il suo stile
totalmente rock’n’roll dona una marcia
in più ai pezzi, che se confrontati a quelli
dei dischi precedenti suonano molto più “carichi”
e coinvolgenti.
Dopo il loro show milanese dello scorso febbraio ho
avuto modo di scambiare quattro chiacchiere con Jyrki
e Timo Timo che mi hanno confermato l’intenzione
di proseguire su questa strada... gothic rock with
balls?
Federico Martinelli
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VANITY INK
"...roadkills!"
Self Produced - 2004
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Un’altra band proveniente dalla
desolata landa finnica. Che poi così desolata
non è, considerata la quantità di gruppi
scandinavi che popolano il panorama odierno. Mi preparo
all’ascolto dell’EP senza troppe speranze,
tanto figurati, saranno una scopiazzatura di Backyard
Babies e Hardcore Superstar.
E invece mi devo ricredere. Reduci da varie esperienze
in diversi gruppotti street-rock del sottobosco di
Helsinki, tra cui una cover band di Joan Jett,
niente meno, Miki (basso), Juha, Make (chitarre) e
Sam (batteria) formano i Vanity Ink nel 2002 e decidono
di affidarsi alla voce di Stiina, accostandosi così
alla forumla già positivamente collaudata da
Lacuna Coil e Nightwish tanto per citare un paio di
nomi.
“...roadkills!” nasce dalle ceneri
del loro precedente demo, che presentava già
le due tracce “Burning” e “Swept
Aside”, poi riarrangiate in occasione dell’uscita
dell’EP.
Per essere un’autoproduzione
non sfigura affatto, nè a livello di grafica,
nè come suoni. Le 5 tracce presenti risentono
molto dell’influenza hard rock degli anni ‘80/’90,
soprattutto nei suoni della chitarra, graffianti al
punto giusto, che allontana la band dall’etichetta
dark, pur lasciandone filatrare qualche sfumatura
qua e là, il che non guasta. Questo vale soprattutto
per “Swept Aside”, brano che ricorda da
vicino gli HIM, pur con un sapore
molto più metal e un’ottima commistione
tra la voce di Stiina e i cori. Il brano migliore,
dal mio punto di vista. Stiina si propone come la
Patti Smith della situazione (con
le dovute proporzioni, evidentemente), la sua timbrica,
insieme ai riff metallici di “One Moment”,
che tanto mi ricorda gli adorati Cult
e “Burning” conferisce ai brani un che
di epico. “Sweetest Addiction” è
un pezzo che si avvicina incredibilmente allo stile
Skunk Anansie, sia nei suoni che
nel cantato. Infine “Deep Frozen”, pseudo
metal ballad con echi molto anthemici.
In definitiva, questo lavoro non è
probabilmente niente per cui gridare al miracolo,
ma, se non altro, non annoia. Io darei una possibilità
a questi figlioli. E aspettiamo di sentire cosa cosa
succederà con Annabella, la cantante originale
che Stiina ha sostituito a partire dal 2003, che,
a quanto pare, ha deciso di tornare nel gruppo per
restarci, stavolta.
Claudia Schiavone
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LOVEBONE
"Boneyard
Demo's"
Self Produced - 2005
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Rimasti incollati a sonorità
tipicamente ottantiane, il trio di Whitesboro ci consegna
un demo di 5 brani che pur facendo bene il loro dovere
non esalta per il semplice fatto che Chuch Heath (lead
vocals/bass), Roy Coston (guitar/backing vocals) e
Keith Carroll (drums/backing vocals) propongono un
genere dove non c'è più molto da dire
e si rischia di rimanere legati ai soliti clichè.
Se siete dei super fanatici dell'arena
rock a stelle e strisce, gradirete senza affanni il
demo che vive di bei chitarroni e cori, che vanno
da pezzi hard'n'roll dall'attitudine stradaiola alla
classica ballatona strappamutande. La canzone che
mi è rimasta più impressa è "Inside
Out", ma bene o male il CD si mantiene su standard
più che sufficienti, ma ancora lontani dai
mostri sacri che hanno creato il genere anche se il
loro porco lavoro lo sanno fare. Un'occhiatina al
loro sito e un'ascolto ai loro mp3 vi ruberà
poco tempo, se amate il genere qualche minuto io glielo
dedicherei...
Moreno Lissoni
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BONFIRE
"One
acoustic night – Live at the “Private
Music Club”"
E-M-S - 2005
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Debbo ammettere di essere sempre stato
un fan devoto dei Bonfire, al punto che quando finalmente
riuscii a reperire il loro “Live…the
best”, dopo lunghe ed affannose ricerche,
lo tenni esposto a mò di icona per alcuni giorni
sulla mia credenza… Un paio di anni fa mi venne
data l’opportunità di intervistare Claus
Lessmann, ed in quella circostanza fui meno riverente
di quanto io stesso mi aspettassi, forse perché
deluso dalla decisa sterzata stilistica del loro ultimo
lavoro in studio, “Free”, rispetto
ai canonici stilemi rocchettari della band. E’
comunque con sincera emozione che posso presentarvi
in anteprima il nuovo doppio cd audio che la band
si accinge a pubblicare il 31 marzo prossimo, accompagnandolo
da una versione in dvd che mi auguro di avere parimenti
modo di poter recensire su queste pagine. L’incisione
cattura in madrepatria, al cospetto di un selezionato
pubblico, lo show acustico che i Bonfire stanno portando
in giro per l’Europa, e che ha recentemente
riscosso un buon successo nella data spagnola di Grenada,
da cui i tedeschi sono freschi reduci.
Purtroppo nel loro calendario non figurano
date in Italia, e questo è un esplicito invito
rivolto ai promoters nostrani… (per contatti:
williwrede@pom-agency.de).
Il doppio cd raccoglie 20 canzoni, tra vecchi hits
e composizioni più recenti, e si lascia ascoltare
con piacere anche in virtù della presenza di
una regolare sezione ritmica e di inserti di tastiera.
Un tantino infelice la sola performance vocale di
"Under blue sky", ma per il resto questa
nuova veste non scalfisce il fascino di tante belle
canzoni, alcune delle quali hanno fatto la storia
dell’ hard rock in american-style.
Il cd include un inedito, la canzone "Song for
Asia (rock’ n roll cowboy '05)", scritta
dalla band con finalità di beneficenza, qui
proposta sia in cantato inglese che tedesco, e di
cui è prevista una ulteriore edizione anche
in lingua spagnola. Nel concludere questa recensione,
che mira esplicitamente a poter fornire ai Bonfire
un meritato apporto promozionale su questo sito, anche
in considerazione delle finalità benefiche
dei progetti che stanno portando avanti, vi esorto
a supportare la band, che nella recentissima performance
live durante il concerto di beneficenza tenutosi a
fine gennaio (e recensito nella rubrica dei dvd) ha
dato peraltro prova di essere perfettamente "alive
& kicking".
Alessandro Lilli
top
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THE DIRECTORS
"Demo"
Self Produced - 2005
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"Ricordate l'ultimo episodio
di "Dallas"? Io no, ho solo vaghi ricordi.
Se non sbaglio, in quell'ultima puntata, il Diavolo
appare a J.R e il petroliere si suicida. Perchè
ho tirato fuori questa storia? Perchè avevo
voglia di farlo. Questo è il senso di Oriental
Beat. Qualcuno ha messo in giro strane voci, quel
qualcuno sono io. Oriental Beat giunta al capolinea?
E chi se ne frega, si può sempre fare altro
nella vita. A presto con Oriental Beat numero nove."
Questo è il Basetta, un losco personaggio che
ho avuto il piacere di conoscere in diverse occasioni
(backstage con Steven Adler a fare
le fotine come due bambini, Gilby Clarke,...
e in mille altri concerti) ed è anche il creatore
della fanzine punk rock Oriental Beat
(www.orientalbeat.cjb.net)
che ha avuto il merito di farmi rivivere i primi anni
della nascita di SLAM! in formato cartaceo.
Dopo la doverosa presentazione del
Basetta e aver appreso con stupore della sua attività
come musicista (forse quando dice che "si può
fare altro nella vita" si riferisce proprio a
questo suo "hobby"... al prossimo concerto
di un ex Guns n' Roses, giuro che
lo scoprirò!!!), mi accingo a recensire uno
dei più bei demo che mi sia capitato tra le
mani nell'ultimo periodo che fa della semplicità
la sua arma vincente.
Non so davvero niente sulla band, se non che è
formata da il Basetta ("chitarrina e voce"),
il Pornacchione (batteria), il Lanciasassi (basso
e voce) e da il Fenomeno ("guitarhero")
e che le tracce che compongono questo demo, solo in
un caso superano i 2 minuti, quindi preparatevi ad
essere invenstiti da un rozzo, ammiccante e punkeggiante
ROCK'N'ROLL!!!
...Glam punk, punk rock'n'roll, chiamatelo
come cazzo volete, ma 13 minuti dove è impossibile
tenere le chiappe ferme o togliersi dalla testa certi
coretti ruffiani (come in "Wop Shoe Wop"
o in "Rock Like Fuck (The Com'on Song)"),
con pezzi vivaci e per nulla scontati, dove si alternando
brani più punkeggianti ad altri più
rock'n'roll, sempre con un occhio di riguardo ai quei
"catchy hooks" che ti si appiccicano solo
dopo il primo ascolto.
Il lavoro viaggia sempre su livelli medio alti e oltre
alle due canzoni già menzionate vi consiglio
l'ascolto di "Spider" e "Let's Rock"
(che per un'istante mi hanno ricordato Robin
Black), "Love S.D." e "Rock
And Roll Queen". Ora non ci resta che aspettare
il sito e vederli dal vivo, nel mentre scrivere immediatamente
a miguelbasetta@tiscali.it
per ricevere il cd, perchè potrete trovare
in se la ruffianeria del folletto canadese e spruzzate
di Hanoi Rocks e the Bones!
Moreno Lissoni
top
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BLACK LABEL SOCIETY
"Mafia"
Artemis Records - 2005
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Dopo la breve parentesi acustica di
"Hangover Music vol.VI", i Black
Label Society del guitar hero Zakk Wylde tornano a
distanza di 11 mesi con un nuovo album: "Mafia"
(uscito per la nuova etichetta Artemis records). A
mio avviso, il disco è prolisso ed evidenzia
un rassegnamento stilistico (già nell'aria,
ma in parte smentito dal disco precendente) da parte
di Zakkone. Dischi come "Pride & Glory",
"Book of Shadows" e "Sonic
Brew" sono molto, molto lontani a livello
qualitativo.
Prima nota positiva: la presenza di James
LoMenzo (White Lion / Pride & Glory)
colora questo disco che si presenta con le solite
parti di batteria, molto spesso carenti di "groove",
che già abbiamo visto in "Stronger Than
Death", "1919 Eternal" e "The
Blessed Hellride".
Prima nota negativa: la voce del gigante del New Jersey
è sempre più sforzata e rende sempre
più uguali le canzoni, così come quasi
tutte le strutture e le ritmiche.
"Fire It Up" è uno dei pezzi più
apprezzabili del disco, con un bel intro di wah-wah,
batteria e basso che fa ben sperare al primo ascolto.
Poi la sorpresa... metto "What's In You"
ed esclamo: "Mother Mary!" (brano di "Sonic
Brew", usato anche con i Pride & Glory).
Diamine, l'intro è lo stesso!!! Zakk che si
plagia da solo!
Il primo singolo estratto, "Suicide
Messiah" non è male e si accoda tra i
pezzi migliori del cd, così come "Death
March", "Say What You Will" e il bellissimo
lento di "In This River". Ma pezzi come
"Forever Down", "You Must Me Blind",
"Electric Hellfire" (anche se ha un riff
"settantiano" niente male), "Spread
Your Wings", "Too Tough To Die" e la
crossoverina "Been A Long Time" sono decisamente
sottotono, poco interessanti e poco coinvolgenti.
Persino "Dr. Octavia", l'assolo da 1 minuto
che ormai è diventato formalità per
Zakk, non convince come "T.A.Z." o "Speedball"
avevano fatto in passato. La chiusura del disco è
affidata a "Dirt On The Grave", che non
è malvagia anche se somigliante ad alcuni brani
di "Hangover Music vol. VI", ma
fa venir spontaneo gridare: "ditegli a Zakk che
non può cantare in quel modo!!!"
Se dovessi dare un voto a questo album, gli darei
5. Personalmente sono rimasto un pò deluso,
ma alla fine cosa c'era da aspettarsi dopo "Sonic
Brew"? Rivoglo i Pride & Glory!
Carlo Mazzoli
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REDDY TEDDY / MATTHEW
McKENZIE
"Teddy
Boy"
Notlame Records - 2004
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Un brivido mi percorre la schiena mentre
scrivo queste righe, ed un malcelato velo di tristezza
mi attraversa il volto mente leggo le note del booklet,
nonostante le orecchie siano accarezzate da tante
belle canzoni composte da una delle band più
criminalmente ignorate del pianeta… Un brivido
spontaneo e difficile da trattenere anche solo guardando
la cover con l’immagine di Matthew McKenzie,
leader dei Reddy Teddy ed ottimo chitarrista/songwriter
che solcherà la scena underground americana
per circa un ventennio (da ricordare le sue collaborazioni
con i Taxyboys dell’ex Real
Kids John Felice, con Willie “Loco”
Alexander nell’album “The Confessions”
e nel doppio live francese, con i Nervous
Eaters e sull’album “Alchemy”
dell’ex-Television Richard
Lloyd), la cui misconosciuta ma brillante carriera
fu stroncata da un incidente stradale nel 1988 all’età
di 36 anni.
Sorte beffarda e ironica, tanto da
prendersi Matt poco dopo la definitiva uscita dalla
spirale della droga e proprio durante il boom di quella
L.A. scene che con i suoi Reddy Teddy aveva certamente
influenzato. Questo omaggio doveroso e ben lungi dall’essere
mera operazione commerciale, nasce su iniziativa di
Theodore Von Rosenvinge IV e John Morse, rispettivamente
primo bassista e singer della band, in occasione del
reunion show tenuto il 14 Luglio 2004 al Paradise
di Boston per celebrare il trentennale della band
e commemorare la prematura scomparsa di Matt. Ben
40 i brani selezionati per un doppio CD che nulla
tralascia dell’intensa carriera del chitarrista,
dagli albori pre-Reddy Teddy del 1972 tra cui spicca
la prima versione di “Novelty Shoes” suonata
col fratello e batterista Mike, al materiale inciso
su quell’unico, bellissimo album del 1976 (la
recensione qui)
che non dovrebbe mancare in nessuna discografia rock’n’roll,
cui si aggiungono “Goo Goo Eyes” lato
A dell’omonimo 7” del 1974, versioni alternative
di “Teddy Boy” (1973) e “Boys &
Girls” (1975), vari inediti e live-tracks.
Di grande valore anche le quattro tracce
soliste incise su demo negli studi Bearsville di Todd
Rundgren, in particolare “Too Late”, e
le successive cinque accreditate a Matt & The
Roosters, dove risalta la vena più melodica
e power-pop di un ragazzo che ha pagato il tributo
più alto al sacro fuoco del rock’n’roll,
vivendone in prima persona gioie, dolori ed eccessi,
fino a quella tragica notte del 1988, quando il demone
che in fondo è in ognuno di noi rockers s’è
presentato per riscuotere il suo tributo. L’involucro
se l’è preso, ma l’essenza vivrà
per sempre nelle sue canzoni, ora più che mai
è il caso per chi non lo conosce di fare ammenda…
Amen.
Gaetano Fezza
top
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JOE LYNN TURNER
"The
usal suspects"
Frontiers Records -
2005
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Ecco ritornare una delle voci storiche
del rock, "voce calda" Turner, che ci sfodera
un dischetto impregnato di classe e di sudore, come
in pochi, ormai, sanno regalarci. Accompagnato da
una formazione di tutto rispetto, pur privo dell'amico
e compagno di viaggio Glenn Hughes,
in cui spicca il nome del talentuoso Al Pitrelli
(Megadeth, Savatage ecc.), il "solito
sospetto" e' autore di una prova artistica che,
a mio parere, e' difficilmente uguagliabile dalle
new sensation del rock mondiale che affollano la scena,
tra finti ripescaggi del glam e del 70 rock e moderni
Led Zeppelin con i jeans a zampa.
Sin dalle prime note di "Power
of Love", si capisce che qua non si scherza,
tra riffs granitici a metà strada tra l'hard
rock classico alla Rainbow e il pomp
rock di matrice più moderna, oppure basta prendere
la successiva "Devil's Door", con il suo
magistrale lavoro di chitarra (che sarà la
presenza di Pitrelli, ma mi ricorda qualcosa dei Savatage),
per intuire la volontà di giocare di spada
oltre che di fioretto. Nell'album trova posto anche
la speed song "Jack Knife", Purpleiana
nel suo incedere con un organo hammond in netta evidenza,
seguita dal vero capolavoro, a mio avviso, ovvero
quella "Really loved" che, se si chiudono
gli occhi, ti trasporta direttamente in un fumoso
club di qualche metropoli americana... è proprio
questa l'arma vincente di "The usual suspect":
trasmettere emozioni varie all'ascoltatore, dote che
a mio parere e' fondamentale ma sempre più
rara.
Il disco procede con mid tempos che
nulla aggiungono e nulla tolgono alla qualità
generale del prodotto, ma menzione particolare va
fatta per una simpatica e "glammaggiante"
"Blood Money", la super ballad "All
alone" ed una conclusiva "Unfinished Business",
in cui i nostri ci mostrano come sia possibile modernizzare
un sound classico con riffs e pattern di batteria
più "moderni", senza snaturare il
sound d' origine.
In conclusione voglio ricordare quando sua maestà
della 6 corde Y. Malmsteen diede
il ben servito a J.L.T. (vi ricordate lo splendido
"Odissey"?) perchè la sua voce era
più adatta al pop ed al blues che non alla
"cattiveria" dell' hard rock... be' ascoltate
l'album e giudicate voi!!!!
Magistrale.
Paolo Pirola
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HEADRUSH
"Headcrush"
Frontiers Records -
2005
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Signori e signore, Alex De Rosso alle
chitarre, Roberto Tiranti alla voce, Mauro Castellani
al basso e Dave Fini alla batteria, quattro artisti
che hanno saputo creare un dischetto impregnato di
stile, di passione per la musica rock e di una tecnica
sopraffina. La prima cosa che ho pensato ascoltando
l'iniziale "My World" è stata: "...ma
chi sono? I Queensryche che hanno
cambiato nome?", ma poi ho subito pensato che
questi Headrush sono molto meglio se paragonati agli
ultimi lavori della blasonata band di Seattle, altresì
sono paragonabili per quanto riguarda il glorioso
periodo di "Operation Mindcrime".
De Rosso non gioca a fare il George
Lynch all'italiana, situazione in cui ha
già dimostrato di essere all'altezza, ma sfodera
tutta l'inventiva e l'esperienza accumulata in anni
di dedizione, doti chiare se si ascoltano con attenzione
gli intrecci chitarristici di "Not just Anyone"
(dove oltretutto e' presente un bellissimo assolo
in pieno Satriani-style) oppure nella
cadenzata "Foolin' Myself Again".
Stesso discorso si puo' fare per la perfetta sezione
ritmica, mai scontata ma nemmeno troppo complicata
nella ricerca di passaggi tecnici fini a se stessi,
pecca in cui cadono troppi musicisti dediti al rock/metal
progressivo; nell'album tutto scorre liscio, come
una macchina diabolicamente architettata per catturare
le orecchie dell'ascoltatore.
Sono presenti comunque anche momenti
di hard rock di matrice "classica" (e dai
se vogliamo si sente anche qualche influenza del buon
Don Dokken): ascoltate il riff iniziale
di "Ordinary Man" oppure la stupenda "All
in a Crime", dotata di un ottimo refrain e di
un intro campionato molto azzeccato. Una nota di merito
a parte la voglio dedicare a Roberto, un cantante
che seguo con molta passione nei Labyrint,
e che ho già avuto modo di apprezzare più
volte in sede live; le capacità tecniche non
le voglio nemmeno giudicare perchè sono insindacabili,
ma voglio soffermarmi sull' interpretazione che ha
regalato in un genere differente dal suo abituale.
Devo dire di averlo apprezzato maggiormente
in questo contesto, dove forse può utilizzare
la sua voce con più espressività, regalandomi
maggiori emozioni che non in veste di screamer power
metal, pur essendo dotatissimo, dove forse deve spingere
più sul lato esecutivo che non su quello emotivo.
A chiudere l'album, segnalo la bella acustica "'Till
I Know", non scontata e carica di sentimento,
anche se ne apprezzerò maggiormente il significato
quando avrò a portata di mano il testo.
Be' che dire di fronte ad un lavoro simile: innanzitutto
questa è l'ennesima dimostrazione che i fenomeni
non dobbiamo per forza cercarli oltreoceano, che i
soldi non dobbiamo investirli, care etichette, solo
in progetti dove sono presenti nomi stranieri... quindi
bravi HEADRUSH e per l'ennesima volta brava FRONTIERS.
Paolo Pirola
top
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THE NEW BLACKS
"Sound
Of Loud"
Self Produced - 2004
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Interessante proposta quella proveniente
dagli inglesi The New Blacks che mi hanno fatto pervenire
un mini (digipack) a tiratura limitata composto da
4 pezzi e prodotti da Ian Hill dei Judas Priest,
cosa che non devi farvi ingannare perchè di
metallo in "Sound Of Loud" (questo
il titolo dell'ep) ce ne è ben poco.
Il gruppo si è formato nel 2003
e vede nelle sue fila Glynn (Morgan, già con
i THRESHOLD), Keaton e Nick alle
chitarre e Lee al basso e come detto sopra il genere
proposto non ha nulla a che spartire con il metal,
infatti molti li hanno accostati a gruppi come 3
Colours Red, Backyard Babies
e adirittura ai Darkness, ma secondo
me non sono paragoni azzacatissimi...
E' "I Feel" la traccia che
apre l'ep, trascinante rock moderno punkizzato, così
anche la seguente "Love Is Suicide" travolge
piacevolmente l'ascoltatore con il suo assalto di
modern hard rock, mentre "Still" è
la mielosa power poppy ballad. A chiudere "Rockout"
altra bella composizione per una band che potrà
accontentare i sostenitori di American Pearl
e No Direction.
Moreno Lissoni
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W.I.N.D.
"Groovin'
trip "
Artesuono - 2004
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La southern rock band friulana torna
con un nuovo album dopo le glorie "on the road"
dell'estate 2003 e 2004 che l'hanno vista protagonista
di importanti apparizioni live al "Pistoia Blues"
e ad altri rinomati festival austro-tedeschi, dividendo
il palco con i Rebel Storm ed i
Doc Holliday.
Questo nuovo cd, intitolato "Groovin' Trip",
(pensate, già alla terza ristampa!) vanta la
presenza di un grandissimo musicista quale Johnny
Neel (Allman Brothers Band / Gov't
Mule) ed è stato registrato metà
dal vivo e metà in studio (cogliendo le più
squisite jam della band tricolore).
Non vi ricorda il lontano 1971 questa particolarità?
Eh si, sono sicuro che gli amanti del genere abbiano
già fatto le giuste allusioni ad "Eat
A Peach" dell'Allman Brothers Band.
Ed infatti in questo album, ancor più degli
altri, si sente moltissimo l'influenza della A.B.B.
a cominciare dalla partecipazione di Mr.Neel con la
sua voce dal sapore di whiskey e col suo Hammond Organ,
fino all'ottima live cover di "Whipping Post".
Oltre agli ormai classici (tutti riproposti
dal vivo con J. Neel) "Boogie Man", "Can
You Feel Me" e "Dance With The Devil",
la band sfoggia nuovi brani che oscillano tra il southern
rock, il blues dei neri, le improvvisazioni jazz e
la psicadelia dell'inizio anni '60 come già
è stata riproposta dai Gov't Mule
del grandissimo Warren Haynes.
"Lucky Man","Fake It" e "One
In A Million" sono state composte esclusivamente
dal power trio friulano, mentre in "Why Me"
e "Trieste Wind" c'è lo zampino del
grande "guru" Johnny Neel... e si sente!
I W.I.N.D. sono una delle band fondamentali della
scena musicale italiana che non dobbiamo assolutamente
perdere d'occhio. Personalmente reputo "Groovin'
Trip" uno dei migliori dischi del 2004 in
ambito internazionale.
Gusto, passione, sincerità... questo sono i
"nostrani" W.I.N.D. Musicisti eccelsi capaci
di comporre grandi melodie, che amano divulgarsi in
spettacolari jam ipnotizzanti come la cara vecchia
famiglia Allman insegna.
Da non perdere.
Carlo Mazzoli
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MAB
"Unstable
Dream"
Self Produced - 2004
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Quattro ragazze italiane affamate di
rock e Londra, la capitale del Regno Unito, patria
del Trendy e dell'anticonformismo... un'accoppiata
accattivante, tanto quanto la musica proposta dalle
quattro "ragazzacce". Due secondo me gli
elementi che caratterizzano questa all-women band:
primo punto le melodie gotico-decadenti mai banali
e apprezzabili per originalità e credibilità
(pur non copiando i super osannati Him),
e secondo punto, altrettanto importante, la meravigliosa
voce di Alice, capace di passare da un cantato sinfonico,
alla Nightwish per intenderci, a
veri e propri sfoghi di rabbia degni di Guano
Apes e non so chi altro nel panorama musicale
rock.
Il demo proposto, composto da tre traccie "ufficiali"
piu' una "ghost song" della durata di pochi
secondi che riprende il main theme dell'iniziale "Black",
si presenta ben confezionato e ben prodotto, con una
registrazione dinamica che dona la giusta profondità
all'alternanza tra rabbia e dolcezza scaturita dalla
musica delle Mab.
Oltre alla già citata "Black",
le successive "Caviar & oysters" e "Divine",
procedono sugli stessi standard qualitativi, elevati,
caratterizzate da cambi di tempo e da accellerazioni
ben strutturate ed eseguite dalla sezione ritmica
(Alice e Jessica Dionis), mentre le chitarre di Marina
e Lisa graffiano al punto giusto, incastrando parti
pulite a parti distorte, ritmiche morbose a classici
assoli rock.
Insomma un lavoro interessante, un demo solo in attesa
di essere pubblicato da chissà quale etichetta,
dato l'elevato potenziale commerciale e soprattutto
artistico di una proposta artistiche.
Nella speranza di vederle in azione live e di ricevere
ulteriore materiale sapete cosa vi dico: "God
save the Queen of Rock".
Paolo Pirola
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