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THE NERDS
"A Black Star Burning Trails To Nowhere"
Scarey Records - 2004

Dalla tranquilla Voghera, tornano sulle scene i quattro scatenati NERDS, punk band senza troppi fronzoli che gode di una certa notorieta’ nella scena underground grazie soprattutto all’intensa attivita’ live (culminata in un paio di occasioni nella realizzazione di split 7” in condivisione con gruppi di culto, quali i FRANKESTEIN DRAG QUEENS FROM PLANET 13). “A Black Star Burning Trails To Nowhere”, il secondo full-length CD della band (dopo “Just Because She Didn’t Wanna Fuck”), ci regala poco piu’ di mezz’ora di sano e intransigente punk alla ANTISEEN, ben eseguito e prodotto in maniera adeguata, con la sezione ritmica a farla da padrone.

Si parte subito a gran ritmo con “Cry Havoc” e la voce di The Boss (!) inizia a scagliare i propri anatemi sull’ascoltatore con la veemenza tipica del genere, ben supportato nei cori dal resto del gruppo: si prosegue poi con “Reflections Of A Broken Mirror” (piu’ metal nella struttura) e “The Traitor”, prima di arrivare alla dissacrante “Satan’s Rise”. Il disco non soffre di cali di tensione e ha l’unico limite nel genere stesso, che offre poco spazio all’improvvisazione e a soluzioni originali. Meritano una citazione anche “Eye For An Eye”, song che non sfigurerebbe su un disco dei gloriosi MOTORHEAD, e la tiratissima “Harder Than Life” che riassume in meno di 3 minuti la vera essenza dei NERDS. Punk’s not dead!
Cristiano Bianchi

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BITCH
"Nastro Cospirazione"
Self Produced - 2004

A poco meno di un anno di distanza da “Rock’N’Roll Soul” (Febbraio 2004), tornano i modenesi BITCH con un nuovo demo CD che alterna composizioni inedite a brani gia’ apparsi sui precedenti lavori del gruppo. Anche in questa occasione la band evidenzia pregi e difetti del recente passato, confermandosi come una delle realta’ nostrane che incarna al meglio lo spirito dei primi GUNS N’ ROSES ma che, al tempo stesso, rischia in piu’ di un occasione di rimanere prigioniera di un paragone (a volte scomodo) con la storica band di “Appetite For Destruction”. I primi tre pezzi del CD danno subito un’idea molto chiara di cio’ che attende l’ascoltatore: rock’n’roll dal buon “tiro”, assoli di pregevole fattura in puro Slash-style, fugaci divagazioni blueseggianti e melodie vocali gestite (quasi) sempre con padronanza da Allo, devoto seguace di Axl Rose cresciuto a tortellini e mortadella.

I BITCH insistono ancora con il cantato in italiano e tale scelta “patriottica”, seppur apprezzabile, a mio modesto parere non si sposa sempre a perfezione con un genere energico e di matrice prettamente anglofona: non a caso infatti, uno dei brani piu’ riusciti del disco e’ proprio la cover di “Sympathy For The Devil” degli STONES, qui riproposta in maniera abbastanza fedele all’originale, ma con personalita’. Dal punto di vista della resa sonora si registra senza dubbio un bel passo in avanti rispetto al passato e anche se i livelli delle voci non sono sempre ottimali, la collaborazione con il produttore inglese Josh Kennan ha sicuramente dato buoni frutti e ha permesso al quintetto di realizzare un prodotto godibile in ogni traccia. Non perdeteveli se dovessero suonare dal vivo dalle vostre parti.
Cristiano Bianchi

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TOBRUK
"Wild on the Run"
Majestic Rock Records - 2004

La Gran Bretagna è stata la patria del Rock e nonostante sia famosa per il lancio dei più disparati generi e sottogeneri del rock, del metal e del pop, ecco giungerci in versione rimasterizzata, dopo vent’anni dall’uscita ufficiale, un album che pochi hanno conosciuto e apprezzato. Parlo degli inglesissimi TOBRUK americanizzati dal contratto che ebbero a firmare nel lontano 1983 per un’etichetta indipendente statunitense. Già, non compresi in madre patria, trovarono rifugio sotto l’etichetta Parlophone Records (successivamente acquisita dalla EMI e sparita nel giro di qualche disco/nda) che diede loro la possibilità di farsi conoscere al mondo intero rivisitando i loro brani “troppo inglesi” nel più commerciale pomp rock americano. Inutile aggiungere che i T. si aggiudicarono il contratto portando nove tracce dense di rock adolescenziale: era l’anno 1984.

Non solo i capelli che cadono e la difficoltà a digerire i panini dei fast food mi fanno sentir più vecchio, l’idea che le mie orecchie possano ascoltare un disco tirato fuori da chissà dove, mi fa capire che sono proprio passati tanti e tanti anni da quei periodi! I Tobruk suonano come avrebbero dovuto suonare mettendo quindi riffoni di chitarra predominanti lasciando spazio alle tastiere che entrano ed escono in ogni brano facendo sentire, piuttosto pesantemente, l’epoca delle registrazioni. Lance Quinn produsse questo primo disco del quintetto londinese dando poi la controprova della sua capacità con gruppi che fecero la storia qualche anno più tardi (Danger Danger tanto per citarne qualcuno/ndr). Il disco non portò però la gloria che ci si aspettava portando i Tobruk ad un secondo capitolo mal riuscito e alla ovvia separazione dei componenti che si rimisero in pista seguendo i più svariati gruppi come session players (UFO e MANOWAR tra i principali/nda).

Oggi possiamo invece gustarci questo mix esplosivo di sonorità antiche che ci riportano alla mente altri famosi acts come QUIET RIOT (ascoltando “Hotline” e “Poor girl” mi sembrava quasi di sentire dei demo di DuBrow e company!/nda), BON JOVI (dei primi due dischi) e BRIGHTON ROCK. Un classico del pomp rock americano di serie B, un Lp introvabile che grazie a Majestic Rock ritorna disponibile per tutti coloro che non hanno mai avuto il piacere di sentire qualche brano di questo disco. La registrazione è ottima solo se pensiamo che fu registrata 20 anni or sono… non male no? Dedicato essenzialmente ai malinconici e a coloro che spendono volentieri in opere di restauro come questa!
Marco Paracchini

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Filthy Jim/Long Dong Silver
"Split 7” EP"
Scarey Records - 2004

Comincio ad affezionarmi alla Scarey Records! Dopo l’accoppiata Last Vegas/Bible Of The Devil eccomi ad ascoltare un secondo split 7”EP ed ecco l’immancabile reazione del tipo “e bravo pirla, manco ne conoscevi il nome”. Aprono le danze i Filthy Jim (moniker che in slang indica un preservativo usato!?), formatisi nel 1997 a Lawrence - KS, già autori di un full-lenght nel 2002 che meriterebbe l’acquisto solo per il titolo: “Whiskey and Porn”.
“Tied To The Needle” comincia con un riff lentissimo per esplodere dopo pochi secondi in una miscela rock’n’roll altamente infiammabile, abrasiva e tagliente, le chitarre veloci e distorte colpiscono dritte allo stomaco, e, cosa per me fondamentale, il refrain è crudo ma efficace, colpisce e resta in mente. Il secondo brano “Teenage Witch” è più breve ma altrettanto intenso, stavolta non è il refrain a colpirmi, ma la veemenza dell’esecuzione, la cattiveria che riescono ad iniettare in un brano che non sfigurerebbe in alcuni dischi di spicco della osannata “L.A. Street Scene” di fine 80’s, se proprio devo fare dei nomi direi che le note biografiche sono abbastanza attendibili indicando primi Crue e Motorhead. Bravi.

L’altro lato mi sorprende per un motivo in più: i Long Dong Silver sono Italiani! Hanno un singer pazzoide al punto da farsi chiamare “Emperor Caligula” e condividono con i Filthy Jim la passione per certe “cosucce” visto che il loro moniker è il nome di un porno-divo tedesco (ahr..ahr..ahr…). Con “Junkie Cinderella” riescono a fondere ritmiche da N.Y.City Punk (quello ala Dead Boys, per intenderci) e sleazy rock’n’roll, con un cantato vagamente dark “vecchia maniera” che personalmente mi ricorda i misconosciuti Skulls di “Blacklight 13”.
Chiude il dischetto “Spank My Ass”, un brano atipico che comincia con un drumming alla “My Sharona” e finisce per diventare quasi-Stoner, grazie ad un granitico riff che suona come una versione più rock’n’roll dei Black Sabbath. Voglio ascoltare altro di entrambe le bands… "The damage is done..."Amen.
Gaetano Fezza

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The Last Vegas/Bible Of The Devil
"Split 7""
Scarey Records - 2003

Il mio primo impatto con la Scarey Records, etichetta Italiana con un validissimo catalogo Punk’n’Roll, non poteva avvenire in modo migliore. Non solo mi trovo a maneggiare un “oggettino” che letteralmente adoro (il mitico 7” o 45 giri che dir si voglia), ma ascoltando i 4 brani contenuti in questo EP non posso che cospargermi il capo di cenere per aver finora ignorato queste due bands. Sia i Bible Of The Devil (che figata di moniker!) che i Last Vegas vengono da Chicago, presumibilmente vomitati fuori da qualche lercio vicolo dei bassifondi, e, seppur adottando due approcci diversi, entrambi propongono rock’n’roll ad alto voltaggio, energico e ben suonato al punto da centrare il bersaglio dritto come un fuso.

I B.O.T.D. sembrano una 70’s Hard Rock band con i controcazzi teletrasportata in qualche modo ai giorni nostri, i brani sono infatti strutturati sul tipico rifferama che ha avuto il suo momento di massimo splendore in quella lontana e fantastica decade. Quasi a confermare la mia tesi, dopo la bella “Humboldt Home” (veemenza rock’n’roll deviata con enfasi su binari Hard Metal quasi “epici”), viene proposto un incredibile rifacimento di “Starstruck” dei Rainbow suonato alla grande e con la giusta dose di personalità. Ottimi.

Meno tecnici ma assolutamente validi, i Last Vegas propongono invece un’infuocata miscela di rock’n’roll da strada con inflessioni blues e marcata “punk attitude”: se in “You Wanna Know How To Love Me” si scorgono lontani echi della Los Angeles che fu (G’n’R e primissimi Crue su tutti) resi ancor più “veri” da una veemenza tutta punk, nella successiva “S & M” è una sferragliante slide guitar a dettare un ritmo massacrante e sanguigno, come fossero una versione ancor più brutta, sporca e cattiva dei mai troppo considerati (ma veri padri putativi della L.A. street scene) Rose Tattoo. Ascoltateli gente, sono pronto a scommettere che parecchi di voi si procureranno i loro full-lenght. Amen.
Gaetano Fezza

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KTD
"Territory"
Hydrant Records - 2003

Kick The Dog... questo è il reale signigicato della sigla KTD, e per la band sembra sia una sorta di monito, una chiamata a risvegliarsi da un torpore che ha portato, dopo anni di inattività, all'uscita di questo ottimo "Territory".
I nostri non sono infatti una di quelle band formate negli ultimi anni sull' onda del ritorno di quelle sonorità a noi tanto care... basta dare unì occhiata alla loro bio per capire che i nostri sono veterani della scena, se pur con un successo minore e limitato al loro "territorio". Era infatti la fine degli anni Ottanta quando i nostri si muovevano già nell'area di Boston sotto il nome di AXMINSTER, collezionando una serie di tour e show case per numerose major labels, supportando bands come Metallica, Extreme, Twisted Sister, Molly Hatchet, Foghat e Lita Ford.

Ma dopo l'ondata grunge dei primi Novanta, il gruppo perde seguito e stimoli e si scioglie (una storia già sentita...), per riformarsi solamente nel 1999, spinti da una piccola etichetta Newyorkese che possedeva il loro ultimo master, con la formazione originale. Ed eccoci qui a recensire questo ultimo lavoro, un lavoro maturo e forse lontano da quell'irruenza tipica dell'hard rock americano targato Eighties... un lavoro che va a pescare da molte influenze, probabilmente accumulate nel corso degli anni, ma che non perde un colpo in quanto a classe e qualità delle composizioni.
Devo ammettere che è difficile recensire un gruppo del genere: a me sono parsi vicini ai Savatage di "Streets..." per quanto riguarda l'opener "Room to Breathe", ma sono stato subito indotto ad avvicinarli a Santana per quanto riguarda la successiva "The Bed I Made", canzone con quel flavour latino americano e con quel suono di chitarra "low-gain" tipico del ben noto chitarrista sopracitato.

Si va su territori più vicini allo street rock per quanto riguarda le canzoni successive, un po' vicine agli ultimi Aerosmith con degli inserti a volte crossover e funkeggianti, soprattutto per quanto riguarda la trama ritmica di basso e batteria ("Bleed" su tutte). Il dischetto si conclude con una bella ballad, "Living in sin", che nulla toglie ma nulla aggiunge alla qualità dell'album, con il suo sapore un po' blues e un po' country, che mi ricorda quella formuletta magica di mix tra rock e blues tanto cara ad un certo Gary Moore.
Un bell'album in definitiva, composto e suonato da musicisti di talento, non certo alla prima esperienza musicale, che però credo venga apprezzato maggiormente sul suolo americano che non qua nella vecchia Europa, dove forse siamo abituati ad altre sonorità.
Ascolto consigliato!
Paolo Pirola

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PARASITE CITY
"Foreplay"
Protain Production - 2004

Con un nome così pensavo si trattasse dell'ennesimo gruppo tributo ai Guns N' Roses, ma per fortuna questo quintetto consigliatomi dalla mia corrispondente finlandese Marie ci regala per Natale un mini CD di 5 pezzi di musica propria. Le influenze sono riconducibili ad un'hard rock di chiaro stampo Ottantiano (mavà!?!?) e pur non facendo gridare al miracolo riescono a farsi ascoltare, senza esaltare, ma neanche senza troppi "skip".

Si inizia con "Wasted Youth", un mid tempo che mi lascia un pò l'amaro in bocca per quei suoni di chitarra troppo poco incisivi, nella seguente "Suspense Emotion" capitolano gli scandinavi Loud N' Nasty, ma anche nelle successive "Tombstone", "Ashes To Ashes" e "Touché" continuo a rimanere perplesso su suoni/produzione che fanno risultare il tutto privo di mordente.
Moreno Lissoni

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BONED
"Up At The Crack"
Perris Records - 2004

Ne conosco almeno dieci a cui è successo. Intorno ai 13/14 anni ti capita fra le mani un vecchio album degli AC/DC, uno di quelli con Bon Scott, e ti ritrovi in un'altra dimensione. Tutto quello che hai ascoltato fino a quel momento passa in secondo piano e vivi un’ infatuazione per sti cinque maniaci sessuali australiani.
I Boned hanno avuto la stessa genesi: il loro fondatore a 11 anni ha preso la scossa, a 13 aveva la sua prima Gibson Sg e a 15 girava i clubs con una cover band degli AC/DC.

Adesso pubblicano questo album che fin dal font utilizzato per scrivere Boned si propone come un tributo devoto a Bon Scott e soci. Dieci tracce orginali in perfetto stile AC/DC dove tutti i canoni sono rispettati: dalla struttura dei pezzi, ai suoni fino all’ irriverenza dei testi ("Ain't No Talkin' With Your Mouth Full", tanto per citarne una…).
Un disco godibile, certo la voce è un po’ gracchiante, ma tra tanti che copiano pari pari i fratelli Young senza nemmeno dire grazie, viva i Boned che si chinano davanti ai maestri e realizzano senza troppe pretese un disco divertente e pieno di umorismo.
Matteo Pinton

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BROKEN TEETH
"Blood on the Radio"
Perris Records - 2004

Avete agganciato la lavorante del parrucchiere di fianco al vostro ufficio e finalmente ci uscite. La ragazza non è certo un pozzo di scienza ma è divertente. Cena, dopo cena e finalmente ve la portate a casa. Quando la spogliate scoprite che non è brutta, un po’ pesante di culo, qualche grappolo di cellulite qua è là ma nell’insieme può andare. Sessualmente lei, poverina, si impegna, ma manca qualcosa, non c’è quel feeling animalesco che serve a rendere la notte speciale.
Cosa raccontate il giorno dopo agli amici davanti ad una birra? (Non fate i furbi, lo facciamo tutti in certe serate...). Se siete un super Pinocchio abituato a millantare massaggi alle lap dancers anche se poi ve ne state ogni sera col telecomando in mano davanti alla televisione, non ci sono problemi: basta riassumere la trama dell’ ultimo film porno e il gioco è fatto. Ma se siete onesti? E’ difficile. Non potete parlarne male, ma nemmeno bene, la serata è stata divertente ma non fareste il bis…

Con dischi di questo tipo mi trovo nella stessa situazione. I Broken Teeth sono una band esattamente a metà strada fra AC/DC e RoseTattoo. Attingono a piene mani da entrambi, non sono male, divertono, ma non fanno neanche impazzire.
“Blood on the radio” è una registrazione live con brani tratti dai 2 album precedenti, “Broken Teeth” (1999) e “Guilty pleasure” (2002) e, ad eccezione di “Bonfire” non presenta pezzi nuovi, lasciandoci nel dubbio circa la necessità di un disco del genere.
L’apertura è grintosa, “She’s gonna blow” sembra “Beatin’ around the bush” ma si lascia ascoltare con gusto, si prosegue con brani in cui sono evidenti i riferimenti ad un certo heavy metal di vecchia fattura (“Stick in it” e “Chaingang”) qualcosa ricorda i nuovi AC/DC (“Hangin by the skin”), “down to the fire”, forse l’episodio migliore, ha una forte matrice blues e “High on danger”, per tornare agli AC/DC, potrebbe essere un outake di “Flick of the switch”.
Per una serata divertente può andar bene, ma se poi scoprite che vi manca qualcosa e che non è certo la donna della vostra vita, beh, non dite che non vi avevo avvisati.
Matteo Pinton

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CHERRY STREET
"Monroe"
Perris Records - 2004

Quando penso ai Cherry Street sono due le cose che mi vengono subito in mente: capigliature impensabili e continui cambi di formazione. Nessuna glam rock band al mondo ha contribuito quanto i Cherry Street all’espansione del buco nell’ozono, e pochi altri gruppi ricordano tante line up diverse quanto loro. Negli anni sono passati da queste parti Jamie Scott dei Tyketto, Steevi Jamiz dei Tigertailz, Roxy Dahl e tanti altri che nemmeno ricordo.

Qui siamo davanti alla ristampa di un disco del 1996 uscito come “Monroe” ora arricchito da 3 bonus tracks. All’epoca facevano parte della formazione il cantante dei Bulletboys Marq Torein e Kevin Steel dei Roxx Gang. Su tratta di glam rock suonato discretamente ma senza uno spunto di originalità né altro che faccia rizzare le antenne. I brani scorrono piacevoli ma alla fine rimane quella sensazione di “già sentito” che ti fa riflettere sulla necessità di comprare un disco del genere. Certamente un disco non tra i piu’ significativi della vostra collezione.
Matteo Pinton

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fivehorsejohnson.com

 

FIVE HORSE JOHNSON
"The Last Men on Earth"
Small Stone - 2003

Gli americani Five Horse Johnson giungono al loro quarto album con "The Last Men On Heart", che è un cd che porta avanti fieramente il sound della band nativa dell'Ohio. "Cry Rain" è la canzone che apre il nuovo lavoro della band, inizia con un tocco di psichedelia seguito da un riff hard grezzo dal sapore blues che conferma le caratteristiche della band.
La seconda traccia è "Cherry Red" (di cui potete vedere il video sul sito ufficiale della band) è certamente uno dei migliori episodi del disco, e ricorda molto da vicino i ZZ Top, ma con uno stile più ruvido ed aggressivo.
L'armonica del cantante Eric Oblander fa la sua comparsa nel terzo pezzo, "Soul Digger", molto rock anni '70 sempre riproposto in chiave F. H. J.
Con "Three At A Time" il sound della band si fa ancora più grasso avvicinandosi molto agli Alabama Thunderpussy (band con la quale hanno molto in comune, oltre ad aver spartito tra loro alcuni palcoscenici), mentre in "Blood Don't Pay" la chitarra di Brad Coffin suona molto Led Zeppelin.

Le altre canzoni dell'album tengono saldo lo stile, un hard rock grezzo con suoni grassi, riff alternati tra blues e southern rock, a volte heavy (la voce in particolare), suonato e concepito benissimo dalla band.
"The Last Men On Heart" è sicuramente un buon disco, consigliatissimo per gli amanti di questo "intreccio" tra vecchi sound che sta riscuotendo parecchi consensi da ormai 5 anni.
Peccato però che i Five Horse Johnson non abbiano toccato la nostra penisola nel loro tour europeo di quest'anno, speriamo di vederli dal vivo presto!.
Carlo Mazzoli

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SHOTGUN BLUEZ
"Promo 2004"
Self Produced - 2004

Ogni tanto mi lamento perchè molti demo che mi arrivano, sono privi di bio oppure con i titoli scritti a mano, ma non mi ricordo di aver mai ricevuto un demo senza adirittura i nomi delle canzoni!!! Meno male che hanno un sito e posso recuperarli da li, ma questa cosa gli fa già perdere qualche punto, ed è un peccato perchè questo quartetto non è affatto malaccio e le due tracce presenti sul promo sono assai ascoltabili.

Attivi seriamente dal 2002 i 4 svedesi hanno già avuto modo di mettersi in luce suonando da spalla a Entombed, Gluecifer e Hardcore Superstar e il genere proposto dal gruppo non va molto lontano dalle sonorità scandinave di moda negli ultimi anni, ma con un tocco più ottantiano.
Il primo brano che dovrebbe intitolarsi "Stay" rubacchia dal repertorio dei WHITE LION sopratutto il pezzo iniziale quasi da plagio a "Little Fighter", per niente male il connubio tra 80 e giorni nostri, qualcosa che potrebbe essere definito come (concedetimi il termine) "hair scan rock".
L'altro brano che compone questo CD prende il titolo di "The Flame" e si vira verso un sound più vicino ai Social Distortion, ma con risultati non troppo soddisfacenti. Ancora presto per dare un vero giudizio ai Shotgun Bluez, aspetto il full length.
Moreno Lissoni

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A.A.V.V.
"The Glam That Stole Christmas"
Perris Records - 2004

C'eravamo lasciati con "We Wish You A Hairy Christmas" uscito lo scorso anno per la Low Dice Records e a distanza di un'anno, puntuale come un goal di Adriano, arriva l'ennesima compilation rock di tributo al Natale, questa volta per opera della Perris e la nota positiva è che nella track list sono presenti due act italiani.
Si parte in quarta con uno dei pezzi migliori del CD, "The Greatest Christmas Song Ever Written" degli American Heartbreak, pezzo risalente al 2000 e con il classico sound che ha contraddistinto il gruppo dell'ex JetBoy Billy Rowe, subito dopo troviamo la bella interpretazione di Ron Taylor dei Lillian Axe nella lenta "Here is Christmas" delle Heart.

Kristy Majors ha pensato bene di rovinare "Christmas (Baby Please Come Home)" già eseguite di recente anche da Mariah Carey e Bon Jovi, mentre è leggermente più positiva la versione dei Loud 'n' Nasty della celebre "Christmas Time". Alla traccia numero 5 ecco che arriva il primo dei nostri connazionali, Chris Heaven & Michael Gapys alle prese con un pezzo dell'appena citato Jon Bon Jovi, "I wish everyday could be like Christmas", ballata dalle perfette atmosfere natalizie, mentre alla numero 8 sono i Decadenza con "Dead by X-Mas" degli Hanoi Rocks a tenere alta la bandiera tricolore.

Altri brani da ascoltare "Winter Wonderland" dei Big Bang Babies, pezzo già inserito in "3 Chords and the Truth" ma vecchio di una cinquantina d'anni, comunque una graziosa bubblegum song post bargodi così come "Hooray for Santa Claus" descritta come "traditional Buddist-Hindu Christmas song" ed interpretata dai Fizzy Bangers in questa versione quasi da Rocky Horror... In chiusura troviamo i Rocking Scoundrels con la rockeggiante "Rock 'n' Roll Sleigh Ride", i Grayson Manor nella famosa "Blue Christmas" e gli American Smash con la punkeggiante "Nuttin' For Christmas"... meeerrry crriiissssmas!
Moreno Lissoni

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7TH HEAVEN
"Sampler - Vol.1"
Self Produced - 2004

Ero rimasto favorevolmente colpito dal loro doppio Cd dal titolo "Silver" dove la band dell'Illinois riusciva a fondere il classico hard rock di matrice Def Leppard-iana con le sonorità da chart americane in stile The Calling. Questo lavoro che ho tra le mani, non è altro che una raccolta di cover in cui Andrew Blake, richard Hofherr, Dan Miller e Mark Kennetz si divertono a rifare quelle che sono state senza dubbio la loro colonna sonora di gioventù e sopratutto le loro maggiori influenze che si riscontrano ascoltando il loro primo cd.

Ad aprire il lavoro è un medley di quasi 23 minuti dove ci sono presenti oltre 20 estratti di canzoni, da "Wanted Dead or Alive" (Bon Jovi) a "Pour Some Sugar On Me" (Def Leppard), da "Black In Black" (AC/DC) a "Sweet Emotion" (Aerosmith), da "Shout At The Devil" (Motley Crue) a "Sweet child O' MIne" (Guns N' Roses) e così via...
Terminato il medley ecco arrivare la prima cover completa, "In The Air Tonight" di Phil Collins seguita da "Somebody's Baby" di Jackson Browne e da "Boys Of Summer" di Don Henley. Tra Police, Dead or Alive, ecc.. si arriva alla nona canzone di questo cd non proprio indispensabile.
Moreno Lissoni

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SPIRAL
"Air Cargo"
Self Produced - 2004

Singolo di 3 pezzi per questo quintetto di Helsinki nato nell'estate del 1999 per mano dei chitarristi Hemi e J. Rude, ma che raggiungono una formazione stabile nel 2001 anche con l'ingresso della vocalist Stiina già sentita alla voce nel CD dei Vanity Ink. Se ci fosse una versione femminile di Glitz o Him probabilmente si chiamerebbe Spiral perchè le coordinate sonore su cui viaggia questo "Air Cargo" virano decisamente su un rock moderno dalle tinte gothicheggianti ma con largo spazio alla melodia, una sorta di goth rock da classifica.

"Grabbing The Air" presenta una massiccia dose di chitarre acustiche che mettono in primo piano la voce della bionda Stiina, "Star" ha delle atmosfere più darkeggianti mentre "Kiss Or Kill" esce direttamente dal repertorio Ville Valo-iano. Sito, CD, registrazione... tutto perfetto, mi sa che sentiremo ancora parlare ancora di loro.
Moreno Lissoni

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GUN SHY
"After Dark"
Perris Records - 2004

Inizio a pensare che Tommy Crash sia un parente di Tom Mathers altrimenti non vedrei il motivo di spendere soldi per stampare i SINN prima e i Gun Shy ora perchè non si tratta affatto di capolavori del genere, ma di album di stra-abusato hair metal senza infamia e senza lode. Il quintetto è qui presente con la ristampa del loro album con l'aggiunta di 8 bonus track, di cui la metà sono live, ma vista la registrazione, se ne avrebbe fatto volentieri a meno...

Il disco prodotto da Michael Kelly Smith (Britny Fox, Razamanaz) parte con gli hard rock pallosi di "Helluva Time" e "Mr. Lonely", ma si riprende un pò con la power ballad di scuola XENON "Cry In the Night" e con l'arena rock di "Hold On to Yesterday" dove gli Heavens Edge e i Jailhouse giocano un ruolo fondamentale. A Parte queste due salverei anche il pop rock di "Wonderland", ma per il resto siamo davvero lontani dal definirlo un bel disco. Solo per incalliti hair-metallers!
Moreno Lissoni

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SEXY DRIVE
"Demo"
Demo - 2004

Leggendo la biografia di questo gruppo scopro che nascono a Parto nel 1998 dall'unione di due gruppi: gli Unsane Pleasure e i Ganzi e Rozzi attingendo al sound degli anni '70 di gruppi come Kiss e T-Rex strizzando l'occhio al glam californiano con sprazzi di surf e garage.

Il demo consta di sette canzoni che come stile vengone ben descritte qui sopra, partendo con il surf rock'n'roll di "Get Naked" e proseguendo con "Scent Of Woman" che si avvicina al GILBY CLARKE solista. Le tracce vanno via piacevolemente anche se Cisvo, Tony, James e Bandit avrebbero potuto curare un pò di più il tutto.
Moreno Lissoni

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IRON HORSE
"Bring It On"
Compendia Music Group - 2004

Secondo lavoro per la nuova band di Ron Keel, band nata in Italia dall’incontro dello stesso cantante con il batterista siciliano Gaetano Nicolosi e dedita per chi non lo sapesse a sonorità riconducibili al southern rock ma definita dagli stessi come una band di Hard Rockin’ Southern Country Metal...
In effetti anche se la definizione può apparire un tantino strana si possono trovare nel sound della band che ha la sua base operativa in Tennessee tutti gli elementi sopra descritti, dando vita ad un sound molto personale che potrebbe piacere a diverse tipologie di rockers.
Rispetto alla prima release del 2001 su Melodic Mayhem Music la line up è cambiata con l’inserimento di un tastierista che si occupa anche di suonare strumenti come l’armonica, il banjo e il mandolino e il cambio del chitarrista e si avvale come produttore di un grande nome come Kevin Beamish alla consolle.
“Three Sheets to the Wind” apre il cd alla grande, southern rock alla massima potenza con un grande Ron Keel, mentre la title-track è uno dei pezzi che più si avvicinano all’alternative country di artisti tipo Toby Keith o Travis Tritt con un uso massiccio di armonica... pezzo questo scritto da Ron Keel insieme al chitarrista della Marshall Tucker Band, George Mc Corkle.

Alla traccia numero 3 invece troviamo “American Thunder”, vero e proprio hard rock anthem che si stampa in testa dopo 2 ascolti con un grande lavoro di Jay Rusnak alla chitarra e di Gaetano Nicolosi alla batteria.
“The Other Kind” (pezzo scritto da Steve Earle) e “I Can’t Stop You” ci mostrano invece il lato più soft della band, e particolare menzione meritano gli arrangiamenti e il cantato di un Ron Keel davvero perfetto nella parte.
Arriviamo poi a quello che potrebbe diventare un classico del southern rock... "Dixie Highway" cantato da Ron Keel insieme a Henry Paul dei Blackhawk, storica band del country americano.
“The Best Move” è uno dei singoli del cd... brano perfetto da trasmettere alle radio americane che per struttura ricorda gli eighties e bands tipo Tangier o Cinderella per intenderci.
Meritevoli di essere menzionate poi sicuramente la polverosa “Haunted Saloon” e la blueseggiante “Half Past Goodbye” e la conclusiva e sognante “One Hell Of A Ride”, altro pezzo di malinconico southern da applausi.
Ricca anche la sezione multimediale con i videos di “American Thunder” girato durante lo show al Texas Motor Speedway del 2003 e di “The Best Move” ripreso in studio e un parte chiamata “Meet The Band” in cui i 5 si raccontano e raccontano la storia della band.
Disco da avere assolutamente per gli amanti delle sonorità southern e per tutti quelli che amano la buona musica... scrivete direttamente alla band, potete farlo anche in italiano contattando direttamente Gaetano alla mail ciaogaetano@yahoo.com.
Federico Martinelli

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FIRE ALLEY
"Scorcher"
Self Produced - 2004

Con base a Scottsdale in Arizona ecco arrivare i Fire Alley, gruppo nato nel 1997 per opera del veterano Jack "Jaxxon" Schwarz, James Welch e di Mark Blythe a cui si è aggiunto nel 2002 il batterista Michael Scott e nello stesso anno realizzano il loro esordio discografico distribuito dalla Nightmare Records. Dopo 2 anni rieccoli con il loro secondo album che potrà soddisfare quell'audience che ama il rock melodico anni 80 anche se a mio avviso si tende troppo a rubacchiare a destra e sinistra. So che è quasi impossibile essere originali in questo settore visto che ormai è stato iperspremuto, ma avrei preferito che certi riff o melodie fossero un pochino più personali...

Detto questo, non voglio dire che "Scorcher" sia un brutto disco, le 12 canzoni che lo compongono sono ottimamente suonate e registrate, solo che se uno ascolta "Typical Rock 'N' Roll" non può fare a meno di dire "ohh cazzo, i Badlands!", oppure sentitevi i primi 15 secondi di "Victim Of The Night" e ditemi se non è un plagio a una certa canzone dei Motley Crue... "Was It Love?" è 100% JOURNEY, mentre è da quando ho ascoltato il party rock di "One Big Party" che sto facendo girare i miei due neuroni per tentare di capire a chi assomiglia!
...Altri buoni episodi del CD il mid tempo di "She's A Deceiver" e la lenta ultra Eighties di "Tears And Promises".
Moreno Lissoni

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FAT NANCY
"Demo"
Demo - 2004

Ecco qui i primi assaggi offerti dai Fat Nancy (ex Uncle Max's Cosmic Band) di Alex Mitchell, leader dei Circus Of Power, che ho avuto la fortuna di ascoltare in questo demo che delinea chiaramente il sound della band, che per ora è impegnata a presentare il loro prodotto alle label.
La band punta molto sui live nella parte ovest degli U.S.A. visto che ha da poco definito la line up, dopo il cambio completo della sezione ritmica e l'aggiunta di un nuovo chitarrista.

Ascoltando "Touch The Sky" e "American Monster", già si notano le radici degli U.M.C.B. che comunque vengono "rockeggiate" alla grande. Come già si era capito nei 2 album del 2003 ("Plastic Gator Machine" ed "Uncle Max's Cosmic Band"), la voce di Alex è la stessa, bella e carica, del periodo '88-'93.
"Sweet Julie Brown" suona molto anni '70 mentre "Secret Love" fa sentire molto lo zampino del genio pazzoide Billy Tsounis, che in quanto ad originalità è stupefacente.

La penultima canzone, "Man On The Hill", è carica, rockeggiante, coinvolgente ed infine l'ultimo pezzo "Dance Little Suzy" è una scarica di puro Rock'n'Roll, con spruzzate punk di tipico stampo Motorhead. Gran pezzo, che con i suoi 2 minuti di pura energia riuscirebbe ad infiammare qualsiasi pubblico.
Ammetto che sono rimasto notevolmente sorpreso da questo demo, forse avevo sottovalutato i sampler presenti sul sito, ma la band spacca di brutto, ha elementi con molta esperienza e "Showbiz Al" resta sempre una garanzia nel Rock'n'Roll.
I Fat Nancy promettono benissimo... ora attendiamo le conferme aspettando per l'uscita dell'intero album debutto.
Carlo Mazzoli

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