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THE NERDS
"A
Black Star Burning Trails To Nowhere"
Scarey Records - 2004
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Dalla tranquilla Voghera, tornano
sulle scene i quattro scatenati NERDS, punk band senza
troppi fronzoli che gode di una certa notorieta’
nella scena underground grazie soprattutto all’intensa
attivita’ live (culminata in un paio di occasioni
nella realizzazione di split 7” in condivisione
con gruppi di culto, quali i FRANKESTEIN DRAG
QUEENS FROM PLANET 13). “A Black Star
Burning Trails To Nowhere”, il secondo full-length
CD della band (dopo “Just Because She Didn’t
Wanna Fuck”), ci regala poco piu’ di mezz’ora
di sano e intransigente punk alla ANTISEEN,
ben eseguito e prodotto in maniera adeguata, con la
sezione ritmica a farla da padrone.
Si parte subito a gran ritmo con “Cry
Havoc” e la voce di The Boss (!) inizia a scagliare
i propri anatemi sull’ascoltatore con la veemenza
tipica del genere, ben supportato nei cori dal resto
del gruppo: si prosegue poi con “Reflections
Of A Broken Mirror” (piu’ metal nella
struttura) e “The Traitor”, prima di arrivare
alla dissacrante “Satan’s Rise”.
Il disco non soffre di cali di tensione e ha l’unico
limite nel genere stesso, che offre poco spazio all’improvvisazione
e a soluzioni originali. Meritano una citazione anche
“Eye For An Eye”, song che non sfigurerebbe
su un disco dei gloriosi MOTORHEAD,
e la tiratissima “Harder Than Life” che
riassume in meno di 3 minuti la vera essenza dei NERDS.
Punk’s not dead!
Cristiano Bianchi
top
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BITCH
"Nastro
Cospirazione"
Self Produced - 2004
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A poco meno di un anno di distanza
da “Rock’N’Roll Soul” (Febbraio
2004), tornano i modenesi BITCH con un nuovo demo
CD che alterna composizioni inedite a brani gia’
apparsi sui precedenti lavori del gruppo. Anche in
questa occasione la band evidenzia pregi e difetti
del recente passato, confermandosi come una delle
realta’ nostrane che incarna al meglio lo spirito
dei primi GUNS N’ ROSES ma
che, al tempo stesso, rischia in piu’ di un
occasione di rimanere prigioniera di un paragone (a
volte scomodo) con la storica band di “Appetite
For Destruction”. I primi tre pezzi del
CD danno subito un’idea molto chiara di cio’
che attende l’ascoltatore: rock’n’roll
dal buon “tiro”, assoli di pregevole fattura
in puro Slash-style, fugaci divagazioni blueseggianti
e melodie vocali gestite (quasi) sempre con padronanza
da Allo, devoto seguace di Axl Rose
cresciuto a tortellini e mortadella.
I BITCH insistono ancora con il cantato
in italiano e tale scelta “patriottica”,
seppur apprezzabile, a mio modesto parere non si sposa
sempre a perfezione con un genere energico e di matrice
prettamente anglofona: non a caso infatti, uno dei
brani piu’ riusciti del disco e’ proprio
la cover di “Sympathy For The Devil” degli
STONES, qui riproposta in maniera
abbastanza fedele all’originale, ma con personalita’.
Dal punto di vista della resa sonora si registra senza
dubbio un bel passo in avanti rispetto al passato
e anche se i livelli delle voci non sono sempre ottimali,
la collaborazione con il produttore inglese
Josh Kennan ha sicuramente dato buoni frutti
e ha permesso al quintetto di realizzare un prodotto
godibile in ogni traccia. Non perdeteveli se dovessero
suonare dal vivo dalle vostre parti.
Cristiano Bianchi
top
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TOBRUK
"Wild
on the Run"
Majestic Rock Records
- 2004
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La Gran Bretagna è stata la
patria del Rock e nonostante sia famosa per il lancio
dei più disparati generi e sottogeneri del
rock, del metal e del pop, ecco giungerci in versione
rimasterizzata, dopo vent’anni dall’uscita
ufficiale, un album che pochi hanno conosciuto e apprezzato.
Parlo degli inglesissimi TOBRUK americanizzati dal
contratto che ebbero a firmare nel lontano 1983 per
un’etichetta indipendente statunitense. Già,
non compresi in madre patria, trovarono rifugio sotto
l’etichetta Parlophone Records (successivamente
acquisita dalla EMI e sparita nel giro di qualche
disco/nda) che diede loro la possibilità di
farsi conoscere al mondo intero rivisitando i loro
brani “troppo inglesi” nel più
commerciale pomp rock americano. Inutile aggiungere
che i T. si aggiudicarono il contratto portando nove
tracce dense di rock adolescenziale: era l’anno
1984.
Non solo i capelli che cadono e la
difficoltà a digerire i panini dei fast food
mi fanno sentir più vecchio, l’idea che
le mie orecchie possano ascoltare un disco tirato
fuori da chissà dove, mi fa capire che sono
proprio passati tanti e tanti anni da quei periodi!
I Tobruk suonano come avrebbero dovuto suonare mettendo
quindi riffoni di chitarra predominanti lasciando
spazio alle tastiere che entrano ed escono in ogni
brano facendo sentire, piuttosto pesantemente, l’epoca
delle registrazioni. Lance Quinn produsse questo primo
disco del quintetto londinese dando poi la controprova
della sua capacità con gruppi che fecero la
storia qualche anno più tardi (Danger
Danger tanto per citarne qualcuno/ndr). Il
disco non portò però la gloria che ci
si aspettava portando i Tobruk ad un secondo capitolo
mal riuscito e alla ovvia separazione dei componenti
che si rimisero in pista seguendo i più svariati
gruppi come session players (UFO
e MANOWAR tra i principali/nda).
Oggi possiamo invece gustarci questo
mix esplosivo di sonorità antiche che ci riportano
alla mente altri famosi acts come QUIET RIOT
(ascoltando “Hotline” e “Poor
girl” mi sembrava quasi di sentire dei demo
di DuBrow e company!/nda), BON
JOVI (dei primi due dischi) e BRIGHTON
ROCK. Un classico del pomp rock americano
di serie B, un Lp introvabile che grazie a Majestic
Rock ritorna disponibile per tutti coloro che non
hanno mai avuto il piacere di sentire qualche brano
di questo disco. La registrazione è ottima
solo se pensiamo che fu registrata 20 anni or sono…
non male no? Dedicato essenzialmente ai malinconici
e a coloro che spendono volentieri in opere di restauro
come questa!
Marco Paracchini
top
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Filthy Jim/Long Dong
Silver
"Split
7” EP"
Scarey Records - 2004
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Comincio ad affezionarmi alla Scarey
Records! Dopo l’accoppiata Last Vegas/Bible
Of The Devil eccomi ad ascoltare un secondo split
7”EP ed ecco l’immancabile reazione del
tipo “e bravo pirla, manco ne conoscevi il nome”.
Aprono le danze i Filthy Jim (moniker
che in slang indica un preservativo usato!?), formatisi
nel 1997 a Lawrence - KS, già autori di un
full-lenght nel 2002 che meriterebbe l’acquisto
solo per il titolo: “Whiskey and Porn”.
“Tied To The Needle” comincia con un riff
lentissimo per esplodere dopo pochi secondi in una
miscela rock’n’roll altamente infiammabile,
abrasiva e tagliente, le chitarre veloci e distorte
colpiscono dritte allo stomaco, e, cosa per me fondamentale,
il refrain è crudo ma efficace, colpisce e
resta in mente. Il secondo brano “Teenage Witch”
è più breve ma altrettanto intenso,
stavolta non è il refrain a colpirmi, ma la
veemenza dell’esecuzione, la cattiveria che
riescono ad iniettare in un brano che non sfigurerebbe
in alcuni dischi di spicco della osannata “L.A.
Street Scene” di fine 80’s, se proprio
devo fare dei nomi direi che le note biografiche sono
abbastanza attendibili indicando primi Crue
e Motorhead. Bravi.
L’altro lato mi sorprende per
un motivo in più: i Long Dong Silver
sono Italiani! Hanno un singer pazzoide al punto da
farsi chiamare “Emperor Caligula” e condividono
con i Filthy Jim la passione per certe “cosucce”
visto che il loro moniker è il nome di un porno-divo
tedesco (ahr..ahr..ahr…). Con “Junkie
Cinderella” riescono a fondere ritmiche da N.Y.City
Punk (quello ala Dead Boys, per intenderci)
e sleazy rock’n’roll, con un cantato vagamente
dark “vecchia maniera” che personalmente
mi ricorda i misconosciuti Skulls
di “Blacklight 13”.
Chiude il dischetto “Spank My Ass”, un
brano atipico che comincia con un drumming alla “My
Sharona” e finisce per diventare quasi-Stoner,
grazie ad un granitico riff che suona come una versione
più rock’n’roll dei Black Sabbath.
Voglio ascoltare altro di entrambe le bands…
"The damage is done..."Amen.
Gaetano Fezza
top
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The Last Vegas/Bible
Of The Devil
"Split
7""
Scarey Records - 2003
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Il mio primo impatto con la Scarey
Records, etichetta Italiana con un validissimo catalogo
Punk’n’Roll, non poteva avvenire in modo
migliore. Non solo mi trovo a maneggiare un “oggettino”
che letteralmente adoro (il mitico 7” o 45 giri
che dir si voglia), ma ascoltando i 4 brani contenuti
in questo EP non posso che cospargermi il capo di
cenere per aver finora ignorato queste due bands.
Sia i Bible Of The Devil (che figata
di moniker!) che i Last Vegas vengono
da Chicago, presumibilmente vomitati fuori da qualche
lercio vicolo dei bassifondi, e, seppur adottando
due approcci diversi, entrambi propongono rock’n’roll
ad alto voltaggio, energico e ben suonato al punto
da centrare il bersaglio dritto come un fuso.
I B.O.T.D. sembrano una 70’s
Hard Rock band con i controcazzi teletrasportata in
qualche modo ai giorni nostri, i brani sono infatti
strutturati sul tipico rifferama che ha avuto il suo
momento di massimo splendore in quella lontana e fantastica
decade. Quasi a confermare la mia tesi, dopo la bella
“Humboldt Home” (veemenza rock’n’roll
deviata con enfasi su binari Hard Metal quasi “epici”),
viene proposto un incredibile rifacimento di “Starstruck”
dei Rainbow suonato alla grande e
con la giusta dose di personalità. Ottimi.
Meno tecnici ma assolutamente validi,
i Last Vegas propongono invece un’infuocata
miscela di rock’n’roll da strada con inflessioni
blues e marcata “punk attitude”: se in
“You Wanna Know How To Love Me” si scorgono
lontani echi della Los Angeles che fu (G’n’R
e primissimi Crue su tutti) resi
ancor più “veri” da una veemenza
tutta punk, nella successiva “S & M”
è una sferragliante slide guitar a dettare
un ritmo massacrante e sanguigno, come fossero una
versione ancor più brutta, sporca e cattiva
dei mai troppo considerati (ma veri padri putativi
della L.A. street scene) Rose Tattoo.
Ascoltateli gente, sono pronto a scommettere che parecchi
di voi si procureranno i loro full-lenght. Amen.
Gaetano Fezza
top
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KTD
"Territory"
Hydrant Records - 2003
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Kick The Dog... questo è il
reale signigicato della sigla KTD, e per la band sembra
sia una sorta di monito, una chiamata a risvegliarsi
da un torpore che ha portato, dopo anni di inattività,
all'uscita di questo ottimo "Territory".
I nostri non sono infatti una di quelle band formate
negli ultimi anni sull' onda del ritorno di quelle
sonorità a noi tanto care... basta dare unì
occhiata alla loro bio per capire che i nostri sono
veterani della scena, se pur con un successo minore
e limitato al loro "territorio". Era infatti
la fine degli anni Ottanta quando i nostri si muovevano
già nell'area di Boston sotto il nome di AXMINSTER,
collezionando una serie di tour e show case per numerose
major labels, supportando bands come Metallica,
Extreme, Twisted Sister,
Molly Hatchet, Foghat
e Lita Ford.
Ma dopo l'ondata grunge dei primi Novanta,
il gruppo perde seguito e stimoli e si scioglie (una
storia già sentita...), per riformarsi solamente
nel 1999, spinti da una piccola etichetta Newyorkese
che possedeva il loro ultimo master, con la formazione
originale. Ed eccoci qui a recensire questo ultimo
lavoro, un lavoro maturo e forse lontano da quell'irruenza
tipica dell'hard rock americano targato Eighties...
un lavoro che va a pescare da molte influenze, probabilmente
accumulate nel corso degli anni, ma che non perde
un colpo in quanto a classe e qualità delle
composizioni.
Devo ammettere che è difficile recensire un
gruppo del genere: a me sono parsi vicini ai Savatage
di "Streets..." per quanto riguarda
l'opener "Room to Breathe", ma sono stato
subito indotto ad avvicinarli a Santana
per quanto riguarda la successiva "The Bed I
Made", canzone con quel flavour latino americano
e con quel suono di chitarra "low-gain"
tipico del ben noto chitarrista sopracitato.
Si va su territori più vicini
allo street rock per quanto riguarda le canzoni successive,
un po' vicine agli ultimi Aerosmith
con degli inserti a volte crossover e funkeggianti,
soprattutto per quanto riguarda la trama ritmica di
basso e batteria ("Bleed" su tutte). Il
dischetto si conclude con una bella ballad, "Living
in sin", che nulla toglie ma nulla aggiunge alla
qualità dell'album, con il suo sapore un po'
blues e un po' country, che mi ricorda quella formuletta
magica di mix tra rock e blues tanto cara ad un certo
Gary Moore.
Un bell'album in definitiva, composto e suonato da
musicisti di talento, non certo alla prima esperienza
musicale, che però credo venga apprezzato maggiormente
sul suolo americano che non qua nella vecchia Europa,
dove forse siamo abituati ad altre sonorità.
Ascolto consigliato!
Paolo Pirola
top
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PARASITE CITY
"Foreplay"
Protain Production
- 2004
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Con un nome così pensavo si
trattasse dell'ennesimo gruppo tributo ai Guns
N' Roses, ma per fortuna questo quintetto
consigliatomi dalla mia corrispondente finlandese
Marie ci regala per Natale un mini CD di 5 pezzi di
musica propria. Le influenze sono riconducibili ad
un'hard rock di chiaro stampo Ottantiano (mavà!?!?)
e pur non facendo gridare al miracolo riescono a farsi
ascoltare, senza esaltare, ma neanche senza troppi
"skip".
Si inizia con "Wasted Youth",
un mid tempo che mi lascia un pò l'amaro in
bocca per quei suoni di chitarra troppo poco incisivi,
nella seguente "Suspense Emotion" capitolano
gli scandinavi Loud N' Nasty, ma
anche nelle successive "Tombstone", "Ashes
To Ashes" e "Touché" continuo
a rimanere perplesso su suoni/produzione che fanno
risultare il tutto privo di mordente.
Moreno Lissoni
top
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BONED
"Up
At The Crack"
Perris Records - 2004
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Ne conosco almeno dieci a cui è
successo. Intorno ai 13/14 anni ti capita fra le mani
un vecchio album degli AC/DC, uno
di quelli con Bon Scott, e ti ritrovi in un'altra
dimensione. Tutto quello che hai ascoltato fino a
quel momento passa in secondo piano e vivi un’
infatuazione per sti cinque maniaci sessuali australiani.
I Boned hanno avuto la stessa genesi: il loro fondatore
a 11 anni ha preso la scossa, a 13 aveva la sua prima
Gibson Sg e a 15 girava i clubs con una cover band
degli AC/DC.
Adesso pubblicano questo album che
fin dal font utilizzato per scrivere Boned si propone
come un tributo devoto a Bon Scott e soci. Dieci tracce
orginali in perfetto stile AC/DC
dove tutti i canoni sono rispettati: dalla struttura
dei pezzi, ai suoni fino all’ irriverenza dei
testi ("Ain't No Talkin' With Your Mouth Full",
tanto per citarne una…).
Un disco godibile, certo la voce è un po’
gracchiante, ma tra tanti che copiano pari pari i
fratelli Young senza nemmeno dire
grazie, viva i Boned che si chinano davanti ai maestri
e realizzano senza troppe pretese un disco divertente
e pieno di umorismo.
Matteo Pinton
top
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BROKEN TEETH
"Blood
on the Radio"
Perris Records - 2004
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Avete agganciato la lavorante del
parrucchiere di fianco al vostro ufficio e finalmente
ci uscite. La ragazza non è certo un pozzo
di scienza ma è divertente. Cena, dopo cena
e finalmente ve la portate a casa. Quando la spogliate
scoprite che non è brutta, un po’ pesante
di culo, qualche grappolo di cellulite qua è
là ma nell’insieme può andare.
Sessualmente lei, poverina, si impegna, ma manca qualcosa,
non c’è quel feeling animalesco che serve
a rendere la notte speciale.
Cosa raccontate il giorno dopo agli amici davanti
ad una birra? (Non fate i furbi, lo facciamo tutti
in certe serate...). Se siete un super Pinocchio abituato
a millantare massaggi alle lap dancers anche se poi
ve ne state ogni sera col telecomando in mano davanti
alla televisione, non ci sono problemi: basta riassumere
la trama dell’ ultimo film porno e il gioco
è fatto. Ma se siete onesti? E’ difficile.
Non potete parlarne male, ma nemmeno bene, la serata
è stata divertente ma non fareste il bis…
Con dischi di questo tipo mi trovo
nella stessa situazione. I Broken Teeth sono una band
esattamente a metà strada fra AC/DC
e RoseTattoo. Attingono a piene mani
da entrambi, non sono male, divertono, ma non fanno
neanche impazzire.
“Blood on the radio” è una registrazione
live con brani tratti dai 2 album precedenti, “Broken
Teeth” (1999) e “Guilty pleasure”
(2002) e, ad eccezione di “Bonfire” non
presenta pezzi nuovi, lasciandoci nel dubbio circa
la necessità di un disco del genere.
L’apertura è grintosa, “She’s
gonna blow” sembra “Beatin’ around
the bush” ma si lascia ascoltare con gusto,
si prosegue con brani in cui sono evidenti i riferimenti
ad un certo heavy metal di vecchia fattura (“Stick
in it” e “Chaingang”) qualcosa ricorda
i nuovi AC/DC (“Hangin by the
skin”), “down to the fire”, forse
l’episodio migliore, ha una forte matrice blues
e “High on danger”, per tornare agli AC/DC,
potrebbe essere un outake di “Flick of the switch”.
Per una serata divertente può andar bene, ma
se poi scoprite che vi manca qualcosa e che non è
certo la donna della vostra vita, beh, non dite che
non vi avevo avvisati.
Matteo Pinton
top
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www.perrisrecords.com
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CHERRY STREET
"Monroe"
Perris Records - 2004
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Quando penso ai Cherry Street sono
due le cose che mi vengono subito in mente: capigliature
impensabili e continui cambi di formazione. Nessuna
glam rock band al mondo ha contribuito quanto i Cherry
Street all’espansione del buco nell’ozono,
e pochi altri gruppi ricordano tante line up diverse
quanto loro. Negli anni sono passati da queste parti
Jamie Scott dei Tyketto, Steevi Jamiz
dei Tigertailz, Roxy Dahl e tanti
altri che nemmeno ricordo.
Qui siamo davanti alla ristampa di
un disco del 1996 uscito come “Monroe”
ora arricchito da 3 bonus tracks. All’epoca
facevano parte della formazione il cantante dei Bulletboys
Marq Torein e Kevin Steel dei Roxx Gang.
Su tratta di glam rock suonato discretamente ma senza
uno spunto di originalità né altro che
faccia rizzare le antenne. I brani scorrono piacevoli
ma alla fine rimane quella sensazione di “già
sentito” che ti fa riflettere sulla necessità
di comprare un disco del genere. Certamente un disco
non tra i piu’ significativi della vostra collezione.
Matteo Pinton
top
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fivehorsejohnson.com
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FIVE HORSE JOHNSON
"The
Last Men on Earth"
Small Stone - 2003
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Gli americani Five Horse Johnson giungono
al loro quarto album con "The Last Men On
Heart", che è un cd che porta avanti
fieramente il sound della band nativa dell'Ohio. "Cry
Rain" è la canzone che apre il nuovo lavoro
della band, inizia con un tocco di psichedelia seguito
da un riff hard grezzo dal sapore blues che conferma
le caratteristiche della band.
La seconda traccia è "Cherry Red"
(di cui potete vedere il video sul sito ufficiale
della band) è certamente uno dei migliori episodi
del disco, e ricorda molto da vicino i ZZ
Top, ma con uno stile più ruvido ed
aggressivo.
L'armonica del cantante Eric Oblander fa la sua comparsa
nel terzo pezzo, "Soul Digger", molto rock
anni '70 sempre riproposto in chiave F. H. J.
Con "Three At A Time" il sound della band
si fa ancora più grasso avvicinandosi molto
agli Alabama Thunderpussy (band con
la quale hanno molto in comune, oltre ad aver spartito
tra loro alcuni palcoscenici), mentre in "Blood
Don't Pay" la chitarra di Brad Coffin suona molto
Led Zeppelin.
Le altre canzoni dell'album tengono
saldo lo stile, un hard rock grezzo con suoni grassi,
riff alternati tra blues e southern rock, a volte
heavy (la voce in particolare), suonato e concepito
benissimo dalla band.
"The Last Men On Heart" è
sicuramente un buon disco, consigliatissimo per gli
amanti di questo "intreccio" tra vecchi
sound che sta riscuotendo parecchi consensi da ormai
5 anni.
Peccato però che i Five Horse Johnson non abbiano
toccato la nostra penisola nel loro tour europeo di
quest'anno, speriamo di vederli dal vivo presto!.
Carlo Mazzoli
top
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www.shotgunbluez.se
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SHOTGUN BLUEZ
"Promo
2004"
Self Produced - 2004
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Ogni tanto mi lamento perchè
molti demo che mi arrivano, sono privi di bio oppure
con i titoli scritti a mano, ma non mi ricordo di
aver mai ricevuto un demo senza adirittura i nomi
delle canzoni!!! Meno male che hanno un sito e posso
recuperarli da li, ma questa cosa gli fa già
perdere qualche punto, ed è un peccato perchè
questo quartetto non è affatto malaccio e le
due tracce presenti sul promo sono assai ascoltabili.
Attivi seriamente dal 2002 i 4 svedesi
hanno già avuto modo di mettersi in luce suonando
da spalla a Entombed, Gluecifer
e Hardcore Superstar e il genere
proposto dal gruppo non va molto lontano dalle sonorità
scandinave di moda negli ultimi anni, ma con un tocco
più ottantiano.
Il primo brano che dovrebbe intitolarsi "Stay"
rubacchia dal repertorio dei WHITE LION
sopratutto il pezzo iniziale quasi da plagio a "Little
Fighter", per niente male il connubio tra
80 e giorni nostri, qualcosa che potrebbe essere definito
come (concedetimi il termine) "hair scan rock".
L'altro brano che compone questo CD prende il titolo
di "The Flame" e si vira verso un sound
più vicino ai Social Distortion,
ma con risultati non troppo soddisfacenti. Ancora
presto per dare un vero giudizio ai Shotgun Bluez,
aspetto il full length.
Moreno Lissoni
top
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www.perrisrecords.com
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A.A.V.V.
"The
Glam That Stole Christmas"
Perris Records - 2004
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C'eravamo lasciati con "We
Wish You A Hairy Christmas" uscito lo scorso
anno per la Low Dice Records e a distanza di un'anno,
puntuale come un goal di Adriano,
arriva l'ennesima compilation rock di tributo al Natale,
questa volta per opera della Perris e la nota positiva
è che nella track list sono presenti due act
italiani.
Si parte in quarta con uno dei pezzi migliori del
CD, "The Greatest Christmas Song Ever Written"
degli American Heartbreak, pezzo
risalente al 2000 e con il classico sound che ha contraddistinto
il gruppo dell'ex JetBoy Billy Rowe,
subito dopo troviamo la bella interpretazione di Ron
Taylor dei Lillian Axe nella lenta
"Here is Christmas" delle Heart.
Kristy Majors ha pensato
bene di rovinare "Christmas (Baby Please Come
Home)" già eseguite di recente anche da
Mariah Carey e Bon Jovi,
mentre è leggermente più positiva la
versione dei Loud 'n' Nasty della
celebre "Christmas Time". Alla traccia numero
5 ecco che arriva il primo dei nostri connazionali,
Chris Heaven & Michael Gapys alle
prese con un pezzo dell'appena citato Jon
Bon Jovi, "I wish everyday could be
like Christmas", ballata dalle perfette atmosfere
natalizie, mentre alla numero 8 sono i Decadenza
con "Dead by X-Mas" degli Hanoi
Rocks a tenere alta la bandiera tricolore.
Altri brani da ascoltare "Winter
Wonderland" dei Big Bang Babies,
pezzo già inserito in "3 Chords and
the Truth" ma vecchio di una cinquantina
d'anni, comunque una graziosa bubblegum song post
bargodi così come "Hooray for Santa Claus"
descritta come "traditional Buddist-Hindu
Christmas song" ed interpretata dai
Fizzy Bangers in questa versione quasi da
Rocky Horror... In chiusura troviamo i Rocking
Scoundrels con la rockeggiante "Rock
'n' Roll Sleigh Ride", i Grayson Manor
nella famosa "Blue Christmas" e
gli American Smash con la punkeggiante
"Nuttin' For Christmas"... meeerrry crriiissssmas!
Moreno Lissoni
top
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www.7thheavenband.com
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7TH HEAVEN
"Sampler
- Vol.1"
Self Produced - 2004
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Ero rimasto favorevolmente colpito
dal loro doppio Cd dal titolo "Silver"
dove la band dell'Illinois riusciva a fondere il classico
hard rock di matrice Def Leppard-iana
con le sonorità da chart americane in stile
The Calling. Questo lavoro che ho
tra le mani, non è altro che una raccolta di
cover in cui Andrew Blake, richard Hofherr, Dan Miller
e Mark Kennetz si divertono a rifare quelle che sono
state senza dubbio la loro colonna sonora di gioventù
e sopratutto le loro maggiori influenze che si riscontrano
ascoltando il loro primo cd.
Ad aprire il lavoro è un medley
di quasi 23 minuti dove ci sono presenti oltre 20
estratti di canzoni, da "Wanted Dead or Alive"
(Bon Jovi) a "Pour Some Sugar
On Me" (Def Leppard), da "Black
In Black" (AC/DC) a "Sweet
Emotion" (Aerosmith), da "Shout
At The Devil" (Motley Crue)
a "Sweet child O' MIne" (Guns N'
Roses) e così via...
Terminato il medley ecco arrivare la prima cover completa,
"In The Air Tonight" di Phil Collins
seguita da "Somebody's Baby" di Jackson
Browne e da "Boys Of Summer" di
Don Henley. Tra Police,
Dead or Alive, ecc.. si arriva alla
nona canzone di questo cd non proprio indispensabile.
Moreno Lissoni
top
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www.spiralsite.com
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SPIRAL
"Air
Cargo"
Self Produced - 2004
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Singolo di 3 pezzi per questo quintetto
di Helsinki nato nell'estate del 1999 per mano dei
chitarristi Hemi e J. Rude, ma che raggiungono una
formazione stabile nel 2001 anche con l'ingresso della
vocalist Stiina già sentita alla voce nel CD
dei Vanity Ink. Se ci fosse una versione
femminile di Glitz o Him
probabilmente si chiamerebbe Spiral perchè
le coordinate sonore su cui viaggia questo "Air
Cargo" virano decisamente su un rock moderno
dalle tinte gothicheggianti ma con largo spazio alla
melodia, una sorta di goth rock da classifica.
"Grabbing The Air" presenta
una massiccia dose di chitarre acustiche che mettono
in primo piano la voce della bionda Stiina, "Star"
ha delle atmosfere più darkeggianti mentre
"Kiss Or Kill" esce direttamente dal repertorio
Ville Valo-iano. Sito, CD, registrazione...
tutto perfetto, mi sa che sentiremo ancora parlare
ancora di loro.
Moreno Lissoni
top
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www.perrisrecords.com
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GUN SHY
"After
Dark"
Perris Records - 2004
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Inizio a pensare che Tommy Crash sia
un parente di Tom Mathers altrimenti
non vedrei il motivo di spendere soldi per stampare
i SINN prima e i Gun Shy ora perchè
non si tratta affatto di capolavori del genere, ma
di album di stra-abusato hair metal senza infamia
e senza lode. Il quintetto è qui presente con
la ristampa del loro album con l'aggiunta di 8 bonus
track, di cui la metà sono live, ma vista la
registrazione, se ne avrebbe fatto volentieri a meno...
Il disco prodotto da Michael Kelly
Smith (Britny Fox, Razamanaz)
parte con gli hard rock pallosi di "Helluva Time"
e "Mr. Lonely", ma si riprende un pò
con la power ballad di scuola XENON
"Cry In the Night" e con l'arena rock di
"Hold On to Yesterday" dove gli Heavens
Edge e i Jailhouse giocano
un ruolo fondamentale. A Parte queste due salverei
anche il pop rock di "Wonderland", ma per
il resto siamo davvero lontani dal definirlo un bel
disco. Solo per incalliti hair-metallers!
Moreno Lissoni
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SEXY DRIVE
"Demo"
Demo - 2004
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Leggendo la biografia di questo gruppo
scopro che nascono a Parto nel 1998 dall'unione di
due gruppi: gli Unsane Pleasure e
i Ganzi e Rozzi attingendo al sound
degli anni '70 di gruppi come Kiss
e T-Rex strizzando l'occhio al glam
californiano con sprazzi di surf e garage.
Il demo consta di sette canzoni che
come stile vengone ben descritte qui sopra, partendo
con il surf rock'n'roll di "Get Naked" e
proseguendo con "Scent Of Woman" che si
avvicina al GILBY CLARKE solista.
Le tracce vanno via piacevolemente anche se Cisvo,
Tony, James e Bandit avrebbero potuto curare un pò
di più il tutto.
Moreno Lissoni
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www.ironhorseband.com
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IRON HORSE
"Bring
It On"
Compendia Music Group
- 2004
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Secondo lavoro per la nuova band di
Ron Keel, band nata in Italia dall’incontro
dello stesso cantante con il batterista siciliano
Gaetano Nicolosi e dedita per chi non lo sapesse a
sonorità riconducibili al southern rock ma
definita dagli stessi come una band di Hard Rockin’
Southern Country Metal...
In effetti anche se la definizione può apparire
un tantino strana si possono trovare nel sound della
band che ha la sua base operativa in Tennessee tutti
gli elementi sopra descritti, dando vita ad un sound
molto personale che potrebbe piacere a diverse tipologie
di rockers.
Rispetto alla prima release del 2001 su Melodic Mayhem
Music la line up è cambiata con l’inserimento
di un tastierista che si occupa anche di suonare strumenti
come l’armonica, il banjo e il mandolino e il
cambio del chitarrista e si avvale come produttore
di un grande nome come Kevin Beamish alla consolle.
“Three Sheets to the Wind” apre il cd
alla grande, southern rock alla massima potenza con
un grande Ron Keel, mentre la title-track è
uno dei pezzi che più si avvicinano all’alternative
country di artisti tipo Toby Keith o
Travis Tritt con un uso massiccio
di armonica... pezzo questo scritto da Ron Keel insieme
al chitarrista della Marshall Tucker Band, George
Mc Corkle.
Alla traccia numero 3 invece troviamo
“American Thunder”, vero e proprio hard
rock anthem che si stampa in testa dopo 2 ascolti
con un grande lavoro di Jay Rusnak alla chitarra e
di Gaetano Nicolosi alla batteria.
“The Other Kind” (pezzo scritto da Steve
Earle) e “I Can’t Stop You”
ci mostrano invece il lato più soft della band,
e particolare menzione meritano gli arrangiamenti
e il cantato di un Ron Keel davvero perfetto nella
parte.
Arriviamo poi a quello che potrebbe diventare un classico
del southern rock... "Dixie Highway" cantato
da Ron Keel insieme a Henry Paul dei Blackhawk,
storica band del country americano.
“The Best Move” è uno dei singoli
del cd... brano perfetto da trasmettere alle radio
americane che per struttura ricorda gli eighties e
bands tipo Tangier o Cinderella
per intenderci.
Meritevoli di essere menzionate poi sicuramente la
polverosa “Haunted Saloon” e la blueseggiante
“Half Past Goodbye” e la conclusiva e
sognante “One Hell Of A Ride”, altro pezzo
di malinconico southern da applausi.
Ricca anche la sezione multimediale con i videos di
“American Thunder” girato durante lo show
al Texas Motor Speedway del 2003 e di “The Best
Move” ripreso in studio e un parte chiamata
“Meet The Band” in cui i 5 si raccontano
e raccontano la storia della band.
Disco da avere assolutamente per gli amanti delle
sonorità southern e per tutti quelli che amano
la buona musica... scrivete direttamente alla band,
potete farlo anche in italiano contattando direttamente
Gaetano alla mail ciaogaetano@yahoo.com.
Federico Martinelli
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www.firealley.com
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FIRE ALLEY
"Scorcher"
Self Produced - 2004
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Con base a Scottsdale in Arizona ecco
arrivare i Fire Alley, gruppo nato nel 1997 per opera
del veterano Jack "Jaxxon" Schwarz, James
Welch e di Mark Blythe a cui si è aggiunto
nel 2002 il batterista Michael Scott e nello stesso
anno realizzano il loro esordio discografico distribuito
dalla Nightmare Records. Dopo 2 anni rieccoli con
il loro secondo album che potrà soddisfare
quell'audience che ama il rock melodico anni 80 anche
se a mio avviso si tende troppo a rubacchiare a destra
e sinistra. So che è quasi impossibile essere
originali in questo settore visto che ormai è
stato iperspremuto, ma avrei preferito che certi riff
o melodie fossero un pochino più personali...
Detto questo, non voglio dire che "Scorcher"
sia un brutto disco, le 12 canzoni che lo compongono
sono ottimamente suonate e registrate, solo che se
uno ascolta "Typical Rock 'N' Roll" non
può fare a meno di dire "ohh cazzo, i
Badlands!", oppure sentitevi
i primi 15 secondi di "Victim Of The Night"
e ditemi se non è un plagio a una certa canzone
dei Motley Crue... "Was It Love?"
è 100% JOURNEY, mentre è
da quando ho ascoltato il party rock di "One
Big Party" che sto facendo girare i miei due
neuroni per tentare di capire a chi assomiglia!
...Altri buoni episodi del CD il mid tempo di "She's
A Deceiver" e la lenta ultra Eighties di "Tears
And Promises".
Moreno Lissoni
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www.fatnancy.com
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FAT NANCY
"Demo"
Demo - 2004
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Ecco qui i primi assaggi offerti dai
Fat Nancy (ex Uncle Max's Cosmic Band)
di Alex Mitchell, leader dei Circus Of Power,
che ho avuto la fortuna di ascoltare in questo demo
che delinea chiaramente il sound della band, che per
ora è impegnata a presentare
il loro prodotto alle label.
La band punta molto sui live nella parte ovest degli
U.S.A. visto che ha da poco definito la line up, dopo
il cambio completo della sezione ritmica e l'aggiunta
di un nuovo chitarrista.
Ascoltando "Touch The Sky"
e "American Monster", già si notano
le radici degli U.M.C.B. che comunque vengono "rockeggiate"
alla grande. Come già si era capito nei 2 album
del 2003 ("Plastic Gator Machine" ed "Uncle
Max's Cosmic Band"), la voce di Alex è
la stessa, bella e carica, del periodo '88-'93.
"Sweet Julie Brown" suona molto anni '70
mentre "Secret Love" fa sentire molto lo
zampino del genio pazzoide Billy Tsounis, che in quanto
ad originalità è stupefacente.
La penultima canzone, "Man On
The Hill", è carica, rockeggiante, coinvolgente
ed infine l'ultimo pezzo "Dance Little Suzy"
è una scarica di puro Rock'n'Roll, con spruzzate
punk di tipico stampo Motorhead.
Gran pezzo, che con i suoi 2 minuti di pura energia
riuscirebbe ad infiammare qualsiasi pubblico.
Ammetto che sono rimasto notevolmente sorpreso da
questo demo, forse avevo sottovalutato i sampler presenti
sul sito, ma la band spacca di brutto, ha elementi
con molta esperienza e "Showbiz Al" resta
sempre una garanzia nel Rock'n'Roll.
I Fat Nancy promettono benissimo... ora attendiamo
le conferme aspettando per l'uscita dell'intero album
debutto.
Carlo Mazzoli
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by Slam! Production® 2001/2007
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