THE TREATMENT “This Might Hurt”

Ho passato la settimana precedente al concerto di Alice Cooper cercando di convincere tutti quelli che conoscevo di arrivare per tempo per non perdersi il gruppo di supporto, la cui presenza nel tour era praticamente sconosciuta se non fosse stato per il sito delle band stessa che segnalava le date. Francamente mi sfugge il motivo di non pubblicizzare per niente la presenza di un supporto, soprattutto quando il valore della band stessa è notevole. il cd che vado a recensire è la nuova versione del debut album della giovanissima band inglese già uscito mesi fa su etichetta Powerage (quella del giornale britannico Classic Rock) riveduto e corretto per renderlo più appetitoso anche a chi aveva già la precedente versione.

Quello che mi ha stupito fin dall’inizio dei Treatment è stata la loro giovanissima età in relazione alla qualità delle canzoni, come se la band fosse in giro da molto più tempo di quello che i loro 20 anni o poco più ci indicano. Un esplosivo mix di classic rock britannico (Bad Company, Free, Led Zeppelin) e vizioso rock’n’roll d’oltreoceano (Aerosmith, Guns n’ Roses) con la benedizione di Angus Young e compagnia. E’ impossibile non battere il piedino per esempio con i due singoli, “The Doctor” e “D**K, F**K, **T (non presente nella vecchia versione del cd), in cui riff trascinanti si fondono con cori davvero ben fatti, o non sbattere la capoccia ascoltando “Shake the Mountain ” con un riff che più classico non si può, di quelli che dici “già sentito” ma che poi ti conquista in un minuto.

Bella anche la semi-ballad “Nothing to Lose But Our Minds”, un tributo lampante alla classica “All the Young Dudes” di Motthoppliana memoria. Uno dei punti di forza di band poi è sicuramente il cantante Matt Jones, ugola di quelle classiche, senza troppi fronzoli o tecnicismi e degno erede di una tradizione britannica che dovrà prima o poi trovare i propri eredi. Detto che in in paio di pezzi come “I Want Love ” e “Lady of the Light” mi hanno ricordato un’altra band britannica che secondo me ha raccolto molto meno di quanto meritava, ovvero gli Skin di Neville McDonald e Myke Gray, non posso far altro che consigliarvi vivamente di dare una possibilità a questi cinque baldi giovanotti inglesi, la sopravvivenza di un certo tipo di suono passa anche di qui.

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