Si riuniscono i Guns N’ Roses con quei venti anni di ritardo e ci rimani lì di stucco, dopo che ci sono stati pure dischi degni di nota – sia nel bene che nel male – come Libertad dei Velvet Revolver e quel polpettone riscaldato fino alla noia de Chinese Democracy, dove abbiamo assistito ad un Axl goes Mercury che, per buona pace dei preparatissimi musicisti coinvolti, ha fatto storcere più di un naso.
Se poi hai letto la biografia di Slash e lui ti ha detto: – Discorso chiuso – è ovvio che la notizia ti fa volare fuori dalle scarpe.
Fatto sta che è ufficiale.
Ad aprile i Guns N’ Roses suonano al Coachella Festival in formazione originale anche se cosa si intenda con originale non è ben chiaro.
All’appello ci sono Axl, Duff e Slash e chi vivrà vedrà, diceva un tizio.
Per ora è Billboard a parlare quindi noi ci crediamo e torniamo con la mente a quello splendido album che è Appetite for Destruction, cercando quanto più possibile di scorporarlo da quell’aura di boy band che in tanti accusano ai Guns N’ Roses.
In teoria: un album come tanti altri della sua generazione. In pratica: l’abc dello street metal. Per quanto mi riguarda, Appetite for Destruction è un album seminale, quindi non posso che essere di parte. Ovvio, un paio di perplessità le ho pure io.
Necessario o non necessario, dove si intende ‘a scopo di lucro o no’, a questo punto della storia non è davvero più rilevante. Mi si perdoni la veste da recensore dei miei stivali che non mi si addice né il linguaggio forbito né tantomeno giudicare l’altrui operato.
Personalmente, quando smetto i panni di maestrino scoreggione, metto la puntina sul disco e faccio parlare la musica. Quella dei Guns, a ben guardare, è una leggenda. Si prenda ad esempio la gestazione decennale di Chinese Democracy appunto, dove si è aspettato qualcosa per i primi anni, fino a fine anni novanta diciamo, poi non è stato più credibile.
È scaduto il tempo.
Il pezzo su Last Action Hero (non era Last Action Hero, ma End Of Days .nds), “Oh my God” del ’99, giá ci stava preparando ai Guns N’ Roses senza capo né coda del nuovo millennio. Chiaro, sono solo punti di (s)vista, ognuno vede in una leggenda quello che meglio crede. È come dire: Robin Hood è un eroe, Robin Hood è un ladro.
Ognuno la vede a suo modo dopo tutto.
Rimanendo ai social networks, la reunion si farà quindi non resta che aspettare ulteriori notizie.
Del resto anche gli Zeppelin hanno suonato un solo concerto qualche anno fa e per fortuna che non sono finiti in studio a fare le covers di loro stessi cosicchè Robert Plant abbia potuto registrare un disco incantevole come ‘Lullaby and… The Ceaseless Roar’. Sempre e comunque punti di (s)vista.
In attesa di news – tra le quali ohibò una smentita – vale davvero fare una concisa retrospettiva su quello che è accaduto dall’uscita di The Spaghetti Incident? fino alla ricomparsa del logo ufficiale sul sito della band.
Sarebbe un peccato arrivare al giorno della fantomatica reunion senza prima avere analizzato l’elemento umano dietro la macchina.
Tranquilli, non sto per raccontarvi vent’anni in venti righe, che sarebbe grossolano e comunque palloso, preferisco piuttosto lasciarvi una lista dei dischi pubblicati dagli ex componenti dei Guns N’ Roses; quelli migliori che hanno in sé il piglio del rock’n’roll come Satana comanda.
Quelli che se te li perdi è un’oretta in meno di divertimento che vivi. Una barbarie. Che il divertimento, di questi tempi bui, è d’obbligo. Lasciamo dunque da parte quel logo che tanto ha infervorato i nostri sogni quando eravamo ragazzini che tanto, sará quel che sará. Dopotutto i Guns N’ Roses non sono certo passati alla storia per la loro affidabilitá.
Si parla di tre milioni a concerto e non è un mistero: c’è crisi, il mercato musicale sta inavvertitamente continuando a generare mostri.
A noi onestamente, di questo lato in giacca e cravatta non è che freghi poi tanto, anzi.
Lasciamo parlare la musica che lei tutto sommato ha sempre ragione.
O quasi.
Izzy Stradlin & The Ju Ju Hounds “Izzy Stradlin & The Ju Ju Hounds” (1992)
Un concentrato di emozioni in un disco accattivante, dove è il song writing di Izzy a farla padrone, tra echi di Rolling Stones, Chuck Berry e, non pago, musica reggae. Menzione d’onore al rifforama di Rick Richards (Georgia Satellites) che è praticamente un marchio di fabbrica.
Gilby Clarke “Pawnshop Guitars” (1995)
Dal ritmico più sottovalutato di sempre – ingiustamente visti anche i precedenti con Candy e Kill for Thrills – un album da non perdere, con tanto di Axl che se la canta su “Dead Flowers” degli Stones e Slash che fa la parte di Slash in un paio di pezzi. Un disco eterogeneo che miscela tutti i generi che ci fanno venire la pelle d’oca.
Slash’s Snakepit “It’s Five O’clock Somewhere” (1995)
Un disco con un suo perchè. Forse un po’ narcisistico sì ma è giusto così, specie quando te la suoni come Slash. C’è davvero poco da dire su questo disco che non suoni scontato essendo questo un esercizio di luoghi comuni. Cliches suonati divinamente, si intende, e che suono!
The Racketeers “Mad for the Racket” (2001)
Dall’unione di niente popò di meno che Wayne Kramer degli MC5, Brian James dei Damend e il palestratissimo Duff Mckagan, con l’alternarsi dietro le pelli di Stewart Copeland (!) e Clem Burke (!!), escono fuori ‘sti Racketeers che non aggiungono niente di nuovo ma non falliscono nell’intento di confezionare un buon disco di r’n’r… E va beh, niente che ti faccia gridare al miracolo, ma come si suol dire da queste parti it worths a spin.
Col. Parker “Rock and Roll Music” (2001)
Gilby Clarke, coadiuvato da Slim Jim a martellare i barili e Muddy Stardust alla chitarra, fa centro ancora una volta con un album di melodie orecchiabili che vanno dritte al punto in un miscuglio di glam, blues, power pop, tradizionale americana e sacrosanto rock’n’roll. C’è pure il sempreverde Teddy ZigZag Andreadis a suonare armonica ed organo e due cover – che nei dischi di Gilby non mancano mai – molto ben riuscite di “Merced Benz” di Janis Joplin e “Pills” di Bo Diddley.
Velvet Revolver “Libertad” (2007)
A ben guardare: l’ultimo vero grande ruggito di Scott Weiland; in un disco che è rock che più rock non si può… È rock pure nelle ballads e qui si è veramente detto tutto.
Se il primo album aveva un po’ impensierito, con Libertad si sono messe le cose in chiaro, su questo non ci piove.
Slash feat. Myles Kennedys and The Conspirators “Apocalyptic Love” (2012)
Niente sorprese neanche stavolta. I cliches di Slash ci sono tutti: dal cappello a cilindro ai trucchi con il wah wah. Menzione al ‘bassista’ Todd Kerns, piccolo diamente del rock’n’roll che piace a noi.
Di Axl sappiamo peste e corna, perfino che apprezza Taco Bell.
A noi non resta che mettere il VHS del live a Tokyo e berci un altro Jack. Giusto così, per vedere che effetto fa.
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Mass Veneri