Alessandro Pittoni è il regista della docuserie “Orgia Fuxia”, un ritratto intenso e appassionato sulla scena rock di Padova degli anni ’90 e 2000. La serie racconta la storia di una generazione di musicisti che hanno contribuito a plasmare il suono e l’immagine di una città, attraverso concerti, feste, performance e incontri che hanno creato una comunità molto forte e coesa.
Attraverso le sue interviste e le immagini d’archivio, ha saputo cogliere l’essenza di un’epoca e di una cultura musicale che ha lasciato un segno indelebile nella storia della città e in questa intervista, ho l’occasione di approfondire la sua esperienza nella realizzazione del documentario e di scoprire quali sono state le sfide e le emozioni che ha vissuto durante la produzione di questo lavoro.
Ciao Ale, presentati ai lettori di Slam! e dimmi com’è nata la tua passione per la musica?
Ciao Moreno, innanzitutto volevo ringraziarti per quest’intervista!
La passione per la musica nasce da bambino grazie agli ascolti di mio fratello maggiore (Guns n’ Roses su tutti) e si è consolidata nell’adolescenza. In particolare entrai in fissa con il glam rock quando vidi i Bastet per la prima volta dal vivo. Mi innamorai subito del genere e da lì il passo fu breve. Cercai di ascoltare tutto quello che riuscivo a recuperare. Oltre ai gruppi più famosi, la cui musica era facile da reperire, persi la testa per Alleycat Scratch, Shotgun Messiah, Demolition 23, Shake the Faith, Star Star e vabbè hai capito. Inoltre come sai cito anche Slam! come grande influenza: è stata la mia webzine di riferimento ad inizio anni 2000 e mi ha permesso per la prima volta di entrare in contatto con l’underground rock italiano che amavo. Grazie a Slam! e al suo forum ho scoperto diversi gruppi italiani fenomenali, penso a Miss Daisy, Smelly Boggs, Jolly Power, solo per citarne alcuni. In particolare “Fashion, milk & smoking pills” è uno dei dischi più clamorosi mai ascoltati!
Grazie a te per il sostegno! Non tutti sanno che hai fatto parte della scena padovana e che sei stato nei Baby Ruth…
Porto dei ricordi meravigliosi. Tra la fine degli anni 90 e l’inizio del 2000 c’era a Padova un fermento musicale incredibile. Quasi ogni adolescente suonava in una band e c’erano tanti locali che proponevano musica originale dal vivo. Ancor più incredibile pensare che si fosse creata una scena hard rock che contava almeno una quindicina di gruppi attivi che suonavano con regolarità anche fuori da Padova e dal Veneto, con mentalità ed attitudine da veri professionisti. Tra questi citi giustamente i Baby Ruth, di cui ho avuto anche l’opportunità di fare parte durante la mia breve esperienza come cantante. Ho un bellissimo ricordo di quel periodo. Erano rimasti solo GG Rock e Alex T. Vine come membri storici della band, ed entrambi sono a tutt’oggi miei buoni amici. Poi personalmente ritengo la formazione originale della band quella più completa e che ha dato i risultati migliori!
A proposito di Baby Ruth, “Mr. right hand man” è a mio parere il miglior album uscito da quella scena in quegli anni (e non solo)… mi rendo conto che chiederti una classifica dei tuoi gruppi preferiti, potrebbe ritorcerti contro, quindi ti chiedo qual è la tua top five dei concerti (della scena padovana) a cui sei stato.
Concordo con te, i Baby Ruth con “Mr. Right hand man” fecero uscire un disco davvero potente. Poi avevano attitudine e dal vivo spaccavano il culo. Potevano diventare gli Airbourne italiani. Guarda ti dico candidamente che all’epoca i Baby Ruth erano tra i miei gruppi preferiti della scena, insieme a Crackhouse e Bastet.
Li metto infatti tutti dentro la mia top 5 dei concerti della scena padovana dell’epoca:
- Bastet (di spalla agli Hollywood Teasze), CSO Pedro (PD), 2000.
- Crackhouse, Country Star (PD), 2001.
- Baby Ruth, Backstage (PD), 2003.
- Statobardo, Bastioni Alicorno (PD), 2003.
- Acajou, CSO Pedro (PD), 2002.
Va detto che non ho mai avuto l’occasione di vedere dal vivo i Frutteti Riarsi, a mio avviso la band padovana che più di tutte ha segnato una generazione.
Faccio un passo indietro, com’è nata l’idea della docuserie?
L’idea di “Orgia Fuxia” nasce durante il periodo del lockdown dettao dal Covid, diciamo aprile 2020. Ho riflettuto su quei progetti che avrei voluto realizzare ma che non trovavo il tempo di portare avanti. Al primo posto c’era raccontare la scena musicale underground degli anni 90 della mia città, Padova. Ho capito che era arrivato quel momento. Così ho messo in piedi una produzione molto snella e molto punk, e a luglio 2020 siamo partiti a girare le prime interviste. Nel giro di 12 mesi, con in mezzo un secondo lockdown a rallentare il tutto, abbiamo terminato gli shooting. Quindi siamo giunti alla fase di montaggio, durante la quale è stato chiaro come il formato più idoneo per il nostro documentario fosse quello della serie. Siamo riusciti a scrivere la parola fine solo nell’estate del 2022, presentando a settembre il progetto in due serate al Chiosco, bellissimo locale di Padova. E le serate sono state un grande successo!
Il materiale video di repertorio, non sempre rende giustizia alle band e al documentario, ma quali sono state le difficoltà maggiori che hai riscontrato?
“Orgia Fuxia” è un prodotto super low budget, quindi gran parte del riversamento in digitale del materiale d’archivio recuperato da band e fan l’ho effettuato direttamente io. Purtroppo la qualità non sempre è buona, ma questo deteriorarsi dell’archivio a causa del passaggio del tempo fa parte del linguaggio che ho voluto adottare. Il tempo passa e cancella i ricordi e anche il ricordo di quel periodo piano piano sarebbe andando svanendo, se non avessimo deciso di documentarlo.
Apparte questo, sono stato molto fortunato, in quanto praticamente tutte le persone che ho contattato si sono lasciate coinvolgere in maniera entusiasta dalla mia iniziativa. E sono stati tutti molto generosi nel fornirmi foto, flyer, cd, locandine e vecchie vhs dimenticate in garage!
Ricordo che mi dissi che alla serata della presentazione c’era la fila per entrare nel locale… che ricordi hai dell’evento e quali sono le soddisfazioni o i migliori complimenti che hai ricevuto?
“Orgia Fuxia” non nasce da una logica commerciale, ma da una mia esigenza personale di documentare un periodo musicalmente pazzesco che ha vissuto la mia città, e che è coinciso con un periodo meraviglioso della mia adolescenza. Dunque non sapevo bene che tipo di riscontro di pubblico avrei potuto ottenere. E il risultato ha superato le mie aspettative. Abbiamo avuto quasi 800 presenze complessive nelle due serate di presentazione effettuate a fine estate 2022. Questa risposta di pubblico, insieme ai ringraziamenti ricevuti dai musicisti coinvolti, mi ha ripagato di tutti gli sforzi profusi e riempito di felicità!
Se dovessi farne un seguito, come sarebbe? Rifaresti tutto allo stesso modo o questa esperienza ti ha insegnato che meglio evitare nel mondo del rock and roll?
Rifarei tutto allo stesso modo! È stata un’esperienza bellissima che mi ha arricchito tanto, soprattutto umanamente.
Metti che domani ti piove dal cielo un budget infinito per realizzare il documentario dei tuoi sogni, su chi/cosa sarebbe e chi farebbe parte del tuo staff per realizzarlo? Osa come se non ci fosse un domani…
Beh, non ti nascondo che mi piacerebbe tantissimo poter realizzare un documentario sulla scena hair metal losangelina di fine anni 80 inizio anni 90. Quelle band che sono arrivate troppo tardi e sono state maciullate dal grunge. Penso a Tuff, Pretty Boy Floyd, Alleycat Scratch per citarne alcune. Quei gruppi che avevano le carte in regola per farcela ma erano semplicemente nel posto giusto al momento sbagliato.
Mi piacerebbe poter gestire la produzione con una troupe leggera di appassionati del genere… vedremo!
Ho vissuto la scena da fan, ricordo trasferte last minute per andare a vedere Baby Ruth e Naughty Whisper in qualche locale di Vicenza, i Bastet in quasi tutti i locali della Lombardia e una serata all’Indian Saloon con Crackhouse e Pouty Lips… avrei tanto voluto vedere anche i La Rox, ma ahimè, sono arrivato tardi… Cosa mi puoi dire in più sulla band e come sei riuscito ad intervistare Kelly Gray?
I La Rox fanno parte della mitologia rock di Padova. Mito alimentato da chi ha avuto la fortuna di vederli dal vivo e ha trasmesso il ricordo di una band incredibile, che sembrava davvero uscita dal Cathouse di L.A. in termini di look, attitudine e resa dal vivo.
Ho potuto ricostruire la loro storia grazie al grande aiuto del loro bassista, Simon J.D. Dredo, che mi ha fornito una quantità incredibile di materiale d’archivio, tra cui il video del loro mitico live al Troubadour del 1992. È stato proprio lui a mettermi in contatto con Kelly Gray, cantante della band dall’eccezionale carisma. Tuttavia essendo Kelly Gray residente a Soverato, piccolo paesino della Calabria, la sua intervista è stata la più complessa da gestire, ma ho voluto fortemente che lui fosse presente nella docuserie, per cercare di ricostruire nel modo più fedele possibile la storia della band. Quindi gli ho mandato via mail le domande e spiegato come abbiamo gestito le inquadrature, per dargli modo di realizzare la sua intervista in autonomia. Cosa che Gray ha fatto, e lo ringrazio di nuovo per la grande disponibilità che mi ha dato!
Non ho mai avuto il piacere di conoscere Alex De Rosso, ma dopo la puntata dedicata a lui, non vedo l’ora di andare a un suo concerto… tra le persone che hai incontrato in questo viaggio, chi ti ha colpito di più? …è nata qualche nuova collaborazione?
Alex De Rosso è un’altra di quelle figure di cui tutti noi ragazzi dell’epoca avevamo sempre sentito parlare. Cioè, parliamo di un chitarrista che è riuscito a realizzare il sogno di andare a suonare con la sua band preferita, i Dokken! Credo che la sua puntata sia la più riuscita in termini di chiarezza di messaggio. Se ce la metti tutta, a volte i sogni si avverano. Tra l’altro Alex è una persona di un’umiltà e disponibilità unica, è stato un vero piacere conoscerlo.
Un altro effetto molto bello della docuserie e che ha risvegliato la voglia di suonare in molti degli intervistati. Addirittura qualcuno parla di una reunion dei Bastet… sarà vero?
Eh! Faccio un elenco dei gruppi che in qualche modo ruotano intorno al mondo Slam!, dimmi la prima cosa che ti viene in mente:
Baby Ruth: Alex T Vine e la sua cravatta pitonata
Bastet: il trionfo dello stile sulla sostanza
Crackhouse: il riff di Liar Liar
Lovin’ Dolls: Dr. Glam, il bassista
Pink Lizard: alla chitarra il Warren De Martini di Padova
Side One: il capello cotonato di Nasty Nikky
Di tutti i gruppi che sono presenti nella docuserie ce n’è qualcuno che non siete riusciti ad inserire o al contrario, qualcuno che avrebbe voluto esserci e l’avete “bocciato”?
Ho cercato di includere tutte le band di cui portavo ricordo. Chiaramente ho fatto delle scelte dettate dal mio vissuto, non ho mai avuto la pretesa di raccontare esattamente i fatti come si sono svolti. Per ragioni produttive ho poi dovuto mettere un tetto agli intervistati, che sono comunque tantissimi (più di 50). Dunque ad esempio ho voluto inserire Casey, chitarrista degli Stp ma ancor prima degli Stooze Mobile, band di Rovigo, perché è sempre stato molto vicino alla scena. Non ho detto di “no” a nessuno, e fortunatamente ne ho ricevuto solo uno. Quello di Carmen Ronzoni, batterista dei Bastet, che non ha voluto farsi intervistare. Mi dispiace molto, penso che sarebbe stato interessante ascoltare il suo punto di vista sul percorso della sua band.
Ho visto che state organizzando una serie di eventi legati alla docuserie, cosa mi puoi dire e cosa dobbiamo aspettarci per il futuro?
Sai Moreno, dopo le due serate di presentazione ho deciso di riproporne una a Natale scorso, ed anche in quell’occasione abbiamo riempito il locale. Quella sera abbiamo proiettato il backstage della serie. Ora tutte le puntate e il backstage sono disponibili sul canale You Tube di Padova Stories, ma le serate “Orgia Fuxia” andranno avanti, nella formula di concerto live di band underground + dj set rock anni 90. Pensavo fosse solo un mio desiderio, invece ho intercettato questo interesse nel pubblico, quindi si va avanti!
Sto inoltre già pensando ad alcune idee per la seconda stagione della docuserie. Vorrei raccontare un’altra sottocultura musicale. Potrebbe essere la scena underground odierna di Padova, o magari allargare l’indagine alla scena italiana rock underground anni 90/2000. Dipende dal budget che riuscirò a recuperare, ovviamente.
L’obiettivo comunque resta sempre lo stesso: tenere vivo l’interesse per il rock underground e per l’attitudine rock, perché non vengano dimenticati!
Ottimo… che dire, continua così!