PRETTY
BOY FLOYD IN ITALIA
14-15 Febbraio 2003: 48 HOURS
TO ROCK!
Quelli di voi che ogni tanto leggono
i miei poco professionali articoletti sanno ormai
che per me non e’ una questione di tecnica,
di vendite o di music business, per cui se pensate
di leggere a seguito una seria recensione dei concerti
in oggetto vi invito a cambiare pagina. Fare musica
e’ un modo di pensare, di vivere, di sentire,
non un lavoro. In questa ottica personale, finisco
per rimanere molte volte delusa trovandomi faccia
a faccia con alcuni miei idoli, oppure me ne innamoro
e mi vien voglia di mollare tutto e vivere “on
the road” con loro. I Pretty Boy Floyd meritano
a pieno la medaglia di primatisti del secondo caso.
So che molti lettori erano al Transilvania
quel 14 febbraio, e che quello show ha diviso in due
la platea: c’e’ chi si e’ divertito
un mondo e chi e’ rimasto deluso dalla prestazione
in particolare di Lesli al basso e Chad alla chitarra.
Io non intendo certo venirvi a dire che sono stati
dei virtuosi delle 4 e delle 7 corde rispettivamente,
ma ragazzi, ho il sospetto che dietro il biglietto
non vi abbiano stampato le “istruzioni per l’uso”...
E si eh, uno show dei Pretty Boy Floyd va visto con
un certo spirito per essere apprezzato! Niente paragoni
con band “brave”, niente sguardo critico
sulle corde degli strumenti sopracitati, niente occhiate
bacchettone di disprezzo per il livello alcolico dei
nostri, la parola d’ordine e’ “rock’n’roll
party”! Allora, lanciate in aria gli stivali,
prendete la vostra bottiglia di Jack Daniels e mettete
su “Leather boyz”, che vi racconto come
questi quattro ragazzi in due giorni mi hanno insegnato
a godermela alla grande...
Ci rivediamo a tre giorni dall’intervista
londinese in un ristorante sui Navigli, la vigilia
del debutto italiano dei PBF. L’alcool ha gia’
fatto il suo cammino, ora di andare a caccia di “droghe
da recupero”: mentre tutti ci avventiamo su
una gustosa pizza Les e Chad partono in missione,
precedendoci al locale prescelto per il nostro proseguimento
di serata. Poco piu’ tardi ci ritroviamo tutti
al club, niente droghe e sempre piu’ alcool.
Si ride, si gioca, si balla sui tavoli. L’unico
apparentemente sobrio e’ Steve, che “posa”
solitario in un angolo, gustandosi la scena con un
sorriso, raggiunto di tanto in tanto da Chad, Lesli
e Dish. E Steve non molto piu’ tardi si fa portare
a casa, l’anima piu’ pulita e professionale
della band. Dish scompare il piu’ del tempo,
fa capolino di tanto in tanto finche’ ne perdiamo
le tracce del tutto. Scopriremo il giorno dopo che
ha lasciato il locale e anche il giubbotto con l’indirizzo
dell’hotel, ma un numero di telefono accartocciato
nella tasca dei jeans ci ha garantito uno show completo
di batterista...
Les e’ ormai senza scarpe lamentando
un dolore alla caviglia, “ho un piede rotto,
guarda, guarda! Che male!”; si rimette le scarpe
e esce, “voglio andare a letto”, “Sai
in che albergo alloggi?” “No, ma io da
qualche parte arrivo sempre!” E inizia a camminare...
Riusciamo a riportarlo dentro e poi in albergo, e
ad assicurarci cosi anche un bassista per il giorno
seguente. Chad ce lo portiamo via io e il mio amico
Sheriff, e tra una birra e l’altra si chiacchiera
fino alle 9 del mattino!
Mettiamo su un cd di Robin Black
(grandiosa band di supporto in Gran Bretagna) che
Chad ha con se’, i due gruppi si siano cosi
piaciuti e divertiti da aver deciso di tornare in
Europa insieme a Luglio. Ne parla con l’entusiasmo
di un adolescente al suo primo gig, affascinato dall’indiscutibile
carisma del lead singer canadese; ogni tanto si ferma
per canticchiare le strofe preferite, e poi riprende
a raccontarci le avventure di quei giorni on the road
in Inghilterra. Poi si parla di Keri Kelli.
“Lui e’ fantastico, io non sono come lui,
non sono un buon chitarrista... Pero’ io ho
l’attitude, tutti noi, facciamo casino sul palco,
e a me piace sbattere la testa, cosi...”, e
agita i capelli, “Keri e’ un grande, io
non saro’ mai cosi bravo, ma non m’interessa
anche perche’ lui ha cambiato tante bands e
non appartiene a nessuna, lui e’ Keri Kelli
e’ basta; io preferisco cosi, con i miei amici
in Pretty Boy Floyd, mi diverto un sacco a fare sul
palco Your Mama Won’t Know, Junkie Girl, Shut
Up…”.
E poi si parla di Lesli, del suo carattere
lunatico e di come a volte sia difficile da sopportare,
ma sia comunque il suo migliore amico, quello su cui
sa di poter contare sempre. E via con le storie, gli
aneddoti, i momenti belli e quelli bui, c’era
una volta a Hollywood…
Amicizia, party mood e attitude sembrano essere il
collante che tiene insieme i Pretty Boy Floyd... E
la musica, dov’e’, che parte ha? Alla
fine ci arriveremo…
Il tempo vola; io, Chad e lo Sceriffo continuiamo
a chiacchierare, a bere, a cantare, tutti dimenticando
impegni e appuntamenti per il giorno dopo e dimenticando
tra l’altro di dormire. E da quel giovedi notte
sono caduta in trappola, la splendida trappola dell’incoscienza,
dell’irresponsabilita’ e del Jack Daniels!
Carpe diem…
Per fortuna siamo ancora abbastanza lucidi da ricordare
che e’ ora di riportare indietro Chad, ci sono
gli incontri con la stampa e il sound-check, e un
paio di ore di sonno per me e lo Sceriffo.
Ci rivediamo piu’ tardi al Transilvania.
Tra chi ha dormito male, chi poco e chi per niente,
si fa il sound-check, si prepara il merchandise e
si aprono le porte. Il locale e’ pieno zeppo,
quasi come quel venerdi degli Hanoi Rocks.
La Milano (e non solo) rock trepida in attesa di un’altra
icona dei tempi belli, in sottofondo gli ottimi glamsters
italiani Smelly Boggs, stasera di
supporto.
E finalmente, i Pretty Boy Floyd fanno il loro ingresso
sul palco. L’apertura e’ affidata a una
delle mie preferite, “Your mama won’t
know”, seguita dal manifesto “Rock’n’roll
outlaws” e il classico “Leather boyz”
in un crescendo di glam totale e un calare di trucco
che rivela gli stravizi della notte precedente. Non
ci vuole molto a capire che Chad e soprattutto Les
non sono al massimo, specie quando l’eclettico
bassista tenta di parlare... Onore invece a Steve
e Dish per questa ottima prestazione. Comunque sia,
io mi sto divertendo un mondo. Sono troppo presa a
ballare per preoccuparmi, ma poi preoccuparmi di che?
Si va avanti, suoneremo tutto “Leather boyz”
dice Steve. A parte la sempre splendida “I wanna
be with you”, il “momento accendino”
e’ affidato a “Wild Angel” e “Last
Kiss”, e le danze proseguono con una vecchia
e gradita cover dei Crue, “Toast of the town”,
“Shut up”, “Junkie girl”,
“Good girl gone bad”, un’iniezione
di rock’n’roll con fuoco d’artificio
finale, “48 hours” naturalmente. Dopo
un classico intro dei Ramones, il
bis e’ “Set the night on fire”,
mentre qualcuno cerca di “set Lesli on fire”
tirando un mozzicone di sigaretta. Il bassista (ormai
senza maglietta e con una scritta “Fuck”
sullo stomaco in nastro adesivo nero) risponde, sputando
Jack in direzione dell’offensore e sfidandolo
a duello a pugni, Steve salva tutto, si prosegue col
pezzo finale e si chiude il sipario.
E ora, tutti al merchandise stand,
e poi al bar, in giro per il club a conoscere questi
quattro monelli di Hollywood. Loro si mischiano incuranti
alla folla, parlano con tutti, bevono con tutti, e
nel caso di Lesli lo fanno vedere a tutti, culminando
in una danza seminuda sul palco ormai pubblico del
Transilvania! Rock’n’roll!! Vedremo mai
Bret Michaels versarci vodka giu’ per la gola
dal bancone del bar? Tommy Lee ballare
nudo e ubriaco? Bon Jovi con cd della
support band in tasca chiacchierare con tutto il locale?
Paul Stanley vendere il merchandise? Per questo e
molto di piu’ amiamo gente come i Pretty Boy
Floyd. Sono quattro di noi.
Nel frattempo, tutta entusiasta comincio i miei sondaggi:
allora che ne pensate? Piaciuto? Mah, il bassista
era fatto. Il chitarrista non vale niente. Dish e
Steve erano bravi, ma nel complesso deludente. Questi
sono i commenti delle prime tre-quattro persone che
interpello. Ooops, erano cosi male? Non me ne sono
neanche accorta, ed ero in prima fila. Eppure ancora
non ho bevuto tanto! Continuo a investigare. Tu che
ne pensi, chiedo ad un altro amico… “Fantastici,
mi sono divertito un casino!”, “Ma tutti
dicono che hanno fatto schifo, non capisco, sembra
che abbiate visto due concerti diversi!”; il
mio amico mi guarda con aria interrogativa: “Tu
ti sei divertita?”, “Beh, io… si”,
“E allora era buono! It’s only rock’n’roll
baby!”.
Alla fine della serata ovviamente Dish e’ scomparso,
Steve va a dormire, Chad socializza e Les viene ricaricato
in qualche modo nel van e riportato in albergo. E
io e lo Sceriffo ci organizziamo per andare il giorno
dopo a Ravenna, come se fosse la cosa piu’ ovvia
e inevitabile del mondo. Ormai sono fottuta, ho sviluppato
una dipendenza irrevocabile da quattro americani,
una bottiglia di Jack e sette note. Chiamatemi pure
“Good girl gone bad”, cosi bad che qualche
particolare lo terro’ per me in caso la mamma
capita per caso su Slam…
Comunque, eccoci in quel di Cologno
in un sereno sabato milanese, occhiali scuri da rockstar,
perche’ come loro abbiamo stravizi e notti insonni
da mascherare. Carichiamo la macchina di birre e Redbull
e si parte alla volta del famigerato “Rock Planet”
in quel di Pinarella di Cervia. Come tutte le localita’
di mare in inverno, Pinarella sembra una citta’
fantasma, ma la voce si e’ sparsa che stasera
c’e’ un carico di “sex drugs &
rock’n’roll” in arrivo, e una lunga
fila di macchine presto occupa l’intero parcheggio
del locale.
E qui arriva la mia solita immancabile riflessione
ottimistica: ma se i Pretty Boy Floyd possono portare
tutta questa gente fino a Pinarella di Cervia (!),
sara’ mica davvero che il rock’n’roll
e’ tornato…!?! A me sembra che sia proprio
cosi, si e’ infilato zitto zitto dalla porta
sul retro e ancora non se n’e’ accorto
nessuno, e lui in punta di piedi si sta avvicinando
alle spalle dell’ignaro Limp Bizkit con un minaccioso
piccone… Ecco, lo sta alzando, e’ proprio
sopra l’odiato cranio… 1… 2…
3… Crash!! Suono celestiale di zucca (vuota)
in frantumi, e finalmente e’ finita! Alziamo
il calice e brindiamo a una “nuova vecchia era”,
al ritorno di un amico che stavamo aspettando da tempo,
e brindiamo ripetutamente perche’ al Rock Planet
i drink costano solo un euro e mezzo! Hurrah!!
Io comunque aspetto a bere, voglio essere lucida.
Ho un occhio sui bravi Naughty Whisper
e uno sul backstage. I ragazzi arrivano, hanno fatto
qualche ora di sonno e sembrano piu’ freschi.
Mi piazzo in prima fila. Preparano il palco, Les e
Chad provano gli strumenti, tutto e’ pronto.
Signori, si parte con l’ultimo episodio di quest’avventura
italiana per i Pretty Boy Floyd, sipario!
Senza dubbio qualche ora di riposo
ha fatto il suo effetto, i quattro sono piu’
presenti e sereni rispetto al Transilvania. Il locale
e’ piu’ piccolo ma pieno, il che da’
al tutto un’atmosfera piu’ intima e calorosa.
Steve, Lesli, Chad e Dish sembrano finalmente aver
trovato quell’alchimia che un po’ mancava
ieri. Attaccano con “Your mama won’t know”,
si guardano l’un l’altro sorridenti, io
guardo loro ripensando alle parole di Chad quella
notte, e si, glielo leggi in faccia che si stanno
divertendo e che sono contenti di essere su quel palco.
Il concerto dei Pretty Boy Floyd stasera non e’
un grande evento rock, e’ una piacevole serata
con una band che ama suonare e basta, non lo fa per
un Grammy o un disco di platino. Sono veri, semplici,
al punto che, se anche tu sei un musicista, ti vien
da pensare “Hey, posso farcela anch’io”,
e quasi saliresti sul palco per unirti alla festa.
E sono contagiosi. Presto il pubblico e’ con
loro, e loro con il pubblico. La set list e’
la stessa. Arriva il momento di “Wild Angel”,
“ora siamo solo io e Chad” dice Steve.
Il chitarrista, per quella che e’ la mia opinione
non troppo tecnica ma perlomeno sobria, regge benissimo
la prova. E c’e’ un piccolo momento, un
imprevisto che da’ la misura dell’intesa
che corre stasera tra i ragazzi: il microfono di Steve
non funziona piu’, lo portano via. Ieri lo spazio
sarebbe stato riempito con un rantolo ubriaco di Lesli,
ma non oggi; Chad inizia a strimpellare qualcosa,
guarda Lesli. Lesli si sovrappone col suo basso, e
guarda Chad. Si sorridono. Le note disordinate si
intrecciano e si trasformano in quelle familiari di
“Talk Dirty To Me”! nel frattempo hanno
riportato il microfono a Steve che invece di interrompere
il gioco li guarda tutti e due, sorride e si unisce,
cantando quel che si ricorda della hit dei Poison,
e la gente canta con lui. E ora, se eravate li, non
ditemi che non vi siete divertiti. Non ditemi che
un pochino questi scellerati non vi hanno conquistato
con la loro naturalezza e simpatia. Se davvero qualcuno
non si e’ fatto coinvolgere dall’atmosfera
e ha preferito starsene in un angolo, scuro in volto,
rimuginando su come gli Hanoi Rocks
fossero tutta un’altra cosa, mi dispiace per
loro.
E da qui la strada e’ tutta in
discesa per i nostri, il pubblico canta partecipe,
il Rock Planet e’ un’isola di vita nel
mare invernale della sperduta Pinarella; i Pretty
Boy Floyd snocciolano uno dopo l’altro i pezzi
di “Leather boyz”: fantastica “Good
girl gone bad”, sempre una delle mie preferite,
bella anche “Shut up”, piu’ sexy
e meno party r’n’r, e su tutto la voce-trademark
di Steve Summers, inconfondibile e troppo glam, unica.
Il tempo passa velocissimo, e quando giunge l’ora
delle presentazioni, a ulteriore prova del successo
di questo show, Lesli riesce addirittura nel giochino
che ha tentato senza fortuna in ogni tappa: divide
il pubblico in tre fette e organizza e dirige il coro,
“Steve” “Sex” “Summers”,
“Steve” “Sex” “Summers”!
E’ contento come un bambino, il buon Lesli.
Ed e’ “48 hours to rock”, 48 ore
che mi lascio nostalgicamente alle spalle, che peccato
sia finita! C’e’ ancora il bis, i Ramones
sono accolti cosi bene che stavolta la tirano un po’
piu’ alle lunghe, finche’ si entra nel
pezzo finale, “(Rock’n’Roll) is
gonna set the night on fire”. E forse, la risposta
al perche’ una band tecnicamente scarsa (cosi
dicono…) come i Pretty Boy Floyd merita di esistere
e suonare, sta tutta in una canzone cosi…
Pezzi come “Set the night on
fire”, “48 hours”, o altri classici
come “Bathroom wall” o “Nothin’
but a good time”, mi dicono gli esperti “tecnici”
che sono stupide, banali, troppo facili da scrivere
e da suonare. Sara’ quel che sara’, quel
che so io e’ che le ascolto da anni e mi fanno
sentire bene, mi rimettono su se ho avuto una brutta
giornata e mi esaltano se ne ho avuta una bella, mi
fanno ballare anche quando sono troppo ubriaca per
reggermi in piedi e sorridere quando pensavo non potessi
smettere di piangere. Se e’ vero che per scrivere
e suonare una canzone devi “sentirla”,
potrebbero mai questi quattro interpretare pezzi tanto
cretini e gioiosi se non fossero loro stessi dei magnifici
superficiali e poco seri party animals? Chissa’.
Io, in nome dei momenti belli che mi hanno dato negli
ultimi quindici anni, gli perdono una prestazione
poco lucida come quella di Milano, anzi, li ringrazio
perche’ mi sono divertita comunque.
Di fianco ai grandi artisti, ai virtuosi
delle sette note e ai professionisti seri, il mondo
ha bisogno anche dei Pretty Boy Floyd. Almeno una
parte del mondo che include me. E se voi non ne avete
bisogno lasciateli pure a noi la prossima volta, a
loro non interessa vendere qualche biglietto in piu’,
altrimenti si davano all’hip hop… Berremo
una bottiglia di JD anche alla vostra salute!
Inutile dire che a fine serata abbiamo prosciugato
lo straordinariamente economico bar del Rock Planet,
e’ finita in un grande party e nell’ennesima
notte insonne, tutto nella migliore tradizione rock’n’roll.
Io sono riuscita a resistere e non fuggire via con
loro, ma ho tuttora notevoli perplessita’ riguardanti
la mia vita quotidiana, poche ore di sonno a notte,
e sto gia’ organizzando con lo Sheriff la spedizione
Faster Pussycat. Sogno spesso di vagare per Hollywood
con Lesli Sanders alle tre del mattino come due barboni,
con una bottiglia di Jack in mano senza un soldo in
tasca, e quando mi sveglio per andare in ufficio mi
sembra un sogno meraviglioso e sono tentata di mollare
tutto e scomparire, e forse un giorno di questi lo
faro’. Ovviamente il ruolo dello zio Jack nei
miei weekend e’ diventato primario, illuminandoli
con bagliori dell’inebriante incoscienza di
quei giorni.
Un grazie ai Pretty Boy Floyd per queste magiche “48
hours” da una “good girl gone bad”,
sperando che “my mama won’t know”…
You set my nights on fire! (E non capite male, parlo
del rock’n’roll…)
Cristina
Massei