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Alessandro Lilli

Dopo un approccio a dir poco “fantozziano” per via della lentezza nel caricamento sul mio PC delle pagine web di un noto internet-phone provider sardo, proprio nel momento topico dell’appuntamento telefonico, la squisita cortesia di Daniele Liverani, recente autore dello splendido Khymera, mi mette a mio perfetto agio in questa piacevolissima chiacchierata sui suoi molteplici progetti musicali.
Ne emerge il profilo di un artista talentuoso e poliedrico, esponente di spicco nella schiera dei musicisti rock nostrani, ed adeguata risposta a quanti si ostinano a bollare l’heavy metal come un fenomeno di sottocultura.

Ciao Daniele, grazie per la tua pazienza. Mi interesserebbe particolarnente incentrare l’ intervista sui Khymera, essendo un disco che ho apprezzato davvero parecchio, ad ogni modo parleremo anche del secondo capitolo di Genius, su cui so che stai lavorando attualmente…
Si, peraltro stiamo per pubblicare su Frontiers anche il terzo cd (“The alien inside” in uscita a Febbraio 2004 nda) degli Empty Tremors, la mia band fissa. Avremo un nuovo cantante tedesco che è eccezionale. Dopo essere apparso sul primo capitolo di Genius l’ho convinto ad entrare in pianta stabile negli Empty Tremors, cui ha dato un eccellente apporto grazie al suo grosso talento, favorendo la realizzazione di un disco di ottimo livello…

Ho letto da qualche parte che, oltre ad essere un valente polistrumentista, ti esprimi artisticamente anche come scrittore…
Sì, nel tempo libero mi diletto a scrivere qualche racconto in stile fantastico/fantascientifico, quindi argomenti non prettamente medievali come quelli che tipicamente ispirano testi heavy metal, ma tecnico fantascientifici, e qualche anno fa ho scelto quello che mi piaceva di più come concept per un percorso musicale che poi si è concretizzato in Genius

In effetti ho letto la trama sorprendentemente fantasiosa del primo capitolo di Genius, con questa dimensione parallela in cui vengono fabbricati i sogni e dunque la tua personalissima chiave di lettura sulla genesi dei sogni… Si coglie in te una spiccata vocazione artistica che va al di là del tuo talento di musicista. Pensi di avere qualche velleità letteraria in ordine a questi tuoi romanzi così avvincenti?
Beh faccio fatica a vedermi come uno scrittore o un letterato… diciamo che, a livello creativo, ritengo di avere molte idee. Mi piace il processo creativo al 100%, quindi mi è venuto abbastanza naturale, nella mia opera Genius, coniugare la vena principale della mia creatività musicale con una storia, e con la caratterizzazione dei vari personaggi. Personalmente, il soggetto del sogno mi ha sempre interessato, ho un’attività onirica intensa e faccio sogni molto bizzarri di cui mi resta il ricordo, dunque questa storia, pur se non corrisponde ad un sogno preciso che ho fatto, esprime questo mio desiderio di comprenderne il meccanismo. Genius, personaggio che già dal nome si pone a metà tra il soggetto comune e quello dotato di capacità geniali, riesce accidentalmente a connettere la propria mente ed il proprio pensiero con questa dimensione ed a scoprire tutto un mondo parallelo preposto alla creazione multimediale delle fantasie che sono i sogni, ed a scoprire il meccanismo che gli consente di controllarli ed interagire con essi… questa trama mi affascina…

Però Genius è un batterista, se non erro…
Sì, debbo dire che il personaggio che mi ha ispirato non tanto alla storia in sé quanto all’avvio di questo percorso musicale, suddiviso in una trilogia di trentatre brani per oltre quattro ore di musica, è il mio amico e grande batterista Dario Ciccioni, che ha contribuito alla iniziale stesura di una versione preliminare esclusivamente strumentale di 18 pezzi, successivamente ampliata in forma concept con l’aggiunta dei testi e di parti vocali. L’ho conosciuto che aveva 13 anni e già suonava con la maturità e disinvoltura attuali. Sull’ album dei Khymera aveva 17 anni. Questo musicista così talentuoso e così collaborativo nella stesura della base musicale dell’ album mi ha ispirato l’idea di caratterizzare il personaggio centrale Genius come un batterista, proprio in tributo a questa amicizia…

Mi risulta che l’incisione delle parti strumentali sia già stata completata per l’intera trilogia di Genius, vero?
Esatto. Genius è scaturito originariamente da una serie di jam sessions tra me e Dario Ciccioni, che avevo scoperto nel 1998 e che mi colpì per il suo talento incredibile. Tra noi si è evidenziata una particolare alchimia musicale, così abbiamo cominciato a scrivere musica insieme e nell’arco di cinque o sei mesi avevamo composto una settantina di minuti di musica strumentale molto interessante. Di lì la prima idea di organizzare tale musica, associandola a questa storia che ho scritto. L’idea di Genius originariamente era denominata “Daily trauma”, ed era un lavoro strumentale che ripercorreva il mio racconto come una sorta di colonna sonora. Da qui, nel 1999, l’ulteriore idea di suddividere l’ opera in capitoli e di arricchirla di parti vocali.

Mi risulta che avete intenzione di pubblicare questo “prototipo” strumentale al termine della trilogia di Genius
Quest’album ha avuto varie vicissitudini. E’ stato valutato da diverse etichette italiane e si pensava potesse uscire già nel 1999, ma per problemi economici è rimasto nel mio cassetto. Però l’accordo con la Frontiers di pubblicare Genius come una rock opera, ha abbracciato la previsione di far uscire anche Daily Trauma, che però di comune intesa vedrà la luce come bonus release al termine della trilogia, cui è intimamente connessa.

So che hai tentato di conttattare diversi vocalists. Con qualcuno sei riuscito (in particolare ho sentito del leggendario Midnight dei Crimson Glory), con altri, e mi riferisco in particolare a Geoff Tate, mi risulta che tu abbia provato senza esito…
Sì, sono riuscito a contattare Geoff Tate, ma in quel periodo era molto occupato, e pur avendo apprezzato le mie composizioni, non se ne è potuto purtroppo far nulla, per problemi diciamo logistici…

Come valuti altre rock operas come Nostradamus di Nikolo Kotzev?
L’ho ascoltato, al pari di altre rock operas moderne come Ayreon, Avantasia… Avendo questo progetto in fase di realizzazione, ritenevo molto importante sentire anche produzioni altrui. Devo dire che tutte le rock operas ascoltate negli ultimi anni mi hanno positivamente stupito per taluni aspetti. Un parere in particolare su Nostradamus mi porta a dire che si tratta di un genere rock molto tradizionale. La presenza di Glenn Hughes, di J. L. Turner le conferisce un sapore molto Deep Purple. Si tratta di un’opera molto ben scritta, ma non c’ è a mio parere una grossa ricerca dal punto di vista musicale, piuttosto ancorata a canoni rock standard e convenzionali, mentre c’è un’ottima ricerca da un punto di vista vocale e dell’ interazione dei personaggi. Comunque un gran bel prodotto, molto ascoltabile ma differente da Genius, che nelle trame musicali è più vicino al progressive metal, ai Dream Theater, insomma a qualcosa di più innovativo e musicalmente impegnato.

Quali vocalist ti hanno dato la loro disponibilità a prender parte al secondo capitolo di Genius? Per la parte strumentale immagino essere la formazione invariata…
A differenza che con gli Empty Tremors, a livello strumentale ho voluto dare sfogo alla mia creatività avendo il controllo su tutto, tranne ovviamente sulla batteria, affidata a Dario. A livello di vocalists, abbiamo chiuso in questi giorni gli ultimissimi contratti, dunque posso darti notizie ufficiali. Abbiamo un bel cast, tra cui spiccano Philip Bynoe come narratore, già peraltro apparso sul primo disco, che è stato bassista di Steve Vai, ed una voce molto bella e profonda, con esperienze anche di doppiatore per la Universal, Russel Allen dei Symphony X. Abbiamo poi Marc Boals, cantante storico di Malmsteen, che come nel primo episodio dà la voce al personaggio principale della storia, Johnny Gioeli degli Hardline, Eric Martin dei Mr. Big, quindi un bel nome, senza sminuire tutti gli altri… (Daniel Gildenlow (Pain of Salvation) Rob Tyrant (Labyrinth), Jeff Martin (Racer X), Edu Falaschi (Angra), Liv Kristine (ex Theatre of Tragedy. Nda).

Citando Johnny Gioeli mi dai lo spunto per parlare dei Khymera, dato che egli mi risulta aver avuto un ruolo anche su quel progetto in veste di songwriter, se non erro…
Si, infatti c’è una sua canzone che si chiama “Love leads the way”, uscita solo in Giappone come bonus track di un suo disco, e quindi abbiamo deciso di inserirla perché un po’ tutto il concept del progetto Khymera, a livello di canzoni, era quello di scegliere brani di illustri songwriters che fossero stati pubblicati solo a livello di bonus tracks o di colonne sonore, insomma pezzi molto belli ma usciti in contesti meno famosi, riarrangiandoli e producendoli in chiave più moderna.

Hai anticipato la mia domanda: si tratta dunque di materiale già edito, che hai riarrangiato secondo il tuo stile e gusto musicale?
Non “in toto”. Ci sono alcune canzoni di J. Peterik, come “Tears on the pages” totalmente inedite. Invece, ad esempio, “Strike like lightning” e “Shadows” di Giorgio Moroder erano nella colonna sonora di Navy Seals e furono intrepretate dai Mr. Big in quell’occasione.
Abbiamo poi altre canzoni di Judith Randall già pubblicate. “Without warning” e “Written in the wind” di Kip Winger, uscite all’epoca come bonus tracks e comunque con una diffusione limitata rispetto ad altre, erano canzoni che secondo me, Steve Walsh e la Frontiers, avevano un certo tipo di potenziale se prodotte in una certa maniera… Comunque abbiamo attinto a songwriters di eccelsa caratura.

Ottimo songwriting ma anche splendide performances dei musicisti coinvolti. Sono rimasto colpito dalla maturità ed incisività del batterista Dario Ciccioni.
Sì, effettivamente sono rimasto colpito anch’io dalla talentuosa prestazione offerta da Dario. Non ti parlo di tecnica e precisione perché ci sono tanti altri professionisti anche qui in Italia, però la particolare energia e l’eleganza con cui affronta certi passaggi denotano una propensione innata verso lo strumento che credo sia difficile da acquisire attraverso l’insegnamento.

Mike Slamer, oltre ad intervenirein fase di produzione dell’ album ha anche suonato la chitarra su una canzone
Sì, “Written in the wind” dei Winger.

Ho sentito di successivi dissapori tra Steve Walsh e l’etichetta Frontiers. Cosa è successo di preciso?
Si è trattato di problemi connessi alla promozione dell’ album, in quanto la Frontiers si apettava un certo tipo di collaborazione da Steve Walsh, mentre questi ha interpretato in maniera erronea alcune news uscite in merito a questo album, travisandole. Alcuni siti hanno pubblicato news in cui il progetto Khymera era attribuito esclusivamente a Steve Walsh, laddove non si è effettivamente trattato di un suo progetto solista, in cui egli non ha scritto nulla ed il suo apporto vocale è stato innestato su un contesto predisposto da me e dalla Frontiers. Dunque c’è stata qualche imcomprensione e lui si è innervosito ed ha fatto qualche polemica, ma d’altra parte il nome di Steve Walsh ha un grosso appeal e dunque è comprensibile che i giornali tendano ad attribuire a lui il ruolo principale nel disco.

Invece ho letto che il disco è stato prodotto a distanza. Steve Walsh ha registrato le parti vocali mentre tu hai curato tutto il resto, arrangiamenti inclusi…
Io ho prodotto la musica qui, nello studio di registrazione di un mio amico in cui sono solito incidere, denominato Fear Studio, quindi ho spedito via internet le basi e gli arrangiamenti a Steve, con il quale ci siamo tenuti in contatto telefonico. Egli ha registrato le linee vocali nel suo studio in America, quindi mi ha mandato le tracce su cui io ho inserito la musica e curato la postproduzione, inviandole quindi a Mike Slamer che le ha mixate negli USA.

Tu hai al tuo attivo un’esperienza americana. Mi sono documentato sulla tua carriera musicale e so che essa è cominciata sin da piccolo come pianista, poi sei passato alla chitarra quasi da autodidatta.
Si, in effetti ho un passato di pianista classico molto rigoroso, assorbendo quella cultura musicale dai 6 fino ai 16 anni. Poi ho liberato la mia passione per il rock, legata ai Van Halen, a Malmsteen ed agli altri chitarristi che mi hanno aperto un modo di connessione tra la classica ed il rock. Il mio approccio al rock è nato verso i 16 anni per il mio amore per la chitarra. Il primo passo della mia carriera è stato la creazione di un disco solista strumentale. Poi sono andato negli States grazie ad un concorso vinto a Roma nel’93 come miglior chitarrista, ho frequentato uno stage al G.I.T. di Los Angeles che ho prolungato di qualche mese, durante il quale ho conosciuto una serie di musicisti che mi hanno aiutato a realizzare il disco solista intitolato Viewpoint. Andai quindi a bussare alla posta di Mike Varney, ma purtoppo nel 93 un certo tipo di rock chitarristico, diciamo virtuoso, stava andando un po’ in declino, dunque non ci furono le condizioni per la pubblicazione dell’ album da parte della Shrapnel, cosicchè il disco è rimasto nel cassetto fino al 1999, quando la Elevate Records di Roma lo ha pubblicato.

Quindi hai comunque avuto una valutazione positiva da parte di Mike Varney?
Diciamo di sì. In effetti andai in America anche incoraggiato dall’ interesse di Varney verso un mio demo. Il disco me lo sono autoprodotto perché era inpensabile sperare che finanziasse un esordiente. Quindi la mia intenzione era quella di sottoporgli un master definitivo, composto di pezzi molto belli e suonato con l’ausilio di musicisti in gamba. Al basso ad esempio collaborò Joey Vera degli Armored Saint. Poi c’ era un grandissimo batterista di colore, Julio Mathis, veramente molto bravo. Io mi sono occupato di chitarre e tastiere.

Una mia curiosità: entrando in un negozio di strumenti musicali, il tuo sguardo si posa istintivamente su un pianoforte o su una chitarra?
Domanda difficile… Dal punto di vista del mio interesse per gli strumenti ho avuto varie epoche, ma tutte della stessa intensità. Per un paio d’anni ho suonato in una cover band che faceva pezzi dei Dream Theater, ed in cui suonavo la batteria, dunque ho amato anche quello strumento… Quindi li ho studiati tutti con grande passione e grande dedizione per raggiungere una padronanza creativa, più che virtuosistica, degli stessi.

Negli anni d’oro dei guitar heroes, l’Italia riuscì ad esportare solo Alex Masi. Nella scorsa decade tra i chitarristi nostrani si fecero notare giusto Alex De Rosso ed il Giuntinì’s project. Oggi pare essersi creata una scuola di chitarristi italiani, che si sta facendo strada autorevolmente in ambito internazionale. Oltre a te, autore a mio modesto giudizio del miglior disco di hard rock melodico del 2003, citerei Dario Mollo, che può vantare collaborazioni con artisti del calibro di Tony Martin, ed anche altre megabands di rock melodico come i Vertigo mi sembra si avvalgano di musicisti italiani… Pensi che questo filone sia possibile grazie al supporto delle etichette, o si tratta di un processo di maturazione dovuto a ragioni differenti?
Senz’altro il lavoro di Frontiers in questi ultimi anni è stato molto grande. Questa realtà ha dato la possibilità di esprimersi ad alcuni talenti presenti nella penisola. Mi ricordo che già negli anni 80 seguivo la scena nostrana, e c’erano amici chitarristi dal talento invidiabile, ma non c’era la possibilità di creare situazioni professionali e di far sentire all’ estero, attraverso prodotti discografici, le capacità di questi talenti, che inevitabilmente hanno finito per spegnersi e dedicarsi ad altre attività… Credo che senz’ altro in questi ultimi cinque anni etichette come Pick up, Lucretia records, Frontiers, hanno consentito di esportare in maniera seria la musica italiana nel mondo. Queste etichette hanno avuto senz’ altro un ruolo importante nel consentire a gruppi italiani di misurarsi o di collaborare con artisti di levatura internazionale.

Relativamente al progetto Khymera, lamentavi l’impossibilità logistica di trasferirlo in una dimensione live. Per quanto riguarda gli altri tuoi progetti, non ultimo la band di cui fai parte, riuscite a trovare spazi adeguati, oppure si fa fatica anche nell’ambito del rock progressivo a trovare gli spazi giusti per esibirsi dal vivo in Italia?
Da questo punto di vista in Italia siamo ancora molto indietro, perché se si escludono gli eventi musicali più importanti, riguardanti bands con un certo livello di notorietà, manca un circuito capillare di clubs che offrano la possibilità alle bands esordienti di esibirsi dal vivo e forse non c’è neanche la cultura delle persone di andare ad ascoltare musica dal vivo. Quindi, nemmeno con gli Empty Tremors ci sono state frequesti possibilità di esibirci, nonostante qualche apertura nell’ arco degli ultimi anni per Malmsteen, Royal Hunt a Roma e Milano, però si parla sempre di pochi concerti tenuti in un arco temporale di sei o sette mesi… In definitiva non ci sono grandi spazi, e sento dire che nemmeno nelle grandi città ci siano molti locali in cui poter suonare… Lo stesso progetto Khymera mi sarebbe piaciuto trasferirlo in una dimensione live, anche con una band che non includesse Steve Walsh, ma ci siamo scontrati con una realtà difficile che finora non ce lo ha concesso… speriamo in futuro di conseguire risultati migliori…

Pensi che ci sarà un seguito per il progetto Khymera, o resterà per te una divagazione sperimentale dalle tue abituali coordinate musicali molto più progressive che non aor?
E’ estremamente probabile, se non quasi certo, che ci sarà un nuovo episodio del progetto Khymera. Sicuramente il team di base sarà sempre costituito da me e Dario Ciccioni, ma probabilmente ci saranno ospiti anche a livello strumentale nel prossimo disco. Non escludo che ci possa essere un altro cantante, che verrebbe attinto dal roster degli artisti sotto contratto Frontiers. Non posso al momento dirti di più…

Per me è già tanto avere conferma che ci sarà un nuovo album dei Khymera…
C’ è la ferma intenzione di realizzare un nuovo disco, sempre con lo stesso criterio di ripescare brillanti canzoni di grossi songrwriters, rivisitandole in una chiave più moderna e personale.

Personalmente ho trovato nel disco dei Khymera una certa assonanza con alcune cose prodotte dai Saga, e questo è per me un gran complimento…
Beh, dall’esterno si riescono ad avere delle percezioni differenti. Personalmente conosco i Saga, forse capisco cosa intendi, ma se ci può essere una certa somiglianza nel gusto di taluni arrangiamenti o in certe sonorità chitarristiche, essa è del tutto casuale ed involontaria. I Saga non rientrano tra le mie principali fonti di ispirazione.

Sai, l’analogia riguarda il gusto e l’eleganza delle canzoni dei Khymera, che mi ricordano qualcosa, non tutto, della produzione dei Saga (vd. in particolare “the security of illusion” nda), e forse più sul piano compositivo che su quello della performance strumentale…
Tornando ai tuoi prossimi impegni, con gli Empty Tremors avete dunque il vostro terzo album in uscita…
Esatto, è già tutto pronto. I promozionali cominceranno ad uscire a gennaio, quindi entro febbraio il nuovo disco “The alien inside” dovrebbe essere nei negozi. E’ un lavoro a mio avviso molto bello, grazie anche alla possibilità di avere questo nuovo cantante Oliver Hartmann, che ha già partecipato a Genius pt. 1, ed in virtù di questa collaborazione è entrato stabilmente negli Empy Tremors avendo sfortunatamente litigato con la precedente band At Vance. Tra me ed Oliver c’ è una collaborazione che sta quindi ampliandosi su tutti i fronti… Il nuovo disco in uscita sarà sicuramente più maturo, e mi auguro che possa essere portato in tour perché ha tutte le credenziali per un’ ottima resa dal vivo. Senza nulla togliere al precedente cantante, che peraltro ha scelto spontaneamente di abbandonare gli Empty Tremors per intraprendere una carriera solista, Oliver ha dato una potenza ed una interpretazione al nostro stile nei momenti di punta, che rende tutto molto più accattivante.

Il resto della band è composto da musicisti italiani?
Sì, si tratta di ragazzi molto più giovani di me che conobbi dieci anni fa circa. Si trattava di una band locale dal nome Noise Pollution che vidi per caso suonare in una sagra paesana alcuni pezzi dei Dream Theater molto impegnativi per ragazzi appena adolescenti. E’ nata questa collaborazione con loro, che nel frattempo sono molto cresciuti musicalmente. Abitando tutti molto vicino, abbiamo avuto modo di provare tanto e di sviluppare assieme un sound peculiare. Nonostante i miei molteplici impegni degli ultimi anni su altri fronti, siamo rimasti sempre molto compatti e pronti a decollare in una carriera più professionale non appena il disco giusto ci dia ragione.

Ti sei mai trovato a valutare l’opportunità di suonare come sessionman con artisti italiani impegnati in altri generi musicali?
Ho avuto qualche proposta, ma non sono interessato in questo tipo di cose. Dal punto di vista artistico, per me la musica ha un certo tipo di valore, quindi non riesco a vedere la musica come un lavoro senza contenuti artistici. Senza voler sminuire i cantautori italiani, non sarei stato autentico nel fare questo tipo di collaborazioni.

So invece che hai preso parte al tribute allo sfortunato Jason Becker…
Ecco, questa è una cosa che mi ha preso parecchio perché Jason Becker è stato uno dei chitarristi che ho sviscerato di più agli inizi della mia carriera e la sua storia è veramente molto triste, essendo stato tarpato nel momento decisivo della sua carriera dalla distrofia muscolare, che lo ha progressivamente immobilizzato su una sedia a rotelle… Fece un album molto innovativo e geniale che era “Perpetual burn”, aveva una tecnica stratosferica e, sul piano creativo, credo che difficilmente verrà alla luce un altro talento di pari livello. La partecipazione dei più grandi chitarristi nel rendergli omaggio è la dimostrazione che tutti colsero le sue enormi potenzialità. Assieme a Marty Friedmann costituì una delle coppie chitarristiche più affiatate e seminali degli anni 80 e fece due dischi per Mike Varney come Cacophony. Poi, sul più bello, fu bloccato da quella terribile malattia mentre era nella band di D. L. Roth….

Da questa lunga chiacchierata emerge la piacevole considerazione che finalmente anche la scena rock italiana può dunque vantare con orgoglio personaggi di tale spessore tecnico e sensibilità, non solo artistica.
Auguriamo a Daniele Liverani di poter trovare nel nuovo disco in uscita con i suoi Empty Tremors (www.emptytremor.com) quel positivo riscontro di pubblico e critica in cui confida e che ha ampiamente dimostrato di meritare.
Grazie di cuore, Daniele!

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