GOTTHARD
22/2/2003 – LUGANO
Presentazione di “Human Zoo” – una
giornata coi Gotthard.
Joe Salty
Premessa.
Sono circa le 15 quando io, Roby, Lory e Daryo del
Cathouse arriviamo all’Hotel Principe Leopoldo
di Lugano. Un albergo lussuosissimo, davanti alle
quali scalinate incontriamo vari esponenti della stampa
italiana. Subito arrivano anche i Gotthard su delle
macchinone seguiti dalle telecamere di una TV svizzera…
qui i Gotthard sono delle vere rock star!
Facciamo la conoscenza del simpatico e disponibile
Steve Lee, cantante della band, uno dei miei preferiti
in assoluto (e da cui cerco di trarre insegnamenti
quando canto con la mia band!), e poi ci trasferiamo
al primo piano, passando per pianoforti, fontanelle
e quadri settecenteschi.
Fase uno: la conferenza stampa.
In un clima simpatico e scherzoso (grazie soprattutto
alla verve casinista di Leo Leoni) si passa subito
al sodo.
IL NUOVO PRODUTTORE
Primo argomento toccato è il nuovo produttore:
non più Chris Von Rohr, produttore dei migliori
gruppi elvetici come i Krokus, con cui hanno collaborato
per dieci anni ma Marc Tanner, altro super produttore,
in questo caso di colonne sonore tra cui Armageddon
e di gruppi come the Calling.
Steve ci spiega come fosse stato necessario un distacco,
poiché la figura di Von Rohr stava diventando
troppo limitante per la band, la quale aveva sempre
ricevuto critiche: il merito del loro successo veniva
spesso attribuito alla bravura del produttore più
che alle loro stesse capacità.
Il distacco è stato molto problematico, quasi
come lasciare un membro del gruppo, però l’arrivo
del nuovo produttore ha dato nuova voglia di fare.
Infatti, continua Mark, il bassista, avevano pronte
circa 26 canzoni tra cui hanno scelto le 12 dell’album.
IL TITOLO, I TESTI, L’IMPEGNO
SOCIALE
Mark ci spiega anche perché la scelta di questo
titolo “Human Zoo”. I nostri eroi erano
in Thailandia, a Bangkok a girare un video, quando
videro dei poveri lavare i vestiti in un fiume sporco
ed ebbero l’idea che sta dietro al titolo dell’album:
questo mondo è uno zoo in cui ognuno è
chiuso in una gabbia, e dove spesso i poveri sono
più felici dei benestanti rinchiusi nelle loro
routine.
Con questo, continua Steve, non significa che l’album
sia un concept album, anche se alcuni pezzi, diversamente
dal passato, hanno dei testi più impegnati,
senza avere la presunzione di cambiare il mondo, ma
solo di dare un piccolo messaggio in positivo.
A questo proposito Steve parla ad esempio di “Janie’s
not Alone”, una delle pochissime canzoni di
cui abbia scritto prima il testo della musica.
Nei testi, è stato anche di ottimo aiuto il
produttore Marc Tanner, che con il suo slang californiano
lo ha aiutato a trovare espressioni più efficaci
di quelle che uno non di madre lingua possa trovare.
LE REGISTRAZIONI
Questa volta le registrazioni non sono state fatte
a Los Angeles come fatto da “G” in poi,
ma nello studio dentro la casa di Leo Leoni, il che
ha fatto sì che l’atmosfera fosse molto
più rilassata e le canzoni uscissero molto
“naturali”.
Il mixaggio è poi stato fatto come di consueto
a Los Angeles.
IL SUCCESSO, LE NUOVE CANZONI.
Ai Gotthard viene chiesto come abbiano fatto a mantenere
a lungo il successo, e Leo risponde che non è
stato raggiunto grazie al Grande Fratello ma grazie
ad anni di gavetta tesi sempre a proporre qualcosa
non di modaiolo ma di duraturo.
Il discorso – prosegue Steve – vale anche
per l’ultimo album: mentre ultimamente si sentono
in TV canzoni belle ma poi l’album fa schifo,
loro hanno cercato di proporre 12 canzoni tutte belle
e curate.
A questo proposito fa l’esempio di “One
Life, One Soul” (a mio avviso uno dei più
bei lenti mai scritti): era stata scritta per “Dial
Hard” ma non aveva ancora il giusto feeling,
così quando è stata pronta l’hanno
pubblicata e ha avuto successo duraturo.
Viene poi chiesto a Steve quale sia
la sua canzone preferita di questo suo nuovo album,
e lui risponde “Have a Little Faith”,
perché l’ha scritta sedendosi al pianoforte
e tirando fuori il sentimento. Un giornalista obietta
che la suddetta somiglia a una canzone italiana, ma
Steve giura di non essersene mai accorto, che i Gotthard
non hanno bisogno di copiare da nessuno (e su questo
siamo d’accordo tutti) e che capita a volte
di scrivere una canzone che ti viene ispirata da un’altra
che magari hai sentito di sfuggita e t’è
rimasta nell’inconscio.
LE COVER
Altro cambiamento per i Gotthard: su questo album
per la prima volta niente cover! Un po’ perché
avevano pronte un sacco di canzoni, un po’ perché
per loro era diventato pesante essere quasi obbligati
dalle aspettative del pubblico a mettere una cover:
la scelta dev’essere accurata, la canzone non
dev’essere stravolta ma comunque dev’essere
rifatta con stile personale, perciò scegliere
la cover era diventato più difficile di scrivere
le loro canzoni!
A QUANDO IN ITALIA?
Quando li vedremo in Italia? Stavolta è Leo
a rispondere e spiega che in Italia sono già
venuti ma non hanno mai riscosso molto successo, perciò
è difficile riuscire a organizzare delle date
serie senza perderci.
Ed ecco la mia riflessione: ma è possibile
che una band così valida, che in Svizzera,
Giappone, Germania finisce in copertina sulle riviste
per ragazzine o va in TV, in Italia faccia fatica
a suonare in un locale medio-grande?
LA COPERTINA
Ultima domanda: la mia! Gli chiedo chi abbia fatto
la bella copertina (che potete vedere all’inizio
della recensione, qui in fondo). Loro rispondono che
hanno sottoposto al loro solito copertinista Mark
Hoisler l’idea del titolo (spiegata prima) e
lui ha tirato fuori questi disegni.
I Gotthard tengono poi a precisare
che il titolo e la copertina non hanno niente a che
vedere con il loro impegno animalista, che a volte
gli è stato rinfacciato come mossa pubblicitaria
nonostante loro non abbiano mai fatto sfoggio di questo
impegno.
Finisce così la conferenza stampa:
i Gotthard sembrano ansiosi di espletare questa formalità
per passare alla ben più rilassante…
Fase due: il rinfresco.
Ci spostiamo in una stanza adiacente. Mentre da un
potente impianto possiamo sentire in anteprima il
nuovo album, camerieri ci offrono spumante pregiato
a tartine dal dubbio gusto. Il vino riscalda l’ambiente,
tra le goliardate di Leo Leoni e Carmelo Giordano,
Roby parla del Cathouse con una tipa della BMG, la
Barbara Caserta si porta via a turno uno a uno i Gotthard
per fargli registrare sul suo teconologico registratore
il saluto agli ascoltatori di Rock FM, camerieri e
hostess chiedono l’autografo alle loro rock
star nazionali e io resto appeso alle labbra di Steve
per carpire qualche segreto da uno dei miei cantanti
preferiti.
Alle 18, già alticci ci prepariamo alla terza
fase: il party col fan club al locale Temus.
Ci spiegano la strada dicendo che è facile.
Fase tre: il party
Infatti sono le 19:30 quando riusciamo finalmente
a raggiungere il locale, dopo esserci persi svariate
volte!
Fuori dal locale c’è una regia mobile.
Per quello che sapevamo noi i Gotthard avrebbero dovuto
tenere uno showcase ma il palco è sguarnito
quindi io, Roby e Daryo affoghiamo il dispiacere nei
salatini appena sfornati e in una buona Bud. Poco
fa bevevamo vino pregiato nei calici e ora beviamo
birra a canna dalla bottiglia! Ma questa è
la vita dei rockers: ci piace il lusso ma anche ciò
che è grezzo… a noi piace prima di tutto
il divertimento!
Arriva poi TSI (la TV Svizzera Italiana)
con le telecamere e un tipo che intervista i Gotthard.
Finita la formalità cerco di rapire Steve Lee
ai suoi fan e gli chiedo qualche suggerimento per
la voce. Lui molto gentilmente me li dà ma
non aspettate che vi sveli i suoi segreti!
E’ ora il momento della presentazione
ai fan del nuovo album! Viene quindi proiettato un
filmato del “making of”, con Steve e Leo
su un terrazzo con la chitarra acustica che scrivono
le canzoni. Inoltre nel filmato ci sono anche interviste
a tutti i componenti e al produttore e infine le foto
sessions nel deserto della California!
E siamo alla fase clou: un presentatore
fa salire sul palco uno per uno i Gotthard e fa loro
scegliere la loro canzone preferita. Leo, per ultimo,
sceglie tutto l’album, che viene sparato a tutto
volume per la gioia di tutti. E qui inizia il vero
party dove la gente beve, chiacchera, ascolta attentamente
le canzoni e gradendo muove la testa a tempo…
è ora però per noi di andare: il nostro
impegno giornalistico è finito e dobbiamo tornare
a casa!
Li aspettiamo però presto al
Cathouse, ce l’hano promesso!
Atendiamoli quindi, e intanto ascoltiamoci questo
nuovissimo “Human Zoo”!
L'album.
Ed eccoci finalmente a recensire questo tanto
chiacchierato "Human Zoo".
Il mio giudizio è che i Gotthard rimangono
sempre dei grandi musicisti, hanno sempre scritto
ottime canzoni, e anche con questo album si riconfermano.
C'è però qualcosa che mi manca, come
negli altri due precedenti: il riffone, la chitarra
che faccia la parte del leone come in ogni canzone
hard rock che si rispetti.
Il cantante rimane uno dei più grandi cantanti
della storia dell'hard rock, e secondo me gran parte
dell'album si regge sulle sue spalle mentre sembra
quasi gli altri componenti della band invecchiando
siano diventati un po' "pigri"...
I Gotthard hanno seguito l'evoluzione che hanno subito
ultimamente Aerosmith, Bon Jovi, Def Leppard. Grandi
gruppi hard rock che hanno sempre scritto ottimi lenti,
i quali però col tempo hanno sempre più
sostituito le canzoni dure.
Per carità, sono comunque canzoni molto buone,
ma il mio preferito rimane ugualmente “G”!
Passiamo a esaminare le canzoni. L'album
si apre con la title-track, un'ottima canzone hard
rock molto potente che quasi obbliga a scuotere la
testa. Il riffone vero e proprio non c'è ma
un accenno di riff c'è e in fondo la canzone
è bella. Uno degli episodi migliori dell'album.
La seconda è poi il primo singolo
estratto: "What I Like". E' un lento, comunque
molto valido, soprattutto per il ritornello cantato
da Steve Lee con sentimento e la melodia arabeggiante
degli archi dopo il ritornello!
Si passa poi a uno degli episodi più
sdolcinati dell'album: il lento "Have a Little
Faith". Inizialmente suona un po' scontato soprattutto
per colpa di un pezzo della strofa simile a una canzone
italiana. La voce ispiratissima di Steve Lee fa però
godere la canzone. Bello anche il solo blueseggiante.
Eccoci a "Top of the World",
una canzone rock dal ritornello molto melodico. Una
di quelle canzoni che fanno aspettare con ansia il
ritornello, anche perché come in molte altre
il riffone latita...
Ecco la 5: "Janie's not Alone", una ballata
dal sapore vagamente mediterraneo, con quella fisarmonica
e quel violino malinconico. Questo non basta a salvare
la canzone che è in realtà abbastanza
scontata. La voce di Steve è sempre grande
ma non ho gradito molto il testo che vuole essere
impegnato ma sembra un po' ingenuo... Anche la successiva
"Still I Belong to You" non è molto
originale: ballata alla Bon Jovi ma si può
passare tranquillamente alla prossima...
...dove finalmente ritroviamo la chitarra
distorta. La prima volta che ho sentito questa "One
in A Million" per un’attimo avevo pensato
fosse "All Right Now" dei Free per l'inizio
ma poi cambia... nonostante l'inizio che fa sperare
in una canzone un po' tirata bisogna ricredersi per
beccarsi un'altra canzone pop.
La numero 8 "No Tomorrow"
è un'altra canzone melodica dove però
spicca un ritornello molto bello e dove risalta ancora
la bella voce di Steve. Però anche in questa
canzone bisogna aspettare il ritornello per poter
apprezzare la canzone, forse un po' poco per dei grandi
come i Gotthard!
La 9 è "First Time in a
Long Time", altra canzone lenta, dove Steve ci
fa capire di saper cantare anche in modo assai struggente.
Buono anche il ritornello molto radio-frendly anche
se l'affollamento di lenti comincia ad risultare pesante!
Strana "Where I Belong" con
l'inizio molto pop moderno alla U2, che si evolve
poi in un ritornello con chitarre distorte, ma anche
questo episodio non lascia molto il segno.
Ecco finalmente una canzone hard rock
come i Gotthard hanno sempre saputo fare: "Long
Way Down", a mio avviso il migliore episodio
dell'album. La voce di Steve si fa finalmente aggressiva,
dimostrando che il registro tranquillo delle altre
canzoni non è dovuto a un presunto invecchiamento
della voce. Le chitarre finalmente riescono a reggere
la distorsione per tutta la canzone, anche se qui
il famoso riffone c'è solo in parte, ma una
canzone così bella può andare bene anche
così, in un periodo di vacche magre come questo
(e qui non mi riferisco ai Gotthard quanto piuttosto
a tutte le canzoni rock che si sentono in giro...
a parte gli Audioslave, dove sono finiti i riff?).
La canzone ci ha risollevato un po' dal torpore e
accettiamo con condiscendenza anche l'ultimo lento
("What Can I Do"), poco degno di nota, che
chiude l'album.
IN DEFINITIVA. Su
12 canzoni me ne sono piaciute davvero 6: le prime
4 ("Human Zoo", "What I Like",
"Have a Little Faith" e "Top of the
World"), la 8 ("No Tomorrow") e la
11 ("Long Way Down"), quasi sempre per merito
della voce di Steve Lee. I miei giudizi ovviamente
sono molto soggettivi, comunque giudico questo album
ugualmente degno di acquisto, per il fatto che anche
se questo "Human Zoo" mi è piaciuto
solo per metà, le canzoni belle sono VERAMENTE
belle!
Perciò mi raccomando di non lasciarvelo scappare
e di non lasciarveli scappare il 5 maggio a Lugano!
Io intanto me lo metto su in macchina... quale miglior
sottofondo in dolce compagnia?