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Fabio Magliano

Tra le uscite in campo hard rock che hanno caratterizzato l’ultimo scorcio di 2003, grande clamore l’ha suscitata quella targata Chris Catena. Il singer romano, con “Freak Out” infatti, non solo ha dato alla luce un validissimo album di puro hard rock dalle marcate venature Seventies, ma è riuscito a portare alla sua corte una serie di “mostri sacri” del genere realmente impressionante. Qualche nome? Glenn Hughes (Deep Purple, Trapeze), Bernie Marsden (Whitesnake, Ringo Starr), Mickey Moody (Whitesnake), John Taylor (Duran Duran), Stephen Ferrone (Duran Duran, Michael Jackson), Stevie Salas (Mick Jagger, Rolling Stones), Eric Singer (Kiss, Alice Cooper), Bruce Kulick (Kiss), Tony Franklin (Whitesnake), Tommy Aldridge (Whitesnake), Jeff Scott Soto (Malmsteen, Talisman), Virgil Donati (Ring Of Fire), Dave Meniketti (Meniketti)…ma la lista potrebbe proseguire all’infinito. Come è riuscito a portare a termine questa operazione titanica? Lo abbiamo chiesto al diretto interessato…

Per incominciare, una domanda scontata ma che in molti si sono posti con l’uscita di “Freak Out”: chi è Chris Catena?
Figlio d’arte, ho incominciato a cantare in band amatoriali all’età di 16 anni. Verso la fine degli anni ’80 ho fondato i Silverz Cat con mio fratello Gianni. I Silverz sono stati la mia prima vera band, quella che mi ha permesso di diventare un creativo, mi ha dato la possibilità di misurarmi con me stesso nella scrittura di un testo, nella composizione di una canzone. Con questa band, dopo un Primo posto ad un Concorso Nazionale, “Cianciano Rock”, sono arrivato al disco, firmando con la Fly by Night, un’etichetta che sembrava stesse facendo delle buone cose, ma che ha fallito pochi giorni dopo la consegna da parte nostra del master per la stampa! Il proprietario, pieno di debiti è sparito e con lui il nostro master! E non è rimasta neanche una testimonianza dei mesi che avevamo speso in studio tra sacrifici, liti, lacrime e cazzotti per produrre qualcosa di buono a parte una demo piena di problemini tecnici. Dopo lo scioglimento dei Silverz ho provato varie strade, c’è stata una parentesi nel Rovescio della Medaglia, una partecipazione ad un Festival a Santiago del Cile nel ’94 e, , nei primi anni ’90 sino alla loro metà, ho realizzato alcuni demo con i Dr. U. Quindi mi sono fermato per riordinare le idee e prendere una seria e sana decisione ed all’inizio del 2000 ho incominciato a pianificare il mio primo disco autopodotto…il resto è storia.

Quali pensi siano gli artisti che si sono rivelati fondamentali per la tua formazione musicale?
Il primo artista che reputo fondamentale nella mia formazione vocale è mio padre, tenore lirico con trent’anni di carriera alle spalle. Sin da bambino ho respirato l’odore del palcoscenico. All’età di cinque anni ho persino calcato la scena di uno tra i più grandi Teatri del mondo, il Teatro Colon di Buenos Aires nella Tosca e nell’Andrea Chenier, due opere molto importanti del repertorio lirico tradizionale. E’ da mio padre che ho appreso alcuni trucchetti nell’emissione dei suoni e nell’uso del fiato. E poi ho da sempre amato il rock, anche perchè ho avuto la fortuna di avere due fratelli maggiori che mi hanno educato all’ascolto di tanta buona musica, dai Beatles e gli Stones al folk rock, dal rock acido e psichedelico della fine dei ’60 come Jefferson Airplane, CSNY, Quicksilver Messenger Service, i Pink Floyd di Barrett, Moby Grape, Spirits, Grateful Dead aall’hard dei Purple, Zeppelin, Grand Funk, Bad Company, Slade, Sweet, Black Sabbath. Senza tralasciare poi il prog dei Genesis, King Crimson, UK, ELP, Gentle Giant, Van Der Graf, Yes, il punk dei Pistols, Generation x, Damned, Adverts, X Ray Spex, Ramones, Germs passando per il rock di Roxy Music e Bowie, sino all’elettronica di Klaus Schultze, Tangerine Dream, Kraftwerk,e via discorrendo. Per quel che concerne i vocalists rock che per anni ho seguito e che hanno in parte plasmato il mio modo di cantare, non posso non citare Stevie Wonder, Paul Rodgers, David Coverdale, Glenn Hughes, Chris Farlowe, Lou Gramm, Steve Perry su tutti.

“Freak Out” ha potuto vedere la luce solo al termine di un tuo lungo travaglio personale e musicale…
E’ così! Si è trattato un iter molto arduo. Mentalmente, la gestazione è stata lunga oltre un lustro. Ho modellato e scomposto, sfasciato e cestinato questo progetto per poi riprenderlo e ricomporne i tasselli sino a farli combaciare tra di loro al fine di far avvicinare il più possibile la costruzione ideologica che avevo del progetto alla realtà del progetto stesso. Come tutti i creativi, sono convinto che avrei potuto fare di più ma poi mi rendo conto che sarei impazzito per colpa della mia voglia di perfezione, quindi va bene così.

Una cosa che incuriosisce non poco è come tu sia riuscito ad arrivare a coinvolgere nel tuo progetto tutti questi “mostri sacri” del rock…
“Non è stato così semplice, soprattutto all’inizio. Alcuni non si fidavano ed ho dovuto inviare loro una demo per dimostrare il mio livello artistico. I primi ad aderire sono stati Bernie Marsden e Glenn Hughes. Di li in poi probabilmente si è scatenato un passa parola di informazioni riguardo la mia persona e il relativo progetto, in quanto anche coloro che in precedenza non avevano accettato perchè prevenuti, in seguito hanno cambiato misteriosamente idea. Sono stati due anni di lavoro estenuante ma allo stesso tempo esaltante e stimolante.

Cos’hai provato, in quanto cantante, a confrontarti con singer del livello assoluto, da Glenn Hughes a Jeff Scott Soto?
Soddisfazione! Come non puoi emozionarti nel sentire Glenn che canta le tue parole sulla tua musica ? E’ la storia del rock che duetta con un illustre sconosciuto italiano! Questa si che è rivoluzione! Dieci anni fa non ci avrei mai creduto se qualcuno mi avesse predetto l’evento. Jeff è veramente cool. Ha una voce per tutte le stagioni! Sa destreggiarsi con grande flessibilità nei vari generi dal metal al funk in maniera entusiasmante. E’ riuscito a dare a “What you gonna do…” una pennellata di black music grazie alla sua voce dal colore scuro e caldo e la grinta tipica dei cantanti targati Motown e Stax! Un altro grande è stato John Lawton. Secondo me un cantante veramente sottovalutato! La sua voce è integra ed estesa, seppur non più giovanissimo, e si sposa perfettamente con la mia. Ascoltatelo in “ It’s a long way to go”. Il suo canto è molto lirico ed il timbro argentino lo avvicina per intenzione ed interpretazione ad un mito vivente per tutti i fans dell’hard, Ronnie James Dio.

Qual'è stata la collaborazione che ritieni più arricchente per te?
Fondamentalmente tutte le collaborazioni mi hanno dato qualcosa, nel bene o nel male. Alcuni guests hanno dato prova di grande sensibilità, consigliandomi, mettendo a mia disposizione il loro bagaglio di esperienza, un prezioso gesto che non potrò mai dimenticare. Potrei citare su tutti Myron Dove o Tony Franklin o ancora Chuck Wright, Bruce Kulick, persone splendide e semplici. Ti fanno sentire perfettamente a tuo agio e con loro puoi discutere di tutto. Qualcun altro purtroppo è partito prevenuto e privo di totale fiducia nel mio progetto per cui la resa esecutiva delle sue parti si è rilevata deludente e non professionale ed è stata la causa del notevole ritardo nell’uscita del disco. Il mio co – autore ed arrangiatore Davide Spurio, ha dovuto spendere giornate intere ed ha dovuto affrontare nottate insonni per poter sistemare alcuni file di qualità veramente scadente e non conformi al formato richiesto, ripulendoli o arrangiandoli in modo che potessero essere utilizzabili. Su alcuni non c’è stato nulla da fare e questo ha significato gettare del denaro alle ortiche senza poterlo recuperare. Sai, siamo italiani ed alcuni musicisti stranieri ci vedono come degli outsider e come tali si comportano con noi… Per fortuna sono sempre più una minoranza quelli che la pensano così.

C'è una canzone all'interno di “Freak Out” alla quale sei particolarmente affezionato?
Amo tutte le canzoni ma effettivamente la mia preferenza assoluta va a “Freak out tonight” per il modo in cui è stata realizzata. Avevo soltanto cinque giorni per inviare un brano a Glenn il quale doveva partire per un lungo tour ed aveva solo tre giorni per lavorarci su. Il problema era che non avevo ancora il pezzo da spedire! Andai in studio e sedendomi di fronte al computer, cominciai a canticchiare un ritornello. L’idea era di produrre un pezzo tipicamente funk con un sound molto vintage e un groove accattivante in cui la sezione ritmica avesse un impatto eccezionale. Insomma volevo realizzare un hit nel quale Glenn potesse sciorinare la sua tecnica ed il suo spirito black in un botta e risposta, un quick to quick con me. Il pezzo usciva in maniera così facile che in tre ore riuscimmo a completarlo sia nella struttura che nell’arrangiamento, come avvolti in un feeling pazzesco. Le note si susseguivano in un turbine e l’idea aveva assunto la sua forma. “Freak out Tonight” è un invito a scrollarsi di dosso ogni tabù, è un inno alla vita, al divertimento, a non prendere mai nulla troppo sul serio. Ho voluto che Glenn aprisse il pezzo con un intro tipicamente soul. Lui ha dato la giusta atmosfera, ha reso perfettamente l’idea di ciò che intendevo. E’ un grande!.

Come pensi di riuscire a portare dal vivo “Freak Out”?
Ci sto ancora lavorando su. La mia intenzione è fare un tour in primavera e magari partecipare a qualche bel festival estivovedremo. Il problema ora è creare una band che possa in qualche modo riprodurre live le atmosfere di questo disco. Sai, c’è sempre chi si aspetta che la versione live di una band rispecchi in maniera solenne quanto realizzato in studio, ma il problema è che non potendo godere in concerto di un’orchestra di mostri sacri – come li chiami tu – quali i guests del mio disco, dovrò realizzare una line up veramente cool, fatta di musicisti preparati.

Promozione di “Freak Out” a parte, mi risulta che la tua vita artistica è bella piena…
Assolutamente! A Febbraio entrerò in studio per registrare le parti di Richard, protagonista dell’opera Prog Metal dal titolo “Neurastasia”, ambizioso progetto di un giovane e talentuoso tastierista francese, Vivien Lalu, che assumendo il moniker di Shadrane si fa assistere in questa sua realizzazione, da una band di base che vede me alla voce, Daniel Flores (Mind’Eye, Faro, Goran Edmann, X-saviour) alla batteria ed un mostro delle sei corde Joop Wolters (Arabesque), più molti guests tra i quali degni di menzione sono Simon Phillips, Steve Walsh, Anders Johnsson, Mike Terrana, Vitalij Kuprij, John Macaluso, Virgil Donati, Tommy Denander, ed altri ancora. Altresì, registrerò le parti vocali per il debut album del giovane chitarrista serbo Marko Pavic, caro amico ed autore di “Take me away”, brano di “Freak Out” al quale tengo moltissimo.

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