Quando hai cominciato la tua
carriera di giornalista musicale? Puoi brevemente
ricordarci le tappe della tuo percorso fino ad oggi?
Alla fine del 1978 iniziai a scrivere
su Rockerilla, che a quell’epoca usciva in un
formato simile ai grandi settimanali inglesi come
Sounds e Melody Maker, e cercava nuovi collaboratori
ricercandoli fra i vincitori di un “concorso
dei lettori” istituito anni prima da Ciao 2001,
la più diffusa rivista musicale italiana degli
anni ’70. Il “premio” consisteva
nella pubblicazione di una recensione, con nome e
indirizzo dell’autore, ed io fui fra i prescelti,
commentando un album dei Blue Oyster Cult.
Negli anni ‘80, Rockerilla divenne un punto
di riferimento per la cultura rock alternativa in
Italia; occupandomi dell’emergente fenomeno
heavy metal, varai una rubrica “Hard & Heavy”,
che fu la prima in Italia nel suo genere ed ottenne
un notevole successo.
Infatti,
senza alcuna raccomandazione, fui invitato a svolgere
il ruolo dell’”avvocato difensore”
in un processo all’Heavy Metal realizzato nel
popolare programma musicale di Raiuno, “Mr.
Fantasy”. Conseguentemente, feci una serie di
trasmissioni sulla radio nazionale; inoltre partecipai
ad altri appuntamenti televisivi su Videomusic e su
Italia 1; si trattò comunque di apparizioni
sporadiche. Nel frattempo, a livello di carta stampata,
avevamo realizzato alcuni numeri di Hard & Heavy,
divenuta una rivista autonoma rispetto a Rockerilla,
e la prima nel nostro paese dedicata esclusivamente
al rock duro.
Cessò
la pubblicazione quando con lo stesso staff redazionale,
trovammo a Roma un editore con maggiori risorse economiche
grazie all’amico Giancarlo Trombetti.
La nuova testata si chiamava Metal Shock, ed inizialmente
rivestivo un ruolo di “redattore esterno”;
per qualche tempo le cose andarono assai bene, poi,
quando Trombetti si trasferì nella redazione
di Videomusic, non ottenendo più le stesse
garanzie, lasciai a mia volta la rivista tornando
a collaborare con Rockerilla, dove scrivo tuttora.
Se non sbaglio sei stato tra i primi a credere che
anche in Italia potesse svilupparsi una scena rock/metal
competitiva, ricordiamo per esempio che hai partecipato
alla realizzazione del primo 45 giri targato
Death SS… Che ricordi hai di quel periodo
e quali erano le difficoltà più grosse?
All’inizio degli anni ’80,
quando la rubrica “Hard & Heavy” divenne
una presenza regolare e molto seguita su Rockerilla,
ricevemmo in redazione una sorprendente quantità
di demos di formazioni metal italiane, e mi sembrò
interessante dedicare uno spazio fisso anche a questo
materiale. Quando mi accorsi che si poteva ormai parlare
di un vero e proprio scenario metallico a scala nazionale,
il passo successivo fu quello di realizzare una compilation
dei brani proposti dalle formazioni più interessanti.
Grazie ad una piccola etichetta indipendente, Electric
Eye, fu pubblicata la prima compilation metal italiana,
“Heavy Metal Eruption” (1000 copie di
tiratura, esaurite) di cui ero il curatore, con gruppi-pionieri
di questa scena: Death SS, Crying
Steel, Strana Officina,
Steel Crown etc.
Visti i risultati,
decidemmo di realizzare anche il primo EP dei Death
SS, la formazione che aveva suscitato maggior
attenzione. Il gruppo aveva un’identità
molto “black magic” (ma distante dagli
eccessi attuali del metal estremo) ed il 7 pollici
si chiamava “Evil Metal”. Lo produssi
insieme all’attuale direttore di Rockerilla,
Mario Rivera, ma nonostante il buon
livello della registrazione, la stampa presentò
dei difetti che ci indussero a non distribuirlo, fomentando
anche la fama “maledetta” del gruppo.
In seguito il disco circolò lo stesso, ed attualmente
è un costoso collector’s item! In generale,
ricordo quel periodo come particolarmente emozionante:
il pubblico del metal è sempre stato fra i
più “caldi” ed entusiasti in assoluto,
e nei miei confronti ha spesso manifestato grande
gratitudine. A mio avviso, certi progetti spontanei
erano più realizzabili vent’anni fa rispetto
ad oggi, perché il mercato non era così
inflazionato. Certamente il livello di professionalità
era nettamente inferiore.
Oggi viviamo nell’era di internet e della globalizzazione
ed è molto facile procurarsi notizie della
propria band preferita... Puoi raccontarci come erano
le cose negli anni della nascita delle riviste di
settore qui in Italia?
Per le informazioni si faceva
spesso riferimento alle riviste inglesi, che ovviamente
sono sempre state all’avanguardia, come Sounds,
Kerrang! o Metal Forces. Ma negli anni ’80 i
primi meccanismi promozionali si svilupparono rapidamente,
e sia dall’Europa che dall’America giungeva
alle prime riviste specializzate italiane materiale
di gruppi poi destinati alla fama, oppure… a
sparire nel nulla. La nascita di etichette dedicate
ad un certo genere di musica rendeva questo rapporto
ancor più diretto e proficuo. Per certi versi,
non era un male che le case discografiche importanti
non fossero molto interessate a condizionare la stampa
rock, a differenza di quanto succede oggi.
Sei sempre stato definito il miglior giornalista di
Rock/Metal che l’Italia abbia avuto... come
ti senti ad essere indicato come colui che ha avviato
ad un certo genere musicale migliaia di persone?
Ringrazio chi mi considera tanto influente…
Quantomeno mi accanisco sui tasti della macchina da
scrivere e poi del computer da oltre 25 anni. So di
aver “avviato” a questa attività
anche qualche affermato giornalista rock, per sua
stessa ammissione. Io svolgo un’altra professione,
e quindi non posso scrivere di musica a tempo pieno,
pertanto posso permettermi di trattare ciò
che mi interessa maggiormente, senza esser costretto
a parlare di fenomeni commerciali per guadagnare…
Siccome sono un fervente appassionato di rock, non
posso che sentirmi lusingato da chi ritiene che io
abbia scritto cose lusinghiere a riguardo.
Puoi darci un giudizio personale
sull’attuale panorama italiano per quanto riguarda
le riviste specializzate? Credi che così tanta
offerta sia davvero necessaria o si rischia di disperdere
le “penne” migliori?
E’ davvero un punto dolente;
non credo che esista una rivista italiana ideale di
rock, in equilibrio fra tradizione ed innovazione,
inoltre l’offerta è oltremodo sproporzionata
rispetto al mercato, perché con la crisi in
corso, la priorità per i giovani non è
certo acquistare numerose riviste musicali. Il problema
non è quello di disperdere le cosiddette “penne
migliori”, che difficilmente riuscirebbero a
convivere nello stesso giornale, quanto il numero
crescente di “dilettanti allo sbaraglio”,
spesso con scarsa esperienza, ai quali alcuni editori
concedono spazio perché costretti a far quadrare
i conti, non pagando affatto questi collaboratori.
La crisi economica delle nostre riviste rock è
generale, ma così facendo non le si rendono
certo molto credibili. Ed i lettori, anche i più
giovani, si lamentano delle clamorose gaffes commesse
da tanti presunti “esperti”. Permettimi
però di non emettere giudizi sulle singole
riviste, sarebbe poco corretto visto che sono di parte.
Nel 1991 sei stato il curatore
dell’edizione italiana dell’enciclopedia
del Rock dedicata in modo particolare all’Hard
& Heavy. Che ricordi hai di quell’esperienza
e pensi che in futuro potrebbe esserci magari un seguito?
Prima del volume H & H, mi
ero “allenato” curando interamente lo
stesso genere di musica sull’Enciclopedia Rock
degli Anni ’80, sempre dell’Arcana Editrice.
Ricordo l’Enciclopedia Hard & Heavy come
un’esperienza particolarmente stressante; in
teoria non doveva essere così, perché
il testo-base era già stato steso da un autore
olandese; ma la traduzione italiana non era soddisfacente
e le discografie spesso lacunose, così l’ho
dovuta riscrivere per lunghi tratti, perché
sono fin troppo pignolo, anche quando correggo le
mie bozze. Ho impiegato più tempo del dovuto,
e siccome non potevo trascurare il mio lavoro principale,
è stato alquanto faticoso.
Infatti in
seguito ho volutamente scritto solo introduzioni critiche
di una collana di libri con tutti i testi di Queen,
Guns N’Roses, Aerosmith,
Bon Jovi. I due volumi sui Queen
hanno riscosso un successo di vendite rimarchevole.
Nell’ambito “enciclopedico”, altri
hanno preso il mio posto nel settore heavy metal,
inoltre credo che l’epoca giusta per produrre
un libro di quel genere fosse proprio alla fine di
un decennio trionfale come furono gli anni ’80.
Oggi a mio avviso non avrebbe lo stesso senso. Invece
mi è stato recentemente proposto di curare
un volume sul mio primo amore musicale (insieme all’hard
rock), ossia il progressive e la musica underground
degli anni ’60 e ’70. Mi piacerebbe realizzarlo,
poiché sarebbe la naturale estensione della
rubrica sulle ristampe di quel periodo, “Perfumed
Garden”, che curo mensilmente su Rockerilla.
Nel corso della tua lunga carriera
hai portato alla conoscenza del pubblico italiano
tantissime bands che poi sarebbero divenute delle
star..ricordo per esempio che la prima recensione
del famigerato ep dei Guns ‘n Roses
fu la tua... c’è qualche bands che a
tuo parere avrebbe meritato più successo di
quello avuto (di quelle da te recensite)? Allo stesso
modo ti chiedo: ti è mai capitato di parlar
male di una band e poi magari di rivalutarla in seguito?
Sono davvero tante le formazioni dotate di talento
ed attitudine che non hanno riscosso un successo pari
al loro potenziale, perché questo dipende da
una quantità di fattori,dalla disponibilità
a sacrificarsi alle regole dello show-business, agli
investimenti della loro casa discografica, non certo
da intuizioni giornalistiche. Senza andare troppo
indietro nel tempo, cito i Kyuss
come un caso clamoroso; sono stati fra i gruppi più
seminali degli anni ’90, ma non hanno sfondato
a livello commerciale. Per contro, esistono un sacco
di bands detestabili o sopravvalutate che oggi vanno
per la maggiore. Ad esempio non mi piacciono i personaggi
dall’immagine forzata come M. Manson
o gli Slipknot, ma ero sicuro che
avrebbero fatto fortuna, anche per le grandi manovre
promozionali che li hanno sostenuti. Generalmente
non mi capita di avere ripensamenti radicali…
Hai avuto modo di conoscere ed
intervistare grandi rockstar... di chi conservi il
ricordo migliore? Hai qualche aneddoto curioso da
raccontarci? Chi invece ti ha più deluso tra
coloro che hai conosciuto?
Ricordo con grande piacere l’incontro
con Ian Gillan (Deep Purple) e Tony
Iommi (Black Sabbath); il primo mi
diede l’impressione di notevole maturità
e saggezza, il secondo, a dispetto della fama “tenebrosa”
mi è parso un vero signore inglese. Mi ha emozionato
moltissimo avvicinare Emerson, Lake &
Palmer all’epoca di “Black Moon”,
perché sono da sempre miei idoli e da ragazzo
sognavo di poterli intervistare. Mi ha invece deluso
per la sua arroganza Robert Plant, mitica voce dei
Led Zeppelin, che si è rifiutato
in modo assai sgradevole di parlare di certi argomenti
(per lui) tabù, come l’heavy rock nato
ad emulazione del suo gruppo storico, e la collaborazione
di Page con Coverdale. Un aneddoto
curioso? Ricordo ad esempio Jon Bon Jovi
entrare in sala stampa a fronte alta e petto in fuori,
con passo studiato: un atteggiamento da divo, ma poi
si è mostrato disponibile nel rispondere a
domande non sempre benevole nei suoi confronti.
Tra i gruppi che hai sempre sostenuto,
anche nei momenti difficili, ci sono gli Aerosmith...
da cosa è nata questa tua grande passione per
la band di Steven Tyler? Avresti
mai pensato che potessero fare il “botto”
negli anni ’90 anche da noi?
Ho sempre pensato, fin da tempi
non sospetti, ciò che recita la pubblicità
della loro casa discografica: ossia che gli Aerosmith
sono “The Greatest R&R Band” in America.
Credo di esser stato fra i primi in Italia ad acquistare
i loro dischi d’importazione. Leggevo il mensile
francese Rock & Folk, che negli anni ’70
era il mio preferito, e c’era un articolo che
parlava della loro ballata “Dream On”
come del più riuscito tentativo in stile Jim
Morrison mai realizzato. Mi diedi da fare
per reperire il primo album, che includeva quella
canzone, ed allora non era tanto facile, credimi.
Quando ho ascoltato “Toys In The Attic”
ho rinnegato per qualche tempo le mie consolidate
preferenze britanniche! Con il boom Hard’n’Heavy
nell’America degli anni ’80, ero sicuro
che Aerosmith sarebbero tornati sulla
cresta dell’onda (come si usa dire) ma certo
non avrei immaginato il loro enorme successo popolare,
Italia compresa, frutto di una malizia commerciale
che il gruppo ha saputo coltivare negli anni, e di
accorte strategie promozionali. Ultimamente però,
le novità discografiche non sempre sono all’altezza
della loro fama.
Nel corso degli ultimi anni hai modificato i tuoi
gusti musicali o sei comunque rimasto fedele alle
bands che seguivi negli anni ’70-’80?
Non credo sia più possibile produrre albums
all’altezza dei primi Black Sabbath,
Led Zeppelin, Emerson Lake
& Palmer, King Crimson,
ed in generale degli artisti di vertice degli anni
’60 e ’70, quando il rock viveva un autentico
periodo aureo, sperimentando tutte le sue risorse
creative. Anche in ambito heavy metal, le formazioni
attuali non valgono assolutamente gli Iron
Maiden, i Motorhead ed i
Judas Priest degli anni ’80.
Ciò nonostante, cerco di seguire con attenzione
l’evolversi della scena contemporanea, sperando
che certe tendenze massificanti e consumistiche non
cancellino lo spirito più autentico della musica
rock.
Da un paio d’anni a questa
parte abbiamo assistito al ritorno di un certo modo
di f are rock chiaramente legato alla tradizione degli
anni ’70… Bands tipo Jet,
Strokes, Hives hanno
recuperato delle sonorità che sembravano ormai
dimenticate dalle nuove leve..come vedi questo “revival”
e quali sono secondo te le bands migliori del lotto?
Anche in questo caso potremmo ricollegarci al discorso
precedente; mi piacciono in particolare Jet
e Silvertide, ed ha ragione Mario
Ruggeri, l’esperto di neo-garage rock’n’roll
che ho voluto come collaboratore di Rockerilla, quando
afferma che i veri prime-movers di questo revival
sono stati gli Hellacopters. Ma se
devo paragonare questi pur validi gruppi a MC5,
Stooges o ai perversi New York Dolls,
ritengo proprio che escano sconfitti dal confronto.
Dalla metà degli anni
’90 ad oggi abbiamo assistito a decine di reunion
di bands più o meno storiche..come giudichi
il fenomeno e se tu potessi scegliere quale grande
band del passato ti piacerebbe “resuscitare”?
Il fenomeno è sicuramente
interessante per i cultori del classic rock; rivedere
in azione gruppi storici che nel loro periodo d’oro
ci eravamo persi, anche per ragioni anagrafiche, è
sicuramente emozionante. Generalmente queste reunions
sono più che altro da apprezzare in concerto;
spesso le novità discografiche risultano deludenti.
Pertanto non sogno di “resuscitare” nessuno,
preferisco serbare il ricordo dei momenti migliori
dei miei gruppi preferiti. Mi limito realisticamente
all’attesa di eventi annunciati. Per esempio
si parla da tempo di una rifondazione dei
Black Widow. Mi sembra improbabile, ma certo
mi incuriosirebbe molto. Inoltre la stampa inglese
sostiene che i Cream stiano preparandosi
per un come-back in primavera, ben vengano…
Nell’heavy metal, la priorità è
riascoltare Rob Halford con i Judas Priest,
e succederà tra poco.
Ci siamo lasciati alle spalle
da poco l’anno 2004… Se tu dovessi dare
un giudizio sull’anno musicale appena passato
come lo definiresti?
Non voglio urtare la sensibilità di nessuno,
ma per me il 2004 è stato davvero mediocre.
Forse l’album di maggior impatto è stato
il debutto dei Velvet Revolver, e
siccome si tratta di reduci dei Guns N’Roses
con l’ex-vocalist degli Stone Temple
Pilots, significa che non c’è
gran che di nuovo sotto il sole. Loro hanno saputo
rilanciarsi dopo anni difficili e meritano un plauso,
ma mi piacerebbe aver ascoltato qualche gruppo-rivelazione
davvero entusiasmante.
Conoscendo la tua profonda cultura calcistica, ti
propongo questo giochino a quale giocatore paragoneresti
queste grandi icone del rock: Mick Jagger,
David Coverdale, Angus Young,
Gene Simmons e Jimmy Page?
Già, come tu ben
sai, anni di sofferenze calcistiche acuiscono il senso
critico… Andiamo per ordine: Mick Jagger
è un’icona storica del rock, e preferisco
paragonarlo ad un’istituzione del calcio britannico
dei suoi tempi (migliori), trasgressivo, ribelle e
“capellone” come lui: naturalmente parlo
di George Best. Nei confronti di
Coverdale voglio esser irriverente:
così vanesio e attento alla sua immagine, mi
ricorda un po’, anche somaticamente, il divetto
nostrano Bettarini. Angus
in concerto è in perenne movimento, saltella
e fa piroette; dunque lo avvicinerei ad un motorino
infaticabile ed anche “cascatore”, Nedved.
Gene Simmons ha fama di irriducibile
donnaiolo, perciò lo vedo come un bomber implacabile
sotto rete, inoltre ha un aspetto vagamente da stregone:
scelgo l’ivoriano del Chelsea, Drogba.
Infine Jimmy Page: un fuoriclasse
inarrivabile, ma realisticamente lontano dai suoi
giorni migliori, proprio come Ronaldo!
Per chiudere... qual è
il primo disco che hai comprato? Quale il primo che
hai recensito? Quali sono secondo te i 3 dischi che
non dovrebbero mancare nella discografia di ogni buon
rocker?
Il primo singolo non lo ricordo proprio, certamente
qualcosa di beat italiano degli anni ’60; invece
il primo LP è stato l’omonimo “Emerson,
Lake & Palmer”, nel 1970. Inoltre, il primo
che ho recensito su Rockerilla è stato “Nothing
Is Sacred” dei Godz, una tostissima
band americana dei Seventies. Tre soli dischi fondamentali?
Troppo pochi per rispondere, e poi non mi piace stilare
dei valori assoluti in modo drastico. Se vuoi, ti
cito tre albums da culto di cui non mi priverei mai,
e che ascolto sempre con immutato piacere: il secondo,
omonimo degli High Tide,
un capolavoro pyche-prog dalle atmosfere dark, il
debutto self-titled dei Quatermass
(sorta di futuristico heavy-prog) e l’occulto
“Sacrifice” dei Black Widow.
Tutti del 1970, un’annata incomparabile, Sir...
pienamente
d’accordo…