ADLER'S
APPETITE
15/16/17/18
Gennaio 2004 |
Approfitto della supplica
del sommo capo Lissoni, curioso di sapere quali
autogrill abbiamo visto suonando di spalla a Steven
Adler, per dare un seguito alla guerra privata Pacino
vs. Lingua Italiana. Chi non capisce cosa sto scrivendo,
usi queste tre righe introduttive come disclaimer
e sappia che quando parlo si capisce ancora meno.
Sto piercing alla lingua di merda…
Allora: che i Bastet vivano in ville
maestose e passino le giornate a rompere i maroni
agli schiavi che raccattano il cotone, nella bella
e soleggiata campagna veneta, ormai è di
dominio pubblico. Quindi eviterò il pistolotto
classico di come il rock n roll abbia salvato la
mia/nostra vita/e, che tanto non è vero.
La vita ce la sta rovinando, ma di qualcosa bisogna
pur morire; e il rock n roll ha bisogno di martiri,
e secondo me, lo dico con umiltà, Rufus è
PERFETTO per il ruolo.
In tre giorni infatti si è
prodotto in circa milleseicento chilometri alla
guida del Barbie Van (che di picco fa gli 80km/h,
ma a noi sta bene così TUTTI lo possono vedere),
a fatto da guitar tech, spacciatore di magliette,
trombeur de femmes nutrendosi esclusivamente del
suo ego e di popcorn. Un eroe.
Tornando alla fredda cronaca, riceviamo
la chiamata di Debbie della Get Smart pochissimi
giorni prima dell’arrivo di Adler & soci.
Clairement, non avendo un cazzo da fare, accodarci
al tour non è certamente un problema…
Prendiamo abbastanza Tavor da restare storditi fino
al momento della partenza, ci riprendiamo con l’usuale
double shot di Caffè e Fernet Branca e partiamo.
Ora, vorrei raccontarvi qualcosa di
carino ed esotico sul viaggio che ci ha portato
dall’Ospitale Veneto all’Ostile Roma,
ma la realtà dei fatti è che col Tavor
avevo esagerato e son giaciuto svenuto in furgone
per la maggior parte del viaggio. Il che ha reso
felici i miei compagni di band, ma dei problemi
di inserimento sociale che ho non interessa a nessuno,
quindi passo oltre.
A Roma incontriamo la Debbie, il solito,
epocale Enrico Giannone della Kick Promotion e un
po’ di slammisti, clairement. Solita candela
di un’oretta, un’oretta e mezza, durante
la quale conduco una personale e disperante battaglia
contro i residui del Tavor (perduta ignominiosamente),
poi conosciamo gli Adler’s Appetite. Robbie
Crane è FANTASTICO, da accopparsi dal ridere
quando racconta i suoi giorni con Vince Neil…
Brent ormai per noi paraculi è una vecchia
conoscenza, Keri Kelli vabbè, poi arriva
la double shot dei miei sogni di ormai decadente
hair metaller: Steven Adler, che arriva e sparato
ci ABBRACCIA. Ora, neanche mia madre riusciva a
farmi sentire così perfetto, bene, a mio
agio e felice quando mi allattava al seno. L’abbraccio
di Steven Adler è stato qualcosa che le parole
non possono spiegare (in questo rema contro la mia
buona volontà il vocabolario ridotto di cui
dispongo): un abbraccio totale, avvolgente, uterino.
Sono stato per cinque incredibili secondi in preda
a un delirio amniotico, sorridevo, sentivo gli angeli
cantare, joie de vivre, anche il senso di solitudine
che mi sta uccidendo = scomparsi.
Sono abbracciato a Steven Adler!
Che culo.
Passato il tremito e puliti i pantaloni
dalla pipì facciamo la conoscenza anche di
Jizzy Pearl, che per me è un supereroe. Adoro
i Love Hate (anche le ultime cose), il suo disco
solista “Just a boy” è una chicca
e son pure fan dei suoi libri… Sto uomo ha
un talento per la scrittura che è fuori dal
comune: buttate un occhio sul suo sito e leggetevi
la biografia dei Love Hate, c’è da
imparare sul rock’n’roll lì che
in qualsiasi corso della CEPU, e lo dico per esperienza
diretta.
Fatto un rapido soundcheck (grazie
a dio, con gli LA Guns ce lo siamo sognati…)
abbiamo passato un’oretta serena, cena compresa
a confrontare le nostre esperienze con quelle di
Adler e soci: l’intimità partecipe
che si crea nelle Osterie Venete nelle quali solitamente
ci esibiamo comparata all’asetticità
del suonare in uno stadio dove non vedi nemmeno
in faccia chi ti ascolta, le gioie dell’autoproduzione,
dove è TUTTO solo tuo, contro la spietata
logica utilitaristica delle major discografiche,
e altre amenità. Ho chiaramente letto l’invidia
nei loro occhi, vagamente ostile pure, per le dimensioni
più umane nelle quali operiamo noi Bastet.
Sempre parlando di fredda cronaca,
un piccolo appunto: la gente non si rende conto
di QUANTO difficile sia aprire a gente come Steven
Adler, che ha significato così tanto per
così tante persone.
Pacino