Per me parlare dei Maxx Dolls significa sfogliare l’album dei ricordi e tornare ai tempi immediatamente successivi alla Naja, quand’ero un giovane rocker scatenato e carico d’entusiasmo, sempre “affamato” e desideroso di scoprire ogni giorno nuove band che mi esaltassero e rinverdissero i fasti di New York Dolls, Hanoi Rocks e Guns’n’Roses, che mi facessero sognare di essere sul Sunset Strip od in qualche club della downtown Newyorkese, invece che nella sfigatissima Leonessa d’Italia.
Eppure anche in questa ridente città che oggi come allora non è un cazzo rock’n’roll, in quella fine degli anni 80 stava succedendo qualcosa. Dalle ceneri dei Megahertz, rock band locale già autrice di un demo cantato in italiano, nel 1988 nascevano i Maxx Dolls, intenzionati ad esplorare territori anglosassoni adottando un sound più in linea con il loro background.
Li conobbi per caso grazie a Gabriele “Jacky” Scalfi, mio soul-mate e mentore, bravo chitarrista con cui provai anche a suonare il basso, nella primissima incarnazione dei 7Aged, per un breve ed inconcludente periodo (poca voglia e scarse capacità, meglio continuare a comprare dischi), che l’estate del 1989 conobbe in Spagna il fratello del cantante.
Non ricordo esattamente quando avvenne il primo contatto con i ragazzi, probabilmente in sala prove, una stanza ben attrezzata in una casupola semi-diroccata della suburbia bresciana, un luogo apparentemente squallido e desolato, ma come entravi ti trovavi d’incanto in una cazzo di cantina Hollywoodiana, tremendamente, fottutamente rock’n’roll, la magia era palpabile, l’atmosfera calda e fumosa, ed i ragazzi ti accoglievano sempre con un sorriso compiaciuto.
Il primo 4 tracks demo uscì nel 1989, con suoni “ovattati” che non rendevano giustizia alle loro capacità, e nonostante tutto ha fatto storia, personalmente non dimenticherò mai “Need Somebody”, “Young City”, “I Am Your Doctor” e “World Of Dreams”.Il bassista Fabrizio Fisogni, accreditato sul demo, li aveva lasciati ed era stato reclutato il simpatico toscano dell’Elba Ludo Battani, ottimo musicista con la giusta presenza scenica, il batterista Mauro “Monrow” Losio era professionale e preciso ma anche eclettico e divertente, tanto che i paragoni con Tommy Lee si sprecavano, Jampy Lussignoli alla chitarra era dinamite allo stato puro, una specie di CC DeVille meno fuso di testa ma altrettanto divertente ed il cantante Fabry Gregorelli aveva fisique du role e doti vocali adatti allo scopo. Certo non mancava qualche imprecisione e l’inglese di Fabry era tutt’altro che perfetto, ma erano tempi pionieristici ed alle band si tendeva a perdonare un po’ tutto, forse anche più del dovuto, figuriamoci poi da parte di uno scatenato fan poco più che 20enne, sempre pronto ad andare a trovarli in sala prove ed a supportarli in tutti i modi possibili.
E’ ancora vivido il ricordo dei week-end passati distribuendo flyer e poster con Samuele, un altro fan sfegatato della zona Lago di Garda, e Fausto “Johnny” Bolpagni, batterista in erba che si farà le ossa come roadie della band, poi maturerà un’ottima tecnica e fonderà i Sex For Sale. Ad un certo punto l’entusiasmo per i Maxx Dolls contagiò tutta la mia compagnia, autoproclamatasi “Skizz Park” (avevamo pure le magliette con logo personalizzato, concepite da Marco “Ninja” Fanconi, il nostro artista), realizzammo uno striscione da esibire durante i concerti e mia cugina Sonia mi fece una T-Shirt che riproduceva la cover del demo, che conservo ancora gelosamente.
Lo stile adottato dalla band era molto “americano”, chiaramente influenzato dai loro gruppi preferiti, non è fuori luogo citare i Kiss dei mid 80’s, i Cheap Trick ed i Poison di “Open Up and Say Ahh…”, sapientemente miscelati con Aerosmith e Led Zeppelin, aggiungete una buone dose di carisma personale ed avrete un quadro abbastanza completo. Un mio cruccio relativo all’epoca riguarda i brani, comprese le cover “I Wanna Rock’n’Roll All Nite”, “I Want You To Want Me” e “Rock’n’Roll”, che purtroppo non hanno goduto di release ufficiale, ce ne sono almeno due che farei carte false per riascoltare: “Jimmy Joe”, veloce rock’n’roll sostenuto dalla martellante doppia cassa di Mauro, che veniva puntualmente dedicato a noi fan e “Money”, con un ruffianissimo ritornello che ancora mi frulla in testa.
Tempi magici, durante i quali la band conquistò meritatamente buona visibilità con articoli e recensioni sia sui quotidiani locali (in un paio d’occasioni nominarono pure lo Skizz Park) che sui magazines di settore, quali H/M, Metal Shock e Hard, interviste radiofoniche e quant’altro si potesse escogitare in tempi pre-internet.
Ricordo parecchi concerti sia locali che in trasferta per suonare con altre belle realtà del panorama rock Italiano ed internazionale, tra i quali i giovani Jolly Power ed i toscani Shabby Trick, forti della pubblicazione del loro debut album “Bad Ass”, il cui vinile ebbi in regalo proprio da Fabry.
Giocoforza, noi giovani e squattrinati fan li seguivamo più che altro “in casa”, memorabili, tra le altre, una data all’Ex Monastero di S. Eufemia, dove furono raggiunti sul palco per un bis da Omar Pedrini dei Timoria, e l’opening per i Vanadium al Teatro S. Afra, il 23 Febbraio del 1990.
Ad un certo punto sembrava davvero che qualcosa di grosso potesse accadere, ci si credeva quando agli inizi del 1991 andarono in tour in Cecoslovacchia, dove trovarono anche un attrezzatissimo studio di registrazione, dai costi contenuti, che in seguito usarono per incidere le tracce del primo mini-album.
Ci si credeva ancor di più quando fecero una data da headliners al Rolling Stone di Milano, con tanto di pullman organizzato per i fan di Brescia dal negozio Magic Bus (la data purtroppo andrà semi-deserta, inaugurando un trend ad oggi ben lungi dall’esser superato), o quando vinsero uno Yamaha Contest che li portò ad esibirsi in Giappone al mitico Budokan di Tokyo, davanti a migliaia di persone.
Nel 1992 uscì il tanto agognato CD, che proponeva la nuova versione di “Need Somebody”, indurita e velocizzata e 4 nuovi brani: “It’s My Turn To Move”, “Just Blow Me Away”, “Easy Train” e “Summer Night”, un po’ meno zuccherosi e più “stradaioli”, all’altezza della loro fama e, finalmente, incisi con tutti i crismi grazie alla collaborazione di un fonico capace come Diego “Gu” Spagnoli, che dal 1982 faceva parte dello staff di Vasco Rossi.
La presentazione avvenne in pompa magna con uno show acustico tenuto in un noto negozio di dischi cittadino. Purtroppo il tanto sospirato salto di qualità non avvenne, a nulla servirono anni di sbattimenti, d’impegno, fatica e sudore e di li a poco qualcosa cominciò ad incrinarsi.
Le prime avvisaglie che il giocattolo si stava rompendo si ebbero con l’abbandono di Jampy, certo dovuto più a problemi personali che a divergenze musicali, ma di fatto il gruppo stava perdendo la sua anima più autentica e divertente. Quando in seguito fu Ludo a lasciare per tornarsene all’Isola d’Elba, fu la fine di un sogno, la fine di un’epoca.
Iniziò un lento ma inesorabile declino, ricordo con infinita tristezza le ultime due volte che li vidi su un palco, al Pala Brescia di supporto ai modenesi Rats ed al teatro del Villaggio Prealpino, alla chitarra era subentrato un simpatico ragazzo siciliano che nell’ambiente dell’Arancia Meccanica, la storica birreria metal degli anni d’oro situata in centro città, era conosciuto col soprannome di “Padrino”.
Certo era un bravo chitarrista, ma non era Jampy ed aveva un approccio decisamente più metal-oriented, inoltre per quanto non fosse imputabile a lui ma piuttosto ad una scelta corale, il suono sterzava verso lidi più cupi e deprimenti, debitori dell’imperante Seattle sound, anticipando in modo inopinabile quanto indesiderato dai fan della prima ora, un trend che in seguito avrebbe mietuto vittime illustri, come i Motley Crue di Corabi o i D.A.D. di “Helpyourselfish”.
Del disastroso tentativo, nel 1994, di rigiocarsi la carta del cantato in italiano, chiedo venia, ma non mi va nemmeno di parlare, se non per omaggiare l’amico Paolo Cattaneo, già bassista dei Sex For Sale, che venne ingaggiato per sostituire Ludo ed oggi è un bravo ed apprezzato musicista indipendente, fra Jazz e sperimentazione.
Rimangono nei ricordi, e nel cuore, quei meravigliosi anni culminati nel 1992, rinverditi dall’ascolto frequente di una manciata di brani che fecero da colonna sonora alla mia beata gioventù, uniti ad alcuni cimeli conservati gelosamente. Non nego che questo ultra quarantenne, tutto sommato, parlando di loro prova ancora un brivido lungo la schiena e rischia di commuoversi. Grazie comunque ragazzi, ovunque voi siate, che Dio vi benedica.