Siamo a Londra nel quartiere di West Kensington, il Nell’s club solitamente é votato ad una programmazione jazz e blues, come ci ricorda la sua insegna, nonostante ciò questa sera sarà testimone di un evento senza precedenti, il ritorno sulle scene degli Hollywood Brats, tassello tanto fondamentale quanto dimenticato della storia del rock. Riavvolgiamo il nastro e scorriamo velocemente gli eventi giusto per darvi un’ idea generale di quello che sta per succedere.
All’ inizio degli anni settanta il canadese Andrew Matheson, futuro frontman della band, assieme al norvegese Casino Steel, pianista e principale coautore del gruppo, si incontrano e decidono di dare vita ad una band che riassuma in sé la tradizione del rock and roll più viscerale e selvaggio filtrandolo attraverso l’esperienza inglese degli anni 60, i Beatles del periodo amburghese, i Rolling Stones, i primi Kinks, gli Small Faces calzando e vestendo il tutto di glam rock inglese, in modo da aggiungere, non solo un elemento di contemporaneità, ma dando libero sfogo alla voglia della band di shoccare e disturbare il pubblico conservatore. L’ambizioso progetto prenderà presto forma attraverso l’innesto di Eunan Brady alla chitarra, Lou Sparks alla batteria ed una sfilza di bassisti ai quali la stessa band attribuirà l’appellativo di Wayne Manor (Villa Wayne celebre residenza dell’alterego di Batman) proprio a sottolineare il mistero sull’ identità di chi realmente fosse il bassista nel gruppo.
La band resterà insieme fino al 1974, facendo in tempo però a sviluppare un piccolo seguito di fedelissimi devoti tra i quali Keith Moon (batterista degli Who), ambasciatore della band nel jet set inglese. Nonostante l’entusiasmo sviluppatosi attorno al gruppo ed alla sua proposta di un rock and roll maleducato, ruvido e provocatore le case discografiche non faranno assolutamente la fila per agevolare l’ingresso della band nel mercato musicale. A questo punto l’ovvio scioglimento del progetto, non prima però di aver inciso una manciata di brani che vedranno la luce nel 1975, solo per il mercato norvegese, a nome Andrew Matheson & The Brats con il titolo “Grown Up Wrong“.
Da questo momento la diaspora degli Hollywood Brats porterà Matheson a perseguire una carriera solista dalle alterne fortune che mai gli consentirà di imporsi in modo efficace nel mondo della musica, tanto da affiancare alla stessa una discreta esperienza calcistica professionale in terra natia. Casino Steel prima con The Boys, poi con Gary Holton (Heavy Metal Kids), successivamente grazie alla collaborazione con Mick Ronson (David Bowie), Ian Hunter (Mott The Hoople) per non parlare dell’esperienza in patria con Claudia Scott, Big Hand ecc. diventerà figura di primo piano per la musica scandinava e uno dei padri fondatori del movimento punk nel mondo. Eunan Brady continuerà a vagare per Londra trasformandosi in un vero e proprio originale, senza dubbio viveur e agitatore del underground londinese. Lou Sparks e Wayne Manor infine faranno perdere le proprie tracce anche se Nick Barolo (Desert Inn Rec.) giura di aver acquistato la sua copia di “Grown Up Wrong” da uno dei Wayne Mannor oggi residente in Danimarca.
Andrew dal canto suo nel 2015 scriverà un memoriale “Sick On You: The Disastrous Story of Britain’s Great Lost Punk Band” da subito best seller e caso letterario che finalmente porterà la giusta attenzione su questa band che per troppo tempo é restata un segreto riservato a pochi. Quindi eccoci qui quattro anni dopo pronti per assistere all’ inizio di qualcosa di nuovo o alla rievocazione di un passato ormai sepolto? Questo non ci é dato saperlo ma quest’estate é uscito un nuovo singolo a nome Hollywood Brats dal titolo “Vampire Nazi” che ha entusiasmato non poco tutti i cultori dei “Monelli di Hollywood”. La sala é sold out, tra i convenuti da subito é possibile notare come le nazionalità siano le più varie e per i più attenti quanti musicisti siano presenti tra il pubblico, membri di Professionals, Yo-Yo’s, Urban Voodoo Machine, Pojat, Hard Luck Street, Gasoline Queens, Suicide Generation ecc. quasi a rimarcare l’innegabile influenza del combo inglese su tantissimi gruppi ancora oggi in attività.
La serata inizia con i The Vultz di Gary Pearce che allietano la sala con un punk ’77 godibile e fatto col cuore, una miscela di Buzzcocks, Heartbreakers, 999 e Vibrators nel segno di una voglia di divertire e divertirsi che oggi sembra mancare a tanti gruppi più giovani che sempre più spesso sembrano prendersi troppo sul serio. La sala risponde tifando per il quartetto inglese quasi ci si conosca tutti da sempre.
Finita l’esibizione del primo gruppo monta l’emozione nella sala, la maggior parte dei presenti conosce a menadito il gruppo e la sua produzione anche senza aver mai avuto la possibilità di vederli e goderli dal vivo. Per quasi tutti i presenti gli Hollywood Brats non sono solo una delle tante band dimenticate ma la bandiera di qualcosa di più, un posto nella catena evolutiva delle sottoculture, uno spazio ben preciso nel mondo del rock che la band ha aiutato a definire e che mai è stato veramente riconosciuto dal grande pubblico o dalle altre sottoculture stesse. Non punk, né rocker nel senso stretto del termine, non metallari, né devoti del blues, forse un po’ di tutte queste cose ma sicuramente in modo unico ed inedito. I figli del completo di satin rosa nel quale si contorce Mick Jagger a Top of the Pops del 71, del glitter spennellato frettolosamente sugli zigomi di Bolan, dello scomposto plié di Johansen al Midnight Special, della testa di leopardo cucita sulla giacca di Iggy, dei morsi di Bowie alla chitarra di Ronson si sono dati appuntamento qui questa sera, sono pronti a rendere omaggio ad un gruppo che fa parte della loro vita e ad incassare un conto in sospeso con la storia.
La band sale sul palco, accanto a Matheson, Steel e Brady troviamo alla chitarra Baarli ed alla batteria Hansson entrambi già Backstreet Girls e al basso Norberg direttamente dai Sator. Appena il tempo di rimanere abbagliati di fronte ai riflessi dello smalto rosso sulla sola mano scoperta di Matheson che il gruppo si getta in “Tumble With Me“, “Chez Maxime” e “Zurich 17“. Suonano divinamente taglienti e arroganti, con classe e stile da vendere. Matheson domina la scena come non avesse fatto altro che stare sul palco durante gli ultimi 40 anni: sorride, interagisce con chiunque in sala, poche parole ma sempre efficacissime.
La sala è stracolma, entusiasta ed estasiata, l’energia che ci investe non ha nulla a che fare con il revival, l’elettricità e l’urgenza di questi pezzi rimasti nel cassetto per decenni colpisce ancora dritto in mezzo agli occhi, quasi fossero stati composti oggi. Affianco alle classifiche “Courtesan“, “Another School Day“, “Nightmare” trova posto perfettamente la nuovissima “Vampire Nazi” assieme ad anfetaminiche rivisitazioni di “Sweet Little Sixteen” di Chuck Berry, “Little Ole Wine Drinker Me” di Dean Martin e “I Need You” dei Kinks per la quale sale sul palco addirittura Bob Geldof, sì proprio Sir Bob Geldof, insomma Boomtown Rats e Live Aid.
Ormai il gruppo sembra inarrestabile ci ha trascinati, nessuno escluso, in un crescendo di emozione ed eccitazione che solo le grandissime occasioni sanno regalare. I nuovi innesti funzionano perfettamente e si amalgamano con totale naturalezza nella ritrovata chimica della formazione “classica”, assolvendo al difficilissimo compito di agevolare, sorreggere e valorizzare l’estro di Matheson, Steel e Brady.
Se è vero che anche l’occhio vuole la sua parte potevano i padrini del glam punk lasciarci a bocca asciutta? Impossibile, dettagli curati nei minimi particolari, dei quali provvederò ad allegare abbondanti audio visivi, che danno l’impressione di ritrovarsi di fronte a dandy di un altra epoca con i quali nonostante tutto non è assolutamente raccomandabile scherzare. Il concerto ovviamente non poteva che concludersi con “Sick On You” lasciandoci esamini, madidi di sudore ma totalmente soddisfatti. Le foto di rito, gli autografi, le chiacchiere, la band appena scesa dal palco non si sottrae a nulla, intrattenendosi ancora per un ora abbondante assieme al proprio pubblico. Una serata da incorniciare, probabilmente un evento irripetibile… O forse no?
Lester Greenowski
Photo by Ian Ladlow