Negli anni ‘80 New York non era ancora quella Grande Mela scintillante che i turisti di tutto il mondo hanno imparato ad amare negli ultimissimi decenni. La Mela era sì grande, ma stava anche marcendo, consumata al suo interno da un dilagante campionario di corruzione, vizi e malcostumi di ogni genere, fatali conseguenze delle crisi economiche e politiche che si erano abbattute sul tessuto sociale americano nel decennio precedente.
Eroina, crack ed AIDS; prostituzione ed i suoi annessi e connessi come il favoreggiamento e lo sfruttamento della stessa; criminalità organizzata (e non) riempivano, secondo un trend in costante crescita, i cimiteri, le celle delle carceri e le pagine di cronaca nera dei quotidiani locali.
In questo rischioso percorso ad ostacoli non doveva essere facile rigare dritto per i giovani newyorkesi ammaliati dal quotidiano canto delle Sirene che promettevano di elargire con generosità i piaceri agrodolci della vita.
Se l’intenzione di un ragazzo era quella di alimentare il proprio vissuto con nuove esperienze di vita, allora occorreva farlo con prudenza, facendo attenzione a non cadere nella trappola dell’eccesso che spesso porta a sconfinare nell’illegalità.
Fu così che un gruppo di amici, composto da due ragazzi di origini italiane, Mike Corcione e Bruno Di Cecco, nati e cresciuti nel Queens ed un terzo, Henri Perret, nato in Francia e poi trasferitosi da giovane a Long Island, iniziò a bazzicare gli ambienti musicali cittadini.
Il piano era semplice: entrare a far parte di quel circuito rock che, sulla carta, avrebbe potuto garantire ai tre amici una dose sufficiente di divertimento a buon mercato mantenendone pulita la fedina penale.
Di Cecco e Perret, dopo aver cambiato i rispettivi nomi nei più convincenti Bruno Ravel e Kelly Nickels formarono, nel 1983, una cover band chiamata Hotshot dove si ritaglieranno uno spazio rispettivamente come bassista e come roadie/tecnico delle luci.
Non era il massimo, ma tanto bastava per iniziare a togliersi qualche sfizio, come ricorda Mike Pont, cantante degli Hotshot (e poi dei Danger Danger):
il più delle volte Kelly tirava su più grana e fighette dell’intera band. Una sera, prima di una nostra esibizione, il set delle luci andò in fiamme e Kelly, che doveva occuparsene, era scomparso. Alla fine saltò fuori che era andato con una tipa a divertirsi nel retro del camion che usavamo per l’equipaggiamento
(Drivin’ Sideways: The Story Of The Band Danger Danger, Aaron Joy, Roman Midnight Music; 2020).
Corcione invece, sprovvisto di un bagaglio tecnico/musicale, farà un po’ di purgatorio per la Relativity Records, una casa discografica fondata a New York agli inizi degli anni ‘80 sotto l’egida della capogruppo Important Record Distributors che annoverava tra le sue fila anche la Combat.
Fu proprio durante una chiacchierata tra Mike ed il suo datore di lavoro che prese corpo l’idea di mettere sotto contratto una band di glam rocker per diversificare l’offerta musicale della Combat, specializzata nella produzione di artisti Thrash/Speed Metal.
Era il 1984 e da Los Angeles continuavano ad arrivare chiari segnali di conferma che stavano indirizzando il music business in una direzione difficile da ignorare: Ratt, Dokken, Motley Crue, Quiet Riot, avevano convinto MTV e le major discografiche con i loro brani commerciali e con la loro carica di vitalità.
Ce n’era abbastanza per far venire l’acquolina in bocca anche ai manager della Relativity/Combat.
Il proprietario della Relativity mi disse di voler mettere sotto contratto una band con caratteristiche Glam. Peccato che, all’epoca, non c’era veramente nulla del genere a New York e quindi non sapevamo proprio chi contattare. Di quei tempi non c’erano band sul genere di quelle che si vedevano girare nel Sunset Strip. Il rock di New York era piuttosto improntato a quello trasandato e junky di Johnny Thunder. C’era una scena ovviamente, ma era molto scura e decadente. Non eravamo certo a Los Angeles, dove inoltre la maggior parte delle band aveva già un contratto. Quelle poche che non lo avevano si aspettavano di firmarne uno da almeno 20 milioni di dollari con la Warner. Quindi, se queste erano le aspettative, per noi era difficile trovare un band Glam. Le band Thrash Metal che avevano firmato per la Combat, tipo i Megadeth, lo avevano fatto semplicemente perché all’epoca nessun’altra casa discografica li avrebbe messi sotto contratto: di sicuro non le majors. Resta il fatto che il mio boss insisteva per puntare su una band Glam e quindi se ne uscì proponendo a me di formarne una. Visto che non ero mai stato in una band e l’idea mi stuzzicava risposi di sì e ne formai una io stesso.
Niente di meglio per un outsider come Mike, cui si presentava finalmente l’occasione ideale per entrare nel mondo del rock dalla porta principale, con un contratto discografico già assicurato.
Certo, la Combat non disponeva del budget di una major e poteva offrire poche garanzie di crescita commerciale per via delle sue politiche promozionali low cost che si limitavano a puntare sulle radio dei college e sugli annunci delle stazioni rock locali.
Ma questo non era un problema per il giovane italoamericano che non farà mai sfoggio di grosse ambizioni di successo commerciale, forse anche perché consapevole che in una città come New York un giovane di 23 anni proveniente dal Queens doveva sottostare ad un certo fatalismo, vivere alla giornata e prendere, professionalmente parlando, quello che la città, a sua discrezione, decideva di concedere.
Anche perché la Grande Mela, artisticamente, è sempre stata imprevedibile. Ma non avara di sorprese positive, vista la sua propensione a riconoscere alle sue avanguardie culturali un buon grado di autarchia, dimostrando negli anni di poter offrire a chiunque la possibilità di eccellere in campo artistico (e di riflesso musicale).
Questa filosofia del ‘do It yourself’ (fattelo da solo!) aveva avuto l’intero decennio precedente per sedimentarsi e diventare un vero e proprio state of mind.
Il processo di autogestione artistica era nato negli anni ‘60 grazie alla visione della Factory di Andy Warhol.
Quest’ultimo riuscì a convincere il mondo che chiunque poteva arrivare al successo, magari effimero, come artista ed anche senza una preparazione scolastica alle spalle.
Bastavano una immagine audace ed una idea che veicolasse un messaggio emozionale dai toni dirompenti.
Sulla base di queste premesse, chiunque poteva creare arte anche perché sia l’ispirazione che la tela erano alla portata di tutti: si trattava di New York stessa.
Bastavano una bomboletta spray, un pennello da cui far gocciolare la vernice su una tela disposta per terra o degli impianti serigrafici.
Questo principio venne assimilato anche dai musicisti rock locali che smisero presto i panni del virtuosismo, in favore di un approccio più istintivo e diretto.
Il resto lo faceva la strada con le sue dure leggi.
Fu così che molti ragazzi del sotto proletariato urbano agli inizi degli anni ‘70 imbracciarono uno strumento e salirono sui palchi del CBGB o del Max’s Kansas City.
New York Dolls, Teenage Lust, The Brats e Ramones docent!
Con degli esempi di tal genere e con le motivazioni che lo sostenevano Mike non si lasciò certo spaventare dalla mancanza di un programma di crescita da parte della Combat né tantomeno dalla sua mancanza di preparazione musicale.
Insomma, in quegli anni il non avere un piano era quasi una garanzia affinché nulla andasse storto: questo deve aver pensato Mike, che si ritagliò subito il ruolo di cantante dopo essersi cambiato nome in Corky (così lo chiamavano fin dai tempi del liceo) Gunn.
Il nucleo dei Sweet Pain vedrà la luce nel 1984.
Corky chiamò a sé Kelly Nickels e gli propose di entrare a far parte del progetto.
Stufo di accordare strumenti altrui ed ovviamente ignaro che 3 anni dopo gli Hotshot sarebbero diventati i Danger Danger, Kelly accolse di buon grado l’invito del suo amico a formare una band che avrebbe avuto una personalità propria.
Fu così che i due amici decisero di pubblicare un annuncio sul quotidiano Village Voice di Manhattan allo scopo di reclutare i restanti membri della band che, nel frattempo era stata battezzata Sweet Pain, dal titolo di una canzone dei Kiss.
Le ricerche non durarono a lungo: infatti, i selezionatori non erano interessati a valutare le capacità tecnico/musicali dei potenziali membri della band.
Le caratteristiche fondamentali che avrebbero dovuto possedere i candidati per ottenere il posto erano solamente due e non richiedevano una grossa preparazione: le priorità erano il look e l’attitudine giusti.
Doveva trattarsi di giovani ragazzi che si presentassero bene e che avessero gli stessi gusti musicali di Kelly e Corky.
Detto, fatto!
Nell’estate del 1984 la band era al completo con Adrian Vance e Scarlet Rowe alle chitarre e Ronnie Taz alla batteria.
Questi tre musicisti, il cui provino si ridusse a dei semplici scatti fotografici fatti con una Polaroid per scoprire la loro resa fotogenica, avevano in comune tutto con i membri fondatori della band, a cominciare dai gusti musicali:
i riff metal precisi e squadrati, Yngwie Malmsteen, lo Speed Metal, il Thrash e tutta quella robaccia ci nauseava. A noi piacevano i Kiss, gli Starz, gli Aerosmith, gli Hanoi Rocks, gli New York Dolls ed il Punk di gente come i Sex Pistols, i Clash, I Vibrators ed i Ramones. Volevamo fare festa ed allo stesso tempo dare fastidio ed inimicarci più gente possibile
Questa propensione ad irritare la gente e a crearsi nemici i Sweet Pain la possedevano quasi come dote naturale: pertanto non fu difficile tradurla in pratica, prima con il loro album di debutto e quindi con i loro concerti.
Il primo ed unico album pubblicato per la Combat Records, prodotto da Eric Williams e mixato da Randy Burns (Stryper, Bang Tango), uscì a breve distanza dalla fondazione della band e fu registrato in appena nove giorni: l’aspetto curioso e forse unico nel panorama musicale mondiale, fu che i Sweet Pain, prima delle registrazioni dell’album non avevano mai suonato dal vivo.
Scarlet Rowe se ne andò quasi subito, dopo aver capito che aria tirava: verrà comunque ringraziato nei credit dell’album.
La mancanza assoluta di esperienza e di intesa tra i quattro membri della band rimasti, oltre al fatto di non dover subire alcun tipo di pressione, rappresentano paradossalmente il punto di forza maggiore dei nove brani contenuti nell’omonimo album d’esordio che ha il sapore di una festa improvvisata.
I brani contenuti nell’album sono metaforicamente equiparabili ad un pasto fatto con i resti avanzati da una cena della sera precedente: senza alcun (apparente) sforzo, la band riciclò quello che poteva offrire il frigo, gli diede una riscaldata e lo offrí ai commensali.
L’antipasto è rappresentato dai tempi teppistici di “I get my kicks“: balza subito alle orecchie la particolare timbrica vocale di Corky Gunn; un fastidioso, ma tutto sommato efficace, incrocio tra Johnny Rotten (Sex Pistols) e Tamie Downe (Faster Pussycat).
Curioso l’inaspettato intermezzo rap dopo il breve assolo di chitarra, che ribadisce la predisposizione della band verso trovate eclettiche.
Il piatto forte è rappresentato da “Subway Terror”: uno scassato tributo di Corky Gunn alle sue passioni adolescenziali: si tratta di un brano degli Starz, uno dei pochi del repertorio della band che il cantante ammise di poter rifare senza problemi, visto il divario tecnico tra lui e Michael Lee Smith (cantante degli Starz): il brano fu prodotto dallo stesso Richie Ranno, chitarrista degli Starz che si lasciò convincere anche a dare un contributo con la chitarra e ai backing vocal.
“Back in L.A.“ ha uno strano sapore di andato a male e ci presenta un riff blues che farà la fortuna di gente come i Faster Pussycat.
“Knock your socks off“ é il manifesto programmatico, intriso di sessismo, cui si ispira il lifestyle della band e ne chiarisce, senza troppi giri di parole, le intenzioni:
Standing’ in the bathroom with a couple of beers/ got my hands wrapped ‘round your waist/ standing’ in the bedroom with your back to the wall/ got your frigid sister with me/ she ain’t too pretty she sure can ball/ c’mon and make it a threesome baby
“New Toy“ e “Two Time Love” ricordano, entrambe, il party rock dilettantistico e decadente di Rock n’ Roll all nite dei Kiss.
“Shoot to Thrill“, scritta da Kelly Nickels e poi coverizzata dagli L.A. Guns, traccia il confine tra il vandalismo punk dei Sex Pistols e l’estetica glamourous dei Motley Crue del primo album.
Questa canzone fu presentata da Kelly agli altri membri della band esattamente l’ultimo giorno di registrazione dell’album.
I quattro la provarono una volta e poi la registrarono subito dopo.
Poco era pianificato; molto era improvvisato.
L’album non beneficiò che di una moderata spinta promozionale da parte della Combat e si risolse in un azzardato esempio di Street Metal americano ante-litteram, in un periodo, però, in cui tale sotto genere non aveva ancora ricevuto la benedizione commerciale dei Guns N’ Roses.
Erano questi i primissimi tentativi di uno stile hard rock dai toni stradaioli e decadenti che sarebbe diventato molto popolare negli Stati Uniti a partire dalla seconda metà degli anni ‘80 in seguito all’uscita di “Appetite for Destruction“.
Sweet Pain fu un fulmine a ciel sereno, in netta contrapposizione con la nouvelle vague di musicisti glam metal americani, musicalmente concentrati sull’adozione di sonorità heavy metal, condite da aperture melodiche più o meno marcate derivate dal Glam rock inglese.
I Sweet Pain, per contro, furono i primi americani, nel corso della prima metà degli anni ‘80 e se si eccettua l’esempio dei The Throbs, ad allontanarsi da tali clichè per aderire ad un sound dalle matrici stilistiche prettamente metropolitane dove l’ingrediente Metal della ricetta Glam veniva mescolato con il più fastidioso punk (da cui la definizione parallela di Glam/Punk).
La risposta del pubblico newyorkese all’esordio dei Sweet Pain fu deludente: troppo poser nell’immagine per poter essere digeriti dagli oltranzisti punker, troppo borderline la proposta musicale per conquistare gli adepti del sound del Sunset Strip losangelino da cui peraltro la band prese le distanze in maniera netta.
Non andò molto meglio in occasione del primo importante appuntamento live dei Sweet Pain a fianco di Ace Frehley all’Amour East nel Queens.
I Sweet Pain giocavano in casa, ma la reazione del pubblico fu a dir poco ostile.
Volevano assistere all’esibizione di Ace e non a quella di una band di supporto che nessuno conosceva. L’Amour aveva uno schermo enorme che veniva calato davanti al palco e che mostrava al pubblico dei video durante l’allestimento del set. Quando salimmo sul palco sentimmo subito il rumore di ogni genere di oggetto schiantarsi contro il lato del video rivolto al pubblico. Capimmo subito che eravamo nella merda.
Il buongiorno spesso si vede dal mattino ed i Sweet Pain vennero puntualmente bersagliati da ogni tipo di oggetto che il pubblico infuriato si trovava tra le mani: lattine di birra, bottiglie, bicchieri, monetine.
Ogni sorta di oggetto atto a contundere finirà sul palco.
Quando Corky e compagni iniziarono a suonare i brani del loro album, dopo la poco diplomatica e rituale serie di insulti indirizzata al pubblico, le cose non andarono di certo meglio.
Gli spettatori, che si aspettavano di vedere un Ace Frehley impegnato nel suo hard rock melodico ma muscolare, si ritrovarono ad essere investiti da un rumoroso e pericolante muro sonoro che ben poco aveva di musicale.
Questo live lasciò il segno sulla band che avrebbe gradito forse un’accoglienza meno ‘calda’.
Le poche date successive, di cui una come opening act per i Cinderella a Philadelphia, non andarono granché meglio ed alla fine i Sweet Pain dovettero far fronte alla defezione di Ronnie Taz che getterà la spugna per unirsi ai The Throbs, band di belle speranze che per la major discografica Geffen avrebbe dovuto costituire la risposta della Grande Mela ai Guns n’ Roses.
Ronnie fu rimpiazzato con Jaime Keane.
Tuttavia, la dipartita più difficile da digerire per Corky Gunn fu quella del suo amico fraterno Kelly Nickels, vera e propria anima dei Sweet Pain che furono quindi costretti a sciogliersi.
Corky tornerà a lavorare per la Relativity mentre Kelly, nel 1986, si unirà prima agli Angels in Vein proprio assieme a Scarlet Rowe e poi si traferirà a Los Angeles dove finirà per cedere alle lusinghe dei Faster Pussycat da cui però verrà allontanato dopo qualche mese per via di un grave incidente motociclistico.
Sarà con gli L.A. Guns che Kelly raggiungerà il successo planetario che, comunque non gli farà dimenticare il suo amico d’infanzia; quel Corky Gunn che, a sorpresa, verrà reclutato nel dicembre del 1987 dagli L.A. Guns in qualità di road manager.
Corky andrà in giro con la band di Phil Lewis fino a luglio del 1988, dopodiché se ne tornerà a New York per restarci.
Anche per i Sweet Pain, così come si è avuto modo di vedere parlando di altre band su questa rubrica, è stata attuata una opera di recupero discografico.
Nel 2007 la Time Warp Records ristamperà l’opera prima della band di New York su CD.
Alcune band di cui si è già parlato nella rubrica Spotlight avrebbero meritato il successo che invece gli fu precluso in virtù di scelte sbagliate (Witch e Sweet Savage).
Altre furono bersagliate da una serie di eventi poco fortunosi (Teeze).
Altre ancora non fecero in tempo a raccogliere i frutti del loro lavoro che il contesto che li circondava operò un cambiamento di rotta.
I Sweet Pain, no! Nulla di tutto ciò.
Loro non sarebbero mai diventati famosi perché fondamentalmente non lo desideravano.
Loro volevano soltanto divertirsi.
Un po’ come uno studente che, finita la maturità, decide di prendersi un anno sabbattico per girare il mondo e collezionare esperienze di vita prima di fare il suo ingresso nel mondo dei ‘grandi’; quel mondo che non gli darà più la possibilità di svegliarsi la mattina e fregarsene delle conseguenze delle proprie azioni.
Franco Brovelli