I Kix, originari del Maryland, un piccolo Stato che si affaccia sulla East Coast americana, sono stati una delle (tante) colonne portanti che hanno sorretto per un intero decennio (1981-1991) la scintillante scena hair metal a stelle e strisce.
Interpreti di un sound solido ed essenziale, influenzato dal glam rock inglese e da una buona dose di AC/DC, Aerosmith e Stones, questi 5 ragazzi vivranno i loro 15 minuti di fama.
Si tratterà tuttavia di un successo di breve durata e dal retrogusto amaro, per via di sopravvenute tensioni interne al gruppo, causate in gran parte dall’atteggiamento bifronte della etichetta discografica Atlantic Records, che avrebbe poco elegantemente ribaltato sui Kix, sotto forma di anticipo, una quota delle spese promozionali sostenute per la band, accelerandone, de facto, lo scioglimento.
Il primo nucleo dei Kix prende forma nel dicembre 1977 attorno alle figure del bassista, nonché principale songwriter, Donnie Purnell e del chitarrista Ronnie Younkins, detto 10/10 per la sua inclinazione ad alzare al massimo il volume di chitarra ed amplificatore in sala prove.
Dopo alcuni cambi di formazione, la band, che all’epoca si presentava col nome di The Shooze, nel 1979 trova un assetto definitivo con l’innesto del biondo cantante Steve Whiteman, un ex batterista originario del West Virginia e di Brian ‘(Brain) Damage’ Forsyhte alla chitarra ritmica.
Jimmy ‘Chocolate’(nomignolo ad uso e consumo degli svogliati che faticavano a pronunciare correttamente il suo cognome) Chalfant completerà il quintetto sedendosi dietro alla batteria.
Con questa line up i cinque musicisti iniziano a familiarizzare con i palchi esibendosi nelle vesti di cover band nei club della zona di Baltimora, tra cui il famoso Hammerjack’s, vero e proprio epicentro della scena rock locale.
Già da allora, tuttavia, i futuri Kix non si accontentavano di reinterpretare brani altrui e manifestavano ambizioni di indipendenza artistica, come sottolineato dallo stesso Whiteman:
Presentavamo delle cover per attrarre gente all’interno dei club, per poi suonare pezzi nostri intervallandoli alle cover stesse. Alla fine i brani originali piacevano così tanto che il pubblico non riusciva più a capire se fossero cover oppure no
Questa semplice, ma efficace strategia alla fine darà i suoi frutti tanto che i The Shooze otterranno, nel giro di un paio di anni, un contratto con una major discografica.
È il 1981 l’anno della svolta: la band, durante uno show allo Stardust Inn di Walford, un piccolo centro del Maryland, attira su di sé l’attenzione del neo-presidente della Atlantic Records Doug Morris che li farà volare a New York per uno showcase.
Il resto, come si suol dire, è storia.
A causa di uno dei tanti casi di omonimia con una band pop rock di Chicago (The Shoes), il monicker in uso viene abbandonato in favore del più incisivo, ma transitorio The Generators fino ad arrivare al breve e facilmente memorizzabile Kix (i Divertimenti / le Soddisfazioni o i Calci, a seconda delle interpretazioni).
Con in tasca il contratto e con questa nuova identità, Whiteman e soci si mettono subito all’opera e registrano il primo omonimo album di 9 brani che uscirà nel settembre del 1981.
Alla regia si accomoda Tom Allom, noto produttore inglese con alle spalle un portafoglio gonfio di collaborazioni in ambito Heavy Metal (Black Sabbath e, soprattutto, Judas Priest) e Hard Rock (i Def Leppard di “On through the Night“ che lo ribattezzarono ‘il colonnello’).
Fin dalla semplice (e divertente) cover del loro debut album, questi 5 ragazzi ci fanno capire che non intendono prendersi troppo sul serio e che puntano più al sodo dei contenuti musicali che non al lato puramente estetico della loro proposta.
A parte un po’ di lacca per dare vapore ai capelli, la band fotografata in copertina ha un look sobrio e privo di orpelli proprio come le note che fuoriescono dai solchi del vinile.
L’Atlantic offre carta bianca, lasciando la band libera di dare sfogo alla propria energia creativa senza condizionamenti esterni.
Il risultato è un cocktail ipervitaminico di hard rock che paga un evidente dazio stilistico al Glam inglese degli anni ‘70.
Il menu di questo album offre portate interessanti anche se l’impressione generale è che si voglia accontentare un po’ tutti i palati.
L’iniziale “Atomic Bombs” apre le danze con ritmiche incalzanti per poi lasciare spazio al mordi e fuggi di “Love at first sight“. Si prosegue con il power pop da classifica, stile “My Sharona“, di “Heartache“ per poi farsi trascinare dal mid tempo muscolare di “The Itch“.
Si cambia registro con l’ipercalorico boogie rock n’roll di “Kix are for kids” dove i 5 non fanno mistero del loro amore, nemmeno tanto platonico, per gli australiani AC/DC, mentre la conclusiva ed impertinente “Yeah Yeah Yeah“ offre il destro a Whiteman per fare sfoggio delle sue coinvolgenti doti di frontman. Si fatica a riconoscere nella timbrica vocale, così nitida e pulita, del giovane Steve, il protagonista di quei ruvidi ruggiti che caratterizzeranno le successive performance del cantante.
Questo esordio, sicuramente positivo, sembra mancare ancora di un filo conduttore che unisca i brani in esso contenuti e non può essere considerato rappresentativo di quello che sarà il futuro marchio di fabbrica tipico del Kix style. I risultati non furono soddisfacenti e l’album fallì nel tentativo di scalare le classifiche, raggiungendo la posizione numero 140 di Billboard.
Ad ogni modo, il management della Atlantic non si demoralizza, dimostrando di credere nelle qualità dei cinque ragazzi di Baltimora e nel marzo 1983 arriva puntuale il sequel con il nuovo “Cool Kids” (con Brad Divens, provenienete dai Souls at Zero al posto di Younkins, fuoriuscito temporaneamente per problemi personali).
Anticipato dal singolo “Body Talk” (una efficace cover di Nick Gilder), “Cool Kids” è un lavoro di assestamento stilistico in cui inizia a sentirsi la mano della Atlantic che decide di intervenire direttamente esercitando delle pressioni sulla band il cui stile viene reindirizzato verso sonorità ritenute più in linea con i gusti del pubblico americano.
Fummo in un certo senso obbligati a fare un album più commerciale che includesse anche delle cover. Al nostro interno non eravamo molto soddisfatti del risultato finale ed inoltre le vendite non furono buone
La produzione dell’album venne affidata all’inglese Pete Solley, ex membro di Procol Harum prima e Whitesnake poi.
Pur mancando di freschezza rispetto all’esordio, questo secondo lavoro offre qualche spunto degno di nota come l’ottima “Burning Love“, una cover degli Spider, la Leppardiana “Love pollution” e le sfreccianti “Restless blood” e “Migthy Mouth” cui va il merito di anticipare le caratteristiche di amalgama che avrebbero definito il futuro sound della band a partire dal terzo lavoro in studio.
Anche in questo caso, tuttavia, le vendite mancheranno di premiare gli sforzi dei Kix e “Cool Kids” farà peggio del suo predecessore riuscendo a stento ad entrare nella Top 200 di Billboard.
Il terzo album in studio è datato agosto 1985, si intitola “Midnite Dynamite” e vede il ritorno, dopo un periodo di rehab, del chitarrista Ronnie Younkins. I Kix, questa volta, non falliscono anche perché la Atlantic decide di giocarsi il tutto per tutto alzando la posta in gioco e scomodando professionisti di prima fascia in fase di produzione e di co-scrittura dei brani.
Il nuovo lavoro viene infatti gestito, produttivamente parlando, da uno specialista dell’hard sound da classifica, quel Beau Hill che aveva appena regalato profondità ed appeal commerciale ad “Invasion of your Privacy“, terza prova dei plurimilionari Ratt e che di lì a poco avrebbe toccato, trasformandole in oro, le uscite discografiche di altre famose hair band americane come Winger (di cui produsse i primi 2 album) e Warrant (di cui produsse 3 album).
Fu tuttavia la partecipazione di Bob Halligan Jr., affiancato in fase di co-scrittura dei brani a Donnie Purnell, a rivelarsi decisiva nel dare identità e respiro all’intero lavoro.
Purnell fece coppia con Bob Halligan Jr., il cui brano ‘(Take These) Chains’ era stato una grande hit negli Stati Uniti per i Judas Preist nel 1982. Alla fase di songwriting parteciparono anche John Palumbo e Kip Winger, quest’ultimo tre anni prima che uscisse il debut album dei Winger. Ad ogni disco Donnie migliorava come songwriter
ricorda Brian Forsythe
Aveva iniziato a trovare il suo groove con Midnite Dynamite e le cose migliorarono ancora di più con Beau Hill. L’album non andò bene come ci aspettavamo, ma l’impressione era che stavamo andando nella giusta direzione.
I primi due singoli estratti dall’album, la funkeggiante “Cold Shower” e la successiva “Midnite Dynamite” furono ben accolti dal pubblico, permettendo alla band di ampliare la propria base di consensi.
“Bang Bang balls of fire” scritta da Purnell assieme a Kip Winger, ricorda molto da vicino alcuni passaggi dei Ratt, forse anche per via dei suoni creati in studio da Beau Hill.
Il linguaggio musicale dei Kix aveva finalmente trovato una fluidità espositiva coerente con le aspettative del mercato americano.
Con “Midnite Dynamite” inizia infatti a prendere forma il Kix-style fatto di riff diretti e affilati, di un singing maturo che si colloca a metà strada tra la timbrica politically correct di Stephen Pearcy (vocalist dei Ratt) e la lascivia di Bon Scott (degli AC/DC), di ritmiche sostenute e cori dall’impatto immediato.
L’album, grazie anche ad un tour durato 18 mesi, raggiunse la posizione numero 60 della classifica di Billboard rafforzando la reputazione della band a livello nazionale.
Inoltre, il management dei Kix verrà assegnato all’esperto Mark Puma, noto per la sua collaborazione con i Twisted Sister reduci dal successo di “Stay Hungry“.
Tuttavia, dietro una notizia buona, spesso se ne nasconde una cattiva, soprattutto quando si parla di (music) business e le brutte sorprese, per i Kix, erano appena dietro l’angolo.
Tornati dal tour, i nostri vengono convocati negli studi della Atlantic a New York, convinti di dover incassare qualche assegno per le royalties di “Midnite Dynamite“. In occasione di quel meeting fu invece comunicata loro una notizia inattesa:
Ci sedemmo attorno ad un grande tavolo assieme a tutti questi manager in giacca e cravatta. Ci dissero – bene ragazzi, avete fatto un gran bel lavoro. Vogliamo fare un altro disco. Adesso ci dovete soltanto 1 milione di dollari
La band ci mise un po’ a realizzare che fino ad allora, per le registrazioni dei primi 3 album e per le spese promozionali, aveva beneficiato, da parte della Atlantic, di una serie di ‘anticipi’, i cui importi residui si erano poi cumulati negli anni perché non pienamente ripagati dai risultati di vendita dei lavori precedenti.
Non è azzardato pensare che, al termine di questo incontro, ai ragazzi del Maryland sia tornato in mente il titolo di un loro brano contenuto in “Midnite Dynamite“: “Cold shower“!
Sarà Mark Puma a risistemare parzialmente le cose a favore dei Kix rinegoziando il debito direttamente con la Atlantic e riuscendo persino ad ottenere, per la prima volta, degli anticipi a ‘fondo perduto’.
Scoprimmo solo allora di essere indebitati ed ecco spiegato il motivo dei pochi guadagni derivanti dalle vendite di Midnite Dynamite. Mark Puma, un esperto nel trattare con l’industria discografica, decise di rinegoziare il nostro debito con la Atlantic. Mark riuscì ad ottenere diversi altri anticipi, senza obbligo di restituzione, sia per il prossimo tour che per altre varie nostre necessità. La realtà era che il mondo del music business, allora, funzionava così e noi lo scoprimmo, è proprio il caso di dirlo, a nostro spese
Commentò Bryan Forsythe.
Con una forte motivazione in più a fare ancora meglio e con qualche dollaro in meno nelle tasche la band si rimise al lavoro e nel 1988 la Atlantic pubblicò il quarto album dei Kix, “Blow My Fuse” prodotto da un’altra vecchia conoscenza del party-sound americano: il veterano Tom Werman, artefice dei suoni di Motley Crue, Dokken, L.A. Guns e Stryper.
Eravamo entusiasti di lavorare con Tom Werman. Ogni band che aveva collaborato con lui aveva fatto bene. Aveva un gran fiuto e riusciva a capire al volo quando un brano sarebbe diventato una hit. Tom non esercitò alcuna pressione su di noi. Si circondava di professionisti e per la produzione di Blow my Fuse tirò dentro anche John Purdell e Duane Baron. Assieme fecero un gran bel lavoro
Spinto da queste premesse, “Blow my fuse”, riuscì ad imporsi a livello nazionale raggiungendo la posizione numero 46 della classifica di Billboard.
La qualità del lavoro è superlativa grazie agli energici assalti blues rock di brani come “Red Lite, Green Lite“, “TNT“, “No ring around Rosie“, “Dirty Boys“ e di “She dropped me the bomb“. Si fanno notare anche la allusiva “Piece of the Pie” ed il mid tempo della title track uscita come singolo assieme a “Cold blood“ e “Get it while it’s hot“.
Tuttavia, il vero capolavoro commerciale di questo album fu l’ultimo singolo ad esserne estratto: “Don’t close your eyes“ (coscritta dall’onnipresente Halligan), una struggente ballad dalle tematiche anti-suicide pubblicata nel maggio 1989 e che arrivò al posto N. 11 della classifica USA facendo fare ai Kix il vero salto di qualità anche a livello internazionale.
https://www.youtube.com/watch?v=JRx0NIvwQQg
Fu Alan Niven ad accorgersi del potenziale commerciale di questa ballad e a consigliare alla Atlantic di farla uscire come singolo.
All’epoca eravamo in tour con i Tesla e con i Great White ed Alan era il manager di questi ultimi oltre che dei Guns n’ Roses. Era un manager importantissimo ed aveva una marea di contatti nel music business. Ricordo che praticamente ogni sera se ne usciva con tutti dicendo che non riusciva a capacitarsi di come la Atlantic non avesse ancora pubblicato Dont close your eyes come singolo e soprattutto che non avessero intenzione di farlo poiché il numero dei singoli estratti da da Blow my fuse era sufficiente. Alan chiese a Mark Puma il permesso di provare a convincere la Atlantic. Li andò a trovare e disse loro che sarebbero stati dei folli a non pubblicare il singolo. Alla fine gli diedero retta e quella canzone divenne il nostro più grande successo di sempre.
La RIAA (Recording Industry Association of America) certificherà “Don’t close my eyes“ disco d’oro il 5 febbraio del 1990, mentre “Blow my Fuse” taglierà il traguardo del mezzo milione di copie vendute nel novembre 1989 per poi laurearsi disco di platino (1 milione di copie vendute) il 28 agosto 2000.
Ai Kix si dischiusero le porte degli stadi americani.
Il primo tour nelle arene la band lo fece da opener per il “Reach for the sky” tour degli amici Ratt, all’inizio del 1989. In pochi mesi le due band percorsero tutta la East Coast, il Midwest ed il Sud degli Stati Uniti. Nei mesi successivi seguirono altre date date assieme alla creme della scena Hair Metal statunitense: Britny Fox, Tesla, Warrant, Great White, il tutto concluso da una veloce sortita di tre date in Inghilterra (dove i Kix aprirono per Malmsteen) e da un trionfale tour in Giappone.
L’eccessiva pressione derivante dal successo (peraltro fino a quel momento privo di grosse soddisfazioni finanziarie), dall’estenuante tour de force di date live negli Stati Uniti ed il crescente rancore nei confronti della esosa Atlantic iniziarono a deteriorare gli umori della band. Fu soprattutto Donnie Purnell, mente stilistica e padre putativo dei Kix, a mostrare i primi segni di malumore prendendosela con Mark Puma e con gli altri membri della band.
Ciò nonostante, nel luglio del 1991 i Kix replicarono, come era lecito attendersi, il format che aveva caratterizzato il precedente lavoro dando alle stampe un più che degno erede: “Hot Wire“, album della piena maturità pubblicato su EastWest Records, una sussidiaria della Atlantic. La produzione fu affidata a Taylor Rhodes.
Privo di sbavature e di punti deboli, questo nuovo lavoro è un’impeccabile e sorprendente susseguirsi di potenziali hit single cui contribuì in maniera decisiva l’apporto dello stesso Rhodes, futuro co-autore di “Cryin’” degli Aerosmith, in fase di songwriting.
A parte la ripetitiva, ma tutto sommato gradevole ballad “Tear Down the walls“, “Hot Wire” si distingue per il super anthem, nonché singolo apripista, “Girl Money“, un brano hair ruffiano e spavaldo, con un Whiteman quanto mai allusivo che strizza l’occhiolino a Bon Scott.
Da segnalare anche il fast-blues scatenato di “Hee Bee Jee Bee Crush“ e di “Rock n’roll overdose“, il manierismo groovy di “Cheap Thrills“ o ancora il rock n’roll old style di “Same Jane“, con tanto di assolo di armonica di Whiteman.
Ironia della sorte, l’album che doveva confermare lo status di star dei Kix, complice un panorama musicale in forte cambiamento (“Hot Wire” uscì nei negozi pochi mesi prima di “Nevermind” dei Nirvana) ottenne scarsi riscontri vendendo appena 200.000 copie.
È l’inizio della fine per i Kix e per l’intera scena hair metal Americana. Il grunge è alle porte ed il rock cotonato ed edonistico figlio degenere della cultura reaganiana del ‘tutto e subito’ aveva i minuti contati.
La band farà ancora in tempo a pubblicare l’ultimo album dal vivo per la Atlantic nel giugno 1993, intitolato semplicemente “Kix Live” e registrato l’anno prima al “Cole Field House” dell’Università del Maryland. Brian Forsythe deciderà di lasciare la band poco prima di questa uscita (marzo 1993) per entrare a far parte dei The Rhyhtm Slaves con Eric Stacy dei Faster Pussycat e Patrick Muzingo dei Junkyard.
Il vuoto lasciato dal chitarrista sarà temporaneamente riempito da Jimmy Bones (degli Skin N’ Bones).
I Kix richiameranno quindi Brian per farlo partecipare, in qualità di turnista, alle registrazioni del buono, ma ormai inutile, “Show Business” nel 1995 per la CMC Records (etichetta della Sanctuary) prima dello scioglimento definitivo che avrebbe portato i membri della band ad intraprendere strade diverse, ma complementari al percorso che fino ad allora ne aveva caratterizzato la carriera.
Nel 1996, Steve Whiteman darà vita assieme a Jimmy Chalfant ai Funny Money, una band dal sound estremamente vicino ai Kix. Nell’arco di una decade (1996-2006) i Funny Money pubblicheranno 4 piacevoli album in studio (“Funny Money” nel 1998, “Back Again” un anno dopo, “Skin to Skin” nel 2003 e “Stick It” nel 2006), uno special reissue (“Back Again… special reissue”) ed un live (“Even better… Live!” nel 2001).
Brian Forsythe, terminata la sua esperienza con i the Rhythm Slaves si unirà ai Rhino Bucket un’ottima band californiana fortemente ispirata dagli AC/DC.
Ronnie Younkins fonderà nel 2002 i The Blues Vultures un progetto da lui stesso denominato come no frills rock n’ roll le cui fonti primarie di ispirazione artistica vanno da Chuck Berry ai Rolling Stones. La produzione discografica dei Vultures si ferma a due ottimi album (“Cheap Guitars & Honky Tonk Bars” del 2005 e “Picked to the bone” del 2013) che non possono mancare nella discografia degli amanti di Blackberry Smoke, Quireboys e The Black Crowes. (Prima dell’esperienza con i Blues Vultures, Younkins formò i Jeremy and the Suicide insieme a Jeremy L. White dei The Blessings e poi pubblicarono l’album dal titolo “Lack Of Luxury” sotto il nome di The Slimmer Twins. ndS).
Tuttavia, la storia di questi rocker non finisce qui: i cliché hollywoodiani, musicalmente soffocati dal terremoto grunge, sopravvivono ancora nell’immaginario collettivo americano che pretende che una avventura debba quasi sempre terminare con un lieto fine.
I Kix, inseguiti da un nocciolo duro di fan che non li ha mai dimenticati, non erano pertanto destinati a rimanere separati troppo a lungo.
La reunion, tra un progetto parallelo ed una collaborazione, arriva puntuale nel 2004 e vede coinvolti i 4/5 della band originaria con l’aggiunta di Mark Schenker (già membro dei Funny Money) al posto di Donnie Purnell, per il quale il capitolo Kix poteva considerarsi chiuso definitivamente.
L’idea iniziale era quella di fare qualche data live, ma giocando in casa e restando quindi nell’area del Maryland. Il responso del pubblico fu talmente appassionato che nel 2012 i Kix cedono alle lusinghe della Frontiers Records per la pubblicazione e la distribuzione europea del CD/DVD “Live in Baltimore“. Condicio sine qua non per la firma con la Frontiers era che i Kix tornassero in studio per realizzare un nuovo album di inediti che arriverà infine nell’agosto del 2014 (ma per la Loud and Proud Records).
Il nuovo lavoro, prodotto da Taylor Rhodes si intitola “Rock your face off” ed è da considerare un ottimo ritorno sebbene manchi il bassista Donnie Purnell, principale songwriter della band. Sono passati 19 anni dall’ultima prova in studio della band eppure sembra che il tempo si sia fermato. Lo stile essenziale e stradaiolo della band resta intatto per la felicità dei supporter dell’old school Rock di ottantiana memoria.
Ma lo show deve andare avanti ed i Kix concedono il bis ai propri storici fans: nell’ottobre del 2016 esce, sempre per la Loud and Proud, il doppio DVD “Can’t Stop the Show: The Return of Kix“. Si tratta di un documentario della durata di 70 minuti incentrato sulla storia che ha portato alla registrazione di “Rock your face off“.
Infine e siamo ai giorni nostri, nel settembre 2018, per festeggiare il trentennale dell’uscita di “Blow my Fuse“, i Kix ripubblicano l’album intitolandolo “Fuse 30 Reblown- 30th Anniversary Special Edition” (Atlantic Records), affidandone le operazioni di remix a Beau Hill ed arricchendone i contenuti con la versione demo di ciascun brano della track list.
I Kix, sono stati una delle migliori formazioni di hair metal americano e la loro lunga carriera sempre onorata dalla incrollabile fedeltà dei fan, ne costituisce una prova più che evidente.
In netta controtendenza con la dinamica ostentativa della nouvelle vague glam metal predominante agli inizi degli anni ‘80, questo quintetto decise di puntare più sulla sostanza che sulla forma, rispolverando ed attualizzando le radici popolari del rock americano per poi estrarne un sound esplosivo come il candelotto di dinamite/microfono che Steve Whiteman stringe saldamente in mano sulla copertina di “Midnite Dynamite“.