Negli ultimi anni c’è stata una vera e propria cascata di reunion, di rinascite, di band rifiorite dopo decenni (…in parte proprio grazie alla Frontiers…), di monicker resuscitati, di progetti rigenerati e tornati per rifare sentire ai fans gli echi di fasti e glorie ormai remote.
Ora è il turno del project Drive, She Said del tastierista Mark Mangold (deus ex machina storico degli American Tears, dei Touch nonché produttore ed autore di talento sopraffino anche alla corte di sua santità Michael Bolton). Insieme al cantante Al Fritsch ed una pletora di amici e colleghi pubblicarono un disco omonimo nel 1989 che è considerato un vero e piccolo gioiello dell’ Aor americano. La band fece uscire altri due album (Drivin’ Wheel e Excelerator) guadagnando un “fan base” fedele. Il nome fu rispolverato l’ultima volta ad inizio millennio per tornare quest’anno con il nuovo album Pedal to the Metal.
I tasti d’avorio di Mark Mangold e la voce (…a dire il vero un po’ affaticata!) di Al Fritsch tornano a far gioire i propri fans con un album che non ha nulla da invidiare alle uscite dei tempi aurei, circondati come sempre da una guest list varia che va a pescare nomi illustri del pantheon dell’hard cromato quali Tommy Denander, Goran Edman alle backing vocals, Alessandro Del Vecchio al basso, Kenny Aronoff alla batteria (…e la lista non finisce sicuramente qui…).
Stupiscono fin dall’inizio la freschezza dei brani e la qualità della scrittura ancora saldamente in mano al duo soprattutto nella parte iniziale dell’album con gemme di energia melodica che sprizzano classe da tutti i pori come “Touch“, “Pedal To The Metal” oppure “In ‘R Blood“.
Anche nelle lente i Drive, She Said dimostrano di possedere ancora il tocco magico basti ascoltare “Said It All” oppure l’epica “Rainbows And Hurricanes“.
Ci sono le sonorità “profondo porpora” di “Writing On The Wall” o di “Rain Of Fire” …la voce sempre calda di Al Fritsch denota qualche cedimento (confermato poi in modo quasi imbarazzante dal vivo al Frontiers Rock Festival di quest’anno) ma quando ritrova – in più di qualche brano – sicurezza, riesce a regalare momenti folgoranti.
Gli arrangiamenti di Mr. Mangold si spingono anche su territori inconsueti giocando con i synth e usando melodie zuccherose quasi pop (…forse possiamo anche togliere il quasi!) nella parte finale dell’album dove trovano posto “I’m The Nyte” e “Lost In You” che tentano di pescare (non riuscendoci al meglio…) nel difficile mondo creato dai Toto.
A conti fatti, con un paio di pezzi di meno, Pedal To The Metal sarebbe stato un album formidabile… verso la fine ci sono un paio di filler di troppo ma nonostante ciò, tra questi solchi c’è dell’Adult Oriented Rock di primissimo livello.
Frontiers Records 2016
MATTEO TREVISINI